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TORONTO
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IL
MORGANTE MAGGIORE
D r
a»irii<3Siì i?ijriL(sii
VENEZIA
GIUSEPPE ANTONELLl EDITOKE
TIP. PREMIATO DELIA MEDAGLIA D'ORO
M.DCCC.XXXV.
L.FIGI PULCI
ufM^^ j diP****-<^: ii/i\ffv
WIT k
DI
LUIGI PULCI
Rapide idee, semplicità di modi,
Sommo arlifizio e purità di lingua,
Del tuo Morgantc son queste le lodi.
F. Z.
VITA
I) I
]L ^ lì (fi It ^ lì
IL
lì li
'^^^t'^m^^^
A Ilici Luigi, il più giovane, ma non il
meno celebre di una famiglia di poeti, che
si associò degnamente agli sforzi de'Medici
per la restaurazione delle lettere, nacque a
Firenze il giorno i5 di agosto del i^Ì2. I
suoi antenati meritala avevano la lunga il-
lustrazione loro per pubbliche benemeren-
ze. Quanto di lui sappiamo consiste in
questo, che Lorenzo de Medici l'ammet-
teva nella sua famigliarità, e che non si se-
para il suo nome da quello degli uomini i
più ragguardevoli di quella corte letterata e
specialmente dal nome di Poliziano, di cui
l'amicizia è imo de' suoi titoli di gloria.
La vita, onninamente letteraria di Pulci
non ha altri eventi che le sue opere ; e le
rende soprattutto commendevoli presso alla
posterità l'esser egli stato il creatore dell'e-
popea burlesca de' moderni, e l'avere an-
nunziato l'Ariosto. L'Italia del secolo de-
cimoquinlo non era matura per la poesia
epica. Cento anni prima Boccaccio impiega-
to aveva l'ottava, ottimo metro cui aveva
preso dai trovatori francesi, e cui primo egli
naturò in Italia, per cantare le avventure
romanzesche di personaggi imaginari del-
l'antichità. Luca Pulci, secondo fratello di
Luigi, imitato avea tale esempio ravvicinando
ai tempi moderni l' azione del suo poema.
De' verseggiatori , de' quali i nomi neppur
giunsero fino a noi coi poemi oscuri cui ci la-
sciarono, letta avevano, nelle vecchie cro-
nache romanzesche di Francia, la storia
mezzo favolosa di Carloraagno e di Orlando;
e tali meschini rapsodi del medio evo messi
avevano in rima per la plebaglia, que' rac-
conti, più che straordinari, tradotti in lingua
volgare prima di essi, e cui corredavano di
preci, talvolta usate dalla Chiesa, ma le
quali non erano il più delle volle che voti
per sé stessi e pei loro uditori, di cui la
generosità non era loro indifferente. Tali
saggi informi erano scrii, come quelli di
Boccaccio; ma nulla di tutto ciò aspetto
aveva di epopea. A Lorenzo dW Medici, che
non disdegnava anch' egli di comporre del-
le canzoni carnescialesche, parve cosa piace-
vole di mettere in certa guisa in parodia
que' poemi popolari e di far ridere delle
tradizioni veramente epiche cui avevano ce-
lebrate; questa idea sorrise al brio faceto di
Pulci ; e la Musa italiana fu dotata di nuo-
vo genere di poesia. Tali fatti ravvicinati
ci spiegano tutto il disegno del suo poema,
che fu argomento di sì calda controversia
fra i critici italiani. Senza ammettere né
escludere 1' opinione di Gravina, il quale
credè che il Pulci avesse voluto porre in
derisione tutte le invenzioni cavalleresche
di que" tempi e che lo fa in tal guisa il
Cervantes dell' Italia, noi non esiteremo a
dire, con esso e con Ginguenè, che il lUur-
§anie Maggiore non può essere slato nel
pensiero dell' autore che un abbozzo di fan-
tasia, che un poema eroi-comico ; e le pri-
me due stanze del venlesimoseltinio canto
tolgono su tale punto gli ultimi dubbi. Co-
me in altro modo comprender si potrebbe
il carattere misto di prodezza e di buffo-
neria del gigante che dà il nome al poema»
VITA DI PULCI
tlcl (jiialo OrlaiKlo è il vero eroe, e quel
burlesco Margnllc, di cui Voltaire fece co-
noscere a' Francesi alcuni traili, e l'episo-
dio di Oliviero e di Meridiana, e tanli al-
tri parlicolari che spiegar si possono soltan-
to come una scommessa, quando si rifletta
clie Pulci scriveva per giudici come Loren-
zo de Medici e Poliziano ! Era stato gue-
st' ultimo che indicata gli aveva l' opera
del monaco Alcuino e quella di Arnaldo,
antico trovatore di Provenza, come fonti
preziose e sconosciute : da ciò proviene il
vecchio errore, confutato dalla stessa diver-
sità del talento dei due amici, prima che
il fosse dalla giudiziosa critica di La Mon-
noye, che le loro cartelle si erano spesso
mischiate durante la composizione del Mor-
gante. Il carattere singolare di tale poema,
la sua condotta bizzarra che contrasta spe-
cialmente con la grandezza dell'azione, quel-
la varietà con cui il cantore di Orlando
fece quasi dimenticare superandola, quel-
l'arte, sì familiare dappoi ad Ariosto, di col-
Icgare le sue narrazioni 1' una con V altra,
e quella mancanza assoluta di unità, che re-
stò il difetto dominante di tali imbrogli
eroici, per ultimo quell' elegante naturalezza
che conserva alla narrazione tutta la gra-
zia di ima conversazione famigliare, e fin
anche quello spurio mescuglio della poesia
coi proverbi popolari di cui la dizione di
Pulci abbonda, tutto ciò non appartiene che
a lui, e ciò fece del Marcante una produzio-
ne originale, benché il poeta meritati abbia
gravi rimproveri. Delle sconce facezie, delle
imagini basse o burlesche, delle moralità
satiriche, spesso giudiziose, ma pressoché
sempre lunghe e fuori di luogo, per ultimo
un abuso mostruoso delle cose divine e del-
le applicazioni ironiche de' libri sacri che
lungi non sono dall'empietà, macchiano qua-
si lutti i canti del poema ; e Crescimbeui
si prova di difenderlo, contro la severità di
Gravina, accusando il secolo di Pulci più
che lo stesso Pulci, ed affermando che 1' au-
tore è più ritenuto che la maggior parte
de'suoi contemporanei e di tutti i suoi ante-
cessori. Tale riflessione fa scusare special-
mente i preamboli de'suoi canti, che sono
la traduzione letterale di parecchi passi del-
la Liturgia : tali maniere di preci erano, sic-
come abbiamo detto, formoleconvenute, che
avevano pressoché perduta la loro solennità
passando per la bocca di quelli che canta-
vano r ylncroia e L'uofo J' ^Intona per le
pubbliche piazze ; e Pulci non se le permi-
se che per contraffare e deridere quelle
muse mendicanti del secolo decimoquarto.
Forse col medesimo scopo ei si ride ordi-
nariamente, nelle 'sue finzioni, di tutte le
cognizioni geografiche ; però che il vente-
simoquinto canto del Morgante contiene,
sull'esistenza degli antipodi, forse il più no-
tabile passo che citar si possa prima della
scoperta dell' America. Per altro, negar non
possiamo che Pulci, inspirato senza dubbio
dal soggetto, non sia veramente poeta negli
ultimi canti ; ed è, per così dire, una biz-
zarria di più: fu citata specialmente, nel veri-
tesimosetlimo, la morte di Baldovino di
Magonza, e quella di Orlando, si commo-
vente e sì cavalleresca. Eppure il Jflorgantc
è poco letto a' nostri giorni, ove noi sia dai
filologi, che vi ricercano le finezze native,
gli antichi modi della lingua toscana, e quel-
la moltitudine d'idiotismi che hanno fatto
citare gli scritti di Pulci come classici, dal-
l'accademia della Crusca]. I puristi gli
apposero appena alcune scorrezioni nelle
desinenze de' verbi ; e tutti lodarono la per-
fezione di tale stile, che citato venne sic-
come modello da Machiavelli. Lo stile è
pressoché il solo merito delle poesie fugge-
voli di Pulci, ed io particolare de'suoi so-
netti contro Matteo Franco. Tale poeta
firentino, uno de migliori suoi amici, go-
deva, come egli, la famigliarità di Lorenzo
ile Medici. Imaginarono, pei' divertire il lo-
ro Mecenate, di mutuamente dilaniarsi in
certi sonetti cui leggevano a mensa del pa-
drone. Lorenzo era magnifico, ma non gran-
de ; incoraggiò tale emulazione d ingiurie
e- d'indecenze, che escluse qualunque di-
gnità di carattere, ed alla quale dobbiamo
oltre centoiiuaranta sonetti, scritti i più sen-
za la minima decenza, e nel genere pro-
verbiale e scucito di Burchiello. Dir si de-
ve per giustizia che sono non tutti di Pul-
ci. Comunque sia, parecchi furono proibiti
come empi, e l'autore ne fece espiazione,
pubblicando successivamente il Credo e la
sua confessione alla santa Vergine, poema in
terzine, a cui susseguitano alcune poesie pie.
Egli è pur anche autore della Frottola^
componimento citalo dalla Crusca ; di una
novella che si trova nella edizione del Do-
ni ; di LeMcre a Lorenzo il Magnifico: e
della Beco da Oicornano.
VITA J)I PULCI
Non è nota 1" cjior.i ili-lIa morie «li Pulri :
viene però eonuinenienle collocata nel 1487.
(«injinenè, il quale co};lie sì avidamente
r occasione di mellere in opposizione le prò-
(In/ioni italiane al carattere pnliblico depli
autori, stampò che Luigi Pulci era canoni-
co: i Itionrad nazionali narrano, per Io con-
trario, ch'era ammogliato, e eh' ehiìc due
figli che rimasero sconosciuti. Gravina con-
sidera con ragiime il Morf^arilc ed alcuni
sonetti di Pulci come i primi mcmumenti
del genere di poesia al quale il Derni ha
lasciato il suo nome.
IL
DI
LUIGI PULCI
^x
È siala questa isloria, a quel eh"' io veggio,
Di Carlo male intesa e scritta peggio.
Canto I. Si. IV.
I L
M OH GANTE HAGGIOUE
DI
1LÌ0IÌU1Ì i^iriLiìii
-m^^Q^t)-^
CAINI O P1U310
ARGOMENTO
'>èi^Qi^
' ii'cntìo Carlo Giugno Iinperudorc
Co" Paladini in festa e in allff^ria,
Orlando conlra Oano traditore
3' adira, e furie vrrso J'of:^nnìa :
liiuns:e li un deserto, e del bestiai Jarorc
Ih tre t;i^anii saìi>a una badia.
Che due n uccide, e con Mercante elegge
]Ji buon socio e d umico usar la h'sge.
-^ì^^i-ifi-
II) pniicipio eia 11 Vtiliu, .i|<|>its..-o .1 Dio,
Ed era Iddio il ^ irlio, e 1 Verbo lui :
Questo era nel )>riiici|iio al parer imo ;
E nulla si può iar san/a rosttii :
Però, giusto Signor benitiiio e pio,
Mandami solo un de pli an;ieli lui
(-he m" accompagni, e rechimi a memoria
L na famosa antica e degna sloria.
11
E III > ergine figlia e madre e sposa
Di quel Signor che ti dette le chiave
Del cielo e de 1 abisso e d' ogni cosa
Quel dì die Gabriel luo li di.-se ave :
Perchè tu se' de tuo" servi pietosa,
Con dolce rime e slil grato e soave
Aiuta i versi miei benignamente.
E nsino al fine allumina la mente.
Era nel teirìpo quando Filomena
Con la sorella si lamenta e plora,
Che si ricorda di sua antica pena,
E pe' boschetti le ninfe innamora,
E Febo il carro temperato mena.
Che "1 suo Fetonte 1" ammaestra ancora ;
Ed appariva appunto a 1 orizzonte.
Tal clie Titon si prafllava la fronte ;
IV
Quand' io varai la mia barchetta, prima
Per iibbinir chi sempre ubbidir debbe
La mente, e faticarsi in prosa e in rima,
E del mio Carlo imperador m" increbite ;
Che so qnanti la penna lia posto in cima,
Che lutti la sua giuria prevarrebbe :
E stala questa istoria, a quel eh' i' veggio.
Di Carlo male inlesa e scritta peggio. ^ ■_
V
Diceva già Lionardo Aretino,
Che s' egli avesse avuto scrillor degno.
Com'egli ebbe un Orinanno il suo Pipino,
Cir avesse diligenzia avulo e ingegno, vt li^
Sarebbe Carlo Magno im nom divino^
Però ch'egli ebbe gran vittorie e regno,
E fece per la Chiesa e p"r la Fede
Certo assai più, che non si dice o crede.
vi
Guardisi ancora a san Liberatore
Quella badia là y)re«so a Manoppello,
Giù ne eli Abbruzzi falla per suo onore,
Dove fu la battaglia e 1 gran flagello
D un re pagan, che Carlo imperadore
Uccise, e tanto del suo j)opi)l fello :
E vedesi tante ossa, e tanti il sanno,
Che tulle in Giusafià poi si vedranno.
j Ir^j,
INI O l\ Cx /V N T E M A (; G I O K ìi
Ma il mondo riero e isjnorantc non prezza
Le sue virili, rom' io vorrei vedere :
E In, Fiorenza, de la sua }>;rande/za
Possiedi, e sempre potrai possedere
Oj;ni roslnme ed o;:!;ni penli'.ezza
Che si ])olesse acquistare o avere
Col senno eoi tesoro o roii la lancia
Dal noliil san<rne e vennlo di Francia.
vili
Dodici paladini aveva in corte
Carlo, e 1 piii savio e famoso era Orlando;
Gran Iradllor lo condnsse a la morte
In Roncisvalle un trattato onlinanilo ;
Là dove il corno sonò tanto forte
Dopo la dolorosa rotta, quando
Ne la sua commedia Dante qui dice,
E meltelo con Carlo in ciel felice.
IX
Era per Pasqua quella di Natale :
Carlo la corte avea tutta in Parigi :
Orlando, coni' io dico, il principale
Evvi, il Danese, Astolfo, e Ansuigi :
Fannosi feste e cose trionfale,
E molto celebravan san Dionic;i :
An(>io!in di Baiona, ed Ullvieri
V era venuto, e 1 gentil Berlingliieri.
X
Eravi Avolio ed Avino ed Ottone
Di Normandia, Riccardo paladino,
E "1 savio Namo, e '1 vecchio Salomone,
Gualtier da Monlione, e Baldovino
Ch'era fliìliuol del tristo Ganeìionc.
Troppo lieto era il fia;Iiuol di Pipino ;
Tanto che spesso d' allegrezza penie
Vefi;2;endo tutti i paladini insieme.
XI
Ma la fortuna attenta sta nascosa
Per «luasfar sempre ciascun nostro effetto;
Mentre che Carlo cosi si riposa,
Orlando governava in fatto e in detto
La corte e Carlo Magno ed ogni cosa :
Gan per invidia scoppia il maladetto,
E cominciava un dì con Carlo a dire:
Abbiam noi sempre Orlando ad ubbidire ?
xu
Io ho creduto mille volte dirti:
Orlando ha in sé troppa presunzione :
Noi Siam qui conti, re, duchi a servirti,
E Namo, Ottone, Uggieri e Salomone,
Per onorarti ognun, per ubbidirti :
Clic costui abbi ogni reputazione
Noi sofferrem, ma siam deliberati
Da un ianciullo non esser governati.
XIII
Tu cominciasti insino in Aspramonlc
A dargli a intender che fosse gagliardo,
E facesse gran cose a quella fonte ;
Ma se non fosse stato il buon Gherardo,
Io so che la vittoria era d'Ahnonte:
Ma egli ebbe sempre Tocchio a lo stendardo,
Che si voleva quel di coronario:
Questo è colui eh' ha meritato, Carlo.
Se ti ricorda già scndo in Guascogna,
Quando e' vi venne la gente di Spagna,
Il jiopol de' cristiani avea verg»)gna,
Se non mostrava la sua forza magna.
Il ver convien pur dir, quando e' bisogna :
Sappi;: eh ognuno, imperador, si lagna:
Qu.int' io per me, ripasserò fjue' monti
Ch'io passai 'n qua con sessantaduo conti.
XV
La tua grandezza dispensar si vuole,
E far che ciascun abbi la sua parte :
La corte tutta quanta se ne duole:
Tu credi che costui sia forse Marte ?
Orlando un giorno udì queste parole,
Che si sedeva soletto in disparte ;
Dlspiaequegli di Gan quel die diceva ;
E molto più che Carlo gli credeva.
XVI
E volle con la spada uccider Gano,
Ma UlÌNÌeri in quel mezzo si mise,
E Durlindana gli trasse di mano,
E così il me' che seppe gli divise.
Orlando si sdegnò con Carlo Mano,
E poco men che quivi non l' uccise ;
E dipartissi di Parigi solo,
E scoppia e'mpazza di sdegno e di duolo.
XVII
Ad Ermellina moglie del Danese
Tolse Cortana, e poi tolse Rondello;
E 'n verso Brava il suo cammin poi prese.
Alda la bella, come vide quello.
Per abbracciarlo le braccia dislese.
Orlando, che isniarrito avea il cervello,
Coni' ella disse: Ben venga il mio Orlando:
Gli volle in su la testa dar col brando.
XVIII
Come colui che la furia consiglia,
E' gli pareva a Gan dar veramente :
Alda la bella si fé' maraviglia :
Orlando si ravvide prestamente :
E la sua sposa pigliava la briglia,
E scese dal cavai subitamente:
Ed ogni cosa narrava a costei,
E riposossi alcun giorno con lei.
XIX
Poi si partì portato dal furore,
E terminò passare in Paganìa;
E mentre che cavalca, il traditore
Di Gan sempre ricorda per la via :
E cavalcando d' uno in altro errore,
In un deserto truova una badia
In luoghi oscuri e paesi lontani,
Ch' era a' confin' tra cristiani e pagani.
XX
L' abate si chiamava Chiaramonte,
Era del sangue disceso d' Augrante ;
Di sopra a la badia v'era un gran monte.
Dove abitava alcun fiero gigante,
Dc'f(uali uno avea nome Passamonte,
L'altro Alabastro, e 'l terzo era Morgante :
Con certe frombe gittavan da allo,
Ed ogni dì facevan qualche assalto.
MG 1\ (i ANTK M A G ('. I O R K
1
1 iiioMHi li<-i(i non (Ktticnd u<rire
l)il nu)ni^U'^(l <i ptr lci:iie o per art|in' :
Orlando pirrlii.i, e non volicno ajirire,
l'in rlie a 1" .ili.ile ,i ì» line jnir piarqne :
Entrato drrnto roniinriava a dire,
Conii' rollìi, rlie di Maria ^ià nacque,
Adora, ed era Cristian liatle/zato,
E con»' e-ili era a la badia arrivato.
xxii
Disse l'aliate: 11 ben venuto sia:
Di quel eli* io ho volentier ti daremo,
Poi che tu credi al iì^linol di Maria ;
E la rafrion, ravalier, li diremo.
Acciò che non 1 imputi a villania,
Perché a 1' entrar resistenza facemo,
E non li volle aprir quel monachetto :
Così intorvieu chi vive con sospetto.
XXIII
Quando ci Venni al principio abitare
Queste montasne, benché sieno oscure
Come tu vedi ; pur si polca stare
Sanza sospetto, eh' eli" eran sicure :
Sol da le fiere l' avevi a guardare ;
Feruoci spesso di brutte paure ;
Or ci bìsosna se vogliamo starci,
Da le bestie dimestiche guardarci.
XXIV
Queste ci fan piuttosto stare a segno:
Sonci appariti tre fieri eijianti,
Non so di qual paese o di qual regno,
Ma mollo son feroci tulli quanti :
La forza e "1 malvoler eiiinl" a lo nge^no
Sai che può'l tulio; e noi non «iam baslanli ;
Questi perturban si 1" orazion nostra,
Clie uon so più che far, s altri noi mostra.
XXV
Gli antichi padri nostri nel deserto,
Se le lor opre sante erano e giuste,
Del ben servir da Dio u' avean buon meito;
Né creder sol vivessin di locuste :
Piovea dal ciel la manna, questo è cerio;
Ma qui convien che spesso assaggi e gusle
Sassi che piovon di sopra quel monte.
Che gettano Alabastro e Passamoule.
XXVI
E "1 terzo rliè Morgante, assai più fiero,
Isveglie e pini e faggi e cerri e gli oppi,
E gettagli in fin qui : questo è pur vero;
Non posso far che d' ira uon isroppi.
Mentre che parlali così in cimitero,
Un sasso par che Rondel quasi sgroppi;
Che da' giganti giù venne da alto
Tanto, eh' e' prese sotto il tetto un saito.
xxvu
Tirali drenlo, cavalier, per Dio,
Disse r abaie, che la manna casca.
Risponde Orlando : Caro abate mio,
Costui non vnol che "1 mio cavai più pasca:
Veggo the lo guarrebbe del restìo :
Quel sasso par che di buon braccio nasca.
Rispose il santo padre : Io non t' inganno,
Credo che l monte un giorno «itteranao.
xxviu
Orlando governar (evr Itoiidt'llo,
li ordiii.ir prr »<• la rolr/iuiif.
Poi disf-e: Abati-, io voglio andare a quello
(he dette al mio cavai con quel raiitonc.
Di.'>e I abate: Come rar'fratcllo
Consiglicrotti sanza passione :
Io ti sconforto, baron, di tal gita ;
Ch'io so che tu vi lascerai la vita.
Quel Passamonle ]iorta in man tre dardi:
Chi fronibe, chi baston, chi mazzafrusti;
Sai che giganti più di noi gagliardi
Son per ragion, che son anco più giusti;
E pur se vuoi andar fa che li guardi.
Che questi son viìl^n molto e robusti.
Rispose Orlando: lo lo vedrò per certo;
Ed avviossi a pie su pel deserto.
XXX
Disse r abate col segnarlo in fronte :
Va, che da Dio e me sia benedetto.
Orlando, poi che salito ebbe il monte,
Si dirizzò, come l'abate dello
Gli aveva, dove sta quel Passamonle,
Il quale Orlando veggendo soletto.
Molto lo squadra di dietro e davante ;
Poi domandò, se star volea per fante.
xxxi
E' prometteva di farlo godere.
Orlando disse : Pazzo Saracino,
10 vengo a te, com' é di Dio volere,
Per darli morte e non per ragazzino ;
A" monaci suoi fatto hai dispiacere ;
Non può più comportarli, can mastino.
Questo gigante arn;ar si corse a furia,
Quando sentì eh' e' gli diceva ingiuria.
XKXII
E ritornalo ove aspettava Orlando,
11 qual non s' era partito da bomba ?
Subilo venne la corda girando,
E la -da im sasso andar fuor de la fromba,
Che in su la testa giugnea rotolando
Al conte Orlando, e T elmetto rimbomba ;
E' cadile per la pena tramortito ;
Ma più che morto par, lauto è stordito.
xxxni
Passan.onte jtensò che fusse morto,
E disse : Io voglio andarmi a disarmare :
Questo poltron per <H»i m'aveva scorto?
Ma Cristo i suoi non suole abbandonare.
Massime Orlan«lo, eh' egli arebbe il torto.
3Ienlre il gigante 1" arme va a spo.;liare,
Orlando in cjueslo tempo si ri.^enle,
E rivocava e la forza e la mente.
xxxiv
E gridò forte : gigante, ove vai ?
Ben ti pensasti d'avermi ammazzato!
A'olgiti a drieto, che, s' ale non Jjai,
Non p'.ioi da me fuggir, can riuaegato :
A tradimento ingiuriato m hai.
Donde il gigante alior maravigliato
Si volse a drieto, e riteneva il passo;
Poi si chinò per lor di terra un sassO.
^«
M O R G A N T E MAGGIORE
Orlaiulo avc.i Corinna i^iiiida in mano;
Trasse a la lesta ; e Cortcma taf^liava :
Per mezzo il teschio partì del pagano,
E Passanionie morto r(»vinava :
¥. nel cadere il superbo e villano
I)ivolan>eule Macon bestemmiava ;
Ma meitlit! che bestemmia il crudo e acerbo,
Orlando ringraziava il Padre e '1 Verbo.
xxxti
Dicendo: Quanta «razia oggi m'haMala!
Sempre ti sono, o Signor mio, tennto,
Per te conosco la vita salvata ;
Però che dal gigante era abbattuto :
Ogni cosa a ragion fai misurata ;
Non vai nostro poter sanza il tuo aiuto.
Priegoti, sopra me tenga la mano.
Tanto che ancor ritorni a Carlo Mano.
xxxvii
Poi eh' ebbe qtiesto dello s' andóe,
Tanto che truova Alabastro più basso
Che si sforzava, quando e' lo trovóe,
Di sveglier d' una ripa fuori un masso»
Orlando, com' e' giunse a quel, gridóe :
Che pensi tu, ghiolton, gillar quel sasso?
Quando Alabastro questo grido intende,
Subitamente la sua fromba prende.
xxxvin
E' trasse d' una pietra mollo grossa,
Tanto eh' Orlando biso«,nò schermisse ;
Che se r avesse giunto la percossa,
Non bisognava il medico venisse.
Orlando adoperò poi la sua possa;
Nel petlignon tutta la spada misse:
E morto ca<lile questo badalone,
E non dimenticò però Macone.
xxxix
Morgnnte aveva al suo modo un palagio
Fatto di frasclie e di schegge e di terra :
Quivi, secondo lui, si posa ad agio ;
Quivi la notte si rinchiude e serra.
Orlando piccliia, e daragli <lisagio,
Perchè il gigante dal sonno si sferra :
Vennegli aprir come una cosa malia ;
Ch' un' aspra visione aveva fatta.
XL
E' gli parca eh' un feroce serpente
L' avea assalito, e chiamar Macomelto,
Ma Macomelto non valta niente ;
Ond' e' chiamava Gesù benedetto ;
E liberato 1' avea finalmente.
Venne a la porta, ed ebbe così dello;
Chi bussa qua ? pur sempre borbottando.
Tu il saprai tosto, gli rispose Orlando.
XLl
Vengo per farli, come a' tuoi fratelli,
Far de' peccati tuoi la penilenzia.
Da' monaci mandalo, cattivelli,
Come stalo è divina providenzia ;
\*el mal ch'avete fallo a torto a quelli,
E dato in ciel così questa sentenzia ;
Sappi, che freddo già più eh' un pilastro
Lasciato ho Passamonte e '1 tuo Alabas^lro.
Disse Morganle : O gentil cavaliere,
Per lo tuo Dio non mi dir villania :
Di grazia il nome tuo vorrei sapere ;
Se se' Cristian, del» dillo in cortesia*
Rispose Orlando : di colai mestiere
C«mlenler((tli per la fe<le mia:
Adoro Cristo, eh' è Signor verace;
£i puoi tri adorarlo, se ti piace.
XLl II
Rispose il saracin con unni voce :
10 ho fatlo una strana vi«it)ne,
Che m' assaliva un serpente feroce :
Non mi valeva per chiamar Macone ;
Onde al tuo Dio che fu confilto in croce
Rivolsi presto la n>ia intenzione :
E' mi soccorse, e fui libero e sanf>,
E son disposto al tutto esser cristiano.
xr.fv
Rispose OrKfndo : Baron giusto e |)i«>,
Se questo buon voler terrai nel core,
L' anima tua ara quel vero Dio
Che ci può sol gradir d' eterno onore:
E stu vorrai, sarai compagno mio,
E amerolti con perfello amore :
GÌ' idoli vostri son bugiardi e vani :
11 vero Dio è io Dio de' cristiani.
Venne questo Signor sanza peccalo
Ne la sua madre vergine pidzella :
Se conoscessi quel Signor beato,
Sanza 'I qual non risplende sole o stella,
Aresti già Macon tuo rinnegalo,
E la sua fede iniqua ingiusta e fella;
Batlezzali al mio Dio di buon talento.
Morgante gli rispose: Io son conlento.
XLVI
E corse Orlando subito abbracciare :
Orlando gran carezze gli facea,
E disse : A la badi'a li vo' menare.
Morganle, andiamci presto, rispondea ;
Co' monaci la pace si vuol fare,
De la qual cosa Orlando in sé godea,
Dicendo : Fralel mio divoto e buono,
Io vo' elle chiegga a 1' abate perdono.
XLVII
Da poi che Dio ralluniinalo l'ha,
Ed accettato per la sua umillade ;
Vuoisi che tu ancor usi umiltà.
Disse Morganle : Per la tua boutade.
Poi che il tuo Dio mio sempre oniai sarà,
Dimmi del nome tuo la veritade.
Poi di me dispor puoi al tuo comando ;
Ond' e' gli disse, com'egli era Orlando.
xr.viii
Disse il gigante : Gesù benedetto
Per mille volte ringraziato sia ;
Sentilo t'ho nomar, baron perfetto.
Per tutti i tempi de la vita mia ;
E, com' io dissi, semprcmai suggello
Esser ti vo' per la Ina gagiiardia,
Insieme molle cose ragion aro,
E \i verso la badia poi s' invJaro.
M O I\ (; AN TE M AGGI O U E
K' ff r la vi.i «1.1 (|iit:' eiganti tuorli:
Orljiiilo con Murjrante si ragiona :
De la lor morie vo' che ti roiiforli ;
E poi clu- jiiare a Dio, a me penlona ;
A' monaci aveao fallo mille torli ;
E la iu).-lra srriltiira apcrlo suona
II ben remuneralo, e '1 mal punito;
E mai non lia questo Signor fallilo,
L
Perù rh' e^li ama la giustizia tanto,
Clie vuol, rhe sempre il suo giudirio morda
Ognun rli' alihi peccalo tanto o quanto;
E rosi il ben ristorar si ricorda,
E non saria sanza giustizia santo :
Adunque al suo voler presto t'accorda.
Che deltbe ognun voler (juel che vuol questo,
Ed accordarsi volentieri e presto.
LI
E sonsi 1 nostri dottori accordati.
Pigliando tutti una conclusione.
Che que' che son nel del glorificati,
S' avessin nel pensler compassione
De' miseri parenti, che dannati
Son ne lo inferno in gran confusione,
La lor felicità nulla sarebbe;
E vedi che qui ingiusto Iddio parrebbe.
MI
Ma egli hanno posto in Gesù ferma spene;
E tanlo pare a lor, quanto a lui pare ;
Afferman ciò eh' e' fa, che facci bene
E che non possi in nessun modo errare:
Se pailre o madre è ne 1' eterne pene.
Di questo non si posson conturbare:
Che quel che piace a Dio, sol piace a loro:
Questo s'osserva ne l'eterno coro.
Lllt
Al savio suol bastar poche parole ;
Disse Morganle ; tu il potrai vedere.
De' miti fratelli. Orlando, se mi duole,
E s'io m'accorderò di Dio al volere.
Come tu di" che in ciel servar si suole;
Morti co' morii ; or pensiam di godere ;
Io vo' tagliar le mani a tutti quanti,
E porlerolle a que' monaci santi,
Liv
Acciò eh' ognun sia più sicuro e certo,
Com' e' son morti, e non abbin paura
Andar soletti per questo deserto ;
E perchè veggan la mia mente pura
A quel Signor che m'ha il suo regno aperto,
E tratto fuor di tenebre sì oscura.
E poi tagliò le mani a" due fratelli,
E lasciagli a le fiere ed agli uccelli.
LV
A la badia insieme se ne vanno.
Ove 1' abate assai dubbioso aspetta :
I monaci che"! fatto ancor non sanno,
Correvano a V abate tulli in fretta.
Dicendo paurosi e pien' d'affanno:
Volete voi costui drenfo si metta?
Quando 1' abate vedeva il gigante.
Si turbò tutto nel primo sembiante.
Orlando die turbalo così il vede,
Gli disse presto : Abate, dalli pare.
Questo è cristiano, e in Cristo nostro rredf,
E rinnegato ha il suo Macon fallace.
Morg.inle i monrherin mostrò per fede.
Come i giganti ciascun morto giace ;
Donde 1' abate ringraziava Iddio,
Dicendo : Or m' hai contento, Signor mio.
IVII
E risguardava, e squadrava Morganle,
La sua grandezza e una volta e due,
E poi gli disse : O famoso gigante.
Sappi eh' io non mi maraviglio piìie.
Che tu svegliessi e gittassi le piante,
Quand' io riguardo or le fattezze tue:
Tu sarai or pefello e vero amico
A Cristo, quanto tu gli eri nimico.
LVIII
Un nostro apostol, Saul già chiamato,
Perseguì mollo la fede di Cristo :
Un giorno poi da lo spirto infiammalo.
Perchè pur mi persegui ? disse Cristo :
E' si rav\ide allof del suo peccato:
Andò poi predicando sempre Cristo :
E fatto è or de la fede una tromba,
La qual per tulio risuona e rimbomba.
LIX
Così farai tu ancor, Morganle mio :
E chi s'emenda, è scritto nel Vangelo,
Che maggior festa fa d'un solo Iddio,
Che di novanlanove altri su in cielo:
Io ti conforto eh' ogni tuo disio
Rivolga a quel Signor con giuslo zelo.
Che tu sarai felice in sempiterno,
Ch' eri perduto, e dannato a l' inferno.
LX
E grande onore a Morganle faceva
L' abate, e molli dì si son posati :
Un giorno, come ad Orlando piaceva,
A spasso in qua e in là si sono andati :
L abate in una camera sua aveva
Molte armadure e certi archi appiccati :
Morganle gliene piacque un che ne vede;
Onde e' stl cinse bench' oprar noi crede.
LXI
Avea quel luogo d' acqua carestia :
Orlando disse come buon fratello :
Morganle, vo' che di piacer ti sia
Andar per 1' acqua ; ond' e' rispose a quello :
Comanda ciò che vuoi che fallo sia ;
E posesi in ispalla un gran tinello,
Ed avviossi là verso ima fonte
Dove solca ber sempre appiè del monte.
LXII
Giunto a la fonte, sente un gran fracasso
Di subito venir per la foresta :
Una saetta cavò del turcasso.
Poscia a r arco, ed alzava la lesta
Ecco apparire un gran gregge al passo
Di porci, e vanno con molta tempesta ;
E arrivorno a la fontana appunto
Donde il gigante è da lor sopragsiunlo.
M 0 R G A N T E MA G G I O K E
Morpaiile a la ventura a mi saetta;
Appunto ne l' orcccliio lo 'ncarnava :
Da l'altro lato passò la verretta;
Onde il clnp;liial giìi morto i;ambetlava ;
Un altro, quasi per farne vendetta,
Addosso al g;ran gigante irato andava ;
E percliè e' giunse troppo tosto al varco,
Non fu Morj!;anle a tempo a Irar con l'arco.
txiv
Vedendosi venuto il porco addosso,
Gli dette in su la testa un gran punzone
Per modo che gì' infranse insino a l' osso,
E morto allato a quell' altro lo pone :
Gli altri porci veggendo quel percosso,
Si misson lutti in fuga pel vallone;
Morgante si levò il tinello in collo,
Ch'era pien d'acqua, e non si move un crollo.
LXV
Da l'ima spalla il tinello avea posto.
Da r altra i porci, e spacciava il terreno ;
E torna a la badia, eh' è pur discosto,
Ch' una gocciola d' acqua non va in seno.
Orlando che '1 vedea tornar si tosto
Co' porci morii, e con quel vaso pieno;
Maravigliossi che sia tanto forte;
Cosi l' abaie ; e spalancan le porte.
LXVI
I monaci veggendo 1' acqua fresca
Si rallegrorno, ma più de' ringhiali ;
Ch'ogni animai si rallegra de l'esca;
E posano a dormire i breviali :
Ognun s'affanna, e non par che gì' incresca,
Acciò che questa carne non s' insali,
E che poi secca sapesse di vieto:
E le digiune si restorno a drlelo.
Lxvn
E ferno a scoppia corpo per un tratto,
E scuffian, che parien de l'acqua usciti;
Tanto che "1 cane sen doleva e 1 gallo,
Che gli ossi rimanean troppo puliti.
L'abate, poi che molto onore ha fatto
A tutti, un dì dopo questi conviti
Dette a Morgante un deslrier molto bello,
Che lungo tempo tenuto avea quello.
LXVIII
Morgante In su'n un prato il cavai mena,
E vuol che corra, e che facci ogni pruova,
E pensa che di ferro abbi la schiena,
O forse non credeva schiacciar 1' uova :
Questo cavai s' accoscia per la pena,
E scoppia, e 'n su la terra si ritruova.
Dicea Morgante: Lieva su, rozzone;
E va pur punzecchiando con lo sprone.
LXIX
Ma finalmente convien ch'egli smonle,
E <lisse : Io son pur leggier come penna,
Ed è scoppialo ; che ne di' tu, Conte?
rii>pose Orlando: Un arbore d'antenna
Mi par piuttosto, e la gaggia la fronte;
Lascialo andar, che la fortuna accenna
Che meco appiede ne venga, Morgante.
Ed io COSI veirò, disse il a,iganlc.
Quando sarà mestier, In mi vedrai
Coni' io mi proverò ne la battaglia.
Orlando disse : Io credo tu farai
("ome buon cavalier, se Dio mi vaglia ;
l-ld anco me dormir non mirerai :
Di (|Mesto tuo cavai non te ne caglia :
Vorrebbesi portarlo in qualclie bosco ;
Ma il modo né la via non ci conosco.
I.xxi
Disse il gigante: Io il porterò ben' io,
Da poi che portar me non lia voluto.
Per render ben per mal, come fa Dio ;
Ma vo'che a porlo addosso mi dia ajulo.
Orlando gli dicea: Morgante mio,
S' al mio consiglio ti sarai attenuto,
Questo cavai tu non ve '1 porteresti,
Che ti farà come tu a lui facesti.
r.xxii
Guarda che non facesse la vendetta,
Come fece già Nesso così morto :
Non so se la sua istoria hai inteso o letta
E' ti farà scoppiar ; datti conforto.
Disse Morgante: Ajuta ch'io me '1 metta
Addosso, e poi vedrai s'io ve lo porto:
Io porterei, Orlamlo mio gentile.
Con le campane là quel campanile.
Lxxni
Disse r abate : Il campanil v' è bene ;
Ma le campane voi 1' avete rotte.
Dicea Morgante, e' ne porton le pene
Color che morti son là in quelle grolle ;
E levossi il cavallo in su le schiene,
E disse: Guarda s'io sento di gotte,
Orla«do, nelle gambe, e s'io lo posso;
E fé' duo salti col cavallo addosso.
LXXIV
Era Morgante come una montagna :
Se facea questo, non è maraviglia :
Ma pure Orlando con seco si lagna ;
Percliè pur era omai di sua famiglia.
Temenza avea non pigliasse magagna.
Un'altra volta costui ricousiglia:
Posalo ancor, noi portare al deserto.
Disse Morgante : Il porterò per cerio.
LXXV
E portoUo, e giltollo in luogo strano,
E tornò a la badia subitamente.
Diceva Orlando : Or che più dimoriano?
3Iorganle, qui non facc'am noi niente;
E prese un giorno l'abate per mano,
E disse a quel molto discretamente.
Che vuol partir da la sua reverenzia,
E domandava e perdono e licenzia.
r,xxvi
E de gli onor' ricevuti da questi.
Qualche volta polendo, ara buon merito;
E dice: Io intendo ristorare e presto
I persi giorni del tempo preterito:
E' son più dì che licenzia arci chiesto,
Benigno padre, se non ch'io mi perito^
Non so mostrarvi quel che dentro sento;
Tanto vi vengo del mio star contento.
M 0 I\ (t ANT \: M A G G 1 OHE
i.xxvn
Io me ne porlo per sempre nel «ore
li' ab.de, la li.idia, questo «leserto ;
Tanto v' Ilo ])os|o in picriol temjn) amore:
Rendavi su nel ciel per me liuou merto
Quel vero Dio, (|uello eterno Sijiuore
(".Ile vi serlia il suo reirim al Huc aperto :
Noi aspeltiaiii vostra heneflizione,
Uaccomauiliainei a le vostre orazione.
LXWIIl
Quando l'aliale il conte Orlando inlese,
Rinlenerì nel ror per la dolcezza,
Tanto fcrvor nel petto se pli accese ;
K disse: Cavalier, se a tua prodezza
Non sono slato beuijrno e cortese,
Come convicnsi a la pran gentilezza ;
Che so ciò eh" i' ho fallo è stalo poco.
Incolpa la iguoranzia nostra e il loco.
r.xxix
Noi li potremo di messe onorare,
Di prediche: di laude e paternostri,
Piuttosto che da cena o desinare,
() d'altri convenevol' che da chiostri:
Tu m' hai di te si fallo innamorare
Per mille alle eccellenzie che tu mostri ;
Ch'io me ne venj^o ove tu andrai con teco,
E d' altra parte tu resti qui meco.
LXXX
Tanto eh' a questo par contraddizione ;
Ula st) che lu se' savio, e 'ntendi e {iusli,
E intendi il mio parlar per discrizioue ;
De' lieneHcii tuoi jiielosi e ftiusli
Renda il Si^inore a te munerazione,
Da cui mandalo in queste selve fusti ;
Per le virtù del qual liberi siamo,
E grazie a lui e a le noi ne rendiamo.
J,XXXI
Tu ci hai salvalo i' anima e la vila :
Tanta perturbazion già que' giganti
Ci delton, che la strada era smarrita
Da ritrovar Gesù con gli altri santi :
Però troppo ci duol la tua partita,
E sconsolali resliam tulli quanti ;
Né ritener possiamti i mesi e gli anni,
Che lu non se' da vestir <juesli ]iaani.
LXXXII
Ma da portar la lancia e l'armadura:
E puossi meritar con essa, rome
Con f|ucsla capj)a ; e leggi la scrittura :
Questo gigante al cìel drizzò le some
I*er tua virili; va in pace a tua ventura
Chi tu ti iia ; eh' io non ri«er«o il nome :
Ma dirò sempre, s' io son domandalo,
Ch' ui\ angiol ijiii da Dio fossi mandato.
I.XXXIII
Se e' è armadura o cosa che tu voglia,
Vattene in zambra e pigliane tu stessi,
E cuopri a questo gigante la scoglia.
Rispose Orlando : Se armadura avessi.
Prima che noi uscissim de la soglia,
Che questo mio compagno difendessi :
Questo accetto io, e sarammi piacere.
Disse l'abate: Venite a vedere.
LXXXIV
E in certa cameretta entrati sono.
Che d' arinadure veccliie era copiosa;
Dice l'abate: Tulle ve le dono.
Morganle va rovistando ogni cosa,
Ma solo un certo sbergo gli fu buono,
Ch' avea tutta la maglia rugginosa:
Maravigliossi che lo cuopra appunto :
Che mai più gnun forse glien'era aggiunto.
LXXXV
Questo fu d' nn gigante smisurato,
Ch' a la badia fu morlo per antico
Dal gran Milon d'Angranle, ch'arrivalo
V'era, s'appunto questa istoria dico;
Ed era ne le mura istoriato.
Come e' fu morlo questo gran nimico
Che fece a la badia già lunga guerra;
E Milon v' è com' e' 1' abbatte in terra.
LXXXV I
Veggendo questa istoria il conte Orlando,
Fra suo cor disse: O Dio, che sai sol lutto,
Come venne Milon qui capitando,
Che ha questo gigante f|ui distrutto?
E lesse certe lettre lacrimando.
Che non ])()lè tener ])iù il viso asciutto,
Coni 'io dirò ne la seguente istoria.
Di mal vi guardi il Re de l' alta gloria.
MOKCxANTE MAGGIORE
C VINTO II
ARGOMENTO
•^^^H^
Ac
Id Orlando e a Morgan te il padre abate
Dà 7 buon l'iaf^i^io e la benedizione ;
Trot'an 'n un bosco vli-andr. incantate
Entro un palagio, e son presi al boccone;
Marcante a suon di molte batlaglintc.
Un demanio aggat'igna, e in tomba il pone;
Di Manfredonia re nel campo giostra
Orlando^ e Lionello a terra prostra.
•^I-©!^
O
>;iiisto o santo o eterno monarca,
O soinino Giove per noi crocifisso,
Che chiudesti la porla ove si varca
Per ire al fondo de lo scoro abisso ;
Tu che al principio movesti mia barca,
Tu sia il nocchiere intento sempre e fisso
A la tua stella e la tua calamita,
Che questa istoria sia per te finita.
Il
L'abate quando vide lap;rimare
Orlando, e diventar le ciglia rosse,
E j)er pietà le luci imbambolare ;
E domandava, perché questo fosse :
E' poi che vide Orlando pur chetare,
Ancor più oltre le parole mosse :
Non so se ammirazion forse l' ha vmlo
Di quel che in questa camera è dipinto.
Ili
Io fui de la gran gesta naturale :
Credo eh' io sia nipote o consobrino
Di rpiel Rinaldo uom tanto principale,
Che fu nel mondo si gran paladino ;
Benché il mio padre non fu ina<loriiale,
Perch' e' non piacque a l'alto Dio divino
Ausuigi chiamossi in piano e in monte,
E '1 nome mio diritto è Chiaramonle.
Così (i fosse il fi^liuol di Miloue,
Che fu fratel del mio padre piuf«ll(» :
Deh dimmi il nome tuo, p;eiilil barone.
Se così piace a Gesù bem-iletto,
Orlando s' accendea d' aiVezione,
lìaj^nando tutto di lagrime il i>olt<),
Poi disse : Abate mio caro ])are.ite.
Sappi tir Orlando tuo l' è (jui prcscuie.
Per tenerezza corsono abbracciarsi :
Ognun piangeva di soperchio amore,
Che non p(»leva ad un tratto sfogarsi,
E per dolcezza trabocca nel core;
L'abate non potea tanto satiarsi
D' abbracciar questo, quanto è il suo fervore,
Diceva Orlando : Qual grazia o ventura
Fa ch'io vi trovi in questa parte scura 1
VI
Ditemi un poco, caro padre mio,
Perdio cagion voi vi faceste Irate,
E i.on prendeste la lancia com' io,
E tante gente che di noi son naie ?
Perchè cosi fu volontà di Dio,
Rispose presto ad Orlando l'abate;
Che ri dimostra per diverse strade
Donde si vadi ne la sua cillade.
VII
Chi con la spada chi col pastorale ;
Poi la natura fa diversi ingegni ;
E però son diverse queste scale;
Basta che in porto salvo si pervegni,
E tanto il primo quanto il sezzo vale :
Tutti siam peregrio' per molli regni:
A Roma tutti andar vogliamo. Orlando;
Ma per molti sentier' n' andiam cercando.
vili
Cos'i sempre s' affanna il corpo e l'ombra
Per quel peccato de 1" antico pome;
Io sto col libro in man qui il giorno e l'ombra;
Tu con la spada tua tra l' elsa e 'I pome
Cavalchi, e spesso sudi al sole e a 1' ombra;
Ma di tornare a bomba è il fin del pome.
Dico, eh' ognun qui s' affatica e spera
Di ritornarsi a la sua antica spera.
IX
Morganle avea con loro insieme pianto,
Sentendo queste cose ragionare:
!•. più- cercava d' armadure ; e 'nlanlo
IFii gran cappel d' acciaio usa trovare.
Clic ruseinoso si dormia in un canto.
Orlando, quando gliel vide provare,
Disse : Morgante, tu pari un bel fimgi»,
Ma il gambo a quel cappello é troppo lungo.
X
Una spa«larcia ancor Morgante truova ;
Cinsela, e poi se n' andava soletto
Là dove rotta una campana cova.
Ch'era caduta e stava sotto un letU»;
E spiccane un battaglio a tutta pruova,
E ad Orlando il mostrava in efFello:
Di c|ueslo che di' tu, signor d' Angraute ?
Dico eh' è tal (piai tonvieu^i a Morgante.
mok(;an ti: MyVtw.ioiiF
Disse il jiijianle : Con »|iiPslo lialt.i::lio,
(.he vrdi rmiu- <• j;ravc o liuipo i* pnisso,
ISou credi In iW io s^hi.1(-(-iD^^i iid sun.t^^lio;
lo vo se lii.icciare il Icrro, e tritar T o.ssu ;
l'.inni iiiill'.iimi or d'essere al ber/aplio,
Orlando a ('.liiaromoiito ha cosi mosso :
Or vi \»»rri'i predar, mio santo aliale,
Che di trovar ventura c'inscenate.
Qualclie liall.ipli.», (]italclic torniainentu
Trovar vorrcniino, se piacesse a Dio.
Disse l'abate: Io ne son ben contcntu,
E credo satisfare al tuo disio :
Sappi che qua verso Levante sento
(^he in nna gran città, parente mio,
Un re paj>an vi fa drenlo dimoro,
li qual si fa diiaiitar re Caradoro.
XIII
E ha una sua fij^lia molto bella,
Onesta savia nobile e gentile:
E non è uom che la muova di sella •
E ciascun cavalier reputa vile :
S' ella non fusse saracina quella,
Non fu mai donna tanto signorile :
D'intorno a la città sopra a' confini
Sono accampati molli saraciui.
XIV
Ed evvi un re di molta gagliardìa,
Manfredonio appellato da la gente:
Costui si muor per la dama Giulia, i (,y i.
E fa gran cose, coni" amor ctmsente ;
Ed ba con seco tutta Pagann,
Per acquistar questa donna piacente :
Dicon, che v' è di paesi lontani
Cenquaranta migliaja di pagani.
XV
E quel re Carador n' ba forse otlaula
Di gente saracina ardita e forte :
E Manlredonto ogni giorno si vanta
D' aver questa don-cella o d' aver morte ;
Ed or trabocchi ed or bombarde pianta ;
Ogni dì corre infuio in su le porte.
Il conte Orlando, quando questo intese.
Non domandar quanto disio 1' accese.
XVI
E dopo molte cose ragionale,
Di nuovo la licenzia ridomanda.
Dicendo nuovamente al santo abate,
Cb' a le sue orazion si raccomanda :
Che vuol trovarsi fra le genti armate
In quel paese là ov' e" lo manda :
Che li lassasse andar con la sua pace.
Disse 1 abate : Sia come a voi piace.
XVII
Conlento son, se tanto v' è in piacere ;
Voi avete apparata la magione:
Sarò sempre fidato e buon ostiere :
Ciò che e' è, è del figliuol di Milone :
Ma non bisogna tra noi profferere,
A tulli dò la mia benedizione:
Cosi da Cbiaromonle lacrimando
Si diparljrno Morgan le ed Orlando.
XVIII
l'er lo deserlo vanno a la vrnltira :
]/ uno era a piede, e 1" altro era a cavallo:
Cavalran per la selva e per pianura,
San/a trovar ricetto o iiilerv.dlo :
Cominciava a venir la nulle o-ciira :
Morganle parea lieto san/a fallo,
E con Orlamlo ridendo dlcia :
E'p.ir (II' in \eggj ajiprcsM) un'osteria.
XIX
E n questo ragionando lianno veduto
Un bel palagio in mezzo del deserlo :
Orlando, poi eh' a questo fu veuutu.
Dismonta, perchè 1' uscio vide aperto :
Quivi non è chi risponda al saluto :
Vannone in saU per esser più certo ;
Le mense riccamente son parale,
E tutte le vivande accomodale.
XX
Le camere eran tutte ornate e helle,
Istoriate con sotlil lavoro;
E letti medio ricchi erano in quelle.
Coperti tulli quanti a drajipi d' oro :
I palchi erano azzurri pien'di stelle,
^Ornati sì, che valieno un tesoro:
Le porle eran di bronzo, e qual d'argento,
E mollo vario e lieto è il pavimento.
XXI
Dicea Morganle : Non è qui persona
A^ guardar queslo si ricco palagio ?
Orlando, questa stanza mi par buona :
Noi ci staremo un giorno con grand' agio.
Orlando ne la mente sua rmviona :
O qualche saracin molto malvagio
Vorrà, ahe qualche trajipola ci scocchi.
Per piglicj-ci al boccon come i ranocchi ;
XXII
O veramente e' e" è sotto altro inganno;
Queslo non par che sia conveniente.
Disse Morganle, queslo è poco danno;
E cominciava a ragionar col dente.
Dicendo: A 1' oste rimarrà il malanno:
Mangiam pur mollo ben per al presente:
Quel che ci resta farcm poi fardello,
Gli' io porterei, quand' io rubo, un castello.
XXIII
Rispose Orlando : Onesta medicina
Forse potrebbe il palagio purgare.
Hanno cercato infino a la cucina,
Né cuoco né vassallo iisan trovare :
Adunque ognuno a la mensa cammina:
Comincian le mascella adoperare :
Ch' un giorno già avien mangialo in sogno;
Tal che di vettovaglia era bisogno.
XXIV
Quivi è vivande di molle ragioni.
Pavoni e starne e leprelte e fagiani.
Cervi e conigli e di grassi capponi,
E vino ed acqua per bere e per mani.
Morganle badigliava a gran bocconi;
E turno al bere infermi, al mangiar sani :
E poi che sono stati al lor diletto.
Si riposorno entro a un ricco letto.
^
MORGANTK MAGGIORE
Com'è' fu l'alba ciascun si levava,
E credonsene andar come ermellini,
Né per far conto Toste si chiamava,
Che lo voleaii paj;ar di balanini :
Morj^ante in (jna e in là per casa andava,
E non ritruova de V nscio i confini :
Diceva Orlando : Saremo noi mezzi
Di vin, che V uscio non si raccappezzi :
XXVI
Questa è, s'io non m' inganno, pur la sala;
Ma le vivande e le mense sparite
Veiijiio clie son: quivi era pur la scala :
Qui son genie stanotte comparite.
Che come noi aranno fatto gala :
Le cose eh' avanzorno ove son ite ?
E'n questo error un gran pezzo soggiornano;
Dovunque e' vanno, in su la sala tornano.
XXVII
Non riconoscon uscio né finestra.
Dicea Morgante : Ove siam noi entrati ?
Noi smaltiremo. Orlando, la minestra,
Che noi ci slam rinchiusi e 'nviluppali,
Come fa il bruco su per la ginestra.
Rispose Orlando: Anzi ci siam murati.
Disse Morgante : A volere il ver dirti,
Questa mi pare una stanza da spirti.
xxvin
Questo palagio. Orlando, fia incantalo
Come far si soleva anticamente.
Orlando mille volte s' è segnalo,
E non poteva a sé rilrar la mente,
Fra sé dicendo : Aremol noi sognalo?
Morgante de lo scotto non si pente,
E disse : Io so eh' al mangiare era desto ^
Or non mi curo s' egli è sogno il resto.
XXIX
Basta che le vivande non sognai ;
E s'elle fussin ben di Satanasso,
Arrechimene pure innanzi assai.
Tre giorni in questo error s'andorno a spasso,
Sanza trovare ond' egli uscissin mai ;
E '1 terzo giorno scesi giù da basso,
'N una loggia arrivorno per ventura,
Donde un suono esce da una sepoltura.
XXX
E dice : Cavalieri, errati siete ;
Voi non potreste di qui mai partire.
Se meco prima non v' azzufferete :
Venite questa lapida a scoprire.
Se non che qui in eterno vi starete.
Perchè Morgaiife cominciò a dire :
Non senti tu, Orlando, in quella tomba
Quelle parole che colui rimbomba ?
XXXI
Io voglio andare a scoprir quello avello,
Là dove e' par che quella voce s'oda;
Ed escane Cagnazzo e Farferello,
O Libicocco col suo Malacoda :
E finalmente s' accostava a quello,
Però che Orlando questa impresa loda,
E disse : Scuopri, se vi fusse dentro
Quanti ne piovvon mai dal del nel centro.
XXXII
Allor Morgante la pietra su alza;
Ed ecco un diavol più eh' un carbon nero,
Che de la tomba fuor subito balza
In un carcame di morto assai fiero,
Ch'avea la carne secca ignuda e scalza.
Diceva Orlando : ETia pur da dovero :
Questo è il diavol, ch'io '1 conosco in faccia:
E Gualinente addosso se gli caccia.
XXXIII
Questo diavol con lui s'abbraccile:
Ognuno scuole; e Morgante diceva:
Aspetta, Orlando, eh' io t' aiuleróe :
Oliando aiuto da lui non voleva
Pure il diavolo tanto lo sforzóe,
Ch' Orlando ginocchion quasi cadeva :
Poi si riebbe, e con lui si rappicca ;
Allor Morgante più oltre si ficca.
xxxiv
E gli parea mill' anni d' appiccare
La zuffa: e come Orlando cosi vide,
Comincia il gran battaglio a scaricare,
E disse : a questo modo si divide.
Ma quel demon lo facea disperare :
Però che i denti digrignava e ride.
Morgante il prese a le gavigne istrello,
E missel ne la tomba a suo dispetto.
XXXV
Come e' fu drente, gridò: Non serrare;
Che se tu serri, mai non uscirai.
Diceva Orlando : Che dobbiam noi fare ?
E' gli rispose : Tu lo sentirai :
Convienli quel gigante Lattez;:are ;
Poi a tua posta andar te ne potrai :
Fallo cristiano ; e come e' sarà fatto,
Al tuo cammin ne va sicuro e ratto.
XXXVI
Se tu mi lasci questa tomba aperta,
Non vi farò più noia o increscimento :
Ciò eh' io ti dico abbi per cosa certa.
Orlando disse : Di ciò son contento.
Benché tua villania questo non merla ;
Ma per partirmi di qui ci consento :
Poi tolse l'acqua, e ballezzò il giganle.
Ed uscì fuor con Rondello e Morgante.
XXXVII
E come e' fu fuor del palagio uscito,
Sentì drenlo a le mura un gran romore ;
Onde e' si volse, e '1 palagio è sparilo:
Allor conobbe più certo 1' errore :
Non si rivede né mura né il sito.
Dicea Morgante; E' mi darebbe il cuore.
Che noi potremmo or ne l'inferno andare,
E far tutti i diavoli sbucare.
XXXVIII
Se si potesse entrar di qualche loco,
Che nel mondo é certe buche, si dice,
Donde e' si va, che di fuor giltan fuoc ),
E non so chi v' andò per Euridice ;
Io stimerei lutl'i diavol' poco:
Noi ne trarremo 1' anime infelice ;
E taglierei la coda a quel Minosse,
Se come questo ogni diavol fosse.
MO K G A N TK INI AGO I O 11 K
XXXIX
1'. |U'l«'ri> l.t li.irlia a quel Carcin,
K Ifvcrò de la seilia Pliiloiie :
l^n sorso mi vo* far di Flij;elón,
K iiiiiliiollir quel Flt'pias 'n nn liorcone :
Tesifo, Alello, Megera, e Kritóii,
E Ccrliero ammazzar con iin punzone;
E Relzeln'i farò fujrpir pur via,
C,h" un dromedario non andre' in Soria.
Non si polrelìbe trovar qiialrhe Luca ?
Tu vi vedresti il più bello spuiczzo.
Pur die questo battaglio vi conduca ;
E mettimi a' diavoli poi in mezzo.
Rispose Orlando : E" non vi si manuca,
Morganle mio : noi vi faremmo lezzo,
E ne r entrar ci potremmo anco cuocere ;
Dunque V andata sarebbe per nuocere.
XLl
Quando tu puoi, Morganle, ir per la piana,
Non cercar mai né V erta né la scesa,
O di cacciare il capo in buca o in tana :
Andiam pur per la via nostra distesa:
E così ragionando una fontana
Trovaron dove due fan gran contesa:
Eran corrier' con lettere mandati,
E come micci si son bastonati.
XI.II
Orlando coni' e' giunse gli domanda:
Ditemi un poco, perchè v' azzuffate ?
^'oi m! parete corrier' : cbi vi manda ?
O che (Jie imbasciate o lettere portate?
Venite voi di Francia, o di qual banda ?
Lasciate un poco star le bastonale.
Ditemi ancor se voi siete cristiani,
Se Dio vi salvi i bastoni e le inani.
-NLIII
Rispose r un di loro : Io son cristiano,
E poco tempo è eh" io venni abitare
A nn Castel chiamalo Montalbano:
Rinaldo il mio signor mi fa cercare
D' un suo cugino, e '1 traditor di Gano
Lo seguita per far male arrivare :
Manda costui che tu vedi, cercando
Di questo suo cugiu ch'ha nome Orlando.
XLIV
A questa fonte a caso ci trovammo;
V^ com' egli è de" nostri pari usanza
Di domandar 1' un l'altro; domandammo:
Che lettere o imbasciata hai d"importanza ?
E come stracchi un poco ci posammo :
Costui mi dice, che Gan di Maganza
Per far morir Orlando lo mandava,
E che per Pagania di lui cercava.
XLV
E perch'io presi la parte d'Orlando,
Alzò la mazza sanza dir niente:
Così si venne la zuffa appiccando.
Orlando quando le parole sente,
Diceva: 0 Dio, a te mi raccomando:
Da questo traditore e frodolente
Io pur non truovo, ovunque i'mi dilegui,
Luogo, che '1 traditor non mi persegui.
Qu;ind<i Morgantr vede il suo signore
C;he si doleva, e contro a Gano sbuffa ;
Tanto gli venne sdegno e pietà al core,
Che per la gola il corrier toslo ciuffa,
Cioè quel che mandava il traditore ;
E ne la fonte sutl'ac(|ua lo tuffa
Calpesta e pigia, e per ira si sfoga,
Tanto che tulio lo *nfranse ed affoga.
xr.vii
Orlando disse a quell'altro corriere:
Io son colui per chi tu se" mandalo:
DI a Rinaldo che in questo sentiere,
Come tu vedi, il cugino hai trovalo :
Io son Orlando; e poi eh" egli é in piacere
Di Carlo, vo pel mondo disperato.
Quando il corrier senti ch'Orlando è questo,
Maravigliossi, e inginocchiossi presto.
Lxvm
Dimmi a Carlo, diceva ancora Orlando,
Che si consigli col suo Gano antico;
Ed io pel mondo vo peregrinando,
Come s' io fussi qualche suo nimico ;
Digli dove trovalo, e come e quando
Tu m" hai qui solo e povero e mendico ;
E quel eh' i' ho fatto, corrier, per costui
Credo che '1 sappi ognun, salvo che lui,
xr.ix
Che non sa quel che beneficio sia:
Non si ricorda eh" io sia suo nipote,
O chi *n sua corte in Francia slessi o stia ;
Easta che Gan ciò che vuol con lui puole;
Tanlo eh" io me ne vo in Paganìa,
Pur come voglion le volubil'rote:
E dì eh' io l)o sof con meco un gigante
Ch"é battezzato, appellato Morganle.
L
Il cavai che tu vedi, e questa spada,
Altro non ho, se non questa armadura ;
E eh" io non so io stesso ov* io mi vada,
O dove ancor mi guidi la ventura:
Ma inverso Barben'a tengo la strada :
Andrò dove mi porta mia sciagura.
Poi eh' e' consente a cercar la mia morte ;
E che mai più non tornerò in sua corte.
LI
Dimmi a Rinaldo mio, figHuol d'Amone,
Che la mia compagnia, ch'io gli lasciai,
Gli raccomando con affezione ;
Ch' io penso in Pagania morire ornai :
Saluta Astolfo, Namo e Salomone,
E Berlinghìer che sempre molto amai :
A Ulivier dì, che la sua sorella
Gli raccomando, e mia sposa Alda bella.
LII
Dimmi al Danese, caro imbasciadore,
Che in Francia a questi tempi non m" aspetti;
E dì ch" i' ho Cortana e '1 corridore,
Acciò che forse di ciò ignun sospetti :
De la mia sopravvesta il suo colore
Vedi come è dipinta a Macometti :
Che si ricordi del suo caro Orlando,
Che va pel mondo sperso or tapinando.
MOR GANTE MACrGIORE
Dimmi il tuo nome or se Tè in piacimiMilo.
Olili' e' rispose : Questo è ben dovere,
O sipnor inio : clii.imaf mi fo Chimento:
Cristo li muti di si stran pensicie,
Clie tua risposta mi dà pran lorinento :
Questo non è quel che '1 sip;nor mio chiere:
lo voi^Iio, Orlando mio, mi perdoniate,
E che allenante parole v' asrolliate,
LIV
Quand' io da Montalban feci partita,
Io fui a Pariji^i d' ond' io venjro adesso :
La corte pare una cosa smarrita.
Lo 'mperador non pareva più desso,
Vedovo il re2,no, e la a;enle slordila :
Gli orecclii dcbbon cornarvi qua spesso,
Ch' oc;nun ragiona de la vostra fama,
E '1 popol tulio ad un grido vi chiama.
LV
Il mio signor con svan disio v'aspettar
Parigi e Francia, ogni cosa si duole.
Or vi vo' dire una mia novelletta,
Clìe spesso la ragion V esemplo vuole.
Un trailo a spasso anco la formicliella
Andò pel mondo come far si suole ;
E trovò in fine un teschio di cavallo,
E semplicetta cominciò a cercallo.
Ivi
Quand^ ella giunse ove il cervello slava,
Questa gli parve una stanza sì bella,
Che nel suo cor tutta si rallegrava,
E dicea seco questa meschiuella:
Qualclie signor per certo ci abitava ;
Ma finalmente cercando ogni cella,
Non vi trovava da mangiar niente,
E di sua impresa a la fine si pente ;
Lvn
E rilornossi nel suo bucolino.
Perdonimi, s'io fallo, chi m'ascolta,
Intenda il mio vulgar col suo latino:
Io vo' che a me crediate questa volta,
E ritorniate al vostro car' cugino.
Se non eh' ogni speranza gli fia lolla ;
Disse che niai a lui non ritornassi,
Se meco in Francia non vi rimenassi.
LVIII
Il grande amor mi sforza a quel ch'i'dico:
Riconoscete e gli amici e i parenti :
L' andar così pel mondo è pure ostico.
Orlando udendo i suo' ragionamenti,
Disse : Chimenlo, tu se' buono amico ;
E giltò fuor molti sospir' dolenti ;
E da costui alfin s' accomialava,
i Sanza altro dir che piangendo n' andava.
LIX
Orlando poi che partì da Chimenlo,
Tatto quel giorno seco ha sospiralo :
Così il messaggio ne va mal contento ;
Non sa come a Rinaldo sia tornato.
Morgante ne va appiè di buon lalenlo,
Con quel battaglio eh' è duro e granalo ;
E in su 'n poggio le pagane schiere
Di Manfredon cominciano a vedere :
Padiglioni Irabacciie e pennoncelli;
E sentono stromenli olirà misura,
Nacchere e corni e trombe e tamburelli,
E cavalicr' coperti d' armadura
Vedean con gli elmi rilucenti e belli :
Orlando guarda inverso la pianura,
E vede tanti pagani alleluiali,
Come l'abate gli avea numerati.
Di questo molto se ne rallegróe.
Così iMorganle; e poi che '1 poggio scese
Dinanzi a Manfredon s' appresentóe,
Ch'era gentil magnanimo e cortese;
E di Morgante si maraviglióe ;
TI conte Orlaodo per la briglia prese,
E disse: Benvenuto sia, barone;
Dismonta, e poi verrai nel padiglione.
Orlando lascia a Morgante Rondello,
E va nel padiglion col re pagano ;
E Manfredon così diceva a quello:
Chi tu li sia Saracino o cristiano, i
Ti tratterò come gentil fratello ; ;
E perchè il tuo venir non sia qui intano,
Soldo darolti se t' è in piacimento,
Tanto che tu sarai, baron, contcDlo.
r.xiii
Rispose a le parole grate Orlando:
Preso m'avete col vostro parlare;
Soldo nienle da voi non domando.
Se non vedete 1' arme adoperare ;
E così molle cose ragionando,
Disse il pagano : Io vi vo' raguagllare
Di quel che forse per voi non sapete,
Che cavalier' discreti mi parete.
txiv
Io vi dirò la mia «lisavventura,
S' alcun rimedio sapessi trovarmi :
Io ardo tulio per la niia sciagura
D'una fanciulla, e non so più che farmi:
Due volte abbiam provalo l' armadura ;
Ogni volta ha potuto superarmi ;
Sì che da lei vituperalo sono,
E messo ho la speranza in abbandono.
txv
Egli è ben vero eh' i'ho qui tanta gente,
Che mi darebbe il cuor di superarla ;
Ma non sarebbe onor certanamenle,
Che con la lancia intendo d'acquistarla:
S' alcun di voi sarà tanto polente,
Ch' a corpo a corpo credesse atterrarla,
Riromperrollo ciò eh' i' ho nel mondo.
Che basta a me sol lei, poi son giocomlo.
LXVl
Orlando disse: Noi ci proveremo,
Ognun ci adoperrà tutta sua possa;
E credo pure al fin noi vinceremo,
Se- feiimiina sarà di carne e d' ossa.
Disse il pagano : Ogni cosa direnu) ;
Prima olie la fanciulla facci mossa.
Manda in sul campo sempre un suo fratello.
Mollo gagliardo e gentil damigello.
n 0 K ( . A N T E MAGGIORE
1^
IXVII
1". ptT iKinie NI ritiama Lionetto,
E«l è fi^liiiol «Iti };ran re Car.iiloro ;
E nun adora aUiiii più Marunielto,
Clic sia si furie per più mio niarloro :
E la sorrlla ri»' io v'ho prima dello.
Per rni sol ardo ini di.>.lriif;^o e moro,
Grillile onesta, anzi «riida e villana,
Sappi che chiamata è Meridiana, 'y '
Lxvin
E veramente è rome ella si chiama.
Perchè «li mezzodì par proprio un sole.
Io innamorai di cjaesta gentil dama
Non per vista per atti o per parole.
Ma per le sue virtìi eh' adi' per fama.
O ver che il mio destin por così vuole :
E da quel j:;iorno in qua ch'amor m'accese,
Per lei son fatto e gentile e cortese.
LXIX
Or vo' pregarvi, o famosi baroni,
Che '1 nome mi diciate in cortesia.
Orlando disse con grati sermoni :
Io ve '1 dirò, perchè in piacer vi sia.
Benché far vi vorremmo maggior' doni ;
Pur negar questo sare' villania :
Più tempo ho fallo in Levante dimoro,
lì son chiamato da ciascun Bruuuro.
E queslo mio compagno eh' è gigante,
Veder potrete quanto è valoroso :
Passi chiamare il feroce Morgante ;
Ed è più che non mostra poderoso ;
In Macometto crede e Tievlganle.
Il re senlendol mollo grazioso,
Rispose : Per mia fé che voi sarete
Da me trattati come voi vorrete.
LXXI
E quanto può Manfredon gli onorava,
E nel suo padiglion sempre e;li tenne,
E molle cose con lor ragionava :
Ma finalmente un di per caso avvenne,
Che Lionello quel campo assaltava,
E 'nverso il padiglion, come e' suol, venne
E Manfredon chiamava con un corno
A la battaglia per più beffe e scorno.
LXXII
E cominciò per modo a muover guerra.
Che molta gente faceva fuggire :
Parea quando a le pecore si serra
Il lupo, onde il pastor si fa sentire:
E qual ferisce, e qual trabocca in terra ;
E molli il dì ne faceva morire :
E chi fuggir non può, ne va prigione ;
Onde fuggivan tntti al padiglione.
r.xxiir
Il conte Orlanilo udì che Lionello
Aveva il campo in tal modo assalilo,
Ch' ognun fuggia dinanzi al giovinetto :
Subito sopra Rondel fu salito,
1". disse; ^■ienne, Morgante io l'asiiftlu;
Di Lionrllo non liai lu sentito?
'J"u M ilrai or di Macon la p«)ssanza,
1^ dei Ino < riMo iu «hi hi liai speranza.
I.xxiv
Di««"a Morgante: I«) non lio mai veduto
Provare Oriundo; io lo vedrò pur ora :
Ilingrazio Iddio che nti sarò .-ibbatluto.
Orlantlo sprona il suo cavallo all«>ra,
E sparì via coni' uno strai pennuto :
Pt rchè Morgante j' avviava ancora,
E col battaglio si venne assettando,
E guarda pur quel che faceva Orlando.
i.xxv
Orlando ne la pressa si mettea,
E pur Morgante guarda dove e' vada,
E sempre tlrielo a Rondel gli tcnea.
Dove ve«leva e' pigliasse la strada:
E Lionello in quel tempo gingnea,
Ch'aveva in man sanguinosa la spada:
Orlando il vide, e la lancia abliassava,
Ma Lionello un'altra ne pigliava.
LXXVI
Volse il cavallo, e'nverso Orlando abbassa
E vannosi a ferir con gran furore,
E Tona e l'altra lancia sì fracassa;
Ma Lionello uscì del corridore,
E Rondel via come il suo nome passa.
Morgante guata drielo al suo signore,
E dire : Orlando è pur baron perfetto,
E Cristo è vero, e falso è Macometto.
ixxvn
Ma Lionello pur si rilev(je,
E sopra il suo cavallo è rimontato,
E Macometto a gran voce chiam<5e,
Dicendo: Tradilor, ch'i' ho adorato
A torto sempre, io li rinnegheróe,
Poich' a tal punto tu m' hai abbandonalo :
L' anima mia piii non ti raccomando.
Che non are' quel colpo fati' Orlando.
txxviii
Poi sì rivolse ad Orlando dicendo:
Nota che e' fu del mìo destriere il fallo.
Orlando gli rispose sorridendo,
E si vorre' co'bufTetti ammazzallo.
Disse Morgante: Così non la intendo:
Or che se' rimontato a cavallo.
Mi par, che sia tuo debito, pagano,
Di riprovarsi con le spade in mano.
LXXIX
Rispose Lionello : A ogni modo
Vo' che col brando termiiiiam la zuffa.
Disse Morgante: per Dio ch'io la lodo:
Che lu vedrai che 'l cavai non fé' truffa.
Or tu. Signor, a cui servir sol go«Io,"
Per cui la terra e l' aria si rabbuffa ;
Guardaci e salva, e 'nsino al fine insegna.
Tanto ch'io canti questa storia degna.
-i'Vfc
M O R Cx A N T E M A G G 1 O R E
CANTO III
ARGOMENTO
■'j>a-i'®^^
Juionetio uccìso^ il paladino Orlando
Jìovescia dalV arcion Meridiana :
Torna un messo a Parigi, rapportando
Cfi Orlando è uit'o e sano in carne umana:
Di lui Rinaldo ed Ulivìer cercando
f^an con Dodonc., e giunti per la piana
Dot'' era dc^ giganti il concistoro,
Rinaldo ammazza il Saracin Brunoro.
O] ...
Padre giusto incomprensibil Dio,
Illumina il mio cor perfettamente,
Sì che si mondi del peccato rio :
E pur s' io sono stato ne2;ligente,
Tu se' pur finalmente il Signor mio,
Tu se' salute de l'umana gente;
Tu se' colui che 'I mio legno movesti,
E insino al porto alutar mi dicesti.
II
Orlando gli rispose : Egli è dovere ;
E con le spade si son disfidali.
E Lionetto, eh' avea gran potere,
Molti pensieri aveva esaminati
Per fare al conte Orlando dispiacere :
E perchè tutti non venghin fallati.
Alzava con due man la spada forte
Per dare al suo cavai, se può, la morte.
Ili
Orlando vide il pagano adirato:
Pensò volere il colpo riparare ;
Ma non potè: che 1 brando è giù calato
In su la groppa, e Rondel fé' cascare ;
Tanto eh' Orlando si trovò in sul prato,
E disse : Iddio non si potè guardare
Da' traditor' ; però chi può guardarsi?
Ma la vergogna qua non debbe usarsi.
IV
Poi fra sé disse : Ove se' Vegliantino ?
Ma non disse sì pian che 1 suo nimico
Non intendesse ben questo J^atino,
E si pensò di dirlo al padre antico.
Orlando s' accorgea del Saracino,
E disse: Se più oltre a costui dico.
In dubbio son, se mi conosce scorto :
Il me' sarà eh' e' resti al campo morto.
La gente fu d'intorno al conte Orlando
Con lance, spade, con dardi e spuntoni,
E lui soletto s'ajuta col brando
A quale il braccio tagliava e' faldonì,
A chi tagliava sbergo, a chi potando
Venia le mani, e cascano i monconi ;
A chi cacciava di capo la mosca,
Acciocch' ognun la sua virtù conosca.
VI
Morgante vide in sì fatto travaglio
Il conte Orlando, e là n'andava tosto,
E cominciò a sciorinare il battaglio,
E fa veder più lucciole eh' agosto :
I saracin' di lui fanno un berzaglio
Di dardi e lance, ma getfan discosto;
Tanto che quando dov' è il conte venne.
Un istrice coperto par di penne.
VII
Era a cavallo Orlando risalito,
E già di Lionetto ricercava ;
Ma Lionetto com' e' I' ha scolpito,
Inverso la città si ritornava,
E per paura 1' aveva fuggito :
Orlando forte Rondello spronava ;
E tanto e tanto in su' i fianchi lo punse,
Che Lionetto a la porta raggiunse.
vili
Volgiti indrieto : ond' è tanta paura^
Gridò, pagano ? e colui pur fuggiva.
Perchè e' temeva de la sua sciagura :
Orlando con la spada 1' assaliva ;
E non potè fuggir drenlo a le mura
II giovinetto, eh' Orlando il feriva
Irato con tal furia e tal tempesta,
Che gli spiccò da 1' imbusto la testa.
IX
Nel campo si tornò poi che l'ha morto ,
Trovò Morgante che ne la press' era:
Ebbe di Lionetto assai conforto,
E rilornossi inverso la bandiera.
Il caso presto a la dama fu porto
Che luce più eh' os^ni celeste spera :
Graffiossi il volto, e straccia i capei d'oro,
Sì che fé' pianger tulio il concestoro.
X
Il vecchio padre dicea : Figliuol mio,
Chi mi t' ha morto ? e gran pianto facea :
O Macoinetto, tu se' falso Iddio ;
jNon te ne 'ncresce di sua morte rea ?
Che pensi tu? eh' onor più ti face' io,
O eh' io t' adori ne la tua moschea ?
Meridiana i.i così fatto pianto
Fece trovar tutte sue arme intanto.
MOlUrANTK MA(,GIORK
Vpniiotio nriic.M prrfflli f pnnibirre
Snliilc» innanzi .i qncMa liainigclla
Di tutta botta: lo shcrfco e I' ainirre,
K la roraz/a provata era anch' ella,
Klnirtto e cnanli, Itrnrriaii e poruiere :
Mai non si viflf armailnra si brlln,
K spaiìa die eia mai non fere fallo,
E così armata saltò in sul cavallo.
XII
Gente non volle che T acconipajrnasse ;
Uno scudiere appiè sol con la lancia ;
E così par che in sul campo n' addasse,
Se r autor de la storia non ciancia :
E come giunse, nn bel corno sonasse,
Ch avea d'avorio com'era la guancia.
Orlando disse a Manfredonio : Io torno
A la battaglia, perch' io odo il corno.
Morsante presto assettava Rondello :
Orlando verso la dama ne già,
The vendicar voleva il suo fratello :
Morgante sempre a la staffa segiua :
Meridiana come vide quello.
Presto s' accorse che Brunoro sia :
Orlando giunse, e diegli un bel saluto:
Disse la dama: Tu sia il mal venuto.
XIV
Se se' colui ch" ha morto Lionello,
Ch' era la gloria e 1" onor di Levante ;
Per mille volte lo Iddio Macometlo
Ti sronfonda, Appollino e Trerigante :
Sappi ch a quel famoso giovinrtto
^on fu mai al mondo o sarà slniiglianle.
Orlando disse con parlar accorto :
10 son colui, che Lionello ho morlo.
XV
Disse la dama : Non far più parolr.
Prendi del campo, io ne farò vendetta :
O !VIacometto crudel, non ti duole
Che spento sia il valor de la tua sella ?
Che mai tal cavalier vedrà più '1 sole,
Né rifarà così natura in fretta :
E rivoltò il destrier suo lacrimando ;
Cojì da r altra parte fece Orlamlo.
Poi con le lance insieme si sconlrorno :
11 colpo de la dama fu possente.
Quando al principio l'aste s'appìccorno,
Tanto ch'Orlando del colpo si sente:
Le lance al vento in più pezzi volorno,
E Rondel passa furiosamente
Col suo signor, che lutto si scontorse
Pel grave colpo che colei gli porse.
XVII
Orlando ferì lei di furia pieno ;
Giunse al cimier che in su T elmetto avea,
E cadde col pennacchio ihsul terreno:
L'elmo gli uscì, la treccia si vedea.
Che raggia coinè stelle per sereno ;
Anzi pareva di Venere iddea.
Anzi di quella eh* è fatto un alloro.
Anzi parean d' argento, anzi pur d' oro.
XVIII
Orlando rÌ5e, e guardava Morpanle,
E disse: Andianne ornai per la più piana:
Io crcdea pur qualche barou prestante
Pugnasse «|ui per la dama sovrana :
Per vagheggiar non venimmo in Levante.
Ebbe ver}.„gna assai Meridiana :
Sanz* altro dir con la sua chioma sciolta,
Con lo scudiere a la terra die volta.
XIX
Manfredon disse, com'è' vide Orlando:
Dimmi, baion, com' andò la battaglia?
Orlando gli rispose sogghignando:
>enne una donna coperta di maglia:
E perchè Telmo gli venni cavando.
Su per le spalle la treccia sparpaglia :
Com' io conobbi ch'ella era la da^ma,
Partito son per salvar la sua fama.
XX
Lasciamo Orlando star col Saracino,
E ritorniamo in Francia a Carlo Mano.
Carlo si stava pur molto tapino.
Cosi il Danese, e lieto era sol Gano,
Poi che non v' è più Orlando paladino;
Ma sopra tutti il sir di Montalbano,
Astolfo Avino Avolio e Ulivieri
Piangevan questo, e così Berlinghierl.
XXI
Chimenlo un giorno il messaggio è tornato,
E inginocdiiossi innanzi a la corona.
Dicendo : Carlo, tu sia il ben trovato.
Di cui tanto il gran nome e '1 pregio suona.
Rinaldo, che lo vide addolorato,"
Disse: Novella non debbi aver buona;
Donde il messaggio disse lacrimando :
Io ho trovato il tuo cugino Orlando . . .
XXII
E mentre che più oltre volea dire,
Sì fatta tenerezza gli abbondava;
Ch'enon potè le parole finire.
Quando i baroni intorno riguardava
Ch Orlando ricordò nel suo partire ;
E tramortilo in terra si posava :
Perchè ciascun allor giudica scorto.
Che '1 conte Orlando dovesse esser morlo.
XXIII
Dicea Rinaldo : Caro cugin mio,
Poi che tu se" di questa vita uscito,
Sanza te, lasso, che farei più io ?
Ed Ulivier piangea tutto smarrito.
Carlo pregava umilemenle Iddio
Pel suo nipote lutto sbigottito,
E maladi'a quel dì che di sua corte
E' si partì, eh' a Gan non die la morie.
XXI v
Piangeva il savio Namo di Baviera,
E Salamon ne facea gran lamento :
Bastò quel pianto per insino a sera,
Ch ognun pareva fuor del sentimento;
E G.in fingea con simulala cera :
Ma risentito a la fine Chimento,
Levo>si, e confortò costor, pregando
Che non piangessin come morto Orlando.
MOKG ANTE MAGO lOK K
Dicendo: Orl.imli» sia di buona voglia,
E tulli por sua parie salutile :
Io 'I trovai nel deserto di Girf»»j;lia,
(^li'ad una foate pi.-r caso arrivóc,
Dove ut) altro corrier uii die ^vda doj>:lia;
Ma ne la fonte annei;ato reslóe ;
Che lo mandava qui Gan traditore
Per far morire il roinan senatore.
XXVI
Gridò Rinaldo : Questo riiineij;alo
Distrnjige pur il san;>ue di Cliiarinonte
Come tu vuoi, o Carlo mio impazzalo.
Gan gli rispose con ardita fronte,
E disse: Io son migliore in ogni Iato
Di te, Rinaldo, e del cngin Ino conte.
Rinaldo disse: Per la gola menti.
Glie mai non pensi se non tradimenti.
XXVII
E volle con la spada dare a Gano :
Gan si fuggi, eh' appunto il conosceva ;
Bernardo da Pontier suo capitano
Irato verso Rinaldo diceva :
Rinaldo, tu se' uo.n troppo villano ;
Allor Rinaldo addosso gli correva,
E '1 capo da le spalle gli spiccava,
E tutti i Maganzesi minacciava.
XX vili
I Maganzesi veggendo il forore,
Di subito la sala sgomberorno.
Carlo gridava: Questo è troppo errore;
Rinaldo me.tte sozzopra ogni giorno
La corte nostra, e fammi poco onore.
I paladini in questo mezzo entrorno,
E tutti quanti confortar' Rinaldo
Ch' avesse pazienza, e stesse saldo.
XXIX
RinaMo dicea pur: Questo fellone
Non vo' che facci mai più tradimento :
O Carlo, o Carlo, questo Ganellone
Vedrai eh' un dì ti farà malcontento.
Carlo rispose : Rinaldo d' Amone,
Tempo è d' adoperar sì fatto unguento ;
A qualche fine ogni cosa comporto.
Disse Rinaldo : Ch' Orlando sia morto.
A questo fine il comporti tu Carlo,
E che distrugga te, la corte e '1 regno:
Io voglio il mio cugino ire a trovarlo ;
E Ulivier dicea: Teco ne vegno.
Dodon pregò eh' e' dovesse menarlo.
Dicendo : Fammi di tal grazia degno.
Disse Rinaldo: Tu credi ch'io andassi.
Che 'l mio Dodon con meco non menassi?
xxxi
Chiamò Guìeeianlo, Alardo, e Ricciardetto:
Fate (he Montalban sia ben guardato,
Tanto ch'io truovi il cugin mio perfetto:
Ognun sia presto là rappresentato ;
Ch'i' ho de' traditor' sempre sospetto;
E Gan fu traditor prima die nato :
Non vi fidate se non di voi stesso,
E Malagigi getti l'arte spesso.
XXXII
I{ina1iIo, il suo Doilone, o Ulivieri
Da Carlo inqierador s' accouimìatornu ;
E nel jtarlir.si (|uesti <;avalieri
Tre sopravveste verde si caceiorno.
Che in una lista rossa due ccrrvicri
V'era, e <:on esse pel cammino enlrurnu:
Era qucst' arme d' m\ gran Saracino
Disceso della scbialta di Mambrino.
XXXIII
Così vanno costoro a la ventura :
Usciron de la Francia incontanente,
Passaron de la Spagna ogni pianura.
Tra Mezzodì ne vanno e tra Ponente.
Lasciamgli andar, clic Cristo sia lor cura;
E tratterem d' un saracin possente.
Che in verso lìarheria facea dimoro ;
Era gigante, e chiamato Brunoro :
xxxiv
O ver cugin carnale, o ver fratello
Del gran Morganle eh' avea seco Orlando;
E Passamonte e Alabastro, quello
Ch' Orlando uccise nel deserto, quando
Il santo abate riconobbe, e fello
Contento, il parentado ritrovando :
Brunor, per far de' suoi fratei vendetta,
Di Barben'a s' è mosso con gran fretta.
XXXV
Con forse trentamila ben armali,
E tulli quanti usati a guerreggiare,
A la badia ne vengon difilati.
Per far l'abate e' monaci sbucare:
E tanto sono a stracca cavalcali.
Che cominciorno le mura a guardare ;
E giunti a la badia, drento v' enlraro :
Che contro a lor non vi fu alcun riparo.
XXXVI
Il domine messer, lo nostro abat£
La prima cosa missono in prigione.
Disse Brunoro : Con le scoreggiate
Uccider si vorrà questo ghiottone;
>la pur per ora in prigion lo cacciate :
Riserberollo a maggior punizione :
Cagione è stato pricipale, e mastro.
Che Passamonte è morto e Alabastro.
XXXVII
Rinaldo in questo tempo a la badia
Con Ulivieri e Dodone arrivava :
Vide de'saracin' la compagnia;
E del signor, chi fosse, domandava.
Brunor rispose con gran cortesia :
Io son dess'io; e se ciò non vi grava.
Ditemi ancor chi voi, cavalier, siete :
Disse Rinaldo : Voi lo 'ntenderetc.
xxxviii
Noi siani là de' paesi del soldano
Pur cavalieri erranti e di ventura:
Per la ragion com' Ercol coinballiano ;
Abbiamo avuto assai disavventura :
Questo ci avvenne, perchè il torlo avano,
E la ragion pur ebbe sua misura :
Nostri ei.mpagni alcun n' è slato morto.
Che noi saj)piendo, difendcano il torlo.
MOR GANTE MAGGIORE
XXXIX
Disse Itriinoro : lo mi fo maraviglia,
Che Vili rampassi, e per Dio mi ver{i<)pno
A dirvi «pifl tht la mpiile liisliii;lia :
^ (>ì side armali in visione e in sopno :
Se voi volete ron la mia famiglia
Manjiiar, « lie forse n avete bisogno,
Disnuuitercle, ed onor vi fia fallo,
ìì. fate liiioMt» scollo per xm Irai lo.
xr.
Disse Rinaldo : Da manpiare e ber*
Af cello : il re chiamava nn Saracino ;
Disse : Coslor son pente da podere,
E vanno coniliatlendo il pane e 1 vino,
K carne, quando ne possono avere :
Non debbe bisognar dar loro uncino,
() por la scala ove aspinnpon con mano :
Dice, the SOB cavalior" del soldano.
XM
Se la ragione aspolta cbe costoro
L aìntìnOj fn j>rigion sen andrà tosto,
o avesse più avvocati, argento o oro,
O carie o teslimon, clie ficlù agosto.
Direa fra sè sorridendo Brunoro :
A l'.rcol s' agaiiapliò quel ciufTa '1 mosto,
O cavalier di gall.i, o qualche araldo :
L ocni cosa intendeva Rinaldo.
Trnova colà die faccin colezione,
Se ve reliquia arcarne o catriosso
Kimaso, o piedi o capi di cappone,
E dà pur broda e macco a Tnom che grosso;
Vedrai com' egli scuffia quel ghiottone,
Che debbe come il can rodere ogni osso :
Assettagli a mangiare in qualche luogo,
E lascia i porci poi pescar nel truogo.
XLIII
Rinaldo facea vista non udire,
E non gustar quel che diceva quello:
Non si voleva al pagano scoprire
Per nessun modo, e fa del buffoncello :
Ecco di molta broda comparire
In un paino!, come si fa al porcello.
Ed ossa, dove i cani impazzerebbono,
E in GiusalTa non si rilroverebbono.
Rinaldo cominciava a piluccare,
E trassesi di testa allor 1' elmetto ;
Ma Ulivier non sei volle cavare,
Così Dodon, ciie stavan con sospetto :
Perchè Brunor, reggendogli imbeccare
Per la visiera, guardava a diletto,
E comandava a un di sua famiglia.
Oh a'ìor deslrier" si traesse la briglia.
XLV
E fece dar lor biada, e roba assai,
Dicendo : Questi pagheran lo scotto,
O Tarme lasceran con molli guai;
Non mangeran così a bertolotto.
Direa Rinaldo : A la barba V arai :
E cominciò a mangiar com' un arlotto:
Ma quel sergente, a chi fu comandalo,
Avea il cavai di Dodon governalo.
Poi governò <iopo quel ^'egliantino,
Ch' avea con seco menato il marchese ;
Poi se ne va a Ra iarde» il Saracino:
ì\ come il bracccio a la greppia dislese,
Raiardo lo ciuffo come un niasllnu,
y.'n su la spalla a 1° nniero io prese:
Che lo schiacciò, coni" e' fnsse una canna.
Tal «he con bocca ne spic«a una rpann.i.
xi.vii
Subilo carlde quel famiglio in terra,
E poi per grande spasimo mon'o :
Dis<e Rinaldo : Appiccala è la ^lerra :
Lo scolto pagherai tu, mi cred" io :
Vedi, che spesso il disegno altrui erra.
Quando Rrunor questo caso sentìo.
Disse: Mai vidi il più fiero cavallo:
Io vo' che tu mei doni sanza fallo.
XI.VIII
Rinaldo fece Albanese messere.
Disse: Quest'orzo mi par del verace.
Rrunor diceva con un suo scudiere :
Questo cavai si vorrà, che mi piace.
Rinaldo torna e riponsi a sedere,
E rimangiò com' un lupo rapace:
Un Saracin, che ancor lui fame avea,
A lato a lui a mangiar si ponea.
XLIX
Rinaldo l'ebbe a la fine in dispetto,
Però che diluviava a maraviglia,
E caddegli la broda giìi pel petto :
Guardò più volte, e torceva le ciglia ;
Poi disse : Saracin, per Macomelto,
Che tu se' j)orco, o bestia che '1 somitilia:
10 ti prometto, slu non te ne vai,
Farò tal giuoco, che tu piangerai.
L
Disse il Pagan : Tu debb'esser un mallo,
Poi che di casa mia mi viu)i cacciare.
Disse Rinaldo : Tu vedrai beli' atto.
11 saracin non se ne vuole andare,
E nel paiuol si tuffava a lo imbratto.
Rinaldo non polè più comportare:
Il guanto si meltea ne la man destra,
Tal che gli fece smaltir la minestra,
LI
Che gli appiccò in siU capo una sorba.
Che come e' fosse una noce lo schiaccia :
Non bisognò che con man vi si forba ;
E morto nel paiuol quasi lo caccia.
Tanto che tutta la broda s'intorba.
Dodon gridava al marchese : Su spaccia,
Lieva su preslo, la zuffa s" appicca ;
Donde Ulivieri abbandonò la micca.
Lll
Allora und brigala di que' cani
Subito addosso corsono a Dodone,
E cominciossi a menarvi le mani :
Rinaldo vide appiccar la questione,
E in meazo si scagliò di que' pagani ;
(]osl faceva Ulivier borgognone:
Trasse la spada dal lato suo bella.
Ma presto sanguinosa e bruita fella.
MORGAN T E M A G G I O l\ E
Al primo olle trovò la znrra taglia :
Dodone uccise un pipati molto ardilo.
Brunor vejjgendo avviar la ballaj;lia,
Stibilo verso Rinaldo fu ilo,
E disse: Cavalier, se Dio li va2;lia,
Per cMe camion se' lu stalo assalilo ?
E gridò forte, che ciascun s' arresti,
Tanto che '1 .caso a lui si manifesti.
MV
Subilo la battaglia s'arrestava :
Saper voleva ogni cosa Brunoro :
Verso Rinaldo di nuovo parlava :
Dimmi, baron, perchè tu dai marloro
A la mia gente, che troppo mi grava ?
Disse Rinaldo : Come san costoro,
Non vo'mai noia, quand' io sono a desco,
E sto come '1 cavai sempre in cagnesco.
LV
Venne a mangiar qua uno : io lo pregai
Che se n' andasse ; e' non curò il mio dire:
Mangiato non parca eh' avesse mai.
Ed ogni cosa faceva sparite:
Le frutte dopo al mangiar gli donai,
Perchè il convito s'avesse a fornire;
E mentre che dicea questo al pagano,
Frusberta sanguinosa tenea in mano.
LVl
Disse Brunor : Poi che cosi mi conti,
Di questo fatto se ne vuol far jprce:
Non siate così tosto al ferir pronti :
Io l' lio fatto piacer, se non li spiace.
I peccati commessi sieno sconti :
Rimettete le spade, se vi piace.
Rimisson tutti allora il brando drento :
Brunor seguia il suo ragionamento.
T.VIl
Detto m' avete, s' io ho inteso bene,
Che combattete sol per la ragione;
Però d' un altro caso vi conviene,
Dirne con meco vostra opinione :
Dirovvi prima quel che s'appartiene,
E voi poi solverete la qnislione ;
Se no, tu lascerai qui il tuo cavallo,
Che ristorò de 1' orzo il mio vassallo.
Lvin
Disse Rinaldo: Apparecchiato sono.
Brunoro allor gli raccontava il fatto:
Questa badia s' è messa in abbandono,
Perchè due miei fratelli furo a un trailo
Fatti morir, sanza trovar perdono;
Ond'io sentendo sì tristo misfatto.
Venuto sono a vendicarli ; e preso
L' abaie ho qui, da cui mi tengo offeso.
LIX
Se la ragion lu di' che suoi difendere.
Tu deveresti aiutar me per certo :
Ed a me par che tu mi voglia offendere ;
Gnor t'ho fallo, aspettando buon merlo.
Disse Rinaldo: Falso è il mo contendere;
Io ti dirò quel eh' io ne 'nlendo aperto :
Con un sol bue io non son buon bifolco ;
Ma s'io n'ho due, andrà diritto il solco, w
Se due campane, una odi sonare,
F r altra no : chi può giudicar questo
Qual sia migliore ? io odo il tuo parlare ;
Vorrei da quello abate udire il resto-
Dice Brunoro: E questo anche a me pare.
Vt'mie l'abate appiccalo al capresto.
F liberato fu de la prigione.
Perchè potesse dir la sua ragione.
r,xi
Disse Brunoro: Io ho detto a costui
L'oltraggio che da le ho ricevuto:
Conlato gli ho come diserto fai
Pe' tuoi consigli da chi l' ha creduto :
Or tu le ragion' tue puoi dire a lui.
Che mi pare uomo assai giusto e sapulo.
Disse l'abate: Or l'altra parte udite,
A voler ben giudicar nostra lite.
LXII
Io mi posavo in queste selve strane,
E i suoi fratelli ogni di mi faceano
A torto mille ingiurie assai villane,
E spesso i faggi e le pietre sveglieano :
Hanno più volte rotto le campane,
E de' mie' frali con esse uccideano :
Convennemi alcun tempo comportargli,
Che forze non avea da contrastargli.
LXIII
Ma come piacque a quel Signor divino,
Ch' aiuta sen)pre ognun eh' ha la ragione,
(Ji capitò un mio fralel cugino.
Il qual si chiama Orlando di Milone :
E come quel eh' è giusto paladino.
Ebbe di me giusta compassione ;
E in su quel monte andò a trovar costoro,
E con sua mano uccise due di loro.
LXIV
Il lerzo per suo amor si convertìe,
E con quel conte Orlando se n'andóe
Verso Levante, e da me si parti'e ;
Tanto che sempre io ne sospireróe.
Quando Rinaldo le parole udi'e,
Molto d' Orlando si maraviglióe,
E non sapea rassettar ne la mente,
Come l'abate fosse suo parente.
LXV
E cominciò così al pagano a dire :
Or li parrà che 1 solco vada ritto ; '-^
Or due campane si possono udire ;
Tu mi parlavi simulato e fìtto :
Però, s' a questo non sai contraddire.
La mia sentenzia è data già in iscritto :
Se vero è quel che l'abate m' lia porlo.
Egli ha ragione, e tu, pagano, hai ì torto.
LXVl
E intendo di provar quel ch'io ti dico
A corpo a corpo, a piede o a cavallo ;
Percir io son troppo a la ragione amico.
Disse il pagano : E' si vorria impiccallo
Con leco ; or guarii come mio nimico :
Tu dcbb' essere un ghiotto sanza fallo.
Disse Rinaldo, com'io sarò ghiotto.
Tu me 1 saprai dir meglio al primo botto.
M O U G A N T i: M A G G I O II E
Di.'sc Briiiioro: Noi fìircniu un palio,
Che s" io ti vinco, in vo' «|iu*slo lìtstricrc
Cir al ptinio so li «laro srarruniallo
Con la pt-dona in mezzo lo iraccliiere.
Disse Rinalilo : Come vuoi sia fatto ;
Se tu m'abbatti, questo è ben dovere ;
E anro a scarrlii ti polria dir reo :
Ch'io fo i tuo'par" ballar come"! p.ileo.
IXVIII
Ma voglio un altro patto, se li piace,
die s'io ti vincerò ne la baltaplia,
L' abate liber sia lascialo in pare
Da la tua pente sanza altrui puntaglia ;
Cos'i se 1 mio pensier fusse fallace,
Questo cavai cb'io ho coperto a maglia,
A'o' che sia tuo: ma slu m'abballerai,
A ogni modo che dich' io 1' arai.
Poi che r accordo così si fermava.
Ognun qinnto volea del rampo tolse:
Come Brunoro il suo destrier girava,
Cos'i Rinaldo Baiardo rivolse ;
11 saracin la sua lancia abbassava ;
Sopra lo scudo di Rinaldo colse :
Passollo lutto e pel colpo si spezza ;
Rinaldo ferì lui con gran fierezza,
LXX
E passògli lo scudo e 1' armadura ;
Per mezzo al petto la lancia passava ;
Due braccia o più d' una buona misiua
Da r altra parte sanguinosa andava :
E cadde rovesciato a la verzura :
L' anima ne 1" inferno s" avviava :
Gli altri pagani veggcndoi morire,
Ulivjer presto corsono assalire.
LXXI
Rinaldo non avea rotta la lancia :
Il primo ch'egli scontra de' pagani
Gli passò la corazza, e poi la pancia ;
Poi con Frusberla sgranchiava le mani ;
E Ulivier eh" è pur di que" di Francia,
Oue' saracini affetta come pani :
E sopra Veglianlino era salito,
E del dìciolto teneva ogni invilo.
LXXII
Allor Dodone a l'abate correa,
II quale era legato molto slrello :
Tagliò il capestro, e le mani sriogliea :
L'abate presto si misse in assetto:
Ino slangon da la porla togliea,
Ch" a un pagan levò il capo di nello:
Poi ne la calca in modo arrandellollo ;
Ch' a più di sei levò il capo dal collo.
LXX III
I frati ognun la cappa si cavava :
Chi piglia sassi e chi stanga e chi mazza
Ognuno addosso a costor si cacciava ;
Molli iiccidean di quella turba pazza.
Rinaldo tanti quel di n'affettava.
Che in ogni luogo nel sangue si cuazza :
A chi balzava il capo, a chi 1 cervello,
Come si fa de le bestie al macello.
I.XXIV
E l'II\ieri di' avea Dorlindana,
Tu de' pensar quel che facea di loro:
E frce in terra <Ji sangue una chiana :
Dodon pareva più bravo eh' un loro.
Mi.-sesi in f»iga la gente pag.iria,
Che non potean più reggere al marturo :
L'abate a l'uscio per piii loro angoscia
S' era recato, e ne 1' uscir fuor croscia.
LXXV
Subito la badia isgomberorno :
Molti ne fecion saltar le finestre :
Fino al deserto gli per.-eguilorno :
Poi gli la^ciorno a le fiere silvestre :
I monaci la porla ri-errorno,
E rassettarsi a I' antiche minestre :
Poi riposalo a 1 abate n'andava
Rinaldo presto, e così gli parlava.
i.\xvi
Voi dite, abaie, che siete cugino,
Se bene ho inleso tal ragionamenlo,
D' Orlando degno nostro paladino ;
Però di questo rtii fate contento,
Donde disceso siete, e in qual confino
E che cagion vi condusse al convento.
Disse l'abate: Se saper l'è caro
Quel che tu di', tu sarai toslo chiaro.
x.xxvii
Io fui figliuol d un figliuol di Bernardo^
Che si chiamò da la gente Ansuigi,
Fralel d' Amone ; e fu tanto sagliardo,
Ch' ancor la fama risuona in Parigi
D'Ottone e Buovo, s' i' non son bugiardo:
E la cagion ch'io vesto or panni bigi,
Fu dal ciel prima giusta spirazione ;
Poi per conforto di papa Lione.
LXXVIII
Rinaldo udendo coniar la novella.
Con molla festa lo corse abbracciare,
E ringraziava del cielo ogni siella :
E disse: Abate, io non vi vo' celare,
Poi che scacciata abbiam la gente fella,
Il nome mio: ch'io non lo polre'fare;
Tanta dolcezza supera la mente :
Son, come Orlando, anch'io vostro parente.
LXX IX
Io son Rinaldo ; e fui figliuol d'Amone ;
E come a lui, a me cugino ancora
Siete ; e piangeva per affezione :
Perchè l'abate lo stringeva allora,
E mai non ebbe tal consolazione :
O giusto Iddio, eh' ogni cristiano .idora.
Dopo tante altre grazie e lunga elale,
Veggo Rinaldo mio, dicea l'abate.
LXXX
E ho veduto il mio famoso Orlando,
Benché del suo partir sia sconsolato;
Nunc dimilte servum luum, quando
Omai ti piace, signor mio beato.
Rinaldo allor soggiunse lacrimando :
E questo è L'Iivier eh' è suo cognato ;
Questo è Dodone figliuol del Danese.
L abaie abbraccia Dodone e 1 Marchese.
u
MOKGANTE MAGGIOUK
rxxxi
I monaci farevan molta festa,
Percliè partito è il popol Saracino,
E che ])cr grazia Iddio lor manifesta,
Clic Rinaldo è de V abate cuiiiino.
IMa porci»' io sento la terza richiesta
Di ringraziar chi ci scorge il cammino;
Farò sempre al cantar quel eh' è d )vuto
Cristo vi scampi, e sia sempre in aiolo.
CVNTO IV
ARGOMENTO
•m"mi^>
impicca Rinaldo la testa a un dragone^
Che s'è con un l'ione amilicc/iiato ;
Mesce di si buon peso un mostaccione
A un gi!;ante, di' e? cade sfracellato.
Con Ulii'ier 5' imbranca e con Dodone,
A sterminare un serpe sterminato.
i" innamora Ulirieri al maggior segno :
Fansi Cristkini il re Corbante e '/ regno.
vTloria in excelsls Deo e in terra pace.
Padre, Figliuolo e Spirito Santo,
Benedicinins te, Signor verace.
Laudamus te. Signor, con nmil canto ;
Poi che per tua benignità ti piace
L' abate nostro qni consolar tanto,
E le mie rime accompagnar per tutto,
Tanto che il fior produca alfm buon frullo.
II
Era nel tempo ch^ ognun s' innamora,-
E eh' a scherzar comincian le farfalle.;
E '1 sol eh' avea passata rullim'ora,
Verso Murrocco chinava le spalle :
La luna appena corneggiava ancora :
De' monti 1' ombra copriva ogni valle ;
Quando Rinaldo a l' abate ritocca,
Che 1 nome suo non tenesse più in bocca.
Ili
Rispose : Chiaramonte è il nome mio :
Benignamente a Rinaldo 1' abate.
Dopo alcun giorno, acceso dal desi'o,
Disse Rinaldo : Io vo' che voi ci diale
Omai licenzia con nome di Dio :
Io ho a Parigi mie genti lasciale ;
Perch'io non credo che '1 dì mai veggJamo
Dì ritrovar colui che noi cercliiamo.
L' abate eh' era prudente e ^;^pui:o,
Disse : Rinablo, benché duol mi Ila,
Che mai qui mi saresti rincresciuto ; *
Credo che questo buon concetto sia."
Io son contento poi ch'io t' lio vedulo:
So che questa sarà la parte mia
Di rivedervi più, ch'egli è ragione;
Però vi dò la mia benedizione.
Se di vedere Orlando è il tuo pensiero,
Vaitene in pace, caro mio fratello ;
Dio t' accompagni per ogni sentiero,
O come fece Tobbia Raffaello.
Disse Rinaldo : Così priego e spero,
Rìvedremci nel ciel su presso a quello
Che de' suo' servi ara giusta mercede,
Che combatlon qua giù per la sua fede.
VI
Rinaldo si partì da Chiaramonte,
E Ulivieri e Dodone sospirando :
Va cavalcando per jtiano e per monte,
Per la gran voglia di vedere Orlando :
Quando sarà quel di, famoso conte,
Dicea fra sé, eh' io ti rivegga, quando ?
Non mi dorrà per certo poi la morte,
S' io ti ritrovo, e riconduco in corte.
VII
Era dinanzi Rinaldo a cavallo,
E Ulivier lo seguiva e Dodone
Per un oscuro bosco sanza fallo,
Dove si scuopre un feroce dragone
Coperto di stran cuoio verde e giallo ;
Che combatteva con un gran lìone :
Rinaldo al lume de la Urna il vede;
Ma che quel fosse drago ancor non crede.
vili
E Ulivier più volle aveva detto.
Sì com' avvien chi cavalca di notte :
Io veggo un fuoco appiè di quel poggetto ;
Gente debbe abitar per queste grotte ;
Egli era quel serpente maladetto.
Clic getta fiamma per bocca la' d'otte,
Ch' una fornace pareva in calore,
E lutto il bosco copri'a di splendore.
M 0 l\ (i A N TE M A(i (, IO l\ E
E l loon par che con lui s'arrapipli,
E ron le branrlie e co' denti lo roda,
Ed or pel rollo or nel pi-llo lo pipli :
Il dra^o avNolta pli aveva la roda,
E presol con la borea e con pli arlipli
Per modo tal, che da Ini non si snoda ■
E non pareva al lione anco einoco.
Quando per Locca e' vomitava fuoco.
x
Baiardo cominciò fort»- a nitrire.
Coni' e' con«>lil)C il sriponle da presso:
Veclianlin d" Ulivier voli-a fuppire ;
Quel di Doilon si volpe a <lrielo spesso :
riif "1 (iato del drapon si fé' sentire :
Ma pur Hinaldo innanzi si fu messo,
E increlibeli di quel lion che perde
A poco a poco, e rimaneva al verde.
XI
E terminò ili darpli alfin soccorso,
E I he non fusse dal serpente morto :
lìaiardo sprona e l«'mji»Ta col Illor^o ;
Tanto che presso a quel drap»» 1 ha porlo,
Che si studiava co' prafli e col morso.
Tal che condotto ha il lione a mal porto :
Ma invocò prima V aiuto di sopra.
Che cominciasse sì terribil opra.
XII
E adorando, sentiva una voce
Che pli dicea : Non temer, Laron dotto,
Del pran serpente ripido e feroce:
Tosto sarà per tua mano al di sotto.
Disse Rinaldo: O Sipnor mio, che in croce
Moristi, io li ringrazio di tal motto :
E trasse con FrusLerta a quel drapone ;
E mancò poco e" non delle al lione.
XIll
Parve il lion di ciò fnsse indovino;
E quanto può dal serpente si spicca,
Veppendosi in aiuto il paladino :
Frusbcrla addosso al drapon non s' appicca.
Perchè il dosso era più che d' acciaio fino :
Trasse di punta, e "1 brando non si ficca.
Che solca pur forar corazze e niaplie :
Sì dure aveva il serpente le scaglie.
XIV
Disse Rinaldo : E' fia di Satanasso
Il cnoio che *1 serpente porta addosso,
Poi che di punta col brando noi passo,
E che col laplio levar non ne posso :
E lascia pur la spada andare in basso.
Credendo a questo tapliare alfin V osso :
Frusberta balza, e faceva faville :
Cosi de' colpi gli die forse mille.
XV
E quel lion lo teneva pur fermo.
Quasi dicesse : S' io lo tenpo saldo,
Kon ara sempre a opni colpo schermo :
Ma poi che molto ha bussato Rinaldo,
E conoscea che questo crudel vermo
L' offendea troppo col fiato e col caldo,
Se pli accostava, e prese un tratto il collo,
E spiccò il crpo, che parve d' un pollo.
XVI
Fiipcito ^' era Llivieri e Dodonc,
(.lic ì lor de}trier'iiun poirron tenere:
Come e' fu .iiorln (|uel fiero drapune,
IS.il/atu il rapo, e caduto a jacrre,
Verso Rinaldo ne venne il lionr,
E (oniintiava a leccare il dislriere;
Parea che rendrr pli volesse (;razia:
Di far festa a Rinaldo non si sazia.
XVII
Ed avvinssi con esso a la briplia.
Rinaldo disse : Verpine praziosa.
Poi che mostrata m hai tal maravigla,
Ancor ti priepo. Repina pietosa,
Cile mi dimostri uve la via si piglia
Per questa selva così paurosa.
Di ritrovare Ulivieri e Doihme,
O tu mi fa fare scorta al lione.
XVIII
Parve che questo il lione intendessi,
E comin<iava innanzi a camm nare,
Come se, drieto mi verrai, dicessi :
Rinaldo si lasciava a lui puidaie:
Che boschi v' eran $1 folli e sì spessi.
Che fatica era il sentiero osservare :
Ma quel lione appunto sa i sentieri,
E ritrovò Dodone e Ulivieri.
Era Fllvier tutto maninconoso,
E del cavallo in terra dismontalo;
Cosi Dodone, e pianpea doloroso,
E 'ndrieto inverso Rinaldo è tornato
Per dar soccorso al paladin famoso ;
E Ulivieri aveva rnpionalo :
Penso che morto Rinaldo vedremo
Da quel serpente, e tardi giugneremo.
XX
E non sapean ritrovare il cammino :
Erano entrali in certe strette valli;
Ecco Rinaldo, e "1 lion pia vicino:
Maravipliossi, e cominciò a puardalli :
Vide Ulivif-r non av«a A'epliantino ;
Disse : Costoro ove aranno i cavalli?
A qualche fiera si sono abbattuti.
Dove egli aranno i lor destrier* perduti.
XXI
Ulivier quando Rinaldo vedea.
Non si può dir se pareva contento,
E iìisse: Veramente io mi credea
Ch' omai tu fussi de la vita spento;
E poi ch'allato il lione scorpea
Al lume de la luna, ebbe spavento.
Disse Rinaldo : Ulivier, non temere,
Che quel lion ti facci dispiacere.
xxu
Sappi, che morto è quel drapon crudele,
E liberato ho questo mio compagno,
Che meco or vien, come amico fedele,
E arem fatto di liri buono guadagno :
Prima che forse la luna si cele.
Tratto ci ara questo lion prifagno
Del bosco, e puideracci a buon cammino :
Ma dimmi, hai tu perduto Vegliantino?
MOK (x A N T E MAGGIO K E
XXIII
Ulivier si scusò eoa gran vergogna
fioine tu fusti a le man col dragone,
] dcslrier'rl hanno grattata la rogna
Tra mille sterpi, e per ogni burrone»
Ognun voleva far quel che bisogna
Ver aiutarti, com'era ragione;
Ma ritener non gli potemmo mai ;
Tanto ci»e forse di noi ti dorrai.
Noi gli lasciammo presso a una fonte,
Perchè pur quivi si fermorno a bere:
Quivi legati appiè gli abbiam del monte,
E or di le venivamo a sapere.
Se rotta avevi al serpente la fronte,
O da lui morto restavi a giacere.
Disse Rinaldo : Pe' cavalli andiamo,
£ tra noi scusa, Ulivier, non facciamo.
XXV
Rilrovorno ciascun il corridorei
Dicea Rinaldo : Or da toccar col dente
Non credo, che si truovi insin che fore
Usclam del bosco o troviamo altra gente
Cosi stessi tu, Carlo imperadore.
Che vuoi eh' io vada pel mondo dolente ;
Così stessi tu, Gan, com' io sto ora;
Ma forse peggio star ti farò ancora.
XXVI
E così cavalcando con sospetto
Rinaldo si dolca del suo destino :
E quel lione innanzi va soletto,
Sempre mostrando a costoro il cammino ;
E poi eh' egli anno salito un poggetlo,
Ebbon veduto un lume assai vicino :
Che in una grolla abitava im gigante,
E un gran fuoco s' avea fatto avanle.
xxvii
Una capanna di frasche avea fallo,
Ed appiccato a una sua caviglia
Un cervio, e de la pelle l' avea Iratto :
Sente i cavai calpestare e la briglia :
Subito prese la caviglia il mallo,
Come colui che poco si consiglia;
A Ulivieri furioso più eh' orso.
Addosso presto la bestia fu corso.
xxviii
Ulivier vide quella mazza grossa,
E del gigante la mente superba:
Volle fuggirlo ; intanto una percossa
Giunse nel petto sì forte ed acerba,
Che bendi' avesse il baron molta possa,
Di Vegliantin si trovava in su l'erba.
Rinaldo quando Ulivier vide in terra.
Non domandar quanto dolor l'afferra.
XXIX
E disse: Ribaldon, ghiolton da forche,
Che mille volte so l'hai meritale;
Prima che sotto la luna si cerche
Io li meriterò di tal' derrate.
Questo bestion con sue parole porche
Disse : A le non darò se non golale ;
Che, se' tu tratto del cervio a l'odore?
Tu debb' essere un ghiotto o firratore.
Rinaldo, clic avea poca pazienza,
Delle in sul viso al gigante col guanto;
E fu quel pugno di tanta potenza,
(^lie lutto f|uanlo il mostaccio gli ha infranto ;
Dicendo : Iddio non ci are' sofferenza.
Pure il gigante riavuto alquanto,
Arrandeilo la caviglia a Rinaldo,
Cile d'altro che di sol gli vuol dar caldo.
XXXI
Rinaldo il colpo schifò mollo destro,
E fé' Baiardo saltar come un gatto :
Combatter co' giganti era maestro ;
Sapeva appunto ogni lor colpo ed alto :
Parea il randello uscisse d' un balestro :
Rinaldo menò il pugno un altro tratto:
E fu sì grande questo mostaccione.
Che morto cadde il gigante boccone.
XXXI I
E poco meno e' non fé', com' e' suole
Il drago, quando uccide il leofante,
Che non s' avvede, tanto è sciocco e fole,
Che nel cader quell' animai pesante
L'uccide, che gli è sotto, onde e' si duole ;
Così Rinaldo a questo fu ignorante :
Che quando cadde il gigante gagliardo,
Ischiacciò quasi Rinaldo e Baiardo.
XXXIIl
E con fatica gli uscì poi di sotto ;
E bisoiinò che Dodon l' aiutassi.
Disse Rinaldo : Io non pensai di bollo
Così il gigante in terra rovinassi ;
Ond' io n'ho quasi pagato lo scollo;
E' disse, eh' a l' odor d' un cervio trassi ;
A la sua capannetla andiamo un poco,
Dove si vede colassù quel fuoco.
XXXIV
Allor tutti smontaron de l'arcione;
A la capanna furono avviati :
Vidono il cervio: diceva Dodone :
Forse che mal non sarem capitati :
Fece d' un eerto ramo uno schidone.
Rinaldo intanto tre pani ha trovati,
E pien di strana cervogia un barlotlo,
E disse : Il cervio mi sa di biscotto.
XXXV
Erano i pan' com' un fondo di lino,
Tanto eh' a dirlo pur mi raccapriccio.
Disse Rinaldo : Se e' è '1 pane e '1 vino,
Ch'aspettiam noi, Dodon? qui sa d'arsiccio.
Dicea Dodonè : Aspetta un tal pochino,
Tanto che lievi la crosta sul riccio.
Disse Rinaldo: Più non 1' arrostiano ;
Che '1 cervio mollo collo è poco sano.
XXX VI
Disse Dodone: I' t' ho inleso, Rinaldo,
Il gorgozzul ti debbe pizzicare :
Se non è colto, e' basta che sia caldo :
E cominciorno del cervio a spiccare :
Rinaldo sei mangiava intero e saldo.
Se non che la vergogna il fa restare ;
E de' tre pan' fece paura a uno,
Che col barlotlo non beve a digiuno.
INI 0 1\ Cr A N T E INI A Cj G I O R E
XXXVII
Poi che fu I' alita in Levantr apparita,
Si <liportiroii ila (|iit'lla r.ip.ìiuia.
Direa Dodoii : Qucsla fu Imoiia pila,
Poi rlie dal cit'l sopravvenne la manna,
E quel pipante ha penliila la vita :
Vetli rlie jiurc incannalo è ehi 'np.iiina :
Quel hatcalare, l'Iivier, ti prr<()5.>.e,
A tradiiuento ; or si sta per le fosse.
XXXVIII
Disceson di quel monte a la pianura,
K il lor lione innanzi pure andava.
Direa Rinaldo : Questa è gran ventura !
E Ulivier con lui se n'accordava:
Tanto cir uscirno d' una valle oscura^
Ove poi nel dimestico s'entrava:
fominciorno a veder casali e ville,
E sopra campanìT gridar le squille.
E poco teniìon più oltre il cammino,
Clie cominciorno a trovar de' pastori
Presso ad un fiun>e eh' era lor vicino ;
E poi senliron gran grida e romori:
Baiardo aombra, e così Vegliantino :
Ed ecco uscir d'una valletta fuori
Una gran turba che s'era fuggita,
E a veder parea gente smarrita.
XL
Rinaldo allora a Dio si raccomanda ;
E'ntanlo oppresso s'accosta un pagano:
Allor Dodon di subito domanda
Che caso è questo in questo luogo strano,
riie par che tanto romor qua si spanda ?
Per cortesia non vogli esser villano.
Rispose il saracin presto a Dodone :
10 tei dirò, e non sanza cagione,
xr.i
Del mio dir so che ti verrà pietade;
Per una figlia nobile e serena
Quasi è disabitata una cittade ;
Perdi' una vipra crudel ci avvelena :
11 re Corhante per la sua bontade
La sua figliuola, detta Forisena,
A divorar vuol dare a questa fiera :
La sorte tocca a lei, vuol che lei pera.
XMI
E di noi altri ha già mandati assai:
Ogni dì ne vuol due sera e mattina.
Dimmi, rispose Rinaldo, slu sai.
Questa città com' ella e' è vicina ?
Rispose il saracin : Tu la vedrai
Tosto la terra misera e meschina ;
Ma guarda che tal gita non sia amara :
Ella è qui presso, e chiamasi Carrara.
XLIII
Io ve n'avviso per compassione,
Ch' i' ho di voi per Macometto Iddio,
Clie voi non vi lasciate le persone,
Poi che d' andarvi mostrate desio :
La città troverete in perdizione,
E molto malcontento il signor mio
Per questa cruda fiera e maladetta,
Che debbe divorar la ciovinelta.
Com'egli è dì, se ne viene a le porle:
Se da mangiar non gli è portato tosto,
(!(d tri>to fiato ci conduce a morte:
(.onvien eh' un iu)m gli pogniam là discosto.
Questa fanciulla gli è tocca la sorte;
1-L 1 padre suo di mandarla ha disposto :
Il piipcd grida, e quella fiera rugge,
Tanto eli' ognun per paura si fugge.
xi.v
Credo, che sia sol pe' nostri peccati,
Perchè Corbaiite uccise un suo fratello,
Che fu tra noi de' cavalier' nomali
11 più savio il più giusto forte e bello :
Non consentimmo a lutti questi agguati ;
Però che il regno apparleneasi a quello :
La "vipera è venuta a purgar certo
Questo peccalo, e rendeci tal merlo.
XLVI
Ed è tra noi chi ha opinione,
Che lo spirilo suo drento vi sia
In questa fiera «li questo garzone.
Disse Rinaldo : Di tua cortesia
10 li ringrazio : aiutili Macone
Da questa fiera fella e tanto ria ;
Ma dimmi, saracin, questa donzella
Cora' ella è giovinetta, e s'ella è bella?
XLVII
Disse il pagan: Non domandar di questo.
Che non si vide mai cosa sì degna :
Un allo dolce, angelico e modesto
Di virtù porta, e di beltà T insegna :
Ne' quindici anni entrata, e va pel resto.
11 popol pur di camparla s' ingegna ;
Se tu credessi questa bestia uccidere,
Tu puoi far conto il reame dividere.
XtVIII
Disse Rinaldo : Io non cerco reame,
Io n'ho lasciati sette in mio paese;
10 mi diletto un poco de le dame :
Se così bella è la figlia cortese,
A quella fiera taglierò le squame :
E poi si volse al famoso marchese,
E disse : Andianne, che la dama è nostra,
A la città che '1 saracin ci mostra.
XLIX
Com e' fumo in Carrara i paladini.
Ognun volgeva a guardargli le ciglia ;
Preson conforto tulli i saracini,
E del lion ne prendean maraviglia.
Rinaldo giunse al palagio a' confini,
E salutò Corbanle, e poi la figlia:
Corbanle disse: Tu sia il ben venuto,
Se per la fiera a dar mi vieni aiuto.
r,
Allor Rinaldo rispose : O Corbanle,
11 nome mio è 1 guerrier del lione,
E credo in Apollino e Trevigantej
E non vorrei pel nostro Iddio Macone
Avere a capitar certo in Levante,
Poi eh' io senti' de la tua passione :
Quel disse forte, e quest'altro bisbiglia:
Anzi poi ch'io senti" de la tua figlia.
M O 1\ G A N T i: INI A G (i 1 0 1\ K
L'Iivier pli ocelli a la itonzella «ira,
Mentre tli'ualilo in questo modo parla ;
Subito y>ose al bcrzaj^lio la mira,
E coiuiuciù con gli ocrlii a sacllarla^
E tiillavolta con seco sospira :
Questa non è, dicea, carne da darla
A ilivorarc a la fiera crudele,
Ma a qnalriie amante penlile e fedele,
Lll
Corhante aveva intanto così dello .
Sia clii tu vuoi, o famoso guerriere,
Basta sol che tu credi in Maconielto :
Se tu credessi, gentil cavaliere,
Uccider questa fiera, io ti prometto
Di darti mezzo il reame e Y avere :
E se tu '1 vuo' ancor tutto, i' son contento,
Pur che mi tragga fuor d' esto lormenlo.
i.iii
Come tu vedi la terra è condotta
D' un bel giardino spilonca o deserto ;
La mia figliuola, s'appressa già l'otta,
Che morir dee sanza peccato o merlo.
Ma Ulivier ne la mente baibott» :
Non mangerà sì bianco pan per certe»
Qnesl' animai, eh' egli è pasto da amanti,
Se noi dovessim morir tutti quanti.
LIV
Dimmi pur tosto qual sia il tuo pensiero.
Diceva il re, cit' eli' è presso a le mura.
Ch'io sento il fiato Incomporlabil fiero,
E voi I dovete sentir per ventura :
Disse Rinaldo : lo non vo 'regno o impero ;
Per gentilezza caccio e per natura;
E per amor de la tua figlia bella
La vipra ucciderem crudele e fella.
r.v
Ulivier era un gentil damigello,
E tuttavia la fanciulla vagheggia :
Rinaldo l'occhio teneva al pennello.
Con Ulivieri in Francioso motteggia.
Disse : Il falcone ha cavalo il cappello,
Non so se starna ha veduto o acceggia,
Ma panni questo chiaro assai vedere,
Che noi sarem due ghiotti a un tagliere.
Ulivier nulla rispose a Rinaldo,
Abbassò gli occhi che tenea sì fissi :
Corbante un bando mandò mollo caldo,
Che nessun più de la terra partissi ;
Tanto che il popol comincia a star saldo;
Rinaldo volle così si seguissi,
E fece far» un guanto, s'io non erro,
Coperto tutto di punte di ferro.
LVII
E prese poi da Corbante licenzia,
Che gli fé' compagnia fino a la porla
Con molta gente e con gran riverenzia :
Poi gli diceva : Io non son buona scorta:
Io ti ricordo tu abbi avvertenzia
A la tua vita ; e così lo coofuita :
E in ogni modo te salvar mi piace,
Poi sia che vuol de la fiera rapace.
Queste parole furon grate tanto,
Che se r affisi; Rinaldo nel core,
Il disse : 11 capo arrecarli mi vanto
In ogni modo, cortese signore :
La tua benedizion mi dà col guanto,
Conforta il popol tuo per nostro amore.
Corbante il beneilì pietosamente,
E priega Iddio per lui divotainenle.
LIX
E Ulivieri ancor fece orazione,
Raccomandossi al Salvator divino :
Dinanzi andava il feroce lione.
Verso la fiera teneva il cammino;
Drieto seguiva Rinaldo e Dodone :
Era a vedere il popol Saracino,
Chi in SU le mura, e chi presso a le porle,
Desiderando a 1' animai la morte.
L\
E la fanciidla con faccia serena
Era salita in sur una bertesca :
Disse Rinaldo : Vedi Forisena,
O Ulivier, che di te par gì' incresca ;
Amore è quel eh' a vederti lei mena.
Ulivier disse : La danza rinfresca ;
Tu hai disposto di darmi oggi noia :
Alteudiam jiur che questa fiera muoia.
LXl
Dicea Rinaldo : Sarai tu sì crudo.
Che tu non guardi questa damigella ?
Tu non saresti d'accettar per drudo:
Che crederestu far, se la donzella
Avessi in braccio per tua larga o scudo ?
Atterreresti tu la fiera, o quella ?
Disse IMivier : Tu se' pur per le ciance,
E qua sa d' altro già che melarance.
Lxn
E come e' disse questo il lion mostra
Il serpente, die fuoco vomitava.
Disse Ulivier : Questa è la dama nostra,
E dì vederla, Rinaldo, mi grava.
Disse Rinaldo: O Ulivier, qui giostra
A enere e Marte ; e di nuovo cianciava.
La vipera crudel tosto si rizza,
E fuoco e losco per bocca gli schizza.
LXIII
Parca che 1' aria e la terra s' accenda :
Rinaldo aveva spugna con acelo,
E lutti, perchè il fiato non gli offenda ,
E disse : () animai jioco discreto,
(<he pensi tu, che noi siam tua merenda,
Poi che tu vieni in qua coutra divieto ?
E detto questo del cavallo scese ;
E così fece Dodone e '1 Marchese.
LXIV
Non fu prima smontato di Baiardo,
Cli' a Dodou giunse V animale addosso :
Dettegli un mor,-o sì fiero e gagliardo,
Con ranne gli schiacciò, la carne e V osso.
Dodon gridava: Omè lasso, ch'io ardo:
Aiutami, Ulivier, die più non posso ;
E (-jLàd" tramortito e st»airiazzalo
Subito in terra pel morso e pel fiato.
W O l\ G A N 1 K M A (i G 1 0 K K
l'li%ipr lartli aiiiUrlo si nio«sp,
El a Doiion non jiolr dar sorr<irs<) :
Adnnqne il primo rh' assa^&ia, *i russe ;
Ed ann» r' r per im r<iMipa}:n(> un morsa ,
Pcrrlif il serpente nn trailo il rjpo srossr:
E poi pigliava nivier rum" «ni torso;
E per venlnra a la gamba s' appicca,
E i denti lutti ne l'anue gli <icca.
I.XVI
E' si sentì l'arnese sgretolare,
Che non iygrelolò mai osso cane :
E pi>i pel braccio lo vt)lic ciiifTaBe ;
Ma l livieri aiioptra le mane,
Ch' avea quel {inanto Rinaldo fé' fare :
E non è tempo a questo a dar del pane,
0 dir rbe San Donnin gli allenili 1 d«Miti:
Clie converrà pur die faccia altrimenti.
LXVII
MÌ5$e£»li il p:uaTito e la nian ne la strozza,
Però die molto lo sarida Rinaldo ;
Tanto che lutto 1 serpente lo upozza,
E strinse : e Ulivier lo tenne saldo,
E con la spada la testa gli mozza :
Ma nel morir pel fetore e pel calde
Ulivier cadde tramorlilo in terra;
Ma il capo del serpente non si sferra,
I.WIll
Che nel finir la bocca in modo strinse,
Cir Ulivier trar non ne potè la maao:
Rinaldo tutto nel viso si tinse,
E sferrar lo credette a mano a mano,
Ma non potea, tanto il dolor lo vinse
Del tristo caso d" Ulivieri e strano;
Pur laute volle la spada v' accocca.
Che gliel cavò eoo fatica di bocca.
LXIX
Ma quel lion, eh* eali avcvan menalo.
Si «lette sempre di mezzo a vedere.
Perchè se fosse da alcim domandato
Di questo fallo, il voleva sapere.
Era Dodon già di terra levalo ;
Ma Ulivier pur si stava a ehiacere:
1 saracin corrien fuor de la porta,
Facendo festa che la fiera è morta.
Venne Corbanle con molta brigala,
A veder come questo fatto er'ito*,
Vede la bestia in terra rovesciala.
Vede Dodon sanguinoso e ferito.
Vede Ulivier con la mano affocala,
Che morto gli parea, non tramorlilo :
Vede la terra per la fiera arsiccia,
De la qual cosa assai si raccapriccia.
I.XXI
Vede la testa del fiero dragone.
Che gli parve a veder mirabii cosa,
Vede Rinaldo turbalo e Dodone,
Perdi" Ulivieri in terra si riposa;
Ebbe di questo gran compassione:
^ edevagli la gamba sanguinosa ;
E non sapea con che parole o gesti
Si condolesse o ringraziasse questi.
LXXII
Abbracciò infili Rinaldo lacrimando,
l-> ])oi Dodon, dicendo : Raroii degni,
(ionie ]>olrò mai ristorarvi, u quando ?
Da Macon credo che tal grazia vcgni,
Che in (jueste parli vi venne mandando :
Ecco la vita e tutti i nostri regni,
£ la corona con lo tcettro nostro:
Disposto suuu ugni cosa »ia vostro.
LXXUl
Ma sempre piangerò, se quesl' è morto,
Che par sì degno e gentil cavalieri :
Disse Rinaldo : Re, dalli conforto.
Che pianger di costui non fa mestieri :
Il tuo parlare assai ci mostra scorto
Che tu sia grato e giusti i tuoi pensieri ;
La tua corona e '1 regno V .iccellianio,
E come nostro n le lo ridoniamo.
LXXIV
Non aveva Rinaldo appena detto,
Cir Ulivier cominciossi a risentire:
E risentito il re veggendo ap}ietlo,
E tanta gente, cominciò a stupire.
Come chi nuove cose per obbirlto
Vede in un punto, e non sa che si dire :
Ma a poco a poco rivocò la vita :
Ed ogni ammiraziou fu dipartila.
I.XXV
Al popolo era orrore e maraviglia,
Veggendo quel eh' han fatto i paladini:
Era venuta per veder la figlia
Del re Corbanle con que' saracini,
Glie 'i sol, qaand' è più laceule simiglia,
E tutti gli atti suoi paion divini:
E Ulivier questa donzella guarda,
Che non s"* accorge ancor che U suo cor arda.
txxvi
11 re Corbanle al popol comandava,
Ch" a la città portato sia il serpente ;
E poi Rinaldo per la man pigliava,
E torna a la città con la sua genie :
E come e" giunse a la terra, ordinava
Di lasciar parte ài un tanto accidente
Al secol nuovo; e quella fiera morta
Col capo fe^ appiccar sopra la porta.
Lxxrii
E lettere scolpile in marmo, d'oro;
Nel tal tempo, dicea, qui capitorno
Tre paladini (e scrisse i nomi loro.
Perchè in segreto gliel manifeslorno)
Che liberornu il popol da marloro
Per questa fiera a cui morte dooorno,
Ch' era apparita là mirabilmente,
E divorava tutta la sua genie.
LXXVIII
E come il giorno a la fanciulla bella
Toccava di dover morire per sorte,
Clie i tre baron' vi capitorno in sella.
Che liberala 1" avean da la morie.
Per lunghi tempi si polea vedella
La storia, e 1 animai sopra le porte,
Che così morto faceva paura
A chi voleva enlrar drente a le mura.
M 0 RG A N TE M AGG I O U E
r.xxix
E nel palagio Rinaldo mpn»W',
E t!;raiiile onor eli fere lielanuMile ;
E i nietlici trovava, e roniaii'liW
("he nìedirassin diligenlemente
l'iivieri e Dodon, che h'\sn^n6e
Olì' ojjiiun più piorni del suo mal ti sente:
E Forisena intanto, come astuta,
De r amor d Ulivier s'era avveduta.
E perchè amor malvolentier perdona,
Cli' e' non sia al fin sempre amato chi ama,
E non saria sua lefrge giusta e buona,
Di non trovar merzè chi pur la ciiiama ;
Né giusto sire il suo servo abbandona ;
Poi che s'accorse questa gentil dama,
Come per lei si moriva il Marchese,
Subito tutta del suo amor s accese.
LXXXI
E cominciò con gli occhi a rimandare
Indrielo a Ulivier gli ardenti dardi
Ch' amor sovente gli facea gittare.
Acciò che solo im foco due cor ardi.
Venne a vederlo un giorno medicare,
E salutol con amorosi sguardi :
Ciie le parole fur ghiacciate e molle ;
Ma gli occhi pronti assai com' amor volle.
LXXXII
Quando Ulivier sentì che Forisena
Lo salutò così timidamente.
Fu la sua prima incomportabil pena
Fuggita, eh altra doglia al suo cor sente :
L' alma di dubbio e di speranza piena ;
Ma confirmato assai par ne la mente
D' essere amato da la damigella,
Perchè chi ama assai, poco favella.
txxxiii
Videgli ancor, poi che più a lui s'accosta,
11 viso tutto diventar vermiglio,
E brieve e rotta e fredda la proposta
Nel condolersi del crudele artiglio
De r animai che per lei car gli costa,
E vergognosa rabbassare il ciglio :
Questo gli dette massima speranza ;
Che così de gli amanti è sempre usanza.
LXXXIV
Ella avea detto : Il mio crudo destino,
I fati, il cielo e la spietata sorte,
O qual si fosse altro voler divino,
M' avean condotta a sì misera morte :
Tu venisti in Levante, paladino,
Mandato certo da 1 eterna corte
A liberarmi, e per te sono in vita :
Dunque io mi dolgo de la tua ferita.
txxxv
Queste parole avean passalo il core
A Ulivieri, e pien sì di dolcezza.
Che mille volte ne ringrazia amore.
Perchè conobbe la gran gentilezza:
Are' voluto imianzi al suo signore
Morir, che poco la vita più prezza,
E poco meli che non dissi niente ;
Pur gli rispose vergognosamente.
I.XXXVT
Io non fé' cosa mai so4to la luna.
Che d' aver fatto ne sia più contento.
S* io t' ho campala da sì rea fortuna.
Tanta dolcezza nel mio cor ne sento.
Che mai più siniil ne senti' alcuna :
So che t' incresce d'ogni mio tormento.
Altro duol c'è che chiama altro conforto:
Così m' avesse quella fiera morto.
LXXXVJI
Intese bene allor quelle paróle
La gentil dama, e drento al cor le ferisse;
Sì pretto insegna amor ne le sue scole;
E fra sé slessa sospirando disse :
Di quest'altro tuo duolo ancor mi duole,
Forse non era il me' che tu morisse :
Mon sarò ingrata a sì fedele amante;
Chio non son di diaspro o d'adamante.
LXXXVIII
Partissi Forisena sospirando,
E Ulivier rimase tutto afflitto,
De la ferita sua più non curando.
Che da più crudo artiglio era trafitto:
Guardò Rinaldo, e quasi lacrimando,
Non potè a lui tener 1' occhio diritto,
E disse : Vero è pur che luom non possa
Celar per certo 1' amore e la tossa.
LXXXIX
Come tu vedi, caro fratel mio.
Amor pur preso alfin m' ha co' suo' artigli;
Non posso più celar questo desìo ^
Non so che farmi, o che partito pigli ;
Così sia maledetto il giorno eh' io
Vidi costei : che fo ? che mi consigli ?
Disse Rinaldo : Se mi crederai,
Di questo loco ti dipartirai.
xc
Lascia la dama, marchese Ulivreri :
Non fu di vagheggiar nostra intenzione,
Ma di trovare il signor del quartieri ;
E "1 simigliante diceva Dodone :
Tanto si cerchi per tutti i sentieri.
Che noi troviamo il figliuol di Milone.
Ulivier consentia contro a sua voglia,
Che lasciar Forisena avea gran doglia.
xci
E poi che fu dopo alcun dì guarito,
Così Dodone insieme s' accordaro
Lasciar Corbante per miglior partito,
E che si facci de' lor nomi chiaro,
Sì eh' e' possi" saper ehi l'ha servito:
E oltre a questo ancor deliberaro
Tentar se il re volesse battezzarsi
Col popol suo, e lutti Cristian farsi.
xcn
Avea Corbante fatti torniamenli,
E giostre e feste e balli a la moresca,
Per onorar costor con le sue genti ;
E ogni dì nuove cose rinfresca,
Perchè partir da lui possin contenti :
Ma a Ulivier pur par che '1 suo amor cresca.
Finalmente Rinaldo un dì chiamava
11 re Corbante, e in tal modo parlava :
M O U G ANT E M A G G I 0I\ E
Serenissimo re, fu il mio Ialino,
P<'rrl)è d.i le ci lp{;n.in»<i onorali,
(Qne.tlo gli disse in parlar ^Saracino)
Sempre di le ri .sarem riconJali :
K poi cJi'epli è ro.-i voler divino,
('lie i nomi nostri li 5Ìen palesali ;
Io son Rinaldo, e lui fi^linol d" Amone,
Bench'io m'appelli il guerrier del lioiie.
xciv
E qnesto è Ulivier di' ha lanla fama,
E copnato è del nostro conte Orlando :
Costui Dodon fipliiiol d' Upgier si chiama,
Che venne Macomello già adorando r
Or per segnir piii olire nostra braina,
Così pel mondo ci andiani tapinando:
Perchè di corte Orlando s' e partito,
Né ritrovar possiamo ove sia gito.
xrv
Detto ci fu, elle qua verso Levante
Era venuto da un nostro abate,
E eh' egli aveva con seco un gipante ;
Cercando andiam drielo a le sue pedale :
Or ti dirò più oltre, o re Corbante;
Perchè pur Macometlo qua adorate.
Siete perduti ; e il vero Iddio è il nostro,
Che del vostro peccar gran seguo ha mostro.
xcvi
Non apparì questo animai crudele
Sanza permission del nostro Iddio
A divorare il popolo infedele :
3Ia periir egli è pietoso e giusto e pio,
T' ha liberato da si amaro le!e.
Perchè tu lasci Macon falso e rio :
Fa che conosca questo beneficio,
Sanza aspettar da lui maggior giudicio.
XOVII
Lascia Apollino e gli altri vani iddei,
E torna al nostro padre benedetto,
E Belfagorre e mille farisei ;
Battezza il popol tuo eh' è maladetto.
Di ciò molte ragion t' assegnerei ;
Ma tu se' savio, e intendi con effetto :
So che conosci ben, che quel dragone
Non apparì qua a te sanza cagione.
XCVIII
Ogni cosa t' avvien pe' tuo* peccati ;
Tu se' il pastor che gli altri dei guardare;
E molto pili di te sono scusali;
Non t' ha voluto Cristo abbandonare :
^^•dl « ir a tempo (jua fuinnio mandati ;
Cilie l.i Ina figlia )ia voluto &alvare ;
Dunque ritorna a la sua santa fede
Di queir lildio eh' ebb« di le mercede.
xcu
Parve che Iddio ispirasse il pagano ;
E rispose piangendo, e rosi disse :
Duncjue tu se' il signor di .Moiitalbano
Al qu.d siinU già mai nel moiMhi visse !
E questo è L'iivier ch'udito abbiano
Nomar già tanto I 11 vostro lildio perinissc
(!he voi venissi certo, e non Macone :
E abbraceiogli, e così ancor Dodone.
e
E pianse i suo' peccali amaramente,
E disse : Io veggo in quanto lungo errore
Istalo son con tutta la mia gente.
E cosi il nostro eterno Salvatore
Per molte vie allumina la mente,
E desta in qualciie modo il peccatore :
E spesso d un gran mal nasce un gran bene:
Ch'ogni giudicio pel peccato viene.
CI
Corbante fece venir Forisena,
E disse ancora a lei chi son costoro
Cile r avean liberata d'ogni pena,
E poi mandò per tutto il concistoro.
Tanto che presto la sala fu piena.
Parata tutta di bei drappi d oro :
Poi sali in sedia, e fé' tale orazione.
Che tutto il popol volse a sua inlenzione.
cu
E fece battezzar piccoli e grandi ;
Per tutto il regno suo fu ordinato,
(>h" ognun seguisse i suo precetti e bandi ;
E poi eli' ognun cosi fu battezzato.
La fama par che per tutto si spandi
De tre bacon, che vi son capitato;
Ma i nomi lor, quanto Piinaldo volle,
Celò Corbante a tutto il popol folle.
CHI
E riposarsi alquanto a lor diporto ;
E tutta la città facea gran festa ;
Tcinlo del vero Iddio prcsou conforto,
De la sua grazia, e de la sua potestà.
Come ne 1' altro dir vi sarà porto,
Dove la storia sarà manifesta:
E priego il re de la gloria infinita,
Che vi dia pace e gaudio e requie e Aita.
^W
M01\ GANTE MAGGIORE
CANTO V
ARGOMENTO
-ì^2►l>^=H^-
D,
i~' al IP. (mi biinic fiinrin diparlcnza
I tre confederali paladini,
E Llii'icr con poca coscienza
Lascia che Foriscna si tapini :
Da una finestra con piena avvertenza
Ella si getta agli ultimi destini.
Malngigi il cavai toglie a Rinaldo,
Che niandaaimorti un mostro per castaido.
X lira colomba piena d' umihade,
In cui discese il nostro immenso Iddio
A prender carne con nmanitade,
Giusto santo verace eterno e pio,
Donami grazia per la tua bontade,
(Ih' io possi seguitare il cantar mio
Pel tuo Joseflb e Giovacchino ed Anna,
E per colui che nacque a la capanna.
II
Rinaldo e '1 suo Dodone e 1 gran Marchese
Gran festa fanno co' nuovi cristiani ;
E battezzato è già tulio il paese
Dei re Corbante, e i suo' primi pagani ;
E Ulivier per la dama corte^e
Ogni dì fa mille pensieri strani ;
Ed ora in lorniamenli ed ora in giostra.
Per piacere a costei, gran forza mostra.
Ili
E benché assai lo pregasse Rinaldo,
Non si poteva accommiatare ancora ;
Che la donzella lo teneva saldo,
Coni' ancora la nave lien per prora : '
Quanto è più offeso il foco, è poi più caldo ;
Così più sempre Ulivier s' innamora.
Quanto Rinaldo il partir più sollecita;
Ed ogni scusa gli pareva lecita.
IV
Quando fingea non esser ben guarito;
Quando fingea qualch' altra malattia:
E dicea il ver, ch'egli è nel cor ferito:
Quando pregava, quando promettia :
Doman ci partirem, preso lio partilo.
Lasciam costor nel nome di Maria,
E Ulivier così morire amando,
E ritorniamo ov' io lasciai Orlando.
Meridiana la dama gentile
Manda a saper se volea la battaglia
A corpo a corpo, con alma virile.
Orlando dice : Io non vesto di maglia
Per conlastare una femmina vile,
Ch' i' prezzo men <h' un bisanle o medaglia.
Sicché per questo, e pel suo Lionello
Troppo si duol costei di Macomelto.
vi
Dicendo : Almen facessimi morire.
Poi che sprezzata son da quel villano.
Che mai più ebbe cavaliere ardire
Combatter meco con la lancia in mano.
Ma in questo tempo si facea senlire
La fama del signor di Montalbano ;
Come Corbante avea seco un barone,
Che si chiamava il guerrier del bone;
VII
E eh' egli er' uom eh' avea molto potere,
E come morto ha il serpente feroce.
Meridiana a un suo inessaggiere
Impose, e disse eh' andasse veloce
Al re Corbante, e fac( igli assapere.
Come per tulio è vulgata la voce
Di questo cavalier eh' è tanto forte,
Il qual con seco teneva in sua corte.
vili
E come Manfredonio a la sua terra
Ha posto il campo con crudele assedio,
E tuttavia con sua gente la serra ;
E non ha ignun, per tenerla più a tedio, •
Ch'a corpo a corpo con lei voglia guerra:
Che gli dovesse mandar per rimedio
Questo guerrier eh' avea tanta possanza,
Pel parentado antico ed amistanza:
IX
Però che già per tutto l'oriente
La fama di costui molto sonava.
Il messaggier n'andò subitamente:
Al re Corbante si rappresentava,
E spose la 'mbasciata saviamente :
Perchè Corbante a Rinaldo parlava.
Come il re Carador quel mezzo manda,
E la sua figlia a lui si raccomanda.
X
Se tu credessi da questo marloro
Liberar la donzella, io ti conforto,
Dicea Corbante, andare a Caradoro ;
Però eh io so che Manfredonio ha il torto,
E Ila menato tutto il concistoro;
Forse, se fia da te punito e morto,
Re Caradoro si baltezzerae
Come ho fati' io, e Cristo adorerae.
M O l\ (ì A N T K M A i\ G I () W K
Rinaldo (l.ì 1 almti- prima inlrsr,
Cile in quel p.ìcsf .ivc.ì iii.ii)it;it<> Oiljmii»
Ri^jKisr : A Manfretiiin, mollo corle>«*,
La lesta leverò c(m questo bramlo,
O re (.orhaiile : cW a «i giuste iiiiprese
Sarò seiii|ir(* <li>>poslo al tuo roinaii<lo.
Dicea Corliaiite : Caradoro è aiilirt»
l'arcutc uo>lro, e diijcrelo a 1' ainiro.
XII
Disse Rinalilo : Or rispondi al valiello,
r.l»e per amor di te ne son contento ;
hd ho speranza, e cosi pli proniello.
Di satvar la sua gente ftiori e drento ;
Vj Manfredonio il campo a suo dispetto
Leverà presto, e le bamliere al vento,
(orbante il rinjrraziò benii;namentc
De le jiarole die si grate sente .
XIII
E poi sì vo^se al messo Saracino :
Dirai, che volentier la impresa jtiglia,
A Caradoro, questo paladino •,
l\. del suo artlir si farà maraviglia ;
Sia chi si vuol del popol d' Apollino,
Cir a nessun questo volgerà la briglia :
Se ftisse Orlando, quel eh' ha tanta fama,
Noi lem.erebbe , cosi di a la dama.
xiv
Vedi il lion che lullavia V aspetta :
Non è Laron di cui nel mondo dotti :
Aedi qiie' due che son là di sua setta:
Questi fanno assai fatti e pochi molti.
Il messaggier si dipartiva in fretta ;
Corbante tlisse che voli, e non trotti.
Tanto che presto tornò a Caradoro,
E riferì, come e' vengon costoro.
XV
E che parca quel guerrier del lione
Vn Mom molto famoso in vista e forte :
E d' Ulivier «liceva e di Dodone :
Non è baron, Caradoro, in tua corte
Da metterlo con questi al paragone :
Corbante dice, die tu ti conforte.
Perchè colui che si chiama il guerriere.
Non temerebbe Orlando in sul destriere.
XVI
Rinaldo da Corbante accommialossi,
E molte offerte fece al re pagano,
Che sempre sare' suo, dovunque e' fossi :
Né anco il re Corbante fu villano
A la risposta : e così si son mossi,
E benedetti, e baciati la mano :
E Ulivieri avea potuto appena
Addio, piangendo, dire a Forlsena.
XVII
La qual reggendo partire Lfllvieri,
Avea più volle con seco disposto
Di seguitarlo, e falli slran pensieri.
Né potè più il suo amor tener nascosto :
E la condusse quel bendato arcieri.
Per veder quanto Ulivier può discosto,
A un balcone ; e V arco poi diserra,
Tanto che questa si giltava a terra.
Il padre suo, che la novell.1 sente,
Corse a vederla, e giunse, ch'era moria;
A la sua vita non fu si dolente ;
E intese ben quel die 'l suo caso imporla,
1'^ come amore è «juel <;hc lo consente :
1'. se non fosse alcun che lo conforta,
E chi la mano, e chi 'I braccio gli pigli>t °-
Uccider si volca sopra la figlia.
XIX
E dicea : Lasso, quanto fni contento
Quel di che m<irta V aspra fera vidi !
I''d or tanto d(dor nel mio cor sento ;
E cosi vuogli, amor, così mi guidi ?
Ogni dolcezza volta ni' ha in tormento :
() mondo, tu non vuoi che in le mi fidi :
Lasciato m' hai, o misera fortuna,
Afditto vecchio e sanza speme alcuna.
XX
F'ece il sepolcro a modo de' cristiani,
E missevi la bella Eorisena ;
E lettere intagliò con le sue mani.
Come fu liberata d ogni pena
Da tre baron di paesi lontani ;
E come a morte il suo destili la mena
Pur finalmente, come piacque a amore,
Nel dipartirsi il suo caro amadore.
XXI
Non si può lor quel che'] ciel pur destina:
li mondo col suo dolce ha sempre amaro :
Questa fanciulla così jieregrina
Il troppo amare alfin gli costa caro :
E IHivier pe'boschelli cammina,
E non sa quel che gli sare' discaro :
E chiama Eoriseiia notte e giorno :
In questo modo più dì cavalcorno.
XXII
U^n giorno in un crocicchio d'un burrone
Hanno trovato un vecchio mollo strano
Tutto smarrito, pien d'afdizione:
Non pareVa bestia, e non pareva umano :
Rinaldo gli venia compassione :
Chi fia costui? fra sé dicea pian piano;
Vedea la barba arruffata e canuta ;
Raccapricciossi, e da presso il saluta.
XXIII
E' gli rispose facendo gran pianto,
Per modo di' a Rinabio ne'ncrescea:
Per la bontà de lo Spirito Santo,
Abbi pietà de la mia vita rea :
Uscir di questo bosco non mi vanto.
Se non mi aiuti (e del tristo facea)
Lasciami un poco in sul cavallo andare,
Per queir Iddio che li può ristorare.
XXIV
Rinaldo disse: Mollo volentieri.
Che tu mi par, vecchierel, mezzo morto :
E subilo si getta del destrieri.
Perchè e' vi monti e pigliasse conforto.
Intanto viene Dodone e Ulivieri :
Rinaldo dice questo fatto scorto:
Disse Dodon : Tu se' mollo cortese ;
E del cavai per aiutarlo scese.
M O I\ G A N T i: MAGGIO 1\ ìi
Rinaldo tien Baiardo per la brif^Ha,
E Dodon j)ij>,lia questo veccliio aulico :
Baiardo allor rnoslrò j^raii maraviglia,
ET veccliio soliiva come suo nimico:
Rinaldo slrelle le redini pitilia,
E Dodon pure aitila come amico :
Raiardo allor più le redini scuole,
Ed or col capo, or co' calci percuote.
XXVI
Ma poi Hie pur si lasciò cavalcare,
Quel vecchierel, come e' fusse una foglia,
Tenea la briglia, e faceval tremare ;
Poi correr lo facea conlr' a sua voglia.
Disse Rinaldo a Dodon : Che ti pare?
10 dubito die mal non ce ne coglia;
11 vecchio corre, e non mi pare or lasso,
Che non parrà da dover ir di passo.
XX VII
Dismonta, o Ulivier, di Veglìantino:
Ulivieri scendeva da cavallo :
Rinaldo drieto pigliava il cammino
A questo vecchio, e cominciò sgridali©:
Aspetta, tu ti fuggi, can mastino,
Sì che tu credi in tal modo ruballo ;
Ma nulla par che con quel vecchio avanzi;
Che sempre più gli spariva dinanzi.
xxvni
E Vegliantin sudava per l'affanno,
E va pel bosco che pare imo strale.
Disse Rinaldo : Vedrai beli' inganno,
Che questo vecchio par che metta l'ale:
Io fu' pur matto, ed arommene il danno:
E chiama, e grida ; ma poco gli vale :
(jolui correva come leopardo ;
Anzi più forte, s'egli avea Baiardo.
XXIX
Ma poi ch'egli ebbe a suo modo beffalo
Rinaldo, al fin se gli para davanle,
E 'n su 'n un passo del bosco ha aspettalo:
Vegliantin tanto mostrava le piante,
Che lo giungea : e Rinaldo è infocato.
Disse Malagigl : Che farai, brigante?
Quando Rinaldo sentiva dir questo,
Lo riconobbe a la favella presto.
XXX
E disse: Tu fai pur l'usanza antica;
Tu m' hai fatto pensar di strane cose,
E dato a Vegliantin molta fatica.
Allor Malgigì in tal modo rispose:
T« non sa' ancora innanzi eh' io tei dica,
Di questo testo, Rinaldo, le chiose.
Dodone in questo, e '1 Marchese giugneano,
E Malagigi lor riconosceano.
XXXI
Gran festa fecion tutti a Malagigi
D' averlo in luogo trovalo sì strano.
Disse Malgigi : Io parti' da Parigi,
E feci r arte un giorno a Monlalbano ;
Volli saper tulli i vostri vestigi :
Vidi stavate in paese lontano,
E che portalo avete assai periglio,
E bisoa;nava ed aiuto e consiglio.
Per questa selva ove condotti siete,
Non trovereste da mangiar né bere,
E sanza me campati non sarete.
Di questa barba vi convien avere,
Che vi torrà e la fame e la sete :
Vuoisene in bocca a le volte tenere;
E dette loro un' erba, e disse : Questa
Usale insino al fin de la foresta.
XXXIII
Mangiaron tulli quanti volentieri
De r erba che Malgigi aveva detto,
E niissonne poi in bocca anche a'destrieri,
di'' era ciascun da la sete costretto :
Disse Malgigi : Per questi sentieri
Serbatene, vi dico, per sispelto:
I destrier sempre troveran de 1' erba ;
Ma questa per la sete si riserba.
xxxiv
Non vi bisogna d' altro dubitare ;
Con Manfredonio è il roman senatore
Orlando, e presto il potrete trovare.
E delle molte cose, un corridore
Subilo fece per arie formare;
Tanto eh' ognun gli veniva terrore;
Che mentre ragionare altro volieno,
Apparì quivi bianco un palafreno.
xxxv
Disse Malgigi: Caro mio fratello,
Toti Boiardo tuo, ch'io son fornito.
Rinaldo guarda quel cavai sì bello,
E dicea : Questo fatto com' è ilo ?
Malgigi presto montò sopra quello,
E fu da lor come strale sparito :
A tutti prima toccava la mano,
E ritornò in tre giorni a Montalbano.
xxxvi
Dumila miglia al nostro modo o piiie
Era da Montalban, si trova scritto,
Dal luogo dove accomiatato fue
Rinaldo, e '1 suo fratel lasciava afflitto;
E molte volte ha chiamato Gesiie,
Che lo conduca per senlier diritto :
E già sei giorni cavalcato avia
Drieto al lion che mostra lor la via.
xxxvii
11 sesto di questo Baron gagliardo
In un oscuro bosco è capitalo:
Sentì in un punto fermarsi Baiardo :
Vede il lion che '1 pelo avea arriccialo,
E che faceva molto fiero sguardo ;
E Vegliantin parca tutto aombrato :
II cavai di Dondon volea fuggire;
E raspa e soffia e comincia nitrire.
XXXVIIL
Disse Rinaldo: Oh Dio ! che sarà questo?
Questi cavalli ban veduta qualch' ombra.
Intanto un gran romor si sente presto,
Che le lor mente di paura ingombra :
Ecco apparire im uom mollo foresto
Correndo, e'I bosco attraversava e sgombra;
E fece a tutti una vecchia paura.
Che mai si vide più sozza figura.
i
AI O I\ r. A N T E M A ('. (; 1 0 K K
XXXIX
Egli avfa il capu che parca «1' un orsù
Pilo50 e Cero : e i denti cttme zanne
Da spiccar netto d' «ipni pietra un morso \
La lingua tutta scagliosa e le canne :
Vn occhio avea nel petto a mezzo il torso,
Cir era di fuoco e largo ben due spanne :
La barba tutta arricciata e i capegli,
Gli orecchi parean d' asino a Tcdegli ;
XL
Le braccia lunghe, setolose e strane,
Il petto e 1 corp») piloso era tutto ;
Avea gli unghiou' ne piedi e ne le roane,
Che non portava i zoccol per l'asciutto;
Ma ignudo e scalzo abbaia com' un cane.
Mai non si vide uu mu>tro cosi brutto :
£1 in man portava un gran baston di sorbo
Tutto arsicciato, nero com' un corbo.
XLI
Questo una Buca sotterra avea fatto,
£ sopra quella forato un gran masso.
Quivi si stava, e nascondeva il matto :
Verso la strada avea forato il sasso,
E per un bucolin Iraea di piatto,
E molta gente saettava al passo.
Facea de gli uoniin micidial governo ;
E chiamai' era il mostro da 1 inferno.
Rinaldo, quando apparir lo vedia.
Diceva a Ulivieri : Hai tu veduto
Costui, che certo la Versiera fia ?
Disse L'iivieri.: Dio ci sia in aiuto ;
Credo piuttosto sia la Befania,
O Belzebù che ci sarà venuto :
Guardava il petto e la terribil faccia,
Il baston lungo piii di dieci braccia.
XLIII
Quest' animai venfa gridando forte;
E come 1 orso adirato co cani,
I?pezza e i rami e i pruni e le ritorte
Con quel baston co' piedi e con le mani.
Disse Dodon : Sare questa la morte.
Che ci assalisse in questi boscìii strani ?
Se tu riguardi, Rinaldo, i vestigi,
De compaguon mi par di Malagigi.
XLIV
Disse Rinaldo: Non temer Dodone,
Se fusse ben la morte, o il trentamila,
Lasciai venire a me questo ghiottone ;
Ch' a maggior tela ho stracciate le fila.
Intanto quella bestia alza il bastone,
E inverso di Rinaldo si disfila :
Rinaldo punse Baiardo in su" fianchi,
Acciò che "1 suo disegno a colui manchi.
Dallato si scagliò com' un cerviello:
Giunse la mazza, e dette il colpo in fallo:
Rinaldo intanto si misse in assetto ;
Coisegli addosso presto col cavallo;
Dettegli un urto, e colselo nel petto
Per modo che sozzopra fé" cascallo ;
E nel cader quest' animale strano
Forte abbaiava com' un cane alano.
Dodon die vide quel diavoi cadere,
Diceva a l'Iivier : Corriamgli addosso,
Acciò che non »i levi da giacere.
Di>se Rinaldo : Ignun non si sìa mosso :
Tirati a dricto, e statevi a vedere,
Ch' io non sono uso mai d' esser riscosso.
In questo 1' uom salvatico si rizza
Col sorbo picn di furore e di stizza.
XLVII
E scaricava nn colpo in su la testa
Per modo tal, che se giungea Rinaldo,
E gli bastava solamente questa,
E n<m sentia mai piii freddo né caldo.
Rinaldo non a.-'petta la richiesta,
Che com' argento vivo slava saldo:
Or qua or là facea saltar Baiardo,
Avendo sempre al prolino riguardo.
XLVIII
Farea un lioncin quando egli scherza.
Che salta in qua e in là destro e leggieri:
Alcuna volta menava la sferza.
Poi risaltava che pare un levrieri.
Era già r ora passala di terza,
E pur Dodon dicea con Ulivieri :
10 temo sol Rinaldo non si stracchi :
Tanto eh' un tratto quel baston l'ammacchi.
XLIX
Colui non par che si curi un pistacchio,
Perchè Frusberta gli levi del pelo ;
E pur atlf^nde a scaricare il bacchio ;
E la spada del prenze torna al cielo :
Misericordia di questo batacchio.
Aiuta Iddio chi crede nel vangelo :
Quel baston pare un albero di nave.
Arsiccio duro e nocchieruto e grave.
L
Avean già combattuto insino a nona
Rinaldo e quel gran diavolo incantalo :
Rinaldo gli ha frappata la persona,
E molto sangue in terra avea gittato ^
E tuttavia con Frusberta lo suona :
Un tratto quel bastone è giù calato «
Rinaldo per disgrazia gli era sotto,
E non poteva fuggir questo botto.
LI
Attraversò la spada per coprire
11 capo, che del colpo ebbe ribrezzo :
Giunse il bastone. Or qui volle alcun dire
Già che Rinaldo gliel tagliò sol mezzo,
Ma poi si ruppe il resto nel colpire :
Chi dice che di netto il mandò al rezzo :
Donde^e^s'è fatta gran dispulazione.
Come quel fatto andasse del bastone.
LII
3Ia questo a giudicar vuol buon^rammalico,
S eeli tagliò tutta o mezza la mazza :
Quel maledetto e ruvido e selvatico,
E a=pro più che 1 sorbo eh' e" diguazza.
Arrandeilo quel tronco come pratico ;
Dette a Rinaldo una percossa pazza.
Tanto che cadde, e di poi si fuggia ;
Ma Ulivier lo sejrue tuttavia.
MOK(r\NTK MAGG lOHE
Tr.Tsse la spaila, rlie par rlie riluca
Pili rlic non fi-ce mai lajfpit» di stella,
Acciò clic '1 cuoio con essa {;li sdruca ;
(^)ncsta fiera bestiai crudele e fella
Si fufij^i come il tasso ne la Luca ;
Ulivier si rimase in su la sella,
!■- ritornossi dov' era caduto
Rinaldo, che fjià s' era riavuto.
MV
Disse Rinaldo : Vedcslu mai tortlo
Cir avesse, coni' ebli' io, de la ramala?
(U)slni pensò di e;narirmi del sordo, <
Se fosse riuscita la pensala.
Disse Dod(to : Qiiand' io me ne ricordo,
10 Iriemo ancor di quella randellala :
Che hai lu fallo di lui, Uliveri ?
Tu {^li corresti drielo col destrieri.
i,v
Disse Ulivieri : Egli è nalo di granchi :
Egli entrò in nna buca sotto nn masso,
]Menlre «li' io gli ero con la spada affianchi,
O si toruò in inferno a Satanasso.
Intanto colui par eh' nn arco abbranchi,
Ivi uno slral cavò d' nn suo Inrcasso
Avvelenalo, e fessi al Itncolino :
E trasse, e delle in un pie a Veglianlino.
r.vi
E se non fnsse die giunse al calcagno.
Quanto potè più basso a 1' unghia moria,
N()n bisognava medico né bagno.
Disse Rinaldo : la pace le lo porta :
(.0' pazzi sempre fu poco guadagno :
11 mio lion non ci fa buona storta :
Poi non veggeodo ond' egli avessi trailo,
Ognun reslava come stupefallo.
L\ll
Disse Rinaldo : A quel sasso mi m«na
Ulivier, dove lu il vedesti entrare :
Yeggiam se questa bestia da catena
Si ])olesse a la trap])oIa pigliare,
Ch'io so ch'io gli darò le frutte a cena,
S' io lo tio vessi col fuoco sbucare :
Sali sopra Baiardo, e insieme andorno,
E in nn trailo quel sasso accerchiurno.
LVllI
Colui eh' è drento, assetta lo scoppietto,
E stava al bucolin quivi a la posta ;
Trasse imo strale a Rinaldo nel petto,
Ciie si pensò di passargli ogni costa;
]\la la corazza a ogni cosa ha retto :
Rinaldo allor da la buca si scosta,
E disse : Così ancor non se' sicuro,
Se '1 sasso più che 'i porfir fusse duro.
I,IX
Poi che tu m' hai saettato, ribaldo,
E randellato, che mai più non fue
Gillalo in terra in tal modo Rinaldo ;
Io ti gasliglieróe pel mio Gesue:
E COSI tulio di tempesta caldo.
Con ambo man Frusberta alzava sue :
Rizzossi in su le staffe e '1 brando striscia,
Che lo facea fischiar coni' una biscia.
Tanto che V aria e la terra rimbomba,
E si sentiva un snon fioco e interrotto.
Come quand' esce il sasso de la fromba :
Are' quel colpo ogni adamante rollo :
Giunse in sul masso sopra de la tomba,
li fessel tutto com' un cacio cotto :
l'arti il cervello e '1 capo iiisino al piede
Al crudel mostro; e sciocco è chi noi crede.
l.XI
Le schegge di quel sasso a mille a mille
Balzorno in qua e in là com'è usanza,
E tulla r aria s' empiè di faville.
Disse Dodone : O Dio, tanta possanza
Non ebbe Eltorre, o quel famoso AcliiHe,
Quanta ha costui ch'ogni lor forza avanza.
iLa spada un braccio sotterra ficcossi,
E Baiardo pel colpo inginocchiossi.
LXIl
A gran fatica potè poi ritrarre
Rinaldo, tanto fitta era la spada,
E disse : Tu credevi, che le sbarre
Non li lenessin', mascalzon di strada :
Chi si diletta di truffe e di giarre.
Così convien che finalmente vada :
De' luo peccali penilenzia hai fatta:
Così fo sempre a ogni bestia malia.
LXIII
Dodon guardava ne la Luca, e vede
Tulio fesso per lato quel ghiottone
Dal capo insin giù per la gamba al piede,
E stupì tutto per ammirazione,
Dicendo : Iddio, de' tuoi servi hai mercede.
Questo slato non è sanza cagione :
A qualche fin questo segno hai dimostro.
Acciò eh' a molli esempio sia rjuel mostro.
LXIV
Poi con la punta de la spada scrisse :
Nel tal tempo il signor di Montalbano
Ci arrivò a caso; ed ogni cosa disse,
Come in quel sasso stava un uomo strano,
E come tutto Rinaldo il partisse :
.Ed evvi ancora scritto di sua mano
;LeÌ¥tVré con la jìunla de la spada;
ÌE puossi ancor veder sopra la strada.
LXV
E (hiamasi la selva da l'inferno:
Ciii vuole andare al monte Sinai
^ i passa, quando e' va, che sia di verno,
Per non passa,re il fiume Baiai :
E leggesi, quel diavol de l'inferno
Come Rinaldo quivi lo partì ;
E vedesi ancor 1' ossa drento al fesso,
E sentevisi urlar la notte spesso.
I,XVI
Poi si partirne, e il lion^ come suole,
Sempre la strada mostrava a costoro.
Era di notte : Rinaldo non vuole
Che per le selve si facci dimoro,
Talch' Ulivieri e Dodon se ne duole.
Che cavalcare a stracca è lor martoro :
Tutta la notte con sospetto andorno,
Infin che in oriente vidon giorno.
INI 0 W G A N T K Al A (i G I O II K
Come fu fuor lìv 1' occhio Apollo,
Si riiruvoron .«opra ad un po^<!<*tto :
Qiir>lo p.ì!>5orno, e poi più là un rollo
D'un altro monte rlt' <>ra al tlirinipetlo :
K poi che a <|ue.sl(t dato ebbono il rnillo,
A idono un pian con un certo faunettu,
Traliacclie, padi>;lioni e lt){;j;iamenti,
E cavalieri armati e varie genti.
I.XVIII
Quivi era Manfredonio innamoralo,
(,iie lo facea nH)rir Meridiana,
Con tutto quanto il popolo attendato;
E la fauciulla al 5(U) ]>arer villana
Al re Corliante avea significato,
(]|)' assediata è da la genir padana,
E come Manfredon si .-forza e i^cpua
Torj;li d' onor la sua famosa iiise(;na.
I.XIX
Ed aspettava il puerrier del lione,
CIte dovesse venirla a liberare ;
E stava giorno e notte in orazione,
E m(dli sacrifici facea fare.
Pregando umilemente il lor Macone,
Cile sua virginità debba servare :
Com' io seguiter») ne l'altro canto,
Con la virtù de lo Spirilo Santo.
CArSTO YI
ARGOMENTO
•*i>-^3)<l#5-
J~' renio al palazzo del re Caradoro
Entra Rinaldo^ e i due compagni ha seco:
Rinaldo e Oriundo conìbatton tra loro
Sconosciuti, e si don colpi da circo,
f^n prigione Dodon. Chi sien costoro,
La spia di Gano al re corre a far eco.
Vlii'ieri carnpion rf' una sottana
D' amor si strugge per Meridiana,
0
Padre nostro cbe ne' cieli stai,
Non circunscritto, ma per più amore,
Cbe i primi effetti di là su tu bai ;
Laudato sia "1 tuo nome e '1 tuo valore ;
E di tua grazia mi concederai
Tanto, cb" io possi finir sanza errore
La nostra istoria; e però, Padre degno,
Aiuta tu quest'affannato ingegno.
II
Era il Sol, dico, al balcon d'oriente;
E l'aurora si facea vermiglia,
E da Titon suo antico un poco assente;
Di Giove più non si vedea la figlia,
Queir amorosa stella refulgente,
Cl»e spesso troppo gli amanti scompiglia ;
Quando Rinaldo giù calava il monte,
Dov' era Orlando suo famoso conte.
Com' egli ebbe veduta la ciltade,
Disse a Dodone : Or puoi veder la terra,
Dov' è la dama cb' ba tanta beltade :
Vedi cbe '1 re Corbante già non erra,
Cb' io veggo de'Pagan' gran quanlitade :
Qui è quel Manfredon che gli fa guerra.
Mentre cbe dice questo, e Ulivieri
Conobbe Orlando sopra il suo destrieri.
IV
Vide cb' a spasso con Morgante andava,
E cbe faceva le genti ordinare
Per la battaglia cbe s' appareccbiava ;
E già faceva stromenti sonare ;
Ma del gigante ammirazion pigliava,
E cominciollo a Rinaldo a mostrare :
Quell'è Morgante; e "1 conte Orlando è quello
Cb'è presso a lui; non vedi tu Rondello?
V
Rinaldo, quando vide il suo cugino,
Per gran dolcezza il cor si sentì aprire,
E disse: Poi ch'io veggo il paladino,
Contento sono ogni volta morire.
Or oltre s«^uirem nostro cammino :
A Carador promesso abbiam di gire ;
Tosto sareni con Orlando a le mani,
E con questaltri Saracini o cani.
VI
Com" entrati fur poi ilrento a le nuua,
Domandorno del re subitamente,
Dicendo : Cavalier siam di ventura.
Dal re Corbante mandati al presente.
I terrazzan fuggivan per paura
Di quel lion, sanza dir lor niente :
Rinaldo tanto innanzi cavalcóe.
Clic in su la piazza del re capitóe.
MORGANTK MAGCrlCKK
E com' e' fumo veduti costoro,
Subito fu portata la novella
Drenlo al palazzo al };ran re Caradoro :
lìlnaldo intanto smontava di sella :
lUivieri e Dodon non le' dimoro :
Ognnrì dintorno di qoesto favella :
Questo dcbl)' esser, dicien, quel barone
l-h'è appellato il guerrier del lione.
vili
Meridiana, eh' era a la finestra,
Fece chiamar soe damigelle presto :
Clie d'ogni gentil allo era maestra:
Fecesi incontro col viso modesto.
Con accoglienza si leggiadra e destra,
Che nessun più non arebbe richiesto
Tra le ninfe di Palla o di Diana,
Che si facessi allor Meridiana.
IX
Rinaldo, quando vide la donzella,
Tentato fu di farla a la franciosa :
A Ulivieri in sua lingua favella :
Quant' io non vidi mai più degna cosa.
Disse Ulivieri : E' non è in cielo stella,
Ch' appello a lei non fusse tenebrosa.
Rinaldo presto rispose : Io t' ho inleso,
Che'l vecchio foco è spento, e'I nuovo acceso.
X
Non chiamerai più forse come prima
La notte sempre e 1 giorno Forisena,
Cli' ad ogni passo ne cantavi in rima :
Non sente al capo duol chi ha maggior pena;
Vegao, che del tuo amor l'hai posta in cima:
E se' legato già d' altra catena.
Ulivier disse : S' io vivessi sempre,
Convien sol Forisena il mio cor tempre.
XI
Eran salili già tutta la scala,
E grande onor da quella ricevuto,
Che insino a mezzo gli scaglion giù cala,
E rendulogli un grato e bel saiuto.
Intanto Caradoro in su la sala
Con lutti i suoi baroni era venuto :
Rinaldo e gli altri baciaron la mano,
Coni" è usanza ad ogni re pagano.
XII
Fece ordinar di subilo vivande,
E i lor destrier' fornir di strame e biada :
Per la città la lor lama si spande;
E per vedergli assai par che vi vada :
Venne la cena, e fiivvi altro che ghiande
Ulivier pure a la donzella bada :
Poi che cenato fu, re Caradoro
In questo modo a dir cominciò loro :
XIII
Io vi dirò, famosi cavalieri.
Quel che '1 mio cor da voi desia o brama
Per tuli' i nostri paesi e sentieri
De rOrienle risuona la fama
Di vostra forza, e de' vostri destrieri ;
E questa è la cagion che qua vi chiama
C-ome vedete, ogni campagna è piena
Di gente qua per darci .:(Faiino e pena.
Ed ecci un re famoso antico e degno,
(ìlic iimamoralo s'è d'està mia figlia,
1'^ vuol per forza lei con tutto il regno,
E molti ha morti de la mia famiglia:
Ogni dì Iruova (jualche slran disegno
Per oppressarci, e '1 mio campo scompiglia;
E per ventura un cavaliere errante
V è capitato con un gran gigante.
XV
Con un battaglio in man d'una campana,
Sia eh' armadura vuol, che ne fa polvere:
E molti già di mia genie pagana
Ila sfracellati, e dato lor che asciolvere ;
Ovunque e' giugne, la percossa è strana ;
Non c'è papasso che ne voglia assolvere:
lo 'l vidi un giorno a un dar col battaglio,
Che '1 capo gli schiacciò com' un sonaglio.
x^^
Se con quel cavalier vi desse il core
A corpo a corpo, che cosi combalte,
E col gigante d' acquistare onore.
Le genti mie non sarebbon disfatte.
Ed io vi giuro pel mio Dio e Signore,
S' alcun di questi ignun di voi abbatte ;
Ciò che saprete domandare, arete,
Se ben la figlia mia mi chiederete.
XVII
Era presente a quel Meridiana,
E una ricca cotta aveva indosso
D' un drappo ricco a V usanza pagana
Fiorilo tutto quanto bianco e rosso,
Com' era il viso di latte e di grana,
Ch' arebbe un cor di marmo ad amar mosso:
Nel petto un ricco smalto e gemme ed oro,
(ìon un rubin che valeva un tesoro.
XVIII
Ed un carbonchio ricco ancora ih testa.
Che d' ogni scura notte facea giorno :
Avea la faccia angelica e modesta
Che riluceva come 1 Sol d'intorno:
Ulivier, quanto guardava più questa.
Tanto l'accende più il suo viso adorno;
E fra suo cor dicea: Se tu farai
Quel che dicesti, re, tu vincerai.
XIX
Rinaldo vide Ulivier preso al vischio
Un' altra volta, e già tutto impaniato ;
E dicea : Questo ne vien tosto al fischio :
Conobbe il viso già tutto mutalo :
Vedeva gli occhi far del bavalischio :
Disse in francioso un mollo loro usalo :
A ogni casa appiccheremo il maio :
Che come 1' asin fai del pentolaio.
xx
Ma non vagheggi a questa volta, come
Solevi in corte far del re Corbante;
Che se ti piace il bel viso e le chiome,
Piace la spada a costei del suo amanle;
Queste son dame in altro modo dome :
Non c'è pili bell'amar che nel Levante.
Ulivier sospirò nel suo cor forte.
Quasi dicesse : Sol non amai in corte.
MOKG ANTK MA(.(xlOU K
E rirordussi allur di Forisena,
Che del suo rur tenea le chiavi anrora.
Ma non sapeva, oiiiè, de la sua pena :
Prima consenta il fi«"i, direa, eh" i'niDra,
Che sciolta fia dal cor qtiella catena,
Cile scior non puossi iiisino a 1' iilliin' ora;
K se tra' morti poi vorran c;riddei
di' amar si possi, amerò senjpre lei.
XXII
Non si diparlo amor si leggiermente,
Che per conformità nasce di stella :
Dovnntjiie andremo, in Levante o in Pouenle,
Amerò sempre Forisena bella ; •
Però che 1 primo amor troppo ì'. possente:
Non son del petto fuor quelle quadrella,
Ch' io non credo che morte ancor trar possa,
Prima che cener sia la carne e Tossa.
xxin
Lasciam costoro insieme un poco a mensa.
Aveva alcuna spia re Manlredonio,
Come colui, che i suoi pensier' dispensa,
D'a\er di ciò che si fa, testimonio:
K poi chi ama, giorno e notte pensa
Come e' si tragga l'amoroso conio:
Non si può dir quel eh" un amante faccia,
Per ritrovar de la dama ogni traccia.
XXIV
Detto gli fu come e' son capitati
Tre cavalier" famosi a Caradoro,
E paion molto arditi e bene armati ;
Ma non sapeva alcun de' nomi loro.
Se non che tutti assai s' eran vantati
A la sua gente dar molto martoro :
E ch'egli avevon sotto corridori,
Che mai si vide i più begli e maggiori.
XXV
Orlando pose orecchio a le parole :
Sarebbe questo Rinaldo d' Amone?
Ma poi diceva : Rinaldo non suole.
Come color dicien, menar lione:
Poi disse : Imbasciador mandar si vuole,
Per uscir fuor d'ogni suspizione,
A Caradoro, e dirgli, cosi parmi,
Cir io vo' con questi cavalier' provarmi.
XXVI
A Manfredonio piacque il suo parlare,
E subito mandorno imbasceria :
Erano ancor coloro a ragionare ;
Caradoro a Rinaldo si volgi'a.
Dicendo : Pro' baron, che vuoi tu fare ?
Rinaldo sfavillava tuttavia ;
Pargli miir anni d' esser con Orlando,
E disse: Io sono in punto al tuo_ comando.
xxvii
E Ulivier soggiugneva di costa :
Del diciannove ognun terrà lo 'nvito ;
E così fate per noi la risposta.
Ah Ulivier, amor ti fa sì ardito!
Dite, che al campo ne venga a sua posta.
Lo imbasciador tornò, eh' aveva udito,
E disse a Manfredonio : E' son contenti,
E prezzon poco te con le tue genti.
XX VI II
K'ini pareva a guardargli nel volto,
Cile tra lor fussi del combatter gaggio,
(■h' ognun pel priiiu» volessi er.ser tolto,
Tanto lier' >i mo-lravan nel visaggio.
Rispose Orlando: E" non passera molto,
(^lie parleranno d" un altro linguaggio.
Disse Morgaiitc : Io vo' con un (nscello
Di tutti tre costor fare un fardello.
xxix
E vommegli a la cintola appiccare :
Lascia pur ch'egli assaggino il metallo,
E ch'io cominci un poco a battagliare;
Clic, pcnsan di venir costoro al ballo?
Or oltre io vo' col battaglio sonare.
Perchè non faccin gli scambietti in fallo.
Ma in questo tempo Rinaldo si è armato,
E dal re Caradoro accommiatato.
XXX
Ed avea fatto cose in su la piazza,
Che 1 popol n'àvea avuto maraviglia;
Di terra con lo scudo e la corazza
Saltato in sella, e piglialo la briglia,
(^arador disse : Questa é buona razza :
E mollo lieta si fece la figlia,
Ch'era venula per diletto fore
A vedergli monlare a corridore.
XXXI
Ed avea prima aiutato Ulivieri
yVrmar, che mollo di questo gli giova,
E saltalo di netto in sul destrieri,
E fatto innanzi alla dama ogni prova.
Che far potessi nessun cavalieri :
E Dodon anco nel montar non cova :
Ognun di terra a cavai si cittóe ;
E tulio il popol se ne rallegróe.
XXXII
Aveva falli tre salti Baiardo,
Ch' ognun fn misurato cento braccia.
Tanto Cer era animoso e iiasliardo :
Ed Ulivier, perché a la dama piaccia,
Di Vegliantin faceva un leopardo :
Dodone al suo gli spron ne' fianchi caccia;
E finalmente dal re Caradoro
A lanci e salti si partir costoro.
XXXIII
Poi che furono usciti de la porla.
Fino a le sbarre del campo n' andorno :
Rinaldo tanta allegrezza lo porla.
Che cominciò a sonar per festa un corno :
Fu la novella a Manfredon rapporta :
Orlando presto e Morgante n' andorno
Dove aspettavan questi tre baroni,
E salutorno in saracin sermoni.
XXXI v
Non riconobbe Orlando il suo cugino,
Perché Baiardo è tutto covertalo,
E lui parlava al modo Saracino :
Vide il lione, e molto ha biasimato :
Non è costume di buon paladino
Aver quest' animai seco menato:
Non doveresti a gnun modo menarlo :
Per carità de gli uomini ti parlo.
M 0 ]\ G A N T E INI A (1 (\ I O R E
XXXV
Disse Rinaldo : Buon predicatore
Sarosli, poicir liai tanta carità:
Non ti l)is(ti;na aver questo timore :
Nel tuo parlar si dimostra viltà :
Se tu sapessi, bacon di valore.
Per quel ci»' io M meno, ed ogni sua bontà,
Non parleresti in cotesto sermone :
Sappi die i-^nun non tdl'cnde il lione,
XX XVI
Se non olii a torto qnistion meco piglia,
O ver chi fossi traditor perfetto.
II conte Orlando lia seco maraviglia ;
Poi gli rispose : Vegnamo a 1' effetto :
Se vuoi combatter san/a altra famiglia
A corpo a corpo, mettiti in assetto,
Che in altro modo combatter non voglio :
Farò di le come degli altri soglio.
xxxvn
Disse Dodon : Tu sarai forse errato:
Il gigante gli fece la risposta :
Tu non conosci il mio signor pregialo;
Però facesti sì strana proposta:
Io non son, come tu, barone, armato^
E proverommi con teco a tua posta.
Dodone allora pazienzia non ebbe,
E pure stato il miglior suo sarebbe.
xxxviu
La lancia abbassa con molta superba,
E percosse Morgante in su la spalla :
E' si pensò traboccarlo in su l'erba:
Morgante non lo stima una farfalla,
Ed appiccogli una nespola acerba.
Tanto che tutto pel colpo trabaila :
E come e' vide balenar Dodone,
Se gli accostava, e trassel de 1' arcione.
XXXIX
Al padiglion ne lo porta il gigante ;
A Manfredonio Dodon presentava :
Manfredon rise, veggendo Morgante,
E per Macon d' impiccarlo giurava.
Morgante in drieto volgeva le piante :
Torna ad Orlando eh' al campo aspettava.
Rinaldo irato ad Orlando dicia :
Io ti farò, cavaller, villania.
XL
Aspettami, se vuoi, tanto eh' io vada
A qualche cosa a legar quel lione.
Poi proveremo la lancia e la spada,
Per quel eh' ha fatto il gigante ghiottone.
Rispose Orlando : Fa come l' aggrada,
O lancia o spada o cavallo o pedone.
Rinaldo smonta, e la bestia legava;
Poi verso Orlando in tal modo parlava :
XLI
Non potrai nulla del lion più dire :
Oltre proviamci con le spade in mano :
Vedrem se, come mostri, hai tanto ardire:
Che il can che morde, non abbaia invano;
Volse il destrier per tornarlo a ferire :
Orlando al suo Rondel gira la mano :
Del campo prese, e con molla tempesta
Si volse indrieto con la lancia in resta.
Non domandar f|uel che facea Baiardo,
Con quanta furia s|).icciava il cammino :
K Itondel anco non pareva tardo ;
Anzi ])areva fjiiel di Veglianlino :
Rinaldo aveva al bisogno riguardo,
Dov" e' ponesse la lancia al cucino;
Ma conosceva eh' egli è tanto forte,
Che perirol non v' è di dargli morte.
xr.iii
A mezzo il petto la lancia appircóe :
Orlando feri lui .siniilemenle ;
E I' una e 1" altra lancia in aria andóe :
Non si conosce vantaggio niente,
E l'uno e l'altro destrier s' accoscióe,
E cadde in terra pel colpo possente,
Tanto che fuor de la sella sallorno
1 duo baroni, e le spade impugnorno.
XLIV
E cominciorno sì fiera battaglia.
Che far com[tarazi()n non si può a quella.
Perchè Frusbcrta e Cortana anco taglia :
E '1 suo signor che con essa impennella.
Disaminava e la piastra e la m;iglia :
Rinaldo sempre all'elmetto martella,
Perchè sapea eh' egli è d" acciajo fino,
Che fu d'Almonte nobil Saracino.
Pur nondimen si voleva aiutare.
Però che Orlando vedea riscaldato,
E conosceva quel che sapea fare
11 suo cugin, quand'egli era adirato:
Ma Cristo volle un miracol mostrare, '
Acciò che ignun di lor non abbi errato:
E perchè de' suo' amici si ricorda,
Il fier lione spezzava la corda.
XLVI
Venne a Rinaldo, ed Orlando dìcia :
Per Dio, baron, di te mi maraviglio:
Questa mi par da chiamar villania ;
Ma questa volta non hai buon consiglio.
Che a le e lui caverò la pazzia.
Rinaldo in drieto volgea presto il ciglio;
Vide il lione, e funne malcontento ;
E cominciò questo ragionamento:
XLVII
Aspetta, cavalier, tanto eh' io possi
Questo lion rimenare a la terra :
La mia intenzion non fu, quand io mi mossi,
Di venir qui col lione a far guerra.
Rispose Orlando : Qual cagion si fossi
Non so, ma in fine è V errato chi erra :
S' io ti volessi guastare il lione,
Guarda "1 battaglio ch'ha quel compagnone.
XLVIII
Disse Rinaldo : Noi farem ritorno,
Tu al tuo re, ed io ne la ciltade ;
E domattina, come scocca il giorno,
Ritornerò per la mia leallade,
E chiamerotti, com io fé' col corno,
E proveremo chi ara più boutade :
Questo di grazia, baron, ti dimando,
Tanto che fé' conlento il conle Orlando.
M O n Cn A N T 1-: M A G G I O R E
E toriKi roii ì\Ior|;aiitr .il padiglioiir,
V. per la via si (lolt*v.i riiii <{iiell<>,
K «lìce.ì : M.ilailctto .sia il iioix* :
S' avessi Ve{ilianliii, come li» Htmdello,
Parlilo mni saria (]iit'*lo liarone,
O sejtiiattt l'arci «lei mio siij;;:ello,
S' avessi la mia spada Uiirlindaiia :
E duol&i assai ch'egli aveva (.orlaiia.
I.
Ulivieri e "l signor di Monlalbaiio
Si rilornorno verso la ci II a le.
Or ritorniamo al tradilor di Gano,
Ciravea per molle parli spie mandale;
Ed erro un messapgiero a «nano a mano
A Carador oon lellre siigi:;ellalo ;
E per ventura al marrliese s' accosta,
Dicendo: In cortesia fammi risposta.
M
Come si chiama la terra e 1 paese,
E M suo signor, se Dio li dia conforto :
Io ho paura indarno avere spese
Le mie giornale, e di scauiliiare il porto,
A lui rispose il famoso Marchese :
A la domanda tua non vo' far torto :
Non so il paese come sia cliiamalo,
Ma '1 suo signor ti sarà ricordalo.
LII
Sappi che I re si chiama Caradoro
E la figliuola sua Meridiana :
Per lei lai guerra ci fauni) costoro,
Che tu vedi alloggiali a la fiumana.
Disse la spia : Macon ti dia ristoro,
E guardi sempre d'ogni morte strana;
E finalmente al palazzo n' andóe
A Caradoro, e da parte il chiamóe.
LUI
Disse: Macon ti dia gioconda vita:
Io son messaggio di Gan di Maganza ;
E quando feci da lui dipartita,
Questo brieve mi die eh' è d' importanza :
Vedi la 'mpronla sua qui stabilita,
Perchè tu abbi del fatto certanza.
Carador riconobbe quel suggello
Del conte Gan tradilor crudo e fello.
La lettera apre, e 1 suo tenore inlese :
La lettera dicea : Caro signore.
Sappi, re Carador, quel eh' è palese,
Che venuto è Rinaldo traditore
Ne la tua terra, e nel tuo bel paese :
Io te a avviso, eh' io ti porlo amore ;
E seco ha Uiivier eh' è uom di razza,
Col suo compagno Dodon de la mazza.
LV
E nel campo è di Manfredonio Orlando,
E l'un de l'altro ben debbe sapere;
E so che tutt' a dùie vanno cercando,
O Carador, di farli dispiacere :
Vengonvi insieme a la mazza guidando :
Quando fia tempo vel faran vedere :
Non piace al nostro re qua tradimento ;
Però eh' io ti scrivessi fu contento.
l'.d Ila c<ui seco menato un gigante,
(.he se s' accosta un giorno a le tue mura,
E' le farebbe tremar tutte ijiiante:
Abbi «lei regno e di tua geule cura ;
E" son Cristiani, e tu sei Africanle:
Guarda che danno non abbi e paura:
Che so che al fin n'arai da mcdte bande;
Or tu se' savio, e intendi, e'I mondo «'; grande.
I.VII
Era quel re pien d' alta gentilezza,
E ben conobbe ciò che Gan dicea:
Fece pigliarlo con nudta prestezza:
In questo tempo Rinaldo giugnca.
Ed ogni cosa con lui raccapezza.
Ed in sua man la lettera ponea,
1". di Uiivier, eh' è ne la sua presenzia
Per dimostrare ogni magnificenzia.
I.VIII
Quando Rinaldo intese quel eh' è scritto,
Rinjirazia il suo Gesi'ie con sommo alTi-llo ;
A Uiivier si volse tulio afflino.
Disse: Tu vedi quel che Gano ha detto.
La damigella tenea l'occhio dritto:
Quando sentì che 1 suo amante perfetto
Era Uiivier che tanta fama avt'a.
Non domandar quanto gaudio senti'a.
r.ix
E poi mandò nel campo un messaggiere
Al conte Orlando, e 'n questo modo scrisse:
Poi eh' abbiam fatto triegua, cavaliere.
Acciò che grande inganno non seguisse.
Contento sia di venirmi a vedere
A la città sicuramente, disse :
Cosa udirai, che ne sarai poi lieto,
Ma sopra tutto sia presto e segreto.
LX
Il messaggiero Orlando ritrovava.
Che si chiamava nel campo Brunoro : ^^
Segretamente la lettera dava :
Orlando lesse, e sanza alcun dimoro
A Manfredon la lettera mostrava.
Manfredon disse : F'orse Caradoro
Potrebbe qualche inganno fabbricare,
E quel barou te '1 vorrà rivelare.
LXI
Mentre eh' è triegua, va sicuramente :
Chi sa chi sia quel guerrier del lione :
Pel mondo attorno va di strana gente :
Io ti conforto d' andarvi, barone.
Morganle a ogni cosa era presente,
E disse : Forse eh' egli ha del fellone :
Egli ebbe voglia infin oggi di dirti
Qualche trattato, e 1 suo segreto aprirli.
LXII
Io vo' con teco a la terra venire,
Che non ci fusse qualche inganno doppio,
E in ogni modo con teco morire ;
E "nGn del campo udirete lo scoppio.
Se col battaglio s avessi a colpire :
Perchè se bene ogni cosa raccoppio,
Di chieder triegua, e tornarsi oggi drenlo,
Segno mi par di qualche tradimento.
MORGANTE MAGGIORE
A 1.1 ritta n' andornn finalmente:
Rinaldo iniinaiìinò la lor ventura:
Fecesi incontro al suo cu{;in possente,
E giunto appresso in francioso il saluta.
Orl.indo rispondca corlesemenle
Quel clie gli parve risposta dovuta;
E pur parlava come Saracino,
Che non conosce il suo caro cugino.
r.xiv
Dìcea Rinaldo : A Caradoro andremo,
Se" non li fusse, cavalier, disagio.
Orlando disse : A tuo modo faremo.
Che di piacerli mi sarà sempr' agio.
Disse Morgante : Andate, noi verremo,
E finalmente n' aniiorno al palagio.
Rinaldo a Carador gli rappresenta,
Perchè voleva eh' ogni cosa senta.
LXV
Re Caradoro, quando Orlando vede,
Tosto de la sua sedia s' è levato :
Orlando gli volea baciare il piede,
Ma Carador l' lia per la man pigliato :
Disse : Macone abbi di te mercede :
Il tuo venir m' è troppo, baron, grato,
Per veder quel che non ha pari al mondo.
Come se' tu, Brunor, baron giocondo.
LXVI
Meridiana, quando fu in presenzia
D' Orlando, sospirò la damigella :
Orlando prese di questo temenzia :
Verso la dama in lai modo favella :
Ardi io fatto oltraggio, o violenzia,
Cile tu sospiri si ? dimmel, donzella,
E ricordossi ben di Lionello,
Tanto eh' egli ebbe al principio sospetto.
I.XVII
Disse la dama: Tu m'innamorasti
Quel dì che insieme provammo la lancia,
E con quel colpo 1' elmo mi cavasti ;
Tanto eh' ancor n'arrossisco la guancia;
E questa treccia tutta scompigliasti,
Come se fussi un paladin di Francia ;
Poi mi dicesti : Tornali a la terra.
Che con le dame non venni a far guerra.
LXVIII
Questo mi parve «n alto sì gentile.
Che bastere'clie fussi slato Orlando;
Tu disprezzasti ima femmina vile,
Per questo venni cosi sospirando.
Orlando è corbacchion di campanile,
E non si venne per questo mutando";
E disse a Carador : Seguita avante
Quel che vuoi dir dopo mie lode tante.
LXIX
Carodor disse : Tu lo intenderai
Da questo cavalier che l' ha menato,
E disse al prenze : Tu comincerai
A dir, perchè per lui fusse mandato :
Ma tu, Signor, che i sempiterni rai
Governi e reggi, e '1 bel cielo stellalo ;
Grazia mi dona, che nel dir seguente
Segua la storia eh' io lascio al presente.
MORGAN T i: M A (V (V I O i\ li
CAIMO VII
ARGOMENTO
-tè^m^^
Itinolilo e Orlando^ le. visiere alzate,
S' tibbrucciano tra lor con gran ditcttu ;
Per Marinante rtii(/uista liberiate
JloJon, c/t' aura le forche uddirtnipctlo ;
Il gigante le membra a[}ardt'llate
l>i flanjredonio ffardellanilo, un fletto
Ae fan un fimne : il re daìT ac/ue tratto,
E finto, ed in Soriu torna per patto.
->§►!> ®44^
O,
'sanna, o Re del senipilerno regno,
(.Ih* mai noa alibandoni i servi tuoi,
E pertlonasli a quel die suslò il lej'no,
(.l>e gli vietasti già per gli error suoi ;
Aiuta me, sovvien tanto il mio 'ngegno,
Che basti al nostro dir, come tu ])noi,
Sì eh' io ritorni a la mia storia bella
Cou gli occhi volli a te come a mia stella.
II
Rinaldo il conte Orlando rimirava;
Orlando non sapea di tale eiFetlo,
E Ulivieri spesso sogghignava :
ISon gli conosce, eh' avevan l'elmetto.
Allor Rinaldo a parlar cominciava :
A questi dì trovammo in un boschetto
Tre cavalier Cristian feroci e iorti,
E tuli' a tre gli abbiam lasciati morti.
Ili
Per certo oltraggio che ci vollon fare,
A corpo a corpo insieme ci sfidammo,
E cominciammo le spade a menare :
Finalmente di forza gli avanzammo ;
(]redo che i lupi 2;li j)ussin trovare,
(.Ile nel boschetto morti gli lasciammo :
Ma cavalier parean da spada e lancia,
Cir eran venuti del regno di Francia.
IV
Orlando quando udì queste parole,
Rispose presto : Bene avete fatto :
Tutti sou rubator : non me ne duole ;
Io n'ho già gastigati j)iù d'un trailo:
Così semf)re a' nemici far si vuole ;
Ma dimmi, cavaliere, ad ogni patto
I nomi lor, per veder s' io conosco
Di questi alcun eh' uccidesti in quel bosco.
Disse Rinaldo: Egli ha nome Ulivieri
L' un di costor, che dice era marchese ;
L'altro da Montalban (\uc\ buon guerrieri
Ch' aveva fama per ogni paese :
Credo che '1 terzo anco era cavalieri,
Dodon chiamalo figliuol del Danese.
Orlando udendol si maravigliava;
Ma del lion con seco dubitava.
VI
Seguì più olire il suo ragionamento
Rinaldo : Io intendo mostrarvi i cavagli.
Orlando disse : Ne son ben conlento,
(vhe i nomi lor non posso ritrovagli.
Vanno a veder : Orlando ebbe spavento,
Subilo come comincia a guardagli;
Perchè conobbe presto Veglianlino,
E disse : Il ver pur dice il Saracino.
VII
A la sua vita mai fu più doglioso :
E poco men che in terra non cadea :
Ulivier che il vedea sì doloroso,
Drento a l'elmetto con seco ride»;
Tornano in sala, e '1 paladin famoso
Vendetta farne fra sé disponea.
E disse: S'altro tu non vuoi parlarmi,
A Manfredonio al campo vo' tornarmi.
vili
Disse Rinaldo: Alquanto v'aspettate;
E menò in una camera il barone,
E poi che r arme sue s' ebbe cavale,
La sopravvesla, e 1' altre guernigione,
Mostrava le divise sue sbarrate :
Trassesi 1' elmo, e così il Borgognone :
Orlando, quando Rinaldo suo vede,
Per gran letizia tramortir si crede.
IX
Abbraccia mille volle il suo cugino,
Ulivieri abbracciava il suo cognato.
Diceva Orlando: O giusto Iddio divino,
Che grazia è ([uesla, eh' io l ho qui trovato!
Poi domandò de Y altro paladino :
Dodon dov' è, che tu m' liai nominalo ?
Disse Rinaldo : Sappi che Dodone
È quel che venne preso al padiglione.
X
Morganle vide costoro abbracciare,
E disse al eonte : Per tua gentilezza,
Chi son costor non mi voler celare.
Che tu gli abbracci con tal tenerezza ;
E poi eh' udì Rinaldo ricordare,
E Ulivieri, avea grande allegrezza ;
E nginocchiossi, e per la man poi prese
Rinaldo presto e '1 famoso marchese.
MOKOANTE MAGGIORE
E pianse allor Morpanlo di buon core ;
Re ('.aradoro in zaiiiltra era venuto.
Dicra Rinaldo : Cii{»in di valore,
Per mio consiglio, se a te par dovuto,
Non tornerai nel campo : i' ho timore,
Clie Manfredon non l' abbi conosciuto ;
O come a Carador Gan gli abbi scrillo;
Ma Dodon nostro ove riman si afflitto?
xu
Disse Morgante: Lascia a me il pensiero ;
Io lo condussi al padiglion di peso,
('osi r arreclierò qui come un cero.
Orlando disse: Morgante, io l'ho inteso,
K del tuo aiuto ci farà inestiero.
Morgante più non islette sospeso ;
Disse : A me tocca appiccar tal sonaglio,
Ma ogni cosa farò col battaglio.
xm
A Manfredonio andò cautamente,
E per ventura giugneva il gigante,
Cile Dodon era a Maniredon presente,
Che lo voleva impiccar far davante
Al padiglione : Dodone umilmente
Si raccomanda : in questo ecco Morgante,
E disse a Manfredon : Che vuoi tu fare ?
Manfredon disse : Costui fo impiccare.
XIV
Non lo impiccar, disse Morgante presto ;
Dice Brunoro, eh' io '1 meni a la terra,
E de' saper quel eh' e' faccia per questo :
Tu sai ch'egli è fidato, e eh' e' non erra.
Rispose Manfredon : Venga il capresto ;
Io vo' impiccarlo come s'usa in guerra:
Sia che si vuole, o seguane al fin doglia,
Ch' io mi trarrò, Morgante, questa voglia.
XV
Dicea Morgante : Il tuo peggio farai ;
Che si potrebbe disdegnar Brunoro :
E se tu perdi lui, tu perderai
Me e il tuo stato, col tuo concistoro :
Io il menerò, se tu mi crederai :
Credo di' accordo tratti Caradoro,
E forsi ti darà la sua figliuola ;
Ch' io n' ho sentito anch' io qualche parola.
XVI
Manfredon disse : Per lo iddio Macone
E già due dì ch'io giurai d'impiccarlo,
Come tu vedi, innanzi al padiglione :
Non è Macone iddio da spergiurarlo.
Allor chiamava il suo Cristo Dodone,
Che non dovesse così abbandonarlo.
Morgante udendo far questa risposta,
A Manfredon più dappresso s' accosta.
XVII
Il padiglione squadrava dintorno:
Vide ch'egli era un padiglion da sogni;
Prima pensò d' applicargli un susorno
Al capo, e dir eh' a suo modo zampogni;
Poi disse: Questo sare'poco scorno;
E credo ch'altro unguento qui bisogni:
E finalmente il padiglion ciuifava
Di sopra, e tutte le corde spezzava.
Dette ima scossa sì fiera e villana,
Ch'arcbbe fatto cadere un castello;
() s' egli avesse scossa Pietrapana, -'
Arebbe fatto come fece a quello :
Cosi in un tratto il padiglion giù spiana,
E d'ogni cosa ne fere un fardello;
E Manfredonio e Dodon vi ravvolse,
E fuggì via, e '1 suo battaglio tolse.
XIX
E in su la spalla il fardel si gittava :
Da l'altra man col battaglio s'arrosta;
Il capo a questo e quell'altro spiccava
Di que' Pagan' che volevon far sosta;
Talvolta basso a le gambe menava.
Tanto eh' ignuno a costui non s' accosta :
E teste e gambe e braccia in aria balzano:
La furia è grande, e le grida rinnalzano.
XX
Subito il campo è tutto in iscompiglio,
E corron tutti come gente pazza:
Morgante fece il battaglio vermiglio
Di sangue, e intorno con esso si spazza ;
E a chi spezza la spalla e a chi il ciglio,
E Manfredon quanto può si diguazza,
E grida e scuote e chiamava soccorso :
Dodon più volte l'ha graffiato e morso.
XXI
Morgante il passo quanto può studiava ;
E a dispello di tulli i Pagani
Passalo ha 'I fiume, e 'l fardel ne portava ;
Tanto menato ha il battaglio e le mani :
Ma finalmente Dodone affogava.
Onde gridò: Se scacciati hai que' cani.
Posami in terra, ch'io sou mezzo morto,
Per Dio, Morgante, e donami conforto.
XXII
Morgante in terra "pasava il fardello.
Che non aveva più dintorno gente,
E confortava Dodon cattivello ;
Ma poi di Manfredon poneva mente,
Cli'era ravvolto come il fegatello:
Vide che morto parca veramente,
E disse : Te non porterò a la terra.
Poiché se' morto, finita è la guerra.
XXIII
Disse Dodon : Deh gettalo nel fiume :
Morgante vel gittò sanza più dire;
Ma presto ritornar gli spirti e '1 lume.
Però che P acqua lo fé' risentire,
Com' egli è sua natura e suo costume ;
E Manfredon comincia a rinvenire ;
E corse là di Pagani una tresca.
Tanto che in fine costui si ripesca.
XXIV
Morgante con Dodon suo se n' andava,
E rimenollo a Rinaldo ed Orlando ;
E la novella a costor raccontava.
Come il Pagan venne al fiume gittando ',
E che sia morto con seco pensava,
E come il padiglion venne spianando :
Non domandar che risa fuor si caccia :
E Dodon mille volte Orlando abbraccia.
M () W (. A N TK M V C, (\ I O W K
lì, intr^f tdllo «io « li' n.i .'•«•jiniln,
I', riiine Cliii ^W sri^nlt.ivj aiiror.i.
Ile M.ihln"«luii rlic s'ora ii>fnlili»,
(.Oli pr.iii S(i<>|iii'i III Mil <'.iiii|)(i «liiiiura,
i^l.ir.ivi^linlo tli-l {;ip.iiitr ardilo,
K <oiin" ii>«'ih> il«' I' arcnia era lor.i,
1'^ «I" ojini «"usa «lie };li rra iurontralo,
(ili ]»ar»'Na a luì s.los.s«> aver sugualu.
XXVI
In questo uiimse un iiiossa-ipier di Gain»,
(.Ile r avvisava rome Caradoro ;
K rome e' v' è il sipiior di Monlalbaiio,
lil l'Iivieri, e Dodoii eoii rosloro,
K nel suo eaiiipt» il sciiator romano,
K die rercavan sol del suo inarloro ;
E come il tradimento doppio andava,
Per piiiliar «lue rolonilii a una fava,
x.wii
Ah disse MaiìlVcdoiilo, or la fa<;ione
So, perchè Orlando è ito a la rittade,
1'^ quel prii;ion dovea esser Dotlone :
Or si conosce la lor falsilade :
Or SOM tradito, or soii j;iunto al lioccont- ,
K vassi pure a Roma per più strade :
Ma traditor non credevo che il conte
Fusse, né ignun del sanj^ue di Chiarmuntc.
j1j«*»
XXVIll
Or aremo acquistala qua la dama,
li Caradoro vinto con asseJio :
(Questi son paladin di tanta fania,
('.ir io non conosco al mio slato rimedio :
()iieslo tiigante ha condotto la trama.
Perchè più in dubbio nii teneva e ledlo.
Che fussin tulli baroni africanti :
Che Ira' Cristian non suole esser {^igauli.
XXIX
Ebbe re Manfredon tanta paura,
(^he si pensò la notte di far allo:
Poi disse : Noi slam sì sotto a le mura,
(.he non si pnò spiccar qui nello il salto :
K" ci bisogna provar 1 armadura,
Ed aspettar de'nimici l'assalto:
Non sarà giorno che Rinaldo e 1 Coule,
E Ulivleri scenderanno il monte,
XXX
E lutto il campo mio sarà in travaglio;
E ne verrà Dodon per far vendetta ;
E miei diavol c»)n quel suo ballaulio
A la mia e;eiile darà grande Islrella :
Pur ci conviene star fermi al berzaiilio ,
E Macon prieso che le man ci metta :
E mentre eh' e' dlcea queste parole,
Tulli i baron per suo consiglio vuole.
XXXI
Ed acconlarsi che si stesse saldo :
Tutta la notte sletlon con sospetto ;
Morgautc, eh' era «li potenzia caldo.
La sera al conte Orlando aveva tletlo :
Poi eh' egli è morto Manfredon ribaldo.
Non sarà prima dì eh' io vi prometto,
CAì' io voiilio andar col mio ballaulio solo
Tra que pagani In mezzo de lo sluul",
V,i\ ardir le trabacche e i padiglioni :
Con la granala gli voglio scacciare :
^edlcle «he bel fummo da' balconi ;
E tulio il campo a furia spnlezzare ;
Io gli fan't fug^ir tome ghiottoni :
I.c pecchie soglion pel fuoco sbucare ;
Io porterò il liatlapli«i e 'I fiioro mero ;
A'edrcle poi che mazzate da cicco.
xxxm
Mancato è il capo, male sta la roda;
Adunque male star dee tutto il dosso:
Per eli occhi a tutti schizzerà la broda :
Io schiaccerò la carne, i nervi e l'osso,
Quand" io darò qualche bacclnala soda :
So eh al principio n'arò molli addosso,
Ma tulli poi gli vedrete fuggire:
Orlando per le risa è 'n sul morire.
XXXIV
E di'se: ^'a ch'io ne son ben contento;
E poi si volse ove Carador era,
E sì dicea : Questo ragionamento
S«) che saranno parole da sera.
Che come fumo ne le porla il vento,
O dislruggonsi al sol, qual neve o cera.
A me par, Caradoro, da vedere
Quel clic fa il campo e le pagane schiere.
XXXV
Se per sé stessi si dipartiranno,
Lasciagli andar, che mi par più sicuro;
Però che sempre è nel combatter danno,
E solo Iddio sa il tutto del futuro:
Vedrem pur che partito piglieraimo,
E slaremcl doman qui dentro al muro:
Non si parleixlo il dì, poi gli assaltiamo.
Che in ogjii modo te salvar vogliamo.
XXXVI
Poi ci darai la tua benedizione,
E cercheremo ancor meglio il Levante:
E così disse Rinaldo e Dodone
E Ulivicr: ma non v'era Morgante.
Vannosi al letto con questa intenzione,
Ch' avevon tutti cenato davante :
E Caradoro avea massimo onore
A tulli fatto con allegro core.
XXX vn
Morgante avea mangiato quel che vuole ;
Un i:ran castron che gli fu dato arrosto :
Andossi prima al letto che non suole :
Che com' e' disse fare era disposto :
Né prima in oriente appare il sole
L'altra mattina, di' e" si lieva tosto:
Prese il battaglio e certo fuoco io mauo.
Ed avv'iossi nel campo pagano.
XXXVIII
I saracin trovò eh' erano armati :
Ma pure il fuoco in un lato appiccóe.
Dov'erano I deslrier sotto i frascati;
Tanto che molli di quegli abbrucióe ;
Ma furon presto scoperti gli agguati ;
E in mezzo a più di mille si trovóe :
E tulio il campo a furia sollevossi:
Oiinuno addosso al sinanle ca«ciossi.
M 0 U (i A N T i: MAGGIORE
XXXIX
lil gli feciono inloriio un litiolelto,
Clu" It) faranno ranlare iji ledesco :
Al ponte (li Parisse era in eirello,
In mezzo a' saracini, e slava fresco;
Clii getta lance e chi sassi nel petto ;
Pure al battaglio stavano in cagnesco :
Ma tanta gente a la fine v' è corso,
Che bisognava a Morgante soccorso.
E tuttavia più la turba s' affolta :
Era sì grande e si grosso '1 gigante,
Ch' ognun che getta, facea sempre coUa ;
Pur molti morti n'aveva (lavante:
Che clii toccava il battaglio una volta,
Lo sfracellava dal capo a le piante,
E spesso tondo il battaglio girava,
E cento capi per aria balzava.
xu
Tanto che '1 cerchio faceva allargare ;
Alcuna volta menava frugoni,
Che si senticn le corazze sfondare,
E pesta loro i fegati e 1 polmoni :
Quando si sente arnese sgretolare,
E d' ogni gamba farne due tronconi :
E grida e mugghia il gigante feroce.
Tanto eh' assai ne storcìisce a la voce.
xr.ii
E pareva ogni volta che mugghiava.
Quando Cristo, Quem <faacritìs? diceva,
Ch'ognuno a quella voce stramazzava:
E tanti morti dintorno n'aveva,
Ch' ognun discosto a la fine lanciava,
E chi con archi, e chi dardi traeva :
Tal che Morgante di molte uova succia
Per le ferite, e com' orso: si cruccia.
xml
Egli era come a dare in un pagliajo ;
E già tutto è forato come un vaglio ;
E si volgeva com' un arcolajo
A' saracin che facieno a sonaglio;
E mai non uccideva men d' un pajo
Quand' e' menava più lento il battaglio :
E più di cinque mila n' avea morti ;
Ma ricevuti da lor mille torti.
XLIV
Avea nel dosso migliaia di zampilli
Che gettan sangue già per le punture.
Ch'erano state d'altro che d'assilli:
CIiì dà percosse di masse e di scure.
Chi '1 petto par, chi le gambe gli spilli ;
Chi dà sassate che parevon dure :
Era un diluvio la gente eh' è intorno
Per ammazzare il gigante quel giorno.
XLV
E già pel (.ampo il romore è si forte,
Ch' a la città oe fu tosto sentore:
Le guardie eh' eran lasciate a le porte,
Cominciorno a gridar con gran furore.
Come Morgante era presso a la morte.
Diceva Orlando ; Vedrai bello errore,
Che Manfredoiiio sarà iscampato,
E questo matto ha il suo cauqx» assaltato.
XLVI
Tanto andata sarà la capra zoppa,
Che si sarà ne' lupi riscontrata:
Questa sua furia alcuna volta è troppa:
1*1' fece pure in ver pazza pensata
D' ardere un campo come un po' di sloppa,
E come a' topi far con la granata :
Ma il topo sarà egli in (juesto caso
Al cacio ne la trappola rimaso.
XLvn
Subito fece i suo' compagni armare,
E Caradoro le sue genti tutte.
Perchè Morgante si possi aiutare
Da' saracin clie gli davan le frutte;
Cosi avvien clii pel fango vuol trotlare,
E può di passo andar per le vie asciutte:
E fece a Vegliantin la sella porre
Orlando, che 1 dcstrier suo vuol pur torre.
XLVIII
A Ulivier si fé' dar Durlindana,
Ed a lui dette Cortana, e Rondello:
E la bella e gentil Meridiana
Ulivier arma eh' è '1 suo damigello:
Corsono al campo a la turba pagana
Si presto ognun, che pareva un uccello.
Morgante vide il soccorso venire,
E col battaglio riprese più ardire.
XLIX
E cominciava a sgridar que' pagani,
E far balzar giù molti de la sella ;
E capi e braccia in tronco, e spaile e mani,
Tocca e ritocca e risuona e martella;
I saracini uccide come cani :
Un mezzo braccio v' alzar le cervella ;
E sopra i corpi ^portì si cacciava
Adosso a'jvivi, e la rosta menava.
L
Ed ogni volta levava la mosca ;
Ma ne portava con essa la gota ;
O dov' e' par che bruttura conosca.
Sempre col pezzo ne lieva la nuota :
L' aria pareva sanguinosa e fosca ^
Sì spesso par che il gigante percuota :
Balzano i pezzi di piastre e di maglia
Come le schegge dintorno a chi taglia.
LI
E spesso avvenne eh' un capo spicccSc,
E poi quel capo ad un altro percosse
Si forte, che la testa gli spezzóe ;
E morto cadde che più non sì mosse :
O quanti' '1 giorno a l'inferno mandcJe !
Quanti morti rimason per le fosse '.
E Manfredonlo già s' è messo in punto
Con molta gente, e 'n quella parte è giunto.
LII
Da r altra parte Orlando è comparilo,
E '1 sir di Montalban tanto gagliardo.
Ch'accetta, prima eh' uom facci lo 'nvilo ;
E fece un salto pigliare a Baiardo
In mezzo, dove il gigante è ferito :
Sopra gli uoniiu salti) sanza riguardo,
E ritrovossi al rigoletto in mezzo
De' saracin eh' ornai faranno lezzo.
INI O l\ G A N T K M A G G I O l\ V\
(Jiiaitilii Morjiaiilo v«'il«'va i|iirl salii»,
Parvo clic "1 nior«> in aria si U-vassf ;
("lu" più (ti (liiM-i brarcia and«'» in aria allo
Raiardo, prima rlie in terra calasse :
Or qni roiiiinria il terriliiU* assalto :
Itinalilo prf.-t«) Frnsberta sna trassr,
(^)tiella rlie fesse il mostro «la 1" inferno,
Per far »le' saracin rrndo a<>\i'rno.
Punte, rovesci, tondi, stramazzoni,
iMandiritti, traverse con fendenti,
Certi stramazzi, certi sergozzoni :
In dieci colpi n'uccise ben venti;
E chi partiva infin sotto a pli arcioni ;
f.ln ufmo al petto, e 1 manco inaino adenti:
E le budella balzavan per terra :
Mai non si vide tanta crudel piierra.
i.v
Orlando nostro sprona Vcpliantino ;
Giunse d' un urto Ira quel popol fello,
Che più di cento caccia a capo chino ;
Poi cominciava a toccare a martello :
Non tocca il polso sopra il manichino ;
Facea de' saracin' come im macello ;
Ed avea detto : Non temer, Morgante,
Cesare è teco, ov' è '1 signor d'Angrante.
LVl
Queste parole avean sì sbigottiti
I saracin', eh* assai del popol fugge ;
E buon per que" che son prima fuggili;
Tanto i nostri bacon' già ciascun rugge,
E ne facean gelatine e mc^rlili :
A poco a poco la turba si strugge :
E Ulivicri e Dodon giunti sono
Con romor grande che pareva un tuono.
r,vii
E Manfredonio in sul campo scontrava :
La lancia abbassa, che lo conosceva :
Re Manfredonio il cavallo spronava,
E Ulivierì a lo scudo giungneva,
E "usino a la corazza lo passava.
Tanto che tutto d' arcion lo moveva :
E sì gran colpo fu quel che gli diede,
Ch' Ulivler nostro si trovava a piede.
I.VIU
Ed ogni cosa Ja donzella vide
Ch'era venuta con sua gente al campo,
E fra sé stessa di tal colpo ruJLe-;
Ulivier come un lion mena vampo,
E per dolore il cor se gli divide,
Dicendo : Appimto al bisogno qui inciampo:
Caduto son dirimpetto a la dama,
Donde ho perduto il suo amore e la fama.
LIX
Guarda se a tempo la trappola scocca :
Non si potea racconsolar per nulla :
I Sempre fortuna a le gran cose imbrocca,
' E "n(in sopra la soglia ci trastulla:
Non domandar se questo il cor gli tocca.
Per gentilezza allor quella fanciulla
Se gli accostava, e diceva : L'Iivieri,
Rimonta, vuoi tu aiuto ? in sul destrieri.
( ^r i|ucslo In brìi del ddjipiu lo scorno,
E parve fuoco la f.m ia vermiglia
Are' voluto morire in rpiel giorno.
Meridiana pigliava la iiriglia.
Dicendo : Monta, cavaliere adorno.
Or questo è (juel ch'ogni co'ia scompiglia;
E jiel dolor dubitò sanza fallo
Non poter risalir sopra al cavallo.
I.XI
Morganle avea ogni cosa veduto,
Conrtnivier dal gran re Manfredonio
Del colpo ile la lancia era caduto,
E la donzella vi fu testimonio;
E disse : lo prò veri) come è dovuto,
S'io gli potessi appiccar questo conio;
lo intendo d" Ulivier far la vendetta;
E nverso Manfrcdon presto si getta.
I.XIl
Meridiana che I vide venire,
Gridava: Indritto ritorna, Morganle;
E Manfredonio correva assalire
Per lar vendetta del suo caro amante.
Morgante pur lo veniva a ferire ;
E com' e' giunse, gridava il gigante;
Tu sei qui, re di naibi, o di scacchi?
Col mio battaglio convien ch'io t ammacclii.
LXIII
Disse la dama: La battaglia è mia:
Se ci fossi al presente qui Orlando,
Non mi faresti sì gran villania :
Tirati a drielo ; io ti darò col 1 rando :
Venuto è qua con la sua compa< nia,
La fama e "1 regno di tormi cercando.
Morganle in drieto a la fine pur torna.
Per ubbidir questa fanciulla adorna.
LXIV
Trovò Dodone in luogo mollo stretto,
Ch'era venuto tra cattive mane;
- Pur s'aiutava questo giovinetto,
>E cominciava a dar mazzate strane :
A questo e quello spezzava 1' elmetto ;
Tanto che gli elmi faceva campane.
Quando egli assaggian di quel suo picciuolo.
Ma dà di sopra come a 1" orinolo. "^
LXV
E rimaneva il segno ov' e' percuote :
Quanti ne tocca il baltaglio feroce,
Non si ponea più le mani a le gote,
Che ne facea coni' e' fosse una noce:
Alcuna volta facea certe mole;
eh' a più di sette domava la voce :
Com'un nocciol di pe>ca ogni ebno stiaccia,
E fa balzar giù capi e spalle e braccia.
LXVI
E rimesse Dodon sopra il destrieri :
Dodon gridava al popol soriano :
Io ne farò vendetta e d' oggi e d" ieri.
Quando impiccar mi volea quel villano.
In questo tempo il famoso L'Iivieri
Exa pel campo con la spada in mano ;
E dove Manfredon combatte, arriva
Con la donzella iloriila e siuliva.
M O R (i A N T K AT A G O I O 1\ K
88
UBI
Un'ora o più <^()inhar(i)l(; qtir.-tf Iianno,
E non si voile de' (•i>l|)i vaiila;;jiio ;
l'Iivier tulio arrossì, rome f;im>o
Gli amanti presso a b dama, il visajrgio ;
E disse : Dania, iroo il ilar pio adanno :
Lascia pnr me vendicare il mio oltra}^gio;
Io vorrei esser morto veramente,
Quand' io cascai, che tu v' eri presente.
LXVIIf
A la mia vita non caddi ancor mai ;
Ma ogni cosa vnol coinincianu'nlo.
Disse la dama : Tn ricascherai,
Se tn combatti cento volte e cento;
E sempre avvenir questo troverai
A cavalier, che sia di valinicnto:
Usanza è in guerra cader del destriere ;
Ma chi si fugge non suol mai cadere.
LXIX
Jo vo' con ManTredon tu mi consenti
Che la battaglia mia sia in ogni modo,
Per vendicar non un' ingiuria o venti,
Ma mille e mille, e che paghi ogni frodo.
Disse Ulivier : Se cosi ti contenti.
Che poss' io dir? se non ch'io affermo e loiio.
Re Manfredon, ciie le parole inlese,
In questo modo parlava al Marchese.
txx
Per Dio li prego, baron d'alia fama,
Tu lasci me come amante fedele
Perdere insieme e la vita e la dama,
Che così vuol la fortuna crudele :
Cercato ho quel che cercar suol chi ama;
Trovato ho losco per zucchero e mele ;
E poi che la mia n.orle ognun la vuole,
Per le sue man morie non me ne duole.
I.XXI
So eh io non tornerò più nel mio regno
So che mai più non rivedrò Sona ;
So ch'ogni fato m' avea prima a sdegno;
So che fia morta la mia compagnia ;
So ch'io non ero di tal donna degno ;
So eh' aver non si può ciò ci)' noni desia;
So che per forza di volerla ho il Iorio ;
So die sempre, ov' io sia, l'amerò morto.
LXXII
Non potè far Meridiana allora,
Che del suo amante pur non gl'increscessi,
E disse : Così va clii s" innamora :
Se mille voTie uccider lo potessi.
Perle mie man non piaccia a Dio che mora.
Quantunque a morie si danni egli slessi :
E pianse ; sì di Manfredon gli dolse,
Ch essere ingrata a tanto amor non volse.
LXXUI
E ricordossi ben che combal tendo
L' aveva molle volle riuiuardala;
Dicea fra sé: Perchè d'ira m'accendo
Contro a costiu", perdiè son sì spiri. da ?
Ciò che fatto ha com'Io pur veggo e iilendo:
E per avermi lungo tempo amata :
Non fu lodata mai d' esser crudele
Alcuna donna al suo amante fedele.
Questo non vtn)l j>er certo il nostro Dio.
Non sa ])iù che si far Meridiana,
K disse: Manfredon, se il Ino dexio
r. di morir, non voglio esser villana :
Se tu facessi ]>el consiglio mio.
Per salvar te con tua gente pagana,
Tu soneresti a raccolta col corno,
E in oriente faresti ritorno.
i.xxv
Poi rlie non piare al tuo fero des|tr>o.
Ch'io sia pnr tua rome tu brami e vuogli.
Perchè pu:;nar pnr contro al Ino A|)ollino:'
Fo veggo il legno tue» fra mille scogli :
Tornati col Ino popol Saracino,
E 'I nodo «lei liu> amor per forza sciogli.
A questo Manfredon rispose forte ;
Non Io sciorrà per forza altro cìie morte.
r.xxvr
AHor segni fa donzella più avanle :
O Manfredon, di te m' inrresce assai ;
E diegli un prezioso e bel diamante :
Per Io mio amor, dicea, questo terrai
Per ricordanza del Ino amor costante :
E pel consiglio mio Ir partirai :
E se tu srampi e salvi le tue squadre,
D'accordo ancor mi ti darà mfo padre. {{',1
LXXV/I
Ogni cosa si placa con dolcezza;
E clii per forza vuol tirar pur 1' arco.
Benché sia Sorian^ sai che si spezza :
Oiini rosa conduce il tempo al varco :
E priego te per la tua gentilezza,
Che tu comporti ogni amoroso incarco,
E sia contento di qui far partita,
E in ogni modo conservar la vita,
LXXVIII
La dipartenza, perdi' e' non ci avanza
Tempo, qli' io veggo morir la tua gente.
Tra noi sia fatta ; e questo sia abbastanza,
Poi che più oltre il ciel non ci consente ;
E quel gioiel terrai per ricordanza,
( h' io t'ho donalo, sempre in oriente:
E se fortuna e 'l ciel t'ha pure a sdegno;
Aspetta tempo e miglior falò e segno.
LXXIX
Quest'ultima parola al cor s'affisse
A Manfredonio, udendo la donzella.
Che mai più fermo in diaspro si scrisse :
Volea parl^ire, e manca la favella ;
IMa finalmente pnr piangendo disse :
Aspetta tempo e miglior fato e stella.
Poi ch'ai ciel piare, e tornali in Sorta.
Quanto son vinto da tal cortesia !
LXXX
Quando sarà quel dì, quando fìa questo?
Or quel che non si può voler non deiigio ;
Io tornerò y>er non l'esser molesto:
Ricordali di me, eh' altro non chieas;io ;
Col popol mio, con quel che e' è di resto,
Che mfdti morti pel campo ne veggio,
V: Ritornerò sanza speranza alcuna
Nel regno mio, se rosi vuol fortuna.
AI O U a A N T K ÌM A (i (1 I O U K
I.XXXI
K poi" tuo aiuor l«'ii«'i i[iu'>.|4» ^ioii'llu :
Qnc5l(» ^«'nijii'c sarà j)rt's.>'0 :il ii.in curi' ;
S'io Ilo perr.ilo, lasso nirsrliiiirllo,
(loiilro al Ino |>a(lrr, rtinlro al iiiiit signore,
Incoljianc colui, fli'' «' sialo r|iu-llo
r.lii' m'Ita toikIoIIo «ln\i* vuol»-, anioxtJ
l\ in Oiini modo a lo iliiopuio ji«'i-ìtonr>*,
11 vÌmt jior Ino aiimi- roiiloiiU) .•.«mo.
J XNXII
V. poi si volse al iiiarcliose l'livi<'ri,
V. rliio.so a Ini porilon ilol ratliinoiilo :
lIli\ior ali perilona \olonliori,
(Ah- liei suo ilijiarlir Irojipo ò rnnlonlo,
roi<h\'ran «Ine }iran <ilii<(lli a un t^ii^liori,
Ed era stalo a le parole atlonlo
(;iie detto avea Meridiana a qnello
K ronleniiato, e ])oslovi il sn}:{:ello.
I xxxm
K ]>oi «■li"»*<ili eldie laurininto alqtianlo
Re ManiVedonio, al fin s' arrominialava ;
1'. la don/olla con sospiri e pianto,
AiKlio dicendo, la man ^ii toccava :
K dei j)ensar jc si raNorno il ^tianlo.
l'Iivior presto Orlando ritrovava,
K dicoa ciò cir e{i,li a%ea lorjno e salilo:
l'I molto ])iarqiie ad Orlando e Rinaldo.
LXXXIV
A'enne per « aso «piivi Caradoro,
M intese come T aciuido era faltt).
JMorjianlf insieme vejijirndii cos|or<»,
hiM'iso lor col liatla{ili«t era tratto,
I''. ipiel clic (ns^e saper vnol da loro ;
Ma col lialta|ilit> non ilava di |iia(to.
Orlando «lisse : N«)n far jiiii, Morfianle :
Alior ])iii iorte «ondiatle il (ridante.
J.xxw
Re Manfredonio e la sua compagnia
Contento è di lasciar Meridiana,
J)iceva Orlando, e tornarsi in Sori'n.
Mor^^ante allora il Latla^ilio (•iii spiana,
E disse : Orlando, onesta eia tra via;
E dette a imo una ])iccliiata strana :
l'n altro ammacca die ]iarve di cera ;
Ed anco questo ne' palli non era.
I,XXX>1
Orlando «lisse : Il baltaf^li»» cin posa ;
Assai morti n' aliliiam ]»«r «jiiesto t:,iorn«>.
Re Wanfrodon sua f^ente dolorosa
Per tnttij il campo rapuna col corno ;
E c«)sì la l)atta{:lia san£;ninosa
A questo modo quel di terminorno,
T-ome ne 1 altro dir seniiir«) i)«)i.
Cristo vi guardi, e sia sempre con voi.
CArSTO Ylll
ARGOMENTO
-J>i>^@^4?-
IVI cridiana si battezza^ e gode
Col Ttiarc/icsc Ulìvlcr d'' ainor» il frutto.
Ordisce Orbano una norrlhi frode,
Per cui non è. in l'arici un occhio asciutfo.
Dui campo d' Enninionc il frn^or ode
Carlo d' armale ^cnti^ e a tal ridutto
De' paladini e cinschedttn campione,
Che sonza birri van tutti in prigione.
->->^©4-S^-
' erjiine santa, madre «li Gesiie,
Ma«lre di tutti i miseri mortali,
i'er cui salvala nostra j)role fue,
Perclìè Ui ci ami lauto e tanto vali;
Donami grazia e tanfo di virine,
Ciri'nii ritorni a' Laron' nostri, i quali
Ne la città tornar volevan drente;
E Manfredon ne va poco contento.
II
Anzi cliiamava morte a ocni passo.
Dicendo: Oinè, quanto pensai felice
Esser per te, Meridiana, ahi lasso,
Ch'io t' lio lassata or misero e 'nfclice !
Arehhe fatto lacrimare un sasso
Per le parole, che talvolta dice ;
E tuttavia la p,ente rassettava,
E 'nverso ii suo cammin tristo n' andava.
Ili
Or chi avesse il gran pianto veduto,
Che nel suo dipartir fa la sua cenlei
Certo vch' assai aliene saria incres«iulo ;
Chi morto il padre lascia, e chi '1 parente,
E così morlo T ha riconosciuto.
Onde piangea «li lui miseramente:
Chi M suo fratello, e chi l'amico abbraccia,
Chi si percuote il petto, e chi la faccia.
MORGAN T i: INI A G G 1 O R E
riravi alriiti che cavava T elmetto
AI suo fijiliiiol, al suo cognato o padre,
Poi lo baciava con pietoso affetto,
E tlicea : La'^so, fra le nostre squadre
Non toraer.ii in Sona piti, poveretto '.
Collie direni noi a la tua afflitta madre
O (Ili sarà piti quel die la conforti ?
Tu li riman con gli altri al campo morti.
V
Altri dicean pel cammin cavalcando:
Non si dovea tanta gente pagana
Menar per«> così qua tapinando :
Certo non era la dama sovrana
Di tanto prezzo, quant'or vien costando:
Or hai tu, Manfredon, Meridiana?
Or se ne va la tua gente sbandita,
E mancò poco a lasciar qui la vita.
VI
Teco menasti tutta Pagania,
Come tu andassi per Elena a Troja^
CJra liai tu fatta la tua voglia ria,
E se'cagìon che tanta gente muoja.
E cosi Manfredon ne va in Sorta
Afflitto sconsolato in pianto e in noja :
Così chi segue ogni sfrenata voglia.
Lasciando la ragion, sente al fin doglia.
VII
Orlando con Rinaldo e Ulivieri
Si ritornorno, e Dodone e Morgante
Con Caradoro e tutti i cavalieri,
Con le bandiere al vento trionfante:
Gran festa è fatta a' Cristian' battaglieri
Da tutto quanto il popolo africante ;
Suonansi corni e trombette e tamburi ;
Fanuosi fuochi e balli sopra i muri.
vili
Essendo molti giorni riposati.
La damigella nn dì chiama il Marchese :
In una cameretta sono andati :
E poi che tutta nel viso s' accese,
E i suoi sospir' tutti ha manifestali ;
Priega eh' a lei sia cavalier cortese,
E che "1 suo amor negar non debbi a quella.
Che nel suo cor sentia mille quadrella.
IX
IMivier dice : Non farò per certo.
Perchè se' saracina, io son cristiano:
Dal nostro Iddio so eh' io sarei diserto :
Prima m'uccidi qui con la tua mano.
Ella rispose : Stu mi mostri aperto
Che '1 nostro Macometto Iddio sia vano.
Io mi battezzerò per lo Uio_ amore,
Perchè tu sia poi sempre il mio signore.
X
Ulivier disse de la Trinitate,
Com' era una sustanzia e tre persone.
Di lor potenzia e di lor dcitate,
E poi gli fece una comparazione :
Se d' esser uno e tre pur dubitale,
Si mostra per esemplo, e per ragione,
Cir una candela accesa mille accende,
E '1 lume suo pure a 1' usalo rende.
De' miracoli falli disse al mondo,
l'^ come Lazzar già risuscitasse;
Com' e' fu crucifisso e nel profondo
Del Limbo a trar moli' anime n' andasse.
Disse la dama : Piti non ti rispondo ;
E fu contenta che la battezzasse:
E dopo a questo vennono a la cresima.
Tanto che in fine e' ruppon la quaresima.
XII
Pili e pili volte questa danza mena
Ulivier nostro pur celalamenle :
Non si ricorda piti di Forisena,
Che la soleva aver sempre a la mente:
E la fanciulla leggiadra e serena
Ingravidala è di lui finalmente :
E narquene un figliuol, dice la storia.
Che dette a Carlo Man poi gran vittoria.
XIII
Uscendo «n dì d' una zambra la dama,
Rinaldo s' accorgea di questo fatto,
E Ulivier segretamente chiama:
Che fai tu ? disse ; tu mi pari un matto.
Ulivier gli contò tutta la trama,
Com' ella è battezzala, e con che patto.
Rinaldo disse : Se cristiana è certa.
Fa che la cosa almen vadi coperta.
XIV
Or lasciamo Ulivier fornir la danza,
E riposarsi alquanto, e gli altri ancora,
E ritorniamo al signor di Maganza
Gan da Pontier, che non si posa un' ora :
Avuta avea del suo messo certanza.
Come impiccato fu sanza dimora
Da Carador ; onde n'ha gran tormento,
E pensa pur qualch' altro tradimento.
XV
E percir egli era maestro perfetto,
Si ricordò d'un gran re Saracino,
Lo quale Erminion per nome è dello,
Nimico di Rinaldo paladino ;
Perchè Rinaldo gli fé' già dispetto,
Quando dette la morte al re Mambrino ;
Perch' egli avea per moglie la sorella,
Della dama Clemenzia savia e bella.
XVI
Avea più tempo questa donna eletta,
Come fanno *le mogli col marito,
Pregato che far debba la vendetta.
Erminion non 1' avea consentito.
Come colui che luogo e tempo aspella,
Siccome savio, a pigliar tal partito;
Gan da Pontier avea per alfabeto
Ogni trattato palese e segreto.
XVII
E dov'è' possa seminar discordia.
Noi rilenea pietà né coscienzia,
Che lo facea sanza misericordia ;
Sapea il pensier de la dama Clemenzia ;
E scrisse nn brieve ; e «lopo lunga esordia,
Gli ricordò l'oltraggio e violcnzia
Del buon Rinaldo : e che non debba starsi,
Però eh' egli era il tempo a vendicarsi.
M O I\ (, A N T K INI A (> (, I O R E
XVIII
A te, Krniiiiion ili pran polt-rp,
li conte G.1II mille saluti niaii<l.i,
Sempre parato ad opiii tuo piacere,
K uniiliiiente a te 51 rarroniaiKla :
(".redo tii debili ocni rosa sapere,
Dove liìnaldo si Iriiovi e 'n qiial banda,
y. com" epli è <-bande;;j;iatO di corte,
E dette al re Manibriii pur già la morte.
XIX
Pel mondo va coin'un ladron di strada :
Orlando è seco e Dodon per ventura ;
Ed Ulivier con lui credo ancor vada:
Non li bisogna aver di lor paura:
Lascia il tuo regno ed ogni tiia~contrada :
A Montalban te ne vieni a le mura :
Alardo e Ricciardetto v' è a guardarlo ;
E non polre'piii in odio aver^^li Carlo.
XX
Se tu'vien^presto col tuo assembramento,
In ])oet) tempo so che 1 piglierai :
Gente non v' è né vettovaglia drento ;
E in questo modo ti vendicherai ;
Però che fu pur troppo tradimento,
Ucciderlo nel modo che tu sai :
10 te lo scrivo per antico amore ;
E so che vuole il nostro imperadore^
XXI
E' si vorrebbe dinanzi levare
Tutti que' de la casa di Chiarmonle ;
Ma con suo onor non l'ha potuto fare:
Ora ha sbandilo Rinaldo col conte
Per fargli sol, se può, mal capitare :
E se tu vien con le tue genti a fronte,
Carlo sarà giustificalo in tutto,
Che per tua man Montalban fie distrutto.
XXII
La lettera suggella e manda il messo.
Che non debba posar notte né giorno ;
E se farà suo debito, ha promesso
Cento talenti Gan nel suo ritorno.
11 messaggier vuol far quel eh' è interesso;
Subito tolse la taschetla e "1 corno ;
E dopo lungo e spiacevol cammino
Si rappresenta al gran re Saracino.
XXIII
Erminione a questo pose orecchio,
E tutte le ragion' gli son capace, '^■
Benché conosca Gan tradilor vecchio:
Dama Clemenzia questo assai gli piace :
E finalmente feciono apparecchio
Di gente franca saracioa audace:
Ben centomila sotto un gonfalone
In poco tempo accozza Erminione.
XXIV
E poi che tutti furono assembrati.
Con trentamila giunse un ammirante,
E d' archi soriani erano armali,
E per nome si chiama L|onfanle :
Avea per arme due lion dorali
Nel campo azzurro, e ciascun par rampante:
Era venuto sanza aver richiesta;
E molto Erminion ne fece festa.
Ed arrecosfi in buono augurio e segno
La sua venuta, e quella gente franca ;
L arme d' Erminion famoso e degno
Nel campo rosso era un' a(|uila bianca;
Salvo eli' aveva nn altro contrassegno,
Una rosetta sopra 1' alia manca :
E Kieramonte suo fratello adorno
Appella Erminione e Salincorno.
XXVI
E disse a Salincorno : Tu verrai
In FraiH ia bella ; e tu, mio Fieraiiionle,
La mia corona in testa serberai ;
Tanto mi fido a le virtù tue pronte :
Né mai del regno ti dipartirai.
Fin che passare in (|ua mi vedrai '1 monte:
A le confido lutto il mio reame ;
E la {giustizia fa eh' osservi ed ame.
XXVII
Dama Clemenzia d' allegrezza ha pieno
li core; e fece al messaggier di Gano
Nel suo partir donare un jialafreno :
Cento bisanti poi gli pose in mano:
E d' un bel drappo splendido e sereno -^
Gli dette un ricco e gentil caffettano ;
E disse : Questo per mio amor ne porla :
Saluta Gan mille volle e conforta.
XXVIII
Erminion gli fé' donare ancora
Molte cose leggiadre a la moresca;
11 messaggier parli sanza* dimora
Con la risposta, e non par che gl'incresca:
La qual risposta Ganellon rincora.
Come il nocciolo ara tosto la pesca,
E come cento trentamila avea
Di cavalieri, e come e' si movea.
XXIX
In pochi di' ritornò il messaggieri,
Ed al suo Ganellon si rappresenta :
Gan la risposta lesse volentieri,
Quando sentì di centomila e trenta:
Disse il messaggio : O signor da Pontieri,
Di quel elle m' hai promesso or mi contenta:
Erminion non vuol di lui mi lagni,
E mostrò i don eh' ha ricevuti magni.
XXX
Gan gli donò quel che promesso avea ;
E tutto pien d'allegrezza era quello;
A 3Iontalbario a Guicriardo scrivea.
Che ne veniva Orlando e '1 suo fratello :
E presto sarà in Francia : e ciò farea
Per certa astuzia il maladetto e fello.
Perché tenessUna terra e le mura
Più sprovvedute, e stieu sanza paura.
XXXI
Intanto Erminion si mette in punto :
Apparecchiò naviliì in quanlitate;
E com' e' vide il vento per lui giunto.
Subito furon le vele gonfiate ;
E giorno e notte non si posa punto :
Le navi a salvamento son giostrate ;
E in pochi di questa brigala magna
Si ritrovava ne' porti di Spagna.
M O 1\ r, A N T E ]M A G CV I O W K
XXXII
Fh la novella subilo a Marsilio,
Come in Ispagna è veimla ttraii •;eiilc :
Maravi^liossi «li fjiieslo navilio,
E cominciava a temer forlemenle:
Kl)l>c oonsiplio, e tulio il suo concilio ;
K iiiaiida imbasceria siibitamentt',
Clie lo «lebba avvisare l'^nniiiioiie,
De la venuta sua che sia cagloae.
xxxui
Erminion rispose come saggio,
Che inverso Francia con sua genie andava
Per vendicarsi d' un antico oltraggio,
E come il passo sol gli domandava,
Ch' a' suoi paesi non faria dannaggio.
Marsilio ne V impresa il confortava ;
E ])reslo fu avvisalo Carlo Mano,
Com' e' passava gran popol pagano.
XXXIV
Carlo sentendo si fatta novella,
Non ebbe a la sua vita un tal dolore ;
Turpino e Namo e Salamone appella,
E raccontava del fallo il tenore,
Dicendo: Orlando non sarà qui in sella ;
Non e è Rinaldo ; ond'e'mi triema il core,
Né Ulivieri il nostro paladino :
Che farem noi, o Namo, o mio Turpino ?
XXXV
Or si conosce il mio nipote caro ;
Or si conosce Rinaldo e "1 Marchese :
Turpino e gli altri- insieme s' accordato.
Che si dovesse stare a le difese :
In questo modo Carlo confortato ;
Namo per tulli le parale prese.
Dicendo : Le città difenderemo ;
E intanto aiuto al papa chiederemo.
XXXVI
Per tutta Francia fecion provvedere
Le città le fortezze e le caslelle ;
E ordinorno mandar messaga;icre
yVI papa, a dir le cattive novelle :
Intanto Erminion con sue bandiere
Presso a Parigi son sopra le sfelle ;
E fan tremare il monte e la pianura,
E tulio il regno sta con gran paura.
XXXVII
E pel paese trascorrendo vanno,
Rubando ardendo e pigliando prigioni ;
E mettono ogni cosa a saccomanno:
Dove e' s^ abballon questi mascalzoni,
In ogni parte facevan gran danno.
Erminion fra lutti i suoi baroni
Elesse Lionfanle, che ponesse
Il campo a Monlalbano, e intorno stesse,
XXXVIII
E lui si stelle con sua gente al piano
Appresso a poche leghe di Parigi;
E manda imbasciadore a Carlo Mano
A dir che gli. niovea questi litigi
Per vendicar Mambrin degno pagano,
E ^lontalban disfare e San Dionigi :
E Mallafolle fu suo imbasciadore,
Va re pagan che non gli triema il «ore.
XXXIX
Oiugiiendo a Carlo Man quel Mattahdlf ,
l'\'' come matto e^olle ver.unente,
Che qiianìTo egli ebbe dello quel die vollf,
lil'' cominciò a minacciarlo aspramente.
.Carlo pur rispondea timido e molle :
Astolfo a «jueslo non fu paziente ;
Trasse la spada fuor con gran tempesta,
Per dare a Maltaltdlc in su la lesta.
Ma non potè, perclu': lo prese Namo,
E disse : _L' onestà questo non vuole,
Cir a 'mbasclador oltraggio noi facciamo:
Lascialo far, che fa come far suole,
Sì che al suo re non ne faccia richiamo.
Mallafolle tagliava le parole,
E disse: .Vstolfo, in sul catnpo ti voglio;
E forse abbasserò questo tuo orgoglio.
xr.i
E dipattissi da Catlo aditalo.
Benché il Dusmano si scusasse assai :
Al prrande Erminion si fu tornato,
E disse : La 'mbasciala tua coniai ;
E molto fui da Astolfo ingiuriato;
Ond' io li priego, se li piacqui mai.
Che domattina sia contento io m' armi ;
E vo' con lutti i paladin' provarmi.
XI.Tl
Rispose Erminion : Tu non sai bene
Ancor chi sieno i paladin di Francia :
E per questa cagion sì spesso avviene,
Glie molti n'hanno forala la pancia:
Sappi che Carlo Man questi non tiene,
Se non fussino ognun provata lancia :
Tu ti potrai provar, se n' hai pur voglia ;
Ma guarda ben che mal non te n' incoglia.
XMII
E se non v' è Rinaldo e Ulivieri,
E se non v' è Orlando tanto forte,
E' v' è quel valoroso e franco Uggieri,
Ch a tanti saracin già dato ha morte ;
E quel famoso e degno Berlin^hieri ;
Ottone, e tanti altri baroni in corte ;
Per mio consiglio al campo ti starai :
Pur se ti piace a tuo modo farai.
xr.iv
Astolfo in quella notte cavalcóe
Inverso Monlalban tutto soletto :
Perdi' e' non v' è Rinaldo, diibili'te
D' Alardo, d} Guicciardo e Ri» ( iardeUo ;
Ma giunto ov' era il campo risconlróe
Certi pagani e fu preso in elTetto,
E fu menato preso a T^ammirante,
Ch' era chiamato il fiero Lionfanle.
XI.V
Lionfanle comincia a dimandare
Di Carlo, di 5na gente e sua possanza,
E la cagion che vcngon per guastare
Montalban, come tosto avea speranza :
Diee, che voglion Mambrin vendicare,
l'erdiè Rinaldo le" lro|>pa fallanza
A traditi. eiklo mvider qivel signore,
E mancò troj»po al suo parer d' onore.
MOI\ (r \ N T K M A (tG lOK K
E «"ho per questo faria l.inla jiMrrra,
Pfr vcinlic.ir (mrs<o prciMlo aiiliro.
A lui ri^pM<e il sif'nur d" lu^liillrrra :
Asrolla, Liouf.intP, quel rli' io dico:
Pel mio (iesìi, rlic tlii «lire rio, erra;
Perdi' e' V iicrii.e come suo nituico
A corpo a «orpo, e sanza Iradimenlo ;
E non vi Tu ililoll»» o mancamento^
XI. VII
E racronlù |« rosa in tal maniera,
Che Lionfanle roslò pazienle,
E disse : Poi eli' io so la storia vera,
Per mia fé ora eli' io ne son dolente
Aver condotta qua la mia bandiera:
Esser vorrei 'n Sona con questa dente ;
Che poi eh' a trailimento e' non fu morto,
Erniinion, per Maconielto, ha il torto.
LXVIII
Io conobbi Rinaldo già in Ispapna ;
E per mia fé mi parve un noni penlile,
Da non dovere aver questa magagna
Di far con tradimento opera vile :
Anzi pareva una persona niapna,
E franco e forte e priusto e signorile ;
E 'ncrescemi di lui che non ci sia :
Ma per me tanto oltragtiiato non fia.
xcix
E s'io potessi Monl;ill)nn pijiliarlo,
10 noi farò pel giusto Iddio Apollino;
E in qualche modo si vorria avvinarlo
Che ritornasse in qua col suo cujiino:
Ma dimmi, £rie,ionier, col qual Io parlo,
Se tu se" cavaliere o paladino.
Astolfo il nóme suo jili disse allora;
11 perchè Lioufanle assai l'onora,
r.
E fece accompajinarlo a la cittate :
Era quel Lionfanl^e un nom discreto:
Mandò con lui molle sue penti armale
Fino a le mura ; e poi tornano in drieto :
Astolfo truova le porle serrate :
Furono aperte, e molto ognun fn lieto:
E Ricciardetto, quando ha questo inteso,
Parve dal cor si levasse ogni peso-
Li
£ domandò se sapeva niente
Del suo fratello ; e disse come Gano
Gli aveva scritto mollo chiaramente,
Rinaldo saria tosto a Montalbauo.
Astolfo indoviuóe subitamente
La sua malìzia, e scrisse a Carlo Mano ;
Che certo il tradì ìor dT Gano é quello,
Ch' avea condotto là quel popol fello.
MI
Gano in quel dì parea maninconoso
Più d' alcun altro di sì fatto assedio ;
Eaiispesso il viso facea lacrimoso,
Dicendo: Carlo, io non veggo rimedio
A Monlalbano ; ond' io ne sto doglioso :
Credo che poco vi staranno a tedio :
E poi la notte nel campo avvisava
Erminion ciò che Carlo ordinava.
Carlo un dì per ventura vide indosso
A quel corrier cli'ei^li aveva mandato
Al re pagano, un certo vestir rosso
Di cammuccà che gli aveva donato ;'•
E fra sé stesso diceva : Io non posso
Pensar «1* onde costui 1' abbi arrecato ;
E domandonne alcuna volta Gano,
Ond' egli avesse quel vestire strano.
LIV
Gan gli avea detto: A questi dì il mandai
Nel tal paese pe^ saper d' Orlando
Novelle ; e perché poco ne spiai,
Non te lo dissi: e '1 messapgier tornando
Per quel ch'io intesi, che ne'l domandai.
Un dì in un bosco un pagano scontrando.
Credo che disse, lo fece morire,
E Irassegli di dosso quel vestire.
r.v
Vera cosa è eli' io scrissi a questi giorni
A Ricciardetto per dargli conforto :
Rinaldo e gli altri paladini adorni
Sappi che in Francia saranno di corto:
Qiiesto è perchè non credon mai che torni,
E hanno dubitalo che sia morto.
Carlo ogni cosa ne la mente avrà ;
E '1 messaggier d'Astolfo allor giugnea.
LVI
E non credette a quel che Astolfo scrisse,
Perchè il parlar di Gan si riscontrava;
E risposegli in drieto, e co^l disse:
Quand'egli scrisse questo, se sognava,
A dir eh' Erminion per Gan venisse :
Così fortuna Carlo traportava ;
O forse cir era permesso dal cielo.
Ciò che Gan dice, gli paja il vangelo.
i.vii
Or ritorniamo a Ma II afolle nn poco :
Egli era contro Astolfo inanimalo
Per quel che fé', che non gli parve gioco:
La manina seguente si fu armalo.
Però che l'ira riscaldava il foco:
Così soletto si fu invialo,
E venne presso al muro di Parigi,
Dov' è la chiesa detta san Dionigi.
LVIII
Ed un suo corno cominciò a sonare.
Chiamando Astolfo che debba venire.
Se vuol con esso in sul campo giostrare.
Carlo comincia col Dusniano a dire,
E Salamon, quel che par ìor di fare ;
Se Matlafolle si debba ubbidire;
E finalmente per parlilo prese,
Che a lui si mandi il possente Danese.
Il Danese s' armò con gran furore :
Il suo cavai d'acciaio era guernilo:
Chiese licenzia ; e da lo imperadore
Subitamente e da eli alici è partito:
Vide dov'è Matlafolle il signore
Che rifaceva col corno lo 'nvito :
Maravigliossi che "l vide soletto,
E non pareva eh' avesse sospetto.
\
M O I\ G AN TE MAGGIORE
Gingnendo a ?>Iallaft)lle il franco Uggieri,
Lo salutò con un gentil saluto ;
Poi gli diceva : O no1>il ravalieri,
Per roniballer con noi se' qua vennlo;
lo sono slato per tolti i sentieri
De'Saracin! , e mai non fu' abbaltnto :
Che, pensi In con ispada o con lancia
Esser vennlo acquistar fama in Francia ?
r.xi
Io son de'paladini il più codardo;
E non li slimo, pagano, un bisante :
Se tu se' pur, come credi, gagliardo,
Prendi del campo, barone africanle :
Rispose il Saracin : Per certo io guardo,
Se In se' quel cavaliere arrogante ;
Che mi volesti far villania in corte,
Per darli in ogni modo oggi la merle.
LXII
Disse il Danese : Troppa pazienza
Ebbe con leco il nostro imperadore,
Che ti dovea punir di tua fallenza,
Se sialo tu non fossi imbasciadore :
Colui che fare li volea violenza,
Astolfo è, d' Inghilterra allo signore :
10 son cliiamato per nome Danese:
11 Saracino alior del campo prese.
T.XIII
Poi che fu dilungato il Saracino,
PIÙ d' un' arcata, volse il suo cavallo ;
Da 1' altra parte il franco paladino
Tosto tornava in drieto a contraslallo :
Forno scontrali a mezzo del cammino ;
E nessun pose la sua lancia in fallo :
Ma del Danese la lancia spezzossi
Sopra lo scudo ; e quel pagan piegossi.
LXIV
Il Saracin ferì con maggior forza
Sopra lo scudo il possente barone ;
Passollo lutto, e trovava la scorza
De la corazza, e passala, e '1 giubbone :
Uggier piegossi ora a poggia, ora a orza,
E finalmente cadde de l' arcione.
Re MaltafoMe, quando in terra il vide,
Maravigliossi, e di ciò forte ride.
LXV
E disse: Or non vo'più che tu li vanii
Che mai più non cadesti del destriere,
E di' che ci liai provali lutti quanti :
Provalo non m'avevi, cavaliere:
Vedi che Cristo e tulli i vostri Santi
Non t' han potuto aiutar di cadere:
Renditi a me, come tu dei, prigione.
Djsse il Danese: Questo è ben ragione.
j:-xvi
La Spada per la punta il paladino
Delle al pagan che l'aveva alihatlulo :
Menollo in san Dionigi ii Saracino,
E disse: Qui l'aspella, et»' è dovulo.
Poi cominciava : O figliuol di Pipino,
Sappi, eh' Uggier de la sella è caduto,
E per prigion V ho messo in san Dionigi ;
Mandami un altro baron di Pari"!.
Quando «idi Carlo risonare il corno,
Non fu mai più dolente a la sua vita ;
E riguardava per la sala intorno,
Dov' era la sua gente sbigottita :
Dusniano, e tutti gli altri consigliorno.
Che poi che 1 Saracin cosi gl'invita.
Un altro cavalier mandar bisogna ;
Se non che gli saria troppa vergogna.
LXVIII
Ed accordarsi che v' andasse Namo :
Nanio v' andò, siccome gli fu imposto :
Giugnendo a Matlafolle così gramo,
Lo salutò, e dissegli discosto :
Prendi del campo ; a la giostra vegnamo:
Glie dir parole assai non son disposto.
Il Saracin che la sua voglia intende,
Subitamente allor del campo prende.
I.XIX
Namo si volse tulio furioso,
E si credette inghiottir Matlafolle :
Giunse a Io scudo un colpo poderoso :
L' asta si ruppe, che passar noi volle.
TI Saracin eh' è forte e animoso,
Nidla non par che de 1' arcion si crolle ;
E prese il savio anca a mezzo il petto,
E de la sella lo cavò di netto.
Namo si vide superato e vinto,
E cosi disse : Io li comincio a credere.
Poiché tu m' hai fuor de 1' arcion sos|»into,
Cli' ogni altro saracin tu debba eccedere.
Il brando presto dal lato ebbe scinto,
E disse : A te pri)j;ion mi vo' concedere.
Disse il pagano : Or, se non l' è fatica.
Il nome tuo, baron, vo' che mi dica.
r.xxi
Namo rispose : Questo poco importa:
Sappi eh' io sono il duca di Baviera.
Disse il pagan : Per Macon li conforta,
Che onoralo sarai fra la mia schiera :
Di san Dionigi il condusse a la porla,
Dove il Danese nostro prigion era,
E rilornossi al campo, e '1 corno suona,
Carlo sprezzando, e sua saiUa^ corona.
LXXII
Era Carlo a vederlo cosa oscura,
E tulli i suo' baron similejnenle :
Ognuno avea già in Parigi paura.
Berlinghier nostro, quando il corno sente,
Tosto apportar si facea 1' armadura,
E montò sopra il suo deslrier possente :
Ne la sedia fatai rimase Carlo,
E i suoi baron d' intorno a confortarlo.
LXXIIl
La lancia di Ciresse aveva in mano.
La spada a lato, e cintosi un trafiere :
Brocca il cavallo, e giugneva al pagano
A lanci e salti, che pare un levriere ;
E disse: Se' lu quel baron villano,
Che cosi sprezzi il famoso imperiere ?
Se tu sapessi chi sotto è in quest'armi,
Tosto perdon \(rresti, a doman<larmi.
MOUr, ANTK M ACCI Q i\ K
Se ili sranipi ila me, tu sarai "I |irini(i,
Tanti n' lio morii <>ià riiii qiit-.>la spada :
Non tidiiiandar s'iipni pcliizzu cina»
Con essa in aria, in modo par die rada.
Disse il pacan : Per Macon piiro slimo
r.lii troppo sia la notte a la rugiada :
Manila pel prete, e fa trovare i niorcoli ;
C.lie tu mi pari una bertiiitia in zucruli.
LXV
BerliiiplK'r si rrurriò rome un dia\olo,
E disse al Sararin: Malto, iiom bestiale,
r.he se' tu uso a mangiar crusca e cavolo
Co' pazzi sopra il carro trionfale ;
Non poire" farlo Marone, e 'I suo avolo,
O Apollin, eli" io non ti farci male.
Dis<e il pagan, poi che molto ebbe riso :
Deh dimmi un poco, hai tu sotto allro viso?
rxvi
Rispose Berlinghier: Non più parole,
E' ti parrà eh" io sia com' un gigante :
Il molto rider segno esser non suole
Pero di cavalier saggio o prestante :
Non so quel che lu di rugiada o sole,
V. zoccoli non ho sotto le piante ;
Ma ne la punta del mio brando forte
So eh" io vi porlo, baron, la tua morte.
LXXVJI
Sareslu mai Rinaldo, o quel Marchese
Ch'ha tanta fama al mondo, o 1 conte Orlando,
Disse il pagano, o puoi più che 1 Danese,
Che ne la punta la morte hai del brando?
Deh fammi il nome tuo, se vuoi, palese.
Berlingliier gli rispose minacciando :
Non son Rinaldo, Orlando o Ulivieri,
Ma il franco e forle e uentil Berlui^hieri.
Lxxvjn
Il Saracin, sentendo nominarlo,
Rispose : Sia nel nome di Macone :
Dunque tu se' de' paladiii di Carlo:
So che non tien sì fallo compagnone
III corte, se non usa di provarlo :
Io l' ho squadralo dal capo al tallone
Per veder quanto discosto gillarti
Aoglio in sul campo, o in su l'erba posarli.
i.xxix
Prtndi del campo, ch'io scoppio di ridere,
Pensando, cavalier, quel che tu hai dello,
Che tu mi creda cosi al primo uccidere :
Non potre' farlo tu, ne Macometto :
Se tu non soldi genie da dividere,
O ver se tu non voli, io li prometto
In san Dionigi, ^avalier dj^^rancia,^
Portarti in su la punta de la lancia.
LXXX
Rispose Berlingliier : De gli altri matti
Ho gastigati a" miei di mille volte,
E te gastigherò : vegnamo a' falli ;
CJie le parole tue paiono stolte.
Disse il pagano: Io vo" far questi patti.
Che tu mi lasci sol due dita sciolte,
E mettami n un sacco il resto tulio;
E moflrernlii c!i' io li stimo un pullo.
I.XXM
Pri-iidi del campo, ditse Berliaghieri ;
l'orse che tu ti truvi-rai 'n un »accu ;
V. subito rivolse il suo destrieri.
Direndo : Mallafolle, tu m' hai stracco :
Tu se' « ome lu hai nome, e volentieri
Non gitliam qui le perle in bocca al ciacco.
Il saraciu del rampo preje e tolse;
Poi con la lancia a Bcrlinghier si volse.
LXXMl
Berlingliier ne venia come un colombo,
E 1 Saracin ne vico com' un falcone :
Da ogni parte si s( uliva il rombo
De" lor deslrier', ch'u^niin pare un rondone:
Poi lasciaron cader le lance a piombo ;
(ìgnun in resta la sua tosto pone ;
Ma quella del Cristian eh' è di ciresse.
Tosto si ruppe, e pel colpo non resse.
L XXX MI
Il Saiàcin ferì sopra lo scudo
Rtrliugliier nostro ; e come fusse cera.
Subito il passa ; e 'I ferro acuto e ignudo
Passò la corazzina e la panziera :
Fino a la carne andò quel colpo crudo :
E perchè soda e verde la lancia era,
Per la percossa che fu mollo acerba,
Berlinghier franco si trovò su 1" erba.
LXXXIV
E 'n su la punta più di dieci braccia
Lo portò in aria, e poi lasciollo andare,
E disse: Sempre avvien, che chi minaccia.
Ne suol la pace a casa poi portare.
Berlinghier mano a la sua spada caccia,
E volle la baltagh'a rappiccare ;
Subilo del terreo ri Ito si getta,
Per far di Mallafolle aspra vendetta.
r.xxxv
Ah, disse il Sararin, tu falli troppo :
Usanza è sempre de gentil baroni.
Che que" che son caduti al primo intoppo,
Porghino il brando, e dicnsi per prigioni ;
Or eh* io t' ho vinto, fracassato e zoppo,
A quel, che vuol la giustizia, t'opponi;
Ed hai cavato fuor lo spadaccino;
Questa usanza non è di pxiliLdixiai
LXXXVI
Io t'avevo sentito ricordare
Fra tutti gli allri un cavalier virile,
Che non sapessi in nessun modo errare,
Onesto, saggio, pulito e gentile ;
Or fatto m' hai di te maravigliare : i
Questo mi pare un atto slato vile. 1
Rispose a Mallafolle Beriingliiere :
Io ti darò col brando e col Irafiere.
LXXXVII
Matlafolle non ebbe pazienza,
E disse : Poi che tu se" in tanto errore,
Io ti gastigherò di tua fallenza ,
E punse sopra a' fianchi il corridore:
Dettegli un colpo di tanta potenza
Sopra r elmetto, dice 1' autore^
Che Berliuiihierl Tn terra inginocchlossì,
E non <apeva in qual HiOudo si fossi.
M OR GANTE MACxGIORE
IXXXVIII
Rendili Iti prigion, diceva allora
Il Saracino : olii, tosto rispose
Il paladin : sanza far più dimora
Il brando per la pnnta in man gli pose.
Ed ecci un autor che dice ancora,
E così tniovo uè T antiche chiose,
Che ginocchion lo fé' star quel che volle
Con le ginocchia igniide Maitafolle.
LXXXIX
E disse : Questo sia pel tuo peccalo,
Che tu volevi far le fusa torte :
E poi ch'egli ebbe il suo brando piglialo,
Non per la punta che v' era la morie.
Anzi dal pome, come e' gli fu dato;
Lo mise dentro a quelle sante porte
Di san Dionigi : e Namo, che vedea
Il suo Cgliuol prigion, seco pìangea.
xc
Efa d'ogni eccellenzia e di costume
Berlinghier sopra tutti un uom dabbene,
Di gentilezza una fonte, anzi un fiume,
A luogo, e tempo, come si conviene ;
Tanto che scritto n' è in più d'un volume:
Or se lo stil de la ragion non tiene,
E , che conobbe eh' ogni gentilezza
Perduta è sempre a chi quella non prezza.
xct
E reputava MattafoUe un matto,
Come il nome sonava veramente
Da non servargli né ragion né patio :
Cosi lo scusa ognun eh' è sapiente:
Poi se gli fusse riuscito il tratto,
Era salvato Carlo e la sua gente:
E lecito ogni cosa è per la fede ;
Adunque chi lo 'ncolpa, il ver non vede.
Carlo sentì ritoccare il cornetto,
E disse : Questo mi par tristo segno ;
Caduto è Berlinghier tanto perfetto ;
Non so chi abbi a' suoi colpi rilegno:
Venuto è questo pagan maladello
Per «lislrugger mia gente e tutto il regno.
Avin s' armò, sentendo che '1 fratello
Era abbattuto, per vendicar quello.
xeni
Avin si ritrovò sopra la terra;
Venne in sul campo il valoroso Ollon«,
n famoso signor là d'Inghilterra,
E finalmente si trovò prigione :
Tutti gli abbatte il Saracin da guerra:
Venne Turpino, Guallier da Mulione,
Salamon di Brettagna, e '1 buono Avolio;
Tulli prigion n'andar cheti com' olio.
XCIV
Di Normandia il possente Riccardo
Venne in sul campo ; e con gran sua vergogna
Al primo colpo rimase codardo :
Tosto s'armava Angiolin di Guascogna;
Volle provar come fusse gagliardo,
E rilrovossi come gli allri in gogna.
Carlo rimase sconsolato tutto
Veggendo il popol suo così distrtitlo.
xcv
Restava appunto il tradì tor di Gano :
Carlo non volle ch'egli uscisse fore;
Tornossi Mattnfolle a Montalbano,
Presso a la terra ov' era il suo signore,
E presentò i prigioni al re pagano :
Erminioa fé' lor massimo onore,
E nel suo padiglìon gli ha ricevuti.
Cristo del ciel vi conservi ed aiuti.
MORGANTK MAGGIORE
CAINTO IX
ARGOMENTO
A^ asciano Caradoro i l'cnturieri
Francesi Palodin^ per gire altrove,
fede Rinaldo^ che tra piti ffnerrieri
/'crso ini J- ierjarnonle il passo iiiitoie ;
Di lancia un colpo scnz' altri corrieri
Lo spedisce a Caronte a dar le nuove :
Kntra in città, e d' Erminion la vwglic
E i Ji^li uccide in sulle regie soglie.
'^>^€i%<-
0
felice alma d' ogni «irazia piena,
Fida colonna, e speme pra/iosa,
Versine sacra umile e nazzarena,
Peiclu- U* se' di Dio neT cielo sposa.
Con la tua mano infino al fin mi mena,
Cile di mia fantasia Iruovi o^n\ chiosa ;
Per la tua sol benignità eli' è molta,
Acciò clie 1 mio caiyar piaccia a clii ascolta.
II
Febo avea già ne 1" oceano il volto,
E bagnava fra 1' onde i suoi crin d' auro,
E dal nostro emispero aveva tolto
Ogni splendor, lasciando il suo bel lauro.
Dal qual fu già miseramente sciolto;
Era nel tempo che più scalda il Tauro,
Quando il Danese e gli altri al padiglione
Si ritrovar del grande Erminione.
Ili
Erminion fé' far pel campo festa:
Parvegli questo buon conn'nciamenlo :
E Mattafolle avea drielo gran gesta
Di gente armala a suo contentamento ;
E 'ndosso aveva una sua sopravvesla
Dov'era un Macometto in puro argento:
Pel campo a spasso con gran festa andava:
Di sua prodezza ognun molto parlava.
IV
E' si doleva Mattafolle solo,
Ch'Astolfo un tratto non venga a cadere;
E minacciava in mezzo del suo stuolo ;
E porta una fenice per cimiere :
Astolfo ne sare' venuto a volo
Per radere una volta a suo piacere;
Ma Ricciardetto, che sapea l' umóre.
Non vuol per nulla ch'egli sbuchi fore.
Carlo mugghiando per la mastra sala
Coni' un lion famelico arrabbiato,
Ne va con Ganelion che batte ogni ala
Per gran letizia, e spesso lia simulalo.
Dicendo: Ah lasso, la tua fama cala:
Or fusse qui Rinaldo almen tornalo:
Che se ci fusse il Conte e Ulivieri,
Io sarei fuor di mille stran pensieri.
vi
E dicea forse il traditore il vero;
Che se vi fusse slato pur Rinaldo,
Al qual non può mostrar bianco per nero,
Morto Farebbe come vii ribaldo.
Carlo diceva : Io veggio il nostro Impero,
Ch' omai perduto ha il suo naturai caldo,
Poi che non e' è colui eh' era il suo core,
Cioè Orlando ; ond' io n" ho gran dolore.
VII
Lasciam costor chi in festa, e chi in affanno;
E ritorniamo a' nostri battezzali
Che col re Carador dimora fanno,
E de' paesi ch'egli hanno lasciali,
E de le guerre mosse lor non sanno :
Eron più tempo lietamente slati
Col re pagano, e pur volean partire,
E cominciorno un giorno cosi a dire :
vili
Assai con leco abbiam fatto dimoro,
Ed onorati da tua corte assai ;
La tua benedizion, re Caradoro,
Dunque ci dona, e 'n pace rimarrai :
Del tempo che perduto abbiam, ristoro
Sarà buon fare ; e me' lardi, che mai :
Qualche paese ancor cercar vogliamo.
Prima che in Francia a Carlo ritorniamo.
Carador consentì la lor partita;
E ringraziogli con giusti sermoni.
Dicendo : 11 regno mio sempre e la vita
In lutto è vostro, degni alti baroni,
Poi fé' venir la donzella pulita,
E fece lor leggiadri e ricchi doni ;
Ma la fanciulla chiamò poi da canto
Ulivier nostro, facendo gran planlo;
X
Dicendo: Lassa, non lio meritato.
Che m'abbandoni, mio gentile amante;
Dove lasci II cor mio sì sconsolato ?
Tu mi dicevi sempre esser costante;
Or lu li parti; ed io nOu so in qual lato
Da me li fugga in Ponente o in Levante:
E quel che sopra lutto me gran duolo,
E del tuo sventurato e mio figliuolo.
I i«7
IVI O l\ ( i A N T K MAGGIOR K
^^M^i die soia e graviila rimaiigo
Sanza sperar più te riveder mai,
Però del mio dolor con teco y)iango ;
Ma questa grazia mi roiirederai,
(]lie, jìoicliè pur di duo! la mente alTrango,
(>oii teco insieme me ne menerai :
E in ogni parte, ove tu andrai cercando.
Ne Yo' con teco venir tapinando.
XII
Ulivier confortava la donzella,
E dice: Dama, e' non passerà molto,
Com' io son ricondotto in Francia bella,
Cli' a te ritornerò con lieto volto:
Però non ti chiamar si tapinella,
CI»' io son legato, e mai non sarò sciolto;
E '1 figliuol nostro, quando sarà nato,
Per lo mio amor ti sia raccomandalo.
XIII
Con gran sospir lasciò Meridiana
Ulivier certo in questa dipartenza,
Con isperanza, al mio parer pur vana.
Re Carador con gran magnificenza
Con molta gente dintorno pagana,
Poi che più far non potè resistenza,
Gli accompagnò con tutta sua famiglia
Fuor de la terra più di dieci miglia.
XIV
Pur finalmente toccò lor la mano ;
E quanto può di nuovo a lor s'è offerto:
Via se ne vanno per paese strano:
E come e' fumo entrali In nn deserto,
Subitamente quel lion silvano
Da lor fu disparlilo; e questo è certo;
E volse a tulli in un punto le spalle,
E fuggì via per una scura valle.
XV
Disse Rinaldo: Caro cugin mio.
Vedi il lion com' è da noi sparito !
Questo miracol ci dimostra Iddio :
Non è sanza cagion così fuggito;
Ma quel Signor eh' è in ciel verace e pio,
A qualche fine buon l'ha consentilo-
Rispose Orlando : Se '1 tuo dir ben noto,
Molto se' fallo al mio parer divolo.
XVI
Lascialo andar con la buona ventura,
Che '1 suo partir, più che '1 venir, m' è caro,
Che molle volte m'ha fatto paura.
Così molte giornale cavalcaro,
Tanto eli' alfin d' una lunga pianura
Un giorno in Danisinarca capilaro :
Questo paese Einiinion tenia,
Cir a Montalbano è con sua compagnia.
xvii
Poi ch'egli ebbon salilo sopra un monte.
Si risconlrorno in Saracini armali ;
E poi che forno più presso da ft oriate,
Furon da questi baroni avvisali,
Cile il lor signor si chiama Fieramonle,
E quattro mila avea seco menati,
Uomini tutti maestri da guerra,
Cir a visitare andava una sua terra.
_
Quesl' è colui che Erminion lascine,
QuaniT ci parli per guardia del suo regno,
Fierauionte Baiardo riguardóe ;
Subilo su vi faceva disegno ;
Verso Rinaldo in tal modo paride :
Deh dimmi, cavalier famoso e degno,
Onde avestu questo cavai gagliardo ?
E finalmente gli cliiedea Baiardo.
XIX
Dicea Rinaldo: Assai me 1' hanno chiesto ;
Ma a nessun mai non lo volli donare.
Disse il pagan: Se tu non vuoi far questo,
Deh lasciamelo un poco cavalcare.
Rinaldo intese la malizia presto
E disse : Un beli' esempio ti vo' dare,
Saracin, prima eh' io ti dia il cavallo ;
E raccontò de la volpe, e del gallo.
XX
Andandosi la volpe un giorno a spasso
Tutta affamata sanza trovar nulla.
Un gallo vide in su n un alber grasso,
E cominciò a parer buona fanciulla,
E pregar quel che si faccia più basso,
Che molto del suo canto si trastulla ;
Il gallo sempliciotto in basso scende :
AUor la volpe altra malizia prende.
XXI
E disse: E' par che tu sia cosi fioco;
I' vo' insegnarti cantar meglio assai :
Quest' è che tu chiudessi gli occhi un poco;
Vedrai che buona voce tu farai.
Al gallo parve che fusse un bel giuoco ;
Gran mercè, disse, che insegnato m' iiai ;
E chiuse gli occhi, le cominciò a cantare :
Perchè la volpe lo stesse ascollare.
XXII
Cantando questo semplice animale
Con gli occhi chiusi, come i matti fanno,
La volpe, come falsa e micidiale.
Tosto lo prese sotto questo inganno,
E dovè poi maagiarsel sanza sale :
Così interviene a que' che poco sanno:
Così faresti tu, chi ti credessi :
Ben saria sciocco, se '1 cavai ti dessi.
XXIII
Se vuoi giostrarlo, i'soii > al tuo comando :
Se tu m' abbatti per la tua virtù
Su questo prato con lancia o con brando.
Sia tuo il cavai , non se ne parli più.
l'ieramonle rispose rimbrottando,
E disse : Poltronier, che parli tu ?
Com' hai tu tanto ardir, mallo villano ?
Quel che tu di\ non direbbe il soldano.
XXIV
Se tu sapessi ben con chi tu parli.
Non jiarleresli così pazzamente,
Quantun([ue io soglio i pazzi gasligarli ;
E '1 mio fratello Erminion possente
Farebbe a J^ulta Francia e sette Carli
(inerra, coni' or vi fa con la sua genie,
Ch'a Montalbano ha posto già l'assedio;
Tanto che (]arlo non ha più rimedio.
M O U C, A N T K M A G (> I 0 I\ E
E tante $clii«Tf e (•i'ianti I»j menali
Per la vfinJrll.i far <li qnri Manierino
Ch' uccise il lior t\e' traiiìtor nomati
Jlinaliio, rhe pel mondo «ir va me$rluno,
E sbattezzar vuol tutti i battezzati.
Disse Rinaldo : Bestiai sararino.
Sia rhi tu vuoi, rbe per la pola mentì;
Che mai Rinaldo non fe^ tradimenti.
XXVI
Per forza o per amor del campo piglia :
Io vo' pigliar per Rinaldo la zuffa :
Cir io so eh' epli è di si nt»bil famiglia,
Che mai non fere tradimento o truffa :
£ detto questo girava la briglia.
Vergendo il Saracin com' egli sbuffa,
Disse : Sarebbe il diavolo costui ?
Mai più smenlitu in tal modo non fui.
XXVII
Volse il cavallo; e tutto acceso d'ira
Prese de! campo, e poi si fu voltato.
Rinaldo a l'elmo gli pose la mira;
E '1 ferro de la lancia v' ha appiccato:
Tanto che Fierainonle ne sospira,
Perchè da la collottola è passato
Sì, che per gli occhi gli passò la fronte,
E morto cadde in terra Fieramonte.
XXVIII
I Saracin, che questo hanno veduto,
Coiiiinciorno pel colpo a sbigottire ;
E come av\Ten chi "1 signor ha perduto,
Pel prato cominciar tutti a fuggire.
Aveva un certo baron mollo astuto
Fieramonte ; e reggendo quel morire.
Venne a Rinaldo, e ginocchion si gella,
E disse: Fatta hai, baron, mia vendella.
XXIX
Se vuoi ch'io parli arditamente il vero,
10 ti dirò di questo traditore
11 qual tu hai morto gentil cavaliero :
Sappi cJ»e 1 suo fralel, ch* è qua signore.
Lo lasciò qui a governo del suo imjiero,
E mosso ha guerra a Carlo imperatore;
E come e" disse a Montalban si truova
Per pigliar quello, e faranne ogni pruova.
XXX
Poi che costui si vide qua il messere,
Ha fatto rose contra osrni giustizia:
Rubato il terrazzano e 1 forestiere ;
Mostralo in molti modi sua nequizia ;
A nessun fatto ragione o dovere:
E per più chiar" mostrar la sua tristizia,
S" alcun pur ne volesse dubitare.
Le nostre donne cominciò a sforzare.
XX.XI
E perchè alcun non aveva pazienzia,
E' lo faceva morir di segreto ;
Tanto eh' assai per questa violenzia
Per la paura si stavan di cheto :
Trovato ha il suo peccato penitenzia,
E tutto il popol nostro ne fia lieto ;
^ olle sforzar anco una mia Sorella,
E non polendo, imprigionala ha quella.
XXXII
Se tu se* cavalier che abbi potestà,
Come mi parve veder poco avanti,
Togli il cavallo e la sua sopravveita:
Noi ti farem compagnia tutti quanti,
E tutta la città ti farà festa:
Noi <iam tutti baron de' più prestanti :
Sanza colpo di spada o altra guerra
A salvamento ti darem la terra.
XXXIII
Koi v'abbiam degli amici e de' parenti:
Tu ti potrai fermare in su la piazza :
E mostrerem far giostre e torniameali ;
E nlanto farem metter la corazza
A' più fid.ìti che ne fien contenti:
Tu terrai a bada quella gente pazza ;
E tutti saran presi così in zurro :
E ora il Dome mìo saprai, Faburro.
xxxiv
Allor Rinaldo rispondeva a quello:
Prima eh' io t abbi, Faburro, risposto,
O mentre ì miei compagni a questo appello,
Farmi tu fermi questa gente tosto :
Vedi che vanno via com' un uccello :
l^n mezzo miglio già ci son discosto ^
E sanza lor non si può far niente.
Disse Faburro : Tu di' saviamente.
E cominciò a spronare un suo giannette :
Rinaldo Orlando chiamava e Dodone
E L'Iivierì, e contava ogni effetto.
Orlando orecchio a le parole pone,
E ntese ciò che quel pagano ha detto ;
E disse: Forse Dio sanza cagione
Non ci ha mandati in questa parte strana,
Ma per ben sol de la fede cristiana.
XXXVI
Ma si dolea che non v' era con loro
Morganle, il quale ha lasciato Ulivierì
( on la figliuola del re Caradoro ;
Ch' era rimaso con lei volentieri
Per aspettar che tornassin costoro :
Ed anco parve al Marchese mestieri.
Perchè il Bgliuol di lui, quando nascesse,
Re Caradoro uccider noi facesse.
xxxni
Meridiana avea chiesto il gigante
A Ulivier per un segno d' amore.
Per ricordar** del suo caro amante.
Poi che montato fu in sul corridore :
Ed L'Iivierì avea detto a Morganle :
Ben puoi restar dove resta il mio core :
Ritornerotli a veder con Orlando ;
E 1 mìo figliuolo e lei ti racccoiuando.
XXXVllI
Di questo Orlando si doleva a morte,
Direndo: Se Morgante mio ci fosse.
Egli è tanto feroce e tanto forte,
The fare' rovinar con poche scosse
li mondo, non che le mura o le porte ;
A multi, so, faria le gote rosse ;
So che saremo in sì fatto travaglio.
Che mollo sarebbe util quel battaglio.
MORO ANTE MAGGIORE
XXXIX
Fabnrro in questo iiiez.zo è ritoniaiu,
Ed ordinali) ciò die bisoji^nava :
Rinaldo a Fierainonle avea cavalo
La sopravvesla e l'arme che portava,
E sopra il suo cavallo era montato,
Tanto ciie tutto il papan rassembrava :
E 'nverso la città sono inviali,
Come Faburro gli avea ammaestrali.
XL
Grande onor fanno tutti i terrazzani
A quel che credon Fieramonte sia:
Rinaldo in su la piazza a' suoi pa<|;ani
Facea far giostra e festa tuttavia :
Faburro intanto menava le mani :
Truova {ili amici e parenti : e dieta,
Com' egli è morto il lor crudo tiranno ;
E come bea le cose passerannot
xti
Che liberi sanz' altro impedimento
Tosto saranno; e fé' subito armare
Gran quantità, eh' ojjnuno era contento
Di voler la sua patria liberare.
Mentre che in piazza si fa torniamenlo,
Il popol tutto stava a baloccare :
Giunse in un tratto con gran gente armata
Faburro, e tosto la piazza iia pigliata.
xm
I Saracin' che con Rinaldo sono,
Comincian tutti a insanguinar le spade;
Chi morto resta, chi chiede perdono ;
E cominciorno a correr la cittade
Con gran tumulto e gran furore e tuono
Già son di gente calcate le strade,
E non sapendo ignun questo trattato,
Dicevan : Fieramonte fia impazzato.
XLIII
Rinaldo corse al palazzo reale,
Dov'era la reina e'suoi figliuoli;
E come giunse in capo de le scale.
Disse la donna : Perchè i nostri stuoli
Son sì turbati, e perchè tanto male ?
Così far, Fieramonte mio, non suoli :
Che caso è questo, e chi muove tal guerra,
Che sottosopra va così la terra ?
XLIV
Rinaldo di Frnsberta gli menóc
Vìi colpo tal, che gli spiccò la testa ;
Prese i figliuoli, e tutti gli anmiazzóe.
I Saraciu dicìen : Che cosa è questa?
E finalmente la terra pigliòe
Con quella gente che dentro vi resta:
Poi trasse di Faburro la sorella
De la prigione, afflitta e meschinella.
XLV
E poi che fumo alcun dì dimorati,
E con Faburro ognun si fu scoperto,
Ed hanno i nomi lor manifestali,
E '1 popol vide ogni segreto aperto:
Furon tulli d'accordo battezzali,
Rendendo a Gesù Cristo grazia e merlo,
C'he liberali gli ha da quel crudele,
E fallo a sé questo popol fedele.
Poi con Fabnrro, che sapeva il fallo,
Si ragionò de l'oste eh' è a Parigi,
E come Gano avea aspettalo il tratto,
E mosso guerra e discordia e litigi
Per dare a Carlo Mano scaccomatto ;
E che soccorrer si vuol san Dioniiii :
l'aljurro s accordo che vi si vadi
Subitamente, e che più non si badi.
XI.VII
Orlando disse : E' mi dispiace solo,
Che noi lasciamo il possente gigante
A Caradoro ; ond' io n'ho molto duolo.
Disse Dodon : Se tu vuoi, sir dAngrantc,
Andrò per lui com' un falcone a volo.
In pochi giorni sarà qui Morgante :
A lutti piacque che per lui s' andassi ;
E per far presto Baiardo menassi.
XLVIII
C^sl fu fatto, e missesi in cammino :
E tanto va questo baron gagliardo,
Cile a Carador famoso Saracino
Giunse un dì in su la piazza con Baiardo:
Riconosciuto è presto il paladino.
Diceva Carador : Se ben riguardo,
Questo è Dodoo che ci torna a vedere:
E quel par di Rinaldo il buon destriere.
XLIX
Meridiana, che '1 conobbe presto.
Giù per la scala correva abbrarciallo,
Dicendo : Dodon mio, che gaudio è questui
Io ti conobbi subito al cavallo :
Ch' è di Ulivier ? deh fammel manifesto ;
Cile di saperlo ho voglia sanza fallo.
Disse Dodone : Ulivier tuo ti manda
Mille salati, e a te si raccomanda.
L
Or chi vedesse la dama amorosa,-
Subito come di Dodon s' accorse.
Farsi nel volto come fresca rosa,
E come presto abbracciarlo poi corse,
E domandò dove Ulivier si posa,
Non istarebbe del suo core in forse :
Ch' è di Rinaldo, dicea, baron franco ?
Tu debbi, Dodon nostro, essere stanco.
LI
Ch' è di quel paladin ch'ogni altro avanza,
Orlando nostro famoso e possente ?
Che di saper di tutto ho disianza.
Intanto Caradoro era presente,
E salutò Dodone com'è usanza;
Poi domandava di tutta la gente.
Dodon rispose : In paesi lontani
Gli lasciai in Danismarche salvi e sani.
LII
E la cagion eh' a te son qui venuto,
E, che mi manda Rinaldo d'Anione
E '1 conte Orlando ; e che bisogna aiuto
Al nostro Carlo Man ; che Erminione
A Montalban più giorni ha combattuto,
E a>sedialo col suo gonfalone:
Convien tli'i'nieni tue genti e Morgante.
In questo tempo compari il gigante,
ÌM O 1\ (r A N T K iM A i\ G I O I\ K
K riHse jiri'sld Ddiloiii- .ilihr.irriare ;
V. mille volte iiiiiiaii(lò ti' Mrl;in<li> :
F)oil<m «ili diif, rome «*' vuol»; andare
In Fraiiri.ì, t- come e' lo niaiiiia prep;aii(lo,
(he in n.iiiisiiiarrlie lo va<ii a trovare ;
li lutti insieme vennonsi arror«lan«lo
1-iie si ra<;nni il lor popol p.icano
Ter «iar S4>(Tor>o presto a Montalbano.
I.IV
In porlii ili fnr fatte molle squadre,
Per ilover tulli inverso Francia gire.
Meridiana dire: O raro padre,
Non mi volere una jrr.izia disdire:
Io v(» provar le mie viriti leggiadre
In Kr.in<i.i, ben s'io dovessi morire:
S' io delilio aver da te mai alcun piacere.
Fa eh' io sia capitan di ine bandiere.
LV
Re Caradoro avea tanto desio
Di ristorar del beneficio antico
Rinaldo e gli altri, che rispose : Anch'io
M' accordo al tuo parer ; però ti dico
Che tu li vadi col nome di Dio;
Pcrcliè Rinaldo è stato buono amico :
Quando fu tempo, ci delle il suo aiuto;
Di ristorarlo al bisogno è dovuto.
LVI
Orlando e Ulivier siccome amici
ri hanno trattati, sa tntlo il mio regno,
Ne' casi avversi miseri e 'n felici ;
Adunque il priego di Dodone è degno :
E ricordar si vuol de" benefici.
Ch'esser ingrato Iddio l'ha troppo a sdegno.
Meridiana fu troppo conlenla,
Che in dubbio stava a la risposta allenta:
LVII
E poi si volse a Morgante, e dicia :
E tu con meco, gigante, verrai.
Dicea Morgante : Da tua compagnia
Non dubitar ch'io mi diparta mai:
Cos'i ti giuro, e do la fede mia.
Disse la dama: Io ne son lieta assai;
Farmi mill' anni rivedere il conte,
E l'ardito Rinaldo di Chiarmonte,
Lvin
Questo dicea con la lingua la dama.
Ma Ulivier diceva col suo core.
Morgante che sapea tutta la trama.
Rispose : Dove lasci il tuo amadore.
Che so che giorno e notte ancor li chiama?
Hai tu sì tosto lasciato il suo amore ?
Disse la dama: Ulivieri è qui meco;
Però noi dissi, ed io soa sempre seco.
LIX
In poco tempo furono ordinati
Quarantamila, e fatte dieci schiere,
E dal re Caradoro licenziati,
E date tulle al vento le bandiere :
Ed eron bene in punto e bene armati,
Come conviensi a ciascun cavaliere :
Cavalli e scimitarre a la turchesca,
E scudi e targhe e archi a la moresca.
Meridiana aveva un palafreno
Quartato che pareva una montagna ;
E ciò che questo mangiava, or/o e fieno,
Con acqua fresca prima gli si bagna:
E non era cavai ; ma nondimeno
E' non se gli poteva appor magagna ;
Se non che il capo aveva di serpente ;
E molto destro e forte era e corrente.
L\l
Questo in im bosco già facea dimoro :
E nacque d'un serpente e d' un' alfana :
Mucghiava forte, che pareva un toro :
Mai non si vide bestia così strana :
Un che lo prese, il dette a Caradoro,
E Caradoro il die a Meridiana;
Ne le battaglie sempre lo menava,
E molta fama con esso acquistava.
LXU
Tanto cavalca questa franca gente.
Che in Danismarche a la fine arrivorno :
Quando Rinaldo la novella sente
Una mattina in su T alba del giorno,
Cliiamava Orlando e 1 Marchese possente;
E presto quel che fusse s' avvisorno :
Perchè di lunge si vede il gigante.
Che col battaglio veniva davante.
Diceva Orlando : Ecco Morgante nostro.
Ed ha con seco gran genie pagana ;
E Caradoro grande amor ci ba mostro,
Che la nostra amistà non sia lontana.
Disse Ulivier : S' egli è Morgante vostro,
Dov' è la bella mia Meridiana ?
Io 'l bramo tanto, eh' io la veggo e sento,
E j)ar eh' io sia di questo error contento.
I.XIV
E poi che furon più presso, vedea
Ulivier questa che il passo studiava,
La qual conobbe al cavai ch'ella avea,
O ver ch'amor così l'ammaestrava:
Meridiana, quando lui scorgea.
Come stella nel vis'o fiammeggiava,
E del cavai saltò subitamente;
Ed Ulivier facea similemente.
LXV
Ed abbracciolla con gran gentilezza ;
Prima baciolla al suo modo franzese :
La gentil dama per gran tenerezza
Noi potè salutar, tanto s'accese:
E Ulivier sentìa tanta dolcezza.
Che le parole sue non sono intese ;
E pur ^oleva dir : Ben venga quella ^
Che sola a gli occhi miei fia sempre stella.
LXVI
Gran festa fu tra' pagani e' cristiani,
E molto Carador fu commendato.
Che si ricorda in paesi lontani
De' benefici del tempo passato.
Dicea Faburro : O cavalier sovrani,
Sempre ho sentito un proverbio provato,
E lengol ne la mente vivo e verde ;
Che del servire al fin mai non si perde.
M 0 R G A N T i: MAGGIORE
Lxvn
Ne la città piò giorni si posato,
K 'n tanto i nuovi Cristian' sono in punto:
Quattromila in un oste s' assembrato.
Dicea Faliurro: Or che Morgante è giunto,
K da partirsi , e molto mi fia caro,
Orlando, se tu m' ami o stimi punto.
Ch'io sia di questa gente conduttore :
E moslrerotti in Francia il mio valore.
rxviii
Orlando disse : E' non è cosa ignuna,
Ch' io ti negassi, l'aborro possente.
Allor Faburro sua gente raguna;
E poi eh' egli ebbe assettata la gente,
Volle portar per insegna una luna
Sur una sopravvesta riccamente
Di seta bianca lavorata e d' oro,
SI che due corna pareva d' un toro.
LXIX
Or lasceremo il popol Saracino,
II qual di Danismarche già s' è mosso,
E ritorniamo al Gglinol di Pipino
Che piange e dice fra sé : Più non posso :
Non e' è Rinaldo : non e' è il suo cugino -,
E tutto il mondo qua mi viene addosso;
Non gli conobbi mentre erano in corte ;
Or me n'avveggo, e dolgomene a morte.
LXX
Gan tradilor lo riguardava fiso,
E con parole fmte il confortava,
E simulava uno sforzato riso :
O Carlo, troppo di questo mi grava.
Perchè pur bagni di lacrime il viso :
E trentamila de' suoi ragunava,
E disse; Io voglio andare, il traditore,
A Montalban con questi, imperadore.
LXXl
E tutti a Carlo gli menava avante ;
E fece suo capitano il Magagna,
Dicendo': Io voglio assalir lo ammirante
Con questa compagnia eh' è tanto magna
E so die noi piglierem Lionfanle;
Io lo farò dar, Carlo, ne la ragna :
E seppe tanto acconciar ben l'orpello.
Che Carlo si toj^liea per oro quello. '
I.XXll
A Montalban n'andò con questo inganno,
' E si pensò pigliarlo a salvamento:
E lutti « l'ammirante se ne vanno,
E disse : Io ti darò per tradimento
La terra e i tuoi nimìci che vi stanno ;
E melterolti fjuesta notte drenlo.
Ma Lionfante era uom troppo da bene,
E fece quel eh' a' suoi par' si conviene.
LXXIII
E disse : Io li vo' dire una novella.
La volpe im tratto molto era assetata ;
Entrò per bere in una secchia quella,
Tanto che giù nel pozzo se n è andata :
Il lupo passa; e questa meschinella
Domanda cornc sia cosi cascata,
Disqe la volpe; Di ciò non l' incresca ;
Chi vuol de'grossi, nel fondo giù pesca.
i.xxiv
10 piglio lasche di libbra, compare ;
Se tu ci fossi, tu ci goderesti :
Io me ne vo' per un tratto saziare.
Rispose il lupo : Tu non chiameresti
A queste cose il compagno, comare ;
E forse che mai più non lo facesti.
Disse la volpe maliziosa e vecchia :
Or oltre vienne, e 'ntrerai ne la secchia.
r-xxv
11 lupo non istette a pensar piùe,
E tutto ne la secchia si rassetta,
ì\. vassene con essa tosto giue :
Truova la volpe che ne vlen su in fretta,
E dice il sempliciotto : Ove vai tue ?
Non Yogliam noi pescar ? comare, aspetta.
Disse la volpe : Il mondo è, fatto a scale :
Vedi, compar, chi scende e chi su sale.
i,xxvi
Il lupo drento al pozzo rimanea :
La volpe poi nel can dette di cozzo,
E disse il suo nemico morto avea;
Onde e' rispose: Bench'e'sia nel pozzo.
Che '1 tradilor però non gli piacea :
E presela, e ciufToUa appunto al gozzQ ;
Uccisela ; e punì la sua malizia :
E così ebbe luogo la giustizia.
Lxxvn
Se tradimenti hai fatti a la tna vita
Già mille volte, a questa datti pace :
Tu non farai di qui già mai partila
Per nessun modo, Iraditor verace ;
Ch' oiini tua colpa vecchia fia punita '•
Che \ tradilor per nulla non mi piace,
E piglierofti al gozzo col capestro :
E presolo, e legar lo fece presto.
r.xxviu
E poi mandò di subito un messaggio
A dire a Astolfo, ch'era in Montalbano,
Che perch' egli era di nobil Icgnaggio, :
Bench'e'sia Saracino, e lui cristiano,
A tradimento non vuol fargli oltraggio,
O in altro modo : e eh' avea preso Gauo,
E impiccherallo pur che lo consenti:
E disse tutto de' suoi tradimenti.
LXXIX
Il messaggiero a Astolfo se n' andóe,
E disse come ha detto il suo signore:
E tutto il tradimento gli contóe :
Astolfo fece' a quel messaggio onore,
E poi Guicciardo e gli altri a sé chianuie,
E riferì di questo traditore;
E chiese a lutti consiglio e parere.
Quel che si faccia di Gan da Pontiere.
LXXX
E che per sé medesmo gli parrebbe.
Che si risponda che lo 'nipicchi presto :
Poi s' accordorno cii' ulll non sarebbe :
Che '1 tempo avverso non pativa questo :
Che la sua gente si ribellerebbe,
(^uantupqiie Gan meritasse il capresto ;
E ringraziorno il famoso Pagano,
E chiesonirli di cra,iia vivo Gniio.
iM ()[\ (; A !\ r i: m a (, e. i o iiK
I \X.\I
Astolfo tlillP al iiirsso un palafreno,
E «lissr : Qiu'slo (icn per amor mio;
E 1 ìitess.ipjiier ritorna in un baleno,
E rarrontò li Astolfo il sno tJi"«io.
Lionfnnti-, noni di penlile^za jiieno,
Kijposp : Come A.nIoIIo vuol, voci' Io ;
!■'. contro al s«io voler Gan liberava:
Gano a Paripi snbitu arrancava.
I,XXSII
E «b'sse a Carlo il traditnr fellone,
Cb' aveva fatta certa sna pensat.i,
Come ingannar potesse Erniinione ;
Ma poi era la trapp<ila scorcata;
E come preso fu nel padis;lione:
Così la sua tristizia ba covertala,
Dicendo : Un tradimento facea doppio,
Chfe insin di qua ne sentivi lo scoppio.
LXXXIII
• Carlo il crédette ben, cbe "1 ver dicea,
Cbe "1 tradimento doppio era ordinato.
Astolfo in questo tempo gli scrivea,
Come questo fellon V avea inpannato.
Carlo a V usato a Ganellon credea.
Che così era nel ciel destinato ^
E conferiva con lui come prima
Ogni segreto, e così facea stima.
Lxxxiv
Erminion con la sua eente bella
Sempre più inverso Montalbano è ito.
Era per Pasqua, giunse la novella
D'un messaggier cb' è tutto sbigottito:
Tanto rbe giunto a gran pena favella ;
Poi disse tutto per duolo smarrito;
Erminion, male novelle bai certo ;
Sappi tu se' col tuo popol diserto.
LXXXV
E 1 tuo fratello è morto Fieramente,
Clic combattendo un dì con un cristiano,
Gli passò r elmo, e ruppecli la fronte ;
E dice eh' è il signor di Montalbano :
Ed ha con seco quel famoso conte
Orlando, cbe tremar fa il monte e ì piano :
La citl.ì presa e abbruciata è tutta ;
E la tua gente scacciata e distrutta.
LXXXVI
Fabnrro è quel cbe il tradimento fé' ;
Tutti i suo' amici ba fatti far cristiani ;
E tutto il regno in preda a costor die;
Gran quantità son morti de' pagani,
Sanza trovare o rimedio o merzè:
Io gli ho veduti tagliar come cani;
E la tua donna in molti affanni e duoli ^^
Uccider crudelmente e' tuo" figliuoli.
LXXXVII
E ti so dir cbe ti vengono addosso
Con ben quarantamila cavalieri :
Ed era il campo quand" io parti" mosso ;
Faburro è 1 capitan di que' guerrieri,
(Ile di sua gente ba fatto capo grosso,
E vien con b»r per mostrare i «j-nlieri.
Qu.indo il Pagan senti (luel « be gli ba detto,
Bestemmili forte Io iddio Macomelto ;
Lxxxvni
E disse ; Traditor crudele e rio.
Mai più t' adorerò ; così li giuro ;
Io vo'cbe Satanasso sia il mio iddio,
O se v' è allro diavolo piii oscuro;
die l'ho fatt'ìo? d«)vc è il fratel mio,
Cb io lasciai pur nel suo regno sicuro ?
Dove è la donna mia eh' io ti lasciai,
E i miei figliuoP eh' io ti raccomandM ?
I. XXX IX
Cbe farò io, se in qua ritorna Orlando,
E se torna Rinaldo mio nimico?
Or verrò le mie ingiurie vendicand«t
Contro a costui del mio Mambrincj antico.
Quivi era Salincorno, e larriniando
Dicea: Fratello, ascolta quel ch'io dico;
Dov' è la fama e tua virtù fuggita ?
Hai tu perduto il tuo campo o la vita ?
E' SI conosce ne le avversilade
Il savio sempre ; e nel tempo felice
Non si può ben veder chi ba in sé bonlade;
Questo sai tu cb" ognun cbe intende dice:
Se Fieramonte é morto, e fa cittade
Distrutta così misera e infelice ;
Tu bai qui tanta gente di tua setta,
Che d' ogni cosa si farà vendetta.
Erminion per ira fé' venire
Tutti i baron' legali ; e poi scrivea
A Carlo Mano, e manda così a dire :
Cbe gli farà morir di morte rea
Con gran vergogna, con istran martire.
Se non gli dà Parigi, conchiudea,
E 1 suo tesoro, e tutlo il suo paese ;
E che il primo impiccar farà il Danese ;
xcii
Anzi squartar., perchè e' fu già pa^ano^
E rinnegato avea lo iddio Macone.
II messo giunse presto a Carlo Mano,
E la imbasciata fé' d' Erminione.
Carlo, com' uom già disperato e insano,
Nulla rispose a la sua orazione :
E 1 messaggiero in drieto tornò ratto,
Dicendo, Carlo gli pareva un mallo.
xriii
Carlo, poi che I messaggio fa parlilo.
Ad un balcon si stava addolorato.
Né sa più cbe si far tutlo smarrito;
Ma "1 suo Gesù non 1' ara abbandonalo :
Che Orlando io questo tempo è comparito,
Com' io dirò ne 1' altro mio trattalo.
Col suo fratello e col pagano stuolo.
Cristo sia sempre il nostro aiuto solo.
-»^&Q^^^'
M O K (; A N T E M \ r, G I O U K
CANTO X
ARGOMENTO
-ti>É>@=H^
E
soccorso Parigi^ e Gano accende
Romor che Carlo è in lega co' Pagani :
Stuol Maganzesc la città difende :
Rinaldo ed Erminion mcnan le mani.
A^ Paladin la libertà si rende ;
Rinaldo e Orlando han de" pensieri strani^
E It/alagigi n' è la cagion forte,
yegurto da Morgante è posto a ritorte.
J e, Deum, lairdamus, sommo Padre ;
Te confessiam, Signor oiuslo e verace :
Laudata sia la tua benigna Madre :
Donami grazia, Signor, se ti piace,
Ch' io conduca a Parigi le mie squadre,
E tragga Carlo fuor di contumace;
E eh' io ritorni ov' io lasciai il mio canto,
Con la virtù dello Spirito Santo.
II
Era già presso a Parigi tre miglia
Faburro, eh' era innanzi a V altra genie :
Mentre che Carlo voltava le ciglia.
Vide le schiere e gli stromenti sente :
Non sa che fussin de la sua famiglia,
E più che prima fu fatto dolente ;
Pur così afflitto a la sua gente è corso,
E chiama Gan che debba dar soccorso.
Ili
Gano appellò il suo capitan Magagna,
E disse : Presto a la porta n' andate,
Che nuova gente vien per la campagna :
Quivi la vostra prodezza mostrate ;
Che starsi drento poco si guadagna.
Fumo in Parigi molte genti armale ;
Ognun del caso nuovo si sconforta,
E tutti si ridussono a la porta.
IV
Faburro è giunto valoroso ardito,
Che cavalcava un possente cavallo-
La lancia abbassa ; un cristiano ha ferito,
E morto in terra faceva cascallo :
Gan di Maganza incontro gli fu ilo,
E disse : Aspetta, traditor vassallo :
La lancia abbassa, e lo scudo percosse i
Ma da 1' arcion Faburro non si mosse.
Al conte Gano un colpo de la spada
Dette, che presto trovò la pianura :
Molti cader ne fere in su la strada :
Tanto die assai n« faggon per paura,
Gan si rilieva, e non istette a bada ;
E riprovar volea la sua ventura :
E fece quel che potea il fraudolente;
Ma in questo tempo giunse 1' altra gente.
VI
Per Parigi era levato il remore,
E Carlo era montato in sul destriere ;
Giunto a la porla con mollo dolore,
Subito riconobbe le bandiere
Del suo nipote Orlando e '1 corridore,
Ch' avea scoperto il segno del quartiere:
E già Faburro incontro gli è venuto,
E dismontato, e fatto il suo dovuto.
VII
E questo, Carlo, eh' ho bramato tanto
Di vederti una volta? or son contento;
Non dubitar ; pon fine al lungo pianto ;
Qua è Orlando, che già presso il sento.
Carlo si trasse per dolcezza il guanto,
E disse :- Lieva, baron d' ardimento :
Ed a Faburro toccava la mano;
jhi questo giunse il sir di Montalbano,
vili
E saltò di Baiardo, e 'nginocchiossi.
Ecco Ulivier che facea similmente :
Non sapea Carlo in qual mondo si fossi.
Tanta allegrezza nel suo petto sente.
Non si son questi pria di terra mossi.
Clic '1 suo nipote giugneva presente,
E sai lo armato fuor di Vegliantino,
E 'nginocchiossi al figliuol di Pipino.
IX
Carlo gli abbraccia con amor perfetto,
E benedisse mille volle o pine.
Meridiana giugneva in effetto,
E dismonlala poi che in terra fùe,
S' inginocchiò dinanzi al suo cospetto.
Disse Ulivier : Questa crede in Gesiie,
E sua prodezza non ha pari al mondo :
Viene a -veder te, imperador ^ocondo.
X
Ed è figliuola d' un gran re pagano,
E molla genie ha qui di suo paese,
E vengono aiutar te, Carlo Mano.
Subilo Carlo le braccia distese,
F prese la donzella per la niano,
E ringraziolla di si falle imprese ;
E grande onore a la genie pagana
Facea far Carlo di Meridiana.
M O l\ O A N T K M A ('. ('. I O K K
l.-
Disse IMivicri a la pentii donzella :
riie ti p.ìr, ilanin, de lei iinperadore ?
Di«:e la donna graziosa e lulia :
I)t>|!no di ploria e di predio e d' onore :
\] «erto «Ili di sua lamlf favella,
Al mio parer, n<»n può jiiiiliarr errore,
Non iniiuiisre pia la «ii.i presenzia
La fama, il grido e la magnlliienzia.
-MI
Carlo la fere ravairar davanle,
E yioi appresso il dura Ijoraosinone :
Erro .-tjiparir col itattaglio Morganle :
Tarlo cnardava questo rompagnone,
E disse : Mai non vidi un tal gisianic ;
El)l»e di sua grandezza ammirazione.
IMorgante {•inocrliicui lo superava,
E così Carlo la man gli toccava.
XIII
Verso il palazzo Carlo s' invióc,
Più die mai fossi in sua vita conlento:
finn, come Orlando vide, si pens<(e
Clie questo fossi il suo disfacimento ;
1' come ilisperalo a sé cliiam/ie
Magagna , e fece un altro tradimento,
Dicendo: Poi die questa gente pazza
Entrala è drenlo, soccorriam la piazza.
xiv
Gridiam, che Carlo tradimento ha fallo,
E eli' egli Ila dato Parigi a' Pagani ;
E come alcun di lor v' è conlralTatlo,
Che pare Orlando e gli altri capitani :
E lutto il popol sollevò in nn tratto:
florsc a la piazza con armale mani :
Il popol parigin dava favore
A Gan, cJiiamando Carlo traditore.
XV
Non si conosce ancor per molli Orlando
0 gli altri, perchè Telmo avieno in testa:
1 Maganzcsi la piazza pigliando.
Fu la novella a Carlo manifesta
Che tulio il popol si veniva armando :
Parvegli segno di cattiva festa.
Rinaldo presto correva a le sbarre
Co' Saratin" eh' avean le scimitarre.
XVI
Fumo in un trailo le sharre tagliale,
E in ogni parte ove Gan fé' serraglio ;
Meridiana è tra sue genti armale,
E fé' gran cose in sì fatto travaglio ;
Orlando corse con l'altre briaate:
Giunse Morgante, e diguazza il battaglio :
E Ulivieri innanzi a la sua dama
Dava gran colpi per acquistar fama.
xvil
Rinaldo in mezzo di que'Maganzesi
Quanto poteva Frusberta menava
Tagliando a chi bracciali, a chi arnesi,
E molli morti in terra ne cacciava :
Molti ne fur feriti e molti presi ;
Ecco il Magagna che quivi arrivava :
Rinaldo al capo un gran colpo gli mena,
E fessel come tinca per ischiena.
Ma poi che fu conosciuto Rinaldo,
E gli altri, ognun per paura foggia :
(.he lo vi-dieno infuriato e caldo:
'Poslo la jiiazza sgomberar facia.
Dicendo: Ov' è quel Iradilor ribaldo
Gan da Ponlier ? ma foggia tuttavia:
Non si fidò di star dreiito a le mura,
I*erch' egli avea di Rinaldo paura.
XIX
Cosi fu presto cessato il furore :
E conosciuti i nostri buon guerrieri.
Ognun gli abbraccia con molto fervore ;
'J'ullo il popol gli vide volentieri:
Ognun si scusa con lo 'mperadore :
Nessun si vede di que" da Pontieri :
E con gran festa e piacere e sollazzo
Tutti n' andornu a smontare al palazzo.
XX
Era venuta intanto Alda la bella
Per rivedere Orlando iT suo marito:
Rinaldo una corona ricca e bella
Donava a questa, ov' era stabilito
l'n bel riibin che valea due castella :
Alda la lidia col viso pulito
Gran festa fé' del marito e di quello,
E d' Ulivieri il suo caro fratello.
XXI
Poi che furono alquanto riposati,
Queste parole Rinaldo dicìa :
O Carlo, io non ci veggo bench'io guati,
leggieri e Namo e l'altra baronìa;
Che n'hai tu fatto? bagli tu sotterrali,
O son prigioni andati in Pagania ?
Carlo a Rinaldo subilo ha risposto :
Tutti son vivi e qui gli vedrai tosto.
XXII
E raccontò com' andata è la guerra,
E ciò eh' è stalo dopo il suo partire;
Come il re Erminion Montalban serra,
E i suoi baron minaccia far morire,
E come Astolfo è drenlo ne la terra,
E Ricciardetto suo ch'ha tanto ardire:
Parve a Rinaldo e gli altri il caso strano
De" paladini, e sì di Monlalbano.
XXIII
Diceva Orlando : Preslo i paladini
Si bisogna, Rinaldo, riscattare:
Io vo' che '1 campo là de' Saracini
Domani a spasso andiamo a visitare.
Che trenta miglia son presso a 'confini.
Meridiana cominciò a parlare :
Io vo' venir, se la domanda è degna,
E '1 mio Morgante vo' che meco vegna ;
XXIV
Così Faburro e cosi il buon Marchese :
Vedremo un poco come il campo sta.
Diceva Orlando : e 1 partito si prese :
Ognun presto apportar V arme si fa.
Così coperti di piastra e d' arnese
Usciron tulli fuor de la città
Quella mattina al cominciare il siorno :
E n verso Monlalban la via pieliorno.
M 0 R G A N T i: MA G (i I O R E
l^ran qualche otto leg;hc ravalralì,
Qiiainld allor si scoptTse il padigliuue
ìy Kriiiiiiion, «love slavan leji;ali
Berlingliier nosfro e Namo e Salamone^
K 1 Danese e i;li altri isventiirali :
E se non fnssi, die il re Erniinione
Sentilo avea come Orlando venia ;
Tulli impiccare e squartar li facìa.
XXVI
Ma dubitò di quel che gli bisogna^
Dicendo: Se morir facciam costoro,
E' ne polre' seguir danno e vergogna:
Gilè Orlando vendicar vorrà poi loro ;
E metter ci potrebbe in qualche gogna,
Cile ri darebbe qualche slran marloro :
Se vivi son, qualche buon tratto fare
Si può con essi, e i prigioni scambiare.
XXVII
Vide tante trabacche e padiglioni,
Destrier coperti d'arme rilucenti;
E senlla trombe sonare e busoni,
E far pel campo variali strumenti ;
Per Montalban galli, grilli e falconi
Da rombattervl su poi quelle genti ;
E disse : Erminion, per Dio sollecita
Pigliar la terra, e parmi cosa lecita.
XX VII!
Meridiana disse al conte Orlando :
Se ti fussi in piacer, caro signore,
Una grazia mi fa eh' io li domando :
Io vo' pel mezzo entrar col corridore
Del Campo tutto, e venirlo assaltando,
E trapassarlo via con gran furore,
E fare xm colpo degno a la mia vita;
Così pregò questa dama gradila.
XXIX
Ma vo' che presso Morganle a me vegna,
Se bisognassi pur qualche soccorso :
E forse arrecherotli qualche insegna ;
Anzi per certo, bench' io te lo 'nforso.
Rispose Orlando : La pregliiera è degna
D" aver il campo in tal modo trascorso :
Non dubitar, sicuramente andrai ;
E tu, Morgante, 1' accompagnerai.
XXX
Meridiana allor prese una lancia.
Brocca il cavai eh' ha serpentina testa^
E grida: Viva Carlo, e viva Francia.
Quando fu tempo misse 1' aste in resta ;
Truova un pagano, e per mezzo la pancia
Gli misse il ferro con molla tempesta ;
Poi trasse fuori una fulgente spada,
E fé' pel mezzo del campo la strada.
XXXI
E come morto fu questo pagano.
Fu la novella a Salincorno delta,
Ch'egli è venuto un cavalier villano,
E molti in terra col suo brando getta :
Salincorno s' armava a mano a mano.
Però clie far ne voleva vendetta :
Verso Meridiana il cammin prese
Questo giovin gentil, saggio e cortese.
XXKll
E molla gelile, che fuggiva, scaccia :
Tornale a drieto : per un sol fuggile!
Arebbc costui d' Ercol mai le braccia ?
Fugli risposto in parole spedite:
Egli è il diavol die tua genie spaccia :
Se noi credete, a vederlo venire :
Egli Ila cacciato in terra ognun che truova,
E parai cosa inusitata e nuova.
XXXIII
Rispose Salincorno : Io vo' vedere
Chi è costui eh' ha in sé tanta arroganza ;
Che sia passalo tra le nostre schiere;
Orlando non aria tanta possanza.
Meridiana rivolse il destriere.
Come di Salincorno ebbe certanza :
Salincorno la lancia abbassa in quella,
E ferì ne lo scudo la donzella.
xxxiv
La lancia in aria n'andò in mille pezzi.
Disse la dama : Ah cavalier codardo,
A questo modo la tua fama sprezzi 1
Questa non è usanza d' uom gagliardo,
Ch' a ferir con la lancia alcun t' avvezzi.
Che sia col brando ; e tu non v'hai riguardo:
Volgiti a me, poi che tu m' hai percossa;
Vedrai che de 1' arcion non mi son mossa*
XXXV
Ebbe vergogna Salincorno allora,
E ritornava in drieto a fare scusa.
Dicendo : Io non ave' veduto ancora,
Se tu l' avevi lancia o soda o busa.
Meridiana a quel sanza dimora
Rispose : In Danismarche così s' usa ?
Così fanno i baron di Erniinione ?
Tu debbi esser per certo un gran poltrone.
xxxvi
Ma non si fa così di Carlo in corte,
Dove fiorisce ogni gentil costume ;
Vedrem se tu sarai cavalier forte,
E s' altra volta poi vedrai me' lume :
Prendi la spada ; io ti disfido a morte,
E farotti assaggiar d'un altro agrume.
Salincorno la spada trasse fore.
Per acquistar, se poteva, il suo onore.
XXXVII
Poi che più colpi insieme si donorno.
Né i' un né 1' altro guadagna niente,
Un tratto volle ferir Salincorno
La gentil donha, e delle al suo corrente :
E molto biasimato fu dintorno,
Ciie gli spiccava il capo del serpente ;
E ritrovossi in su l' erba la dama :
Or questo è quel che gli tolse ogni fama.
XXXVIII
Morganle volle il battaglio menare
Per ischiacciar la testa a quel Pagano:
Meridiana gridava : Non fare ;
Vendetta ne farò con la mia mano,
Salincorno s' aveva a disperare ;
E duolsi molto di quel caso strano :
I saraciu ferno a Morgante cerchio.
Tanto eh' al fin saranno di superchio.
M 0 K (1 A N T K M A G (V 1 O K E
XXXIX
E Tni<;<:oii lui r«)n la (ion/icll.i in mezzo,
V. roniiiiriorno mia frra li.Ml.iirlia :
Ma a molli dava il balta;:lio ri])rezzo ;
A molli trita la falda e la ma|ilia.
Dicea Hiiialflo : Or non isti.im ])iii al rezzo,
Che non è tcnijio, se Gesù mi vaglia :
10 vepfto a ])iede là Meridiana
In mezzo a tntla la torba pagana.
xr.
Orlando «prona snliilo il destrieri,
K 'nverso il rampo girava la briglia ;
K simiglianle faceva Ulivieri :
dosi tulio queir oste si scompiglia,
r.rminion sentì elie que' guerrieri
Eran venuti, e fanno maraviglia,
K disse : Traditor di 31arometlo,
E" Ha Rinaldo per più mio dispello,
XI.I
E '1 conte Orlando che tornati sono :
Altri non so eh' avessin tanto ardire
Di metter qua la vita in abbandono:
Sniiilo incontro gran gente fece ire,
E disse : Io credo ancor che sarà buono
Ch'io m'' armi tosto; e Tarme fé' venire,
E '1 suo cavai di fine acciar coperto :
Che vincere o morir dispose cerio.
XLII
Orlando in mezzo a la sua gente entrava,
E una lancia eh' egli aveva abbassa :
11 primo che a lo scudo riscontrava.
Lo scudo e r arme e '1 petto gli trapassa :
Poi trasse Durlindana, a martellava ;
Quante arme truova, tante ne fracassa ;
Fece un macel di gente in poca dotta ;
llinaldo n avea già morti una frotta.
XLIII
Ed Ulivler facea quel che far suole ;
Ma tuttavia tenea gli occhi a colei,
Ch' era sua scorta, come a gli orbi il sole.
Colpi menando dispietati e rei,
Percliè soccorrer la sua donna vuole :
Ovunque e' guata facea l'agnusdei.
Rivolto sempre a la sua dama bella ;
E quanto può, sempre s'appressa a quella.
XLIV
E non poteva ancor romper la calca,
Che tuttavolta si facea più stretta :
Pur sempre innanzi a suo poter cavalca,
E 'u qua e 'n là com' un lion si getta;
E molti con la spada ne difalca
De la turba bestiale e maladetta:
E tristo a quel ch'aspettava Allachiara,
Che gli facea costar la vita cara.
Morgante in mezzo stava de lo stuolo,
E col battaglio facea gran fracasso:
Meridiana sentiva gran duolo.
Clic I corpo femminil già era lasso:
Né fuggir può se non si beva a volo,
Perchè non v' era onde fuggirsi il passo :
Ma pur Morgante spesso la conforta,
E molta gente avea dintorno morta.
xr.vi
Ed era tutto da' dardi forato,
E lance e spiedi e saette e spuntoni,
E tutto quanto il corpo insanguinato,
Che le ferite parevan cannoni,
(]lie gettali sempre fuor <la ogni lato;
Avea nel capo cento verrettoni,
Ma Unti intornc» avea fatti morire.
Che già del cerchio non poteva uscire.
XI,VII
L' un sopra l'altro morto era caduto,
E gli uomini e i cavalli attraversati:
Tal che miracol sarebbe tenuto.
Quanti fiiron poi morii annumerali :
Ave' cinque ore o più già combattuto.
Or pensi ognun (juaiili e' n' abbi schiacciali.
Che non potea più aggiugner con le mani,
Tanto discosto gli erano i Pagani.
xr.viii
Meridiana assai s' era difesa,
E or da' dardi attendeva a schermirsi^
Avea la faccia come un fuoco accesa,
Né polea più con lo scud«» coprirsi,
Tanto era stanca, perchè troppo pesa,
E non poteva del cerchio fuggirsi :
E così afflitta sventurata a piede
Morir vuol prima, che chiamar mercede.
E pure ancora in Morgante si fida,
E dicea spesso : Il mio fallar ti costa :
Ch'io temo questa genie non t'uccida.
Ecco Rinaldo eh' al cerchio s' accosta ;
E com' e' giunse, metteva alte grida.
Tanto che molto la gente discosta :
Oltre, genie bestiai senza vergogna;
Poi eh' a due a pie tanto popol bisogna.
L
Fatevi a drieto ; e Frusberla menava;
Tutti sarete, saracin, qui morti.
Meridiana quando 1' ascollava.
Subito par che tutta si conforti :
Allor Rinaldo i colpi raddoppiava,
E vendicava di lei mille torti ;
E poi in im tratto, com' un leopardo.
In mezzo il cerchio fé' saltar Baiardo.
LI
E fé' saltar Meridiana in groppa.
Che si giltò di terra com' un gatto.
Né mica parve affaticata o zoppa,
E fuor del cerchio risaltò in un tratto;
Così con essa pel campo galoppa :
Ognun che '1 vide ne fu stupefatto:
Quest' è Rinaldo o '1 gran signor d' Angrante,
Dicevan tutti , e lasciorno il gigante.
LIl
E molli a' padiglion si ritornorno,
Veggendo cose far sopra natura.
In questo tempo giunse Salincorno :
Meridiana il vide per ventura :
Rinaldo nostro cavaliere adorno,
Che non tenea Frusberla a la cintura.
Gli trasse d' un fendente in su 1' elmetto,
Che gli cacciò Frusberla insiuo al petto.
M O 1\ (i A N T E M A G G 1 O K i:
MII
V. S.iiiiiocirno cail<le in sul lerri-iio,
li viMidir.ila fti la (lainij^i'lla :
Itiiialilo ]>rfse il suo cavai pel freno,
li le' montar Meriillana in sella,
(".he vi saltò su ia manco d'un baleno:
E Ulivier die vide la dou/.ella,
Disse: Io venivo ben per darli aiuto;
Ma le schiere passar uoi) ho pollilo,
r,iv
Avca Faburro, Ulivieri ed Orlando
Morti quel di inii^liaia di Pai^ani,
E tuttavia ne veni'en consumando :
I Saracini ancor nienan le mani ;
Ma tanto e tanto i paladini il brando
Insanji^uiuato avevan di que'cani;
Che per paura assai n' eran fu{i;p;iti
A' padiglioni, e gran parte feriti.
i,v
Erminion dicea più- : Chi vi caccia ?
Che gli vedeva fuggir da ogni parte :
E' rispondieno a quel clie gli minaccia:
Foggiani dinanzi a la furia di Marte ;
E' non c'è uom con si sicura faccia,
(]he si confidi di sua forza o arte :
Qua son venuti nuovi Ettorri al campo ;
Né contro a' colpi lor si truova scampo.
LVI
Noi vedemmo Rinaldo, o fu il cugino
In mezzo un cerchio saltar col cavallo :
Quivi era tutto il popol Saracino,
E non potemmo tanto conlrastallo ;
Che pose Jn groppa u^n altro paladino
Ch'era assediato, e saltò fuor del ballo,
E a dÌ!;j)elto nostro il portò via:
Mai vedemmo uom di tanta gagliardia.
LVII
E Salincorno ha morto, il tuo fratello.
Erminione allor si dolse forte,
E cos'i disse: Poi che morto è quello
Ch' era il più lìer pagan di nostra corte :
A tradimento quel Rinaldo fello,
O '1 suo cugin gli ara data la morte.
Fugli risposto : E' non fu a tradimento
Che chi r uccise n' uccidrebbe cento.
Allora Erminion : Sia maladella
Tua deità, Macon, più volte disse :
E giurò far del suo fratel vendetta,
Se mille volle come lui morisse :
Dov'è Rinaldo a gran furia si getta;
Ed una lancia eh' avea, in resta misse ;
E com' egli ha Rinaldo conosciuto,
Lo salutò con uno stran saluto.
Dio li sconfonda, disse Erminione,
Se tu se' il prenze sir di Montalbano,
Colui che porla sbarralo il lione,
Ch' ancor lo sbarrerò con la mia mano.
Rinaldo, udendo si fatto sermone,
A lui rispose : Cavalier villano,
Che di' tu, re di farfalle o di pecchie?
Io t' ho a punir di mille ingiurie vecchie.
Rispose Erminion : Del tempo antico
A vendicar m' ho i(» de' miei parenti :
Tu uccidesti come rio nimico
Il re Mambriu con mille tradimenti.
Disse Rinaldo: Ascolla quel ch'io dico;
Per la tua gola, Erminion, ne menti :
(Ji' a Iradimetito vien tu qua, pagano.
Perchè io non e' ero, assediar Montalbano.
I.XI
Ma tanto attraversato ho il piarlo e'I monte,
Ch'io t'ho trovato, e non ti puoi fuggire:
E '1 tuo fratello ucirisi Ficramonte,
E detti al popol tuo giusto martire :
A Salincorno ho spezzala ia fronte :
Or faro te col mio bran<lo morire.
Quando il Pagan sentì rimproverarsi
Tante alle ingiurie, cominciò a picciiiarsi,
Lxn
E in su r arcion percuotersi 1' ehnello,
E bestemmiar Macon divotamenle,
E battersi col guanto tutto il petto:
Are' voluto morir veramente :
E poi rispose: D'ogni tuo dispetto.
Che fatto m'hai, ne sarai ancor dole'ite :
E misse come disperato un grido :
Prendi del campo tosto, eh' io ti sfido.
Lxrii
E poi soggiunse : Facciam questo patio,
Da che tu m' hai cotanto offeso a torto,
Che Montalban mi doni, s' io t' abbatto ;
E se tu vinci me, «latti conforto.
Che i tuoi prigion' ti renderò di fatto,
Che nessun n' ho danneggiato né morto ;
E che s'intenda per un mese triegua :
E poi ciascun quel che gli piace segua.
I.XIV
Rinaldo disse : A ciò conlento sono ;
E poi voltava in un tratto Raiardo,
E dice : Se niai fusti ardito e buono
A questa volta fa che sia gagliardo :
Poi si rivolse che pareva un tuono :
Ne anche Erminion parve codardo :
E quando insieme s' ebbono a colpire,
Parve la terra si volessi aprire.
r,xv
Erminion con la lancia percosse
Sopra lo scudo il franco paladino ;
L'aste si ruppe, e d' arcion non si mosse;
Ma 1 prò' Rinaldo giunse al Saracino
D' un colpo tal, che ben che forte fosse.
Si ritrovò in su l'erba a capo chino,
E disse : O Dio che reggi sole e luna,
Può far eh' io sia caduto la fortuna '.
Egli è pur ver quel che si dice al moinlo,
Che questo è il lior de' cavalier nomati:
Rizzossi, e disse : Paladin giocondo,
Or son puniti tutti i miei peccali ;
E «ome dianzi più non ti rispondo
D' avere i miei congiunti vendicati :
Io ho perduto ogni cosa iu un punto :
D'ogni mia gloria e fama il fine è giunto.
INI O l\ G A N T K M A (\ C. I O l\ K
I.XVII
Or s,irà vcmlir.ito il mio par» nlc,
Or s.irà vrndirato Kieraiiiontr,
K Salinrorno r Ititla l'altra grnte ;
IVrò ch'i fa vi-ndctla con sur onlc,
Al mio parere è mallo veramente,
l'I spesso avvien che si batte la front* '■
Or pel ronsi^lio «li <lama Clen»en/ia
Dei suo peccalo lui fallo penitenzia.
I.XVIIt
Che clii governa per ronsiplio il recno
Di fmimina, nttn può iJnr.ir per cerio :
(.he i lor pensier non vanno dritti al segno:
Qiial maraviglia^ s' io ne son diserto ?
Or si conosce il mio lieslial disegno :
0:;iii cosa ci mostra il fine aperto ;
Così convien che spesfo poi si rida
Di quel che troppo a fortuna si fida.
l.XIX
Quel cl>' io promisi, baron, vo'servarti,
r.«»me pur ainsto re eh' io sono ancora,
E tolti i tiio'prigion ve' consegnarli ;
Andianne al padiglion sanza dimora,
V. la promessa tua vo' ricordarli.
Disse Rinaldo : Per lo Iddio eh' adora
Ile Carlo Mano, e tutto il Cristianesimo,
Ciò che tu vuoi, chiederai lu medesimo.
i.xx
Inverso il padiglitm preson la volta ;
Erminion, ch'era uom mollo da bene.
Vece pel campo sonare a raccolta.
Poi che fortuna nel fondo lo tiene;
La genie sua parca smarrita e stolta,
Come ne' casi subili interviene :
Rende i pricion eh' avea legati e presi,
Co' lor cavalli e lutti i lorn arnesi.
LXM
Chi vedesse la fe'la e l'allegrezza,
Che fanno i nostri possenti liaroni,
Sare" costretto per sua gentilezza
Di lacrimar con pietosi sermoni.
Diceva Uggicr : Rinaldo, tua prodezza
Ci ha tratto fuor di molti strani unghioni;
A questa volta aremmo tutti quanti
La vita data per quattro bisanti.
I.XXII
Noi abbiam sentito sì fatto remore
Oggi pel campo ch'io pensai che 1 mondtj
Fussi caduto, o giunto a l'ultim'ore,
E lo sialo di Carlo fusse al fondo;
Ognuno avea de la morte timore :
Che 1 Saracin crudele e furibondo
D' impiccar lutti ci avea minacciati,
E de la vita slavam disperati.
LXXIII
Namo diceva : Il nostro buon Gesiie
Vi mandò qua per nostro aiuto solo ;
E siam salvati per la tua virine,
E liberati da gran pena e duolo.
Diceva Orlando ; Non ne parliam pine :
Lasciam pur tosto de' Pagan lo stuolo :
Carlo non sa quel clie segnilo abbiamo,
Però verso Parigi ce n*andian:o.
I.XXIV
l^minion rimase ansai scontento;
E i paladini a Carlo ritornaro :
Ciarlo gli abbraccia cento volte e cento,
E fu cessato ogni suo du<do amaro ;
Fecesi festa per la città drenlo ;
Ma qneslo a Ganellon fu solo amaro,
(^lie per paura fuor s'era fuggito,
E dubitava oon esser punito.
LXXV
Poi ch'alcun giorno insieme riposarsi,
Dicea Rinaldo un giorno a Carlo Mano,
Ch' avea pur voglia da lui accommiatarsi,
E ritornare insino a Monlalbano,
E qualche dì con la sua sposa starsi ;
Carlo contento gli toccò la mano,
E menò solo un servo mollo adatto
Del conte Orlando, detto Ruinatto,
LXXM
• Ch' era scudier compagno di Terigi ;
E mentre che cavalca s' è abbattuto
Forse sei leghe discosto a Parigi,
Dove giaceva un bel vecchio canuto.
Quest' era, trasformalo, Malagigi,
Dal che Rinaldo non l'ha conosciuto.
Sur una riva appoggiato a la gr«)lla;
E d'acqua piena aveva una barlolta.
LXXVII
Rinaldo il salutò corlesemenle;
E' gli rispose: Ben venuto siete:
Se voi volessi ber, bacon possente.
D'una certa cervogia assaggerete,
Che doverà piacervi veramente.
Rinaldo disse: Io affogo di scie,
E di ber acqna di fossato o fiume,
Quando cavalco, non è mio coslume.
LXXVIII
Quando Rinaldo ha bevuto a suo modo,
A Ruinallo il barlello porgeva.
Dicendo : Peregrin, di te mi lodo ;
E Ruinatto come lui beeva,
E non sa ben di Malagigi il frodo :
Malagigi il barlette ritoglieva.
Rinaldo poco e Ruinatto andava,
Ch'osnuno scese, e di sonno cascava.
LXXIX
Addormentali pesonsi a giacere;
Maiagiai gli segue come saggio,
E non poteva le risa tenere,
Veggendo quel eh' ha fatto il beveraggio:
Tolse la spada a Rinaldo e '1 destriere;
E prese inverso Parigi il viaggio ;
Mise Frusberta la spada sovrana
Ne la guaina, ov" era Durlindana ;
IX XX
Così Baiarde ov' era Vegliantino ;
E ritornò a Rinaldo che dormìa,
E dettegli la spada del cugino,
Così il cavallo, e poi disparì via ;
E misse sotto al capo al paladino
l^na ceri' erba che si risentìa ;
E risentito, poco seco bada.
Che del cavai s' accorse e de la spada.
M O 1\ Cr AN T K MAGGIO K E
^>J;'^
LXXXI
K volsesi a <|iiel servo RiiinaUtr,
E disse: Tu dcbb' essere un «^li io Itone ;
I)ov' è Baiando mio ? ohe n hai tn fallo ?
Qiieslo è il cavai del rij;liiiol di Milone.
Rispose lo scudiere sluj)efallo :
I' ho dormilo qua rom' un pollrone,
Che il sonno come le mi vinse dianzi,
£ non son ito più in drielo o più innanzi,
LXXXII
Disse Rinaldo, ravveduto un poco:
Questo ara fatto far per certo Orlando;
E' vuol pigliar di me sempre mai p;iuoco,
E fallo m' ha scambiar Baiarlo e '1 brando:
Tutto s' accede di rabbia e di fuoco,
E fra sé disse : E' li verrà costando.
A Monlalban pien di sdegno n andava,
E Ruinatto in drielo rimandava.
LXXXIII
E scrisse al conte Orlando: Tu m' hai tolto
A tradimento pel cammin dormendo
La spada e 'l mio cavallo, e come stollo
Sempre mi tratti, e poi qe vien' ridendo ;
E percliè più d'una volta m'hai collo,
Di sofferirlo a questa non intendo :
Mandami in drielo e la spada e '1 cavallo,
Se non che caro ti farò costallp.
rxxxiv
Orlando per ventura avea trovalo
Il destriere e la spada di Rinaldo,
Ed era forte con seco adiralo,
E quanto inanimato e caldo ;
Dicendo : Come un putto son gabbato,
E parnii un alto stalo di ribaldo:
E più che '1 fatto il modo mi dispiace,
E non polca fra sé darsene pace.
LXXXV
Intanto Ruinatto gli portóe
La lettera che '1 suo cugino scrisse:
Orlando mollo si maraviglióe,
E 'nverso Ruinatto cosi disse.
Se sapea nulla come il fallo andóe,
E quel che per cammino intervenisse •
E Ruinatto rispondeva presto :
Io li dirò quel eh' io ne so di questo.
LXXXVI
E raccontò, come trovò quel vecchio,
E come poi si posono a dormire.
Orlando pone al suo parlar V orecchio ;
Di maraviglia credette stupire;
Ma poi diceva : Un pulcin fra 'l capecchio
Par che mi stimi Rinaldo al suo dire ;
E così in drielo a Rinaldo scrivea,
Che del suo minacciar beffe facea.
I-XXXVIt
E che quando e' partì dal re Carlone,
Esser dovea per cerio un poco in vino ;
Però scambiò la sua spada, e '1 ronzone :
E che fia ver, che dormì pel cammino.
Poi gli diceva per conclu.sione :
Perchè tu se', Rinaldo, mio cugino,
VoliT con teco quistion non .n' aggrada ;
Però ti mando il cayallo e la spada.
i.xxxviu
Ma se il mio in drielo non rimanderai,
10 li dimostrerò che me ne duole :
E se quistion di nuovo cercherai,
Tu sai di' io so far falli, e tu parole;
E poco meco al fin guadagnerai ;
Che sai, che 'gnun non temo sotto il sole
Or tu se' savio, e so che tu m' intendi ;
11 mio cavallo e la spada mi reniki.
LXXXIX
Tornato Ruinatto a Monlalbano
Con la risposta del suo car' signore.
Subilo il brando suo gli pose in mano,
E consegnò Baiardo il corridore.
Rinaldo sbuffa come un leo silvano,
Per quel che scrisse il roman senatore :
E rimandava in drielo un suo vallello,
A dir così, chiamalo Tesorello ;
Che non volea la spada rimandare.
Né Veglianlin, se non gli promettea
Con lui doversi in sul campo provare.
Che di minacce sa che non temea ;
E che nel piano lo volea affrontare
Di Monlalban con 1' armi, conchiudea.
Tesorello n'andò presto ad Orlando,
E la 'mbasciata venne raccontando.
xci
[ Orlando eh' era e discreto e gentile,
; Ma mollo fier quand'egli era adirale».
Tanto che lutto il mondo avìa per vile;
A (jarlo lutto il fallo ha raccontalo,
E come fece la risposta umile.
Credendo aver Rinaldo umiliato:
Ma poi ch'egli è per questo insuperbito,
D' andarlo a ritrovar preso ha partito :
xcii
E che non ricusò battaglia mai,
Che non intende aver questa vergogna.
Carlo diceva : A tuo modo farai :
Se così sta, combatter ti bisogna.
Orlando disse a Tesorello : Andrai
Al preiize, e dì eh' io non so se si sogna ■■
Ma se da ver m'invila a la battaglia,
Doman lo troverò se Dio mi vaglia.
xeni
E che m'aspetti, coni' e' dice, al piano,
Dal campo un poco de' Pagan discosto,
Tesorello tornò a Monlalbano,
E disse quel che Orlando avea risposto.
Armossi col nipote Carlo Mano,
Poi che lo vide al combatter disposto :
Però che Carlo mollo Orlando amava.
Così nel suo segreto il preiize odiava^
xciv
Are' voluto Carlo onestamente
Un dì Rinaldo dinanzi levarsi ;
E conosceva Orlando sì possente.
Che dice: In questo modo polre' farsi.
Rinaldo era inquieto e 'mpaziente.
Né Carlo volse di lui mai fidarsi.
Rispetto avendo a le sue pazze furie ;
Poi gli avea latte a' suo' dì mille ingiurie,
Al 0 ]\ C. A N T 1-:
E Irallo la corona pia di lesta:
K si perdona per <rrU» opni tìlTcsa ;
Ma sempre pur ne la nu-inoria resta,
K rosi rimo a l'altro rontrappesa.
Carlo pensossi di farne la festa,
Vepaendo Orlando e la sna furia accesa :
Orlando loUe Rondelle e Tortana ;
Che non ha Veglianlin né Durlindana.
XCVI
^Meridiana e Morpanle n' andorno
Ton Carlo e con Orlando per vedere
I paladini : assai lo sconfortorno,
Che non si lasci il sipnor del quartiere
r.omballer col cupio suo tanto adorno ;
Ma contrappor non piiossi a lo 'niperìere :
E molto Carlo Man fu biasimalo,
Quantunque s'è con lor giustificalo.
xcvii
Tutta la corte s'avviava drieto,
Per veder questi due baron provare :
Morpante avea, come savio e discreto,
Jsconforfato molto il loro andare;
Gano il sapea, e mollo n'era lieto.
Direndo: Orlando so che l'ha animazzare
Quel tradilor di Rinaldo d' Amone,
Il qual d' ogni tnal mio sempre è cagione*
xcviir
Altri dicìen pur de' baron di corte:
Carlo mi par che perda il sentimento :
Se muor Rinaldo, e '1 conte sia pur forte^
Non una volta pianperà, ma cento :
Se "1 prenze dessi ad Orlando la morte,
(arlo a suo' dì non sarà più contento ;
Vennon pur ier di paesi lonfani
Per salvar noi de l'oste de'Pagani.
xcix
E tutto il popol ralleprato s' era :
Ora e in un punto perturbalo e mesto:
Erminion con la sua pente fera
Non s'è partito : e car'pli sarà questo.
Così si parla in diversa maniera :
Tanto è, che '1 caso a ciascuno è molesto;
E sopra lutto la pente papana
Si condoleva con Meridiana.
e
E dicien tutti a lei : Mapna repina,
Deh non lasciate sepuir tanto errore :
Adoperate la vostra dottrina
fol conte Orlando, o con Io mperadore :
Benché noi siam di leppe sararina,
E ce ne 'ncresce ; anzi ci scoppia il core.
Meridiana con parole accorte
Carlo ed Orlan(fo sconfortava foUe.
CI
Orlando non ascolla ignnn che parli,
E dice :,Io^ intendo una \olta vedere,
S' io son Orlando; e vo' il suo error mostrarli
Di ritenermi la spada e 1 destriere;
Non ch'io volessi però morte darli,'
Ma farlo discredente rimanere :
E tanto finalmente cavalcorno,
Ch'a MontalLai, funi,, il secondo piamo.
Rinaldo stava più che in ««razione
D' appiccar con Orland». la battaplia :
N edi che razza d' uomo o » midi/ione '
^ e<li se sberpo era di (ine maplia I
E dice: S'io lo Iruovo in su l'arcione.
Noi proverem coni' ogni <ii>mìà taplia :
Ma poi che vide Orlando pi/, i„ .s„| pia..^,
Subito armato uscì di Montalbano,
CHI
E tolse Durlindana e Veuliantino,
Seco dicendo: Se m'abbattè Orlando,
Ara il cavallo e 'I brando a suo ilominu.
Erminion, che veniva spiando
Ch'egli è venuto il fipliuol di Pipino,
E la cagione ; un messo vien mandando,
E dice a Carlo Man, se gli è in piacere,
Che vuol venir la battaglia a vedere.
civ
Carlo rispose a lui cortesemente, /
Ch' a suo piacere venisse Erminione ; I
Venne, e con seco menò poca pente
Per gentilezza e per sua discrezione
Carlo lo vide molto lietamente,
E sempre a man sinistra se gli pone,
Quantunque il re pagan ciò non voh'a :
Ma Carlo gliel domanda in cortesia.
CT
Rinaldo venne, e seco ha Ricciardetto
In compagnia, e '1 signor d' Inghilterra,
Che mollo gli ha quest' impresa disdetto^
Che con Orlando non debbi far guerra"; ~
Abbraccia Orlando quanto può più stretto:
Ed un Vieri e Morgan te poi afferra ;
Meridiana quanto puole onora,
Perchè veduti non gli aveva ancora.
evi
E poi diceva: O nostro Carlo Magno,
Coni' hai tu consentito a tanto errore?
Tu non ci acquisti, al mio parer, guadaguo;
E non sai quanto tu perdi d'onore:
Se tu perdessi un sì fallo compagno,
Qiiant'é Rinaldo, sarìa il tuo peggiore;
Se tu perdessi il tuo caro nipote,
Per dolor poi graffieresti le gote.
cvii
Che cosa è questa? un sì piccolo sdegno
Per due parole ancor non si perdona ! ^
O Carlo imperador famoso e degno,
Questa non è giusta impresa né bnona :
Per Dio, de la ragion trapassi il seano.
Carlo diceva fra sé: La corona
Non mi torrà di testa più Rinaldo ;
E stava nel proposito suo saldtK
cviu
Orlando intanto a Rinaldo s* accosta,
E dice : Se' tu, cugino, ostinato
Combatter meco? se vuogll, a tua posta
Piglia del campo, e ciascun sia sfidato.
Rinaldo non gli fece altra risposta.
Se non che presto il cavallo ha voltato.
Carlo diceva: Io ne son malcontento;
Direa di fuor, ma noi diceva Ureiito. :
MORGANTK MAGGIOKK
Mai non si vitK" faloon pcrc^riin)
Voltarsi CO";! destro o altro uccello,
(^oaie Iliiialdo fece Vcgliantiiio,
() come il conte Orlando le' Hondello.
Maravigliosfi il gran re Saracino
De l'alto fiero e valoroso e bello:
Rinaldo volse a Vegliantino il freno ;
E così il conte in manco d' un baleno.
ex
Un mezzo miglio s' eron dilungali,
E ri torna van con tanta fierezza,
Che i Saracin dicìen tulli ammirati :
Folgore certo va con men prestezza :
Se questi son pel mondo ricordali,
È ben ragione, e se Carlo gli apprezza :
Erniinion tenea ferme le ciglia ;
Cile gli parca veder gran maraviglia.
CXI
Ma quello Iddio che regge il mondo e i cieli,
Mostrò ch'egli è di giustizia la fonte;
E quanto egli ama ii suoi servi ledeli :
Mentre che Vegliantin va inverso il conle,
Par che in un tratto se gli arricci i peli,
E volse in drielo a Rinaldo la fronte,
Come se il suo signor riconoscessi,
E d' andar contro a lui si ritenessi.
cxii
Gridò Rinaldo : Che diavolo è questo !
Voltali in drieto, che fai tu, rozzone ?
Orlando giltò via la lancia presto :
In questo apparve a la riva jin |ione,
Il qual, poi eh' ognun vide manifesto,
Ebbe di questo fatto am.mirazione :
Il fer lione ad Orlando n' and()e,
Ed una zampa in allo su levóe;
CXIII
Ne la qual era una lettera scritta,
Che Malagigi ad Orlando mandava:
Orlando la pigliò con la man dritta ;
E come 1' ebbe letta, sogghignava.
Rinaldo con la mente irata e afflitta
Di Vegliantin di subilo smontava :
Vide il lion, che gli pareva strano ;
E come Orlando il brieve aveva in mano.
cxiv
Maraviglialo inverso Ini venia:
Orlando a dir gli cominciò discosto,
Come Malgigi ingannati gli avi'a,
E tulio il fallo gli conlava tosto;
E poco men che per la lor follia
Non avea 1' un di lor pagalo il costo.
Quando Rinaldo la lettera intende.
Tosto il cavallo e'I brando al conle rende.
cxv
E ringraziò T eterno e giusto Dio,
Ch' avea questo mìracol lor mostrato,
E disse: Or mi perdona, cugin mio,
E Carlo e gli altri ; ch'io ho troppo errato :
Ma Gesù Cristo nostro umile e pio
Veggo, eh' al fin m' ha pur ralluminato ;
tE riguardando ove il lione era ito,
1 Non lo riveggon, ch'egli era spanto.
Carlo e i baroni avien tutti veduto,
E come Malagigi scrive loro,
(]lie fu quel vecchio che trovò canuto,
Ch'avea scambiali i cavalli a costoro;
E ringraziava Iddio eh' ha provveduto,
Che' due baron' non si dessin niartoro.
Erminion, «'he vedea tulio aperto,
Parvegli (juesto un gran niiraòol cerio.
CXVH
E cominciò a dolersi di Macone,
Dicendo: Tu se' falso veramente,
E quel che ci ha mandalo «jiiel lione^
E il vero Dio e Padre onnipotente :
S'io ti fé' sacrificio o orazione
A la mia vita mai, ne son dolente;
E in ogni nu)do Cristo vo' adorare :
E cominciò con Carlo a lacrimare.
CXVII!
O Carlo avventurato, o Carlo «ostro,
Ogni grazia per certo a noi procede.
Per quel ch'io veggo, omai da Gesù vostro :
Veggo eh' egli ha de' buon servi mercede ;
E'I gran miracol ci»' egli ha qui dimostro,
E che Macone è falso, e «hi gli crede :
Da ora innanzi, degno Carlo Mano,
10 mi vo' battezzar con la tua mano.
cxix
Carlo abbracciò con molla affezione
11 re, che tutto pareva cambiato
Nel volto, e pien di molla contrizione;
E disse : Cristo sia sempre laudato :
Se vuoi eh' io ti battezzi, Erminione,
Andianne al fiume che ci è qui da lato :
E COSI finalmente andorno al fiume,
E batlezzòi secondo il lor costume.
Cosi fu battezzalo il re pagano;
E batlezzossi il famoso ammirante
Ch'era slato a l'assedio a Monl.ilbano,
Com' io già dissi, detto Lionlante :
E s' alcun pur non si vuol far cristiano
De'Saiacini, ritornò in Levante.
Carlo a Parigi con gran festa torna.
Dove co' suoi baron lieto soggiorna.
rxxi
Ma il liadilor di Gan, eli' era fuggito
Fuor di Parigi, e slava di nascoso;
Poi ch'egli, inlese c<mie il fatto era ilo,
Drenlo al suo cor fu molto doloroso;
E pensa come (]arlo abbi tradito,
E giorno e notte non Iruova riposo:
! Sente che in corte si facia gran festa ;
La qual cosa più ch'altro gli é molesta.
cxxii
Pensa e ripensa, e va suttilizzando
Dove e potessi j>iù metter la coda,
O dove e' venga la rete cacciando :
D' ira e di rabbia par seco si roda ;
Pur finalmente si viene accordando
Con set o slesso, e in su questo s' assoda,
Di tentar Caradoro, se potessi,
Tanto che qualche scandul si facessi,
MOi\GANTi: MAr.r. ioni:
CXXIII
E srri<se il (r;i(iitor queste p;troIe :
O Carail^r, lii te in Inrresre as>ai,
(.he la Ina fì{:lia Leila più rlie M $t>le
In Franeia meretrice mainlala dai,
E gravitia è già falla ; uiide mi duole,
Che Ina stirpe real disprezzi ornai:
Coni' hai tu ron>^ii.;lialo mandar quella
Tra gente «Irana, si giovan« e ht-lla ?
CXMV
Per Inlla Francia d'altro non si dice,
Che femmina tna figlia è <liventala
D' Flivier, anzi piò rlie men-lrice.
Dov' è tna fama già tanto vulgata ?
T)ov't' I tno pregio e 1 tno nome fflice,
r.he la tna schiatta hai sì vilnpcrata ?
fio ch'io lì dico, è il ver de la tna figlia;
Se tii se' savio, or le slesso consiglia.
rxw
La lettera poi dette a un messaggio,
Che a Carador ne va san/a dimoro,
E "n poco tempo spacciava il viaggio,
E rappresenta il lirieve a (!ar.idoro ;
11 qnal sentì di gua figlia 1' t)Ilra<jnio,
E mai non ebbe sì grave mnrlnro:
E la sna donna ne fn nu)lta trama.
Perù rh' al tutto ingannala si rhi.ima.
cxxvi
E la figliuola sventurata piagne.
Dicendo : Lassa, perchè ti mandai ?
Poi che scoperte son queste magagne,
Mentre tu eri qui non dubitai ;
Perchè già tese mi parv«m le ragne
E Iradimenli ; ma pur non pensai.
Che tanto ingraia fiisse quella gente :
Ma chi loslo erra, a beli' agio si pente.
cxxvii
O Caradoro mio, quanta fatica,
Quanti disagi, e quanti lunghi affanni
Sofferti abbiam, tu 'I sai, sanza eh' io '1 dica,
Per allevar costei da' suoi prim'anni;
Poi la dai in preda a la nenie nimica.
Piena di frode e di doli e d' inganni ;
Non rivedrai mai più tua figlia bella :
E se pur torna, svergognala è quella.
CXXVIIl
Queste parole assai passano il core
Al tristo padre ; e non sapea che farsi
T)i rncqnistar la sua figlia e l'onore,
Frrchè tulli i rimeilii erano scarsi:
Pur dopo molti sospiri e dolore,
( on la sua donna in tal modo accordarsi,
(.he si mandasse Vegurto il gicanle
A condolersi de le ingiurie tante ;
fXXIX
E che dovessi rimandar la figlia :
E s' egli è imperador giusto e ria bene,
liei tristo caso assai si maia\iglin,
Poirh' Ulivier per femmina la tiene;
l>i che per tutta Francia si bisbiglia ;
E die il gigante per sua parte ^iene,
Che subito gli dia Meridiana,
E rimandassi sua gente pa.jna.
E che se mai polià farne vendetta,
(.he lo farà per ogni modo ancora ;
Ma Come savio, luogo e temjio aspetta,
Il fer gigante non fece dimora:
Subitamente una sua alfana assetta,
E presto uscì de' pagan regni fora :
Tolse Ja fromba, ed altri suoi vestigi,
1". 'n poco teinpf) a Carlo fu a Pariiri.
cxxxi
Tutto il popol Correva per vedere
(^)nesto gigante, ch'era smisurato:
Morganle non pareva un suo scudiere :
A Carlo ne la sala ne fu andato,
E con parole assai arroganti e fiere
In modo mollo stran l'ha salutato:
Macon l'abbatta come traditore,
E disleale e 'ngiusto iniperadore.
rxxxii
Il mio signor mi manda a te. Cartone,
Che subilo mi dia la sua figlinola,
E lutto quanto il popol di flacone
Che ti mandò, sanza farne parola ;
1-^ Ulivier, quel ribaldo ghiottone,
(,on le mie mani impicchi per la cola :
Così farò, come m* ha comandato,
E piinirollo d" ogni suo peccalo.
CXXXIII
A Caradoro è slato scritto, o Carlo,
O Carlo, o Carlo, (e crollava "la testa)
De la tua corte ; che ntm puoi necarlo :
De la sua figlia cosa disonesta :
Non doveresli in tal modo trattarlo :
Quel ch'io li dico, è cosa manifesta;
IMivier tuo la lien per concubina
Così famosa e nobil saracina.
cxxxiv
Questo non è quel ch'egli are' creduto;
Questa non è gentilezza di Franza ;
Questo non è lonor eh" ha ricevuto;
Questa non è d' imperadore usanza ;
Questa non è giustizia né dovuto;
Quest«i non è buon segno d' amistanza :
Questa^ non è più la figliuola nostra.
Poi cir ella è fatta concubina vostra.
cxxxv
Questo non è quel che promisse il conte,
Quand' e'parlì con gli altri del suo regno,
(•osi <licen»lo, scoteva la fronte :
Leu parca pien di furore e di sdegno.
Carlo, sentendo ricordar laute onte.
Ri-pose : Imbasciador famoso e degno,
Per quello Dio ch'ogni cristiano adora.
Di CIÒ che di", nulla ne'nlcndo ancora.
cxxxvi
Tu m'hai fallo pensar per lullo il mondo,
E cosa che tu dica ancor non Iruovo:
Però questo al principio li rispondo,
(onif colui che certo ne son nuovo :
Il tuo signor famoso, allo e giocondo
Per vero amico e molto caro appruovo :
A la sua figlia ho fatto giusto onore,
Per mia corona, come imperadore.
INI O I\ ( , A N T E M A (i G I O R E
0 XX XVII
Nò Ulivieri ha falli) mancamenlo,
Per quel eli' io sappi, o palese o coperto j
Che se ciò ftisse, i' sarei malcoiilenlo ;
E non sareli'oe gitislo o de};;iio merlo.
Quando Ulivier vedea tanlo ardimento,
Gridava : Imperador, troppo hai sofferto,
Che dice questo traditor ribaldo :
Così diceva il Danese e Rinaldo.
cxxxvm
Meridiana eh' era a la presenzia,
Non potè far non si turbasse in volto,
Quando sentì trattar di sua fallenzia,
fj^' Che tal segreto stimava sepolto:
Perdonimi, dicea, la riverenzia
Del padre mio: e' parla come stolto;
Che sempre in questa corte sono stata
Da Ulivier, più che d'altri, onorata.
cxxxix
Ed or che Carador facci richiamo
Dì questo, troppo in ver mi maraviglio.
Disse Ulivier: Che tanlo comportiamo?
Subito dette a Altachiara di piglio ;
Ma tosto gliela prese il savio Namo,
Dicendo a quel: Tu non hai buon consiglio :
Questo gigante è di natura acerbo ;
E però parla arrogante e superbo.
CXL
Non si vuole agguagliar la lor natura
Con la nostra, Ulivier, né la fierezza ;
Però che non risponde tal misura,
Come non corrisponde la grandezza ;
Lo 'mbasciador dee dir sanza paura,
E vuoisi sempre usargli gentilezza:
Ma manco pazienzìa ebbe Vegurto,
E volse a Ulivier presto dar d' urto.
ex LI
Come un dragon se gli scagliava addosso,
E Irassegli d'un colpo d' un' accetta,
Credendogli ammaccar la carne e 1' osso :
Ma Ulivier da 1' un lato si getta :
Carlo fu presto de la sedia mosso :
Mal gran Morgante gli dava una stretta;
E corselo abbracciar subitamente,
Benché Vegurto assai fussi possente.
CXLII
"Vegurto prese luì sotto le braccia.
Or chi vedessi questi due giganti
Provarsi quivi insieme a faccia a faccia,
Maravigliato sarla ne' sembianti :
Ma pur Morgante in terra al fin lo caccia.
Tanto che rider facea tulli quanti :
Che quando e l'ebbe in su lo smalto a porre.
Parve che in terra cadessi una torre.
CXLIIl
E nel cader percoteva il Danese,
Tal che 1 Danese sotto gli cascava.
Orlando molto ne rise e '1 Marchese;
Ma Namo presto Carlo consigliava,
Cile si levassin così fatte offese.
Così Vegurto ritto si levava ;
E come ritto fu, gridava forte,
E tulli i paladin disfida a morie.
cxi.iv
Disse Ulivier : Sareslu Briareo
Con (iiuppiterre, o Fialte famoso,
O quel superbo antico Capaneo ?
Da ora innanzi, gigante orgoglioso,
10 li disfido, se tu fussi Anteo.
Lo 'mperador possente e glorioso
Mi dia licenzia ; e vo' leco provarmi ;
E fammi il peggio poi cJie tu puoi farmi.
rxi.v
Ah Ulivieri, Amor li scalda il petto,
Che sempre fa valoroso chi ama :
Tu non aresti di Marte sospetto.
Pur che vi fussi a vederli la dama.
Disse Vegurto : Per Dio Macometto,
Questo, più ch'altro, la mia voglia brama.
Ulivier prestamente corse armarsi.
Che col gigante voleva provarsi*
CXLVI
Morgante non potè più sofferlrc,
E disse a Carlo : Imperadore, io scoppio.
S'io non lo fo con le mie man morire:
Lascia ch'i' suoni col batlaglio a doppio,
Al primo colfìo il farò sbalordire,
Che li parrà che egli abbi beulo oppio.
Carlo risponde, ma non era inteso.
Tanto ognun era di furore acceso.
CXLVIl
Non polca star Morgante più in guinzaglio.
Non aspettò di Carlo la risposta ;
Ma cominciava a calar giù il battaglio,
E 'l fer Vegurto a Morgante s'accosta.
Or chi vedesse giocar (|ui a sonaglio.
Non riterrebbe le risa a sua posta :
L' un col battaglio, e I' altro con la scure
S' appiccan pesche che non son mature.
cxLvni
Non era tempo adoperar la fromba :
E' si sentiva alcuna volta un picrliio.
Quando Morgante il battaglio giù piomba.
Che quel Vegnrto si faceva un nicchio;
E tutta quanta la sala rimbomba.
Ma con l'accetta ogni volta uno spicchio
Del dosso lieva al possente Morgante,
Però che molto è feroce il gigante.
CXLIX
Ulivieri era ritornalo in sala
Armalo, e Con Vegurto vuol provarsi:
Ma quando e' vide Morgante che cala
11 gran battagliò, e 'nsieme bastonarsi»
Si rilenea volentieri in su l' ala ;
Però che tempo non é d'accostarsi.
Vegurto grida, e Morgante gridava,
Tanto eh' ognun per la voce tremava.
CL
E' non si vide mai lioni irati
Mugglììar sì forte, o far sì grande assalto;
Né due serpenti insieme riscaldati:
Sempre l'accetta o "1 battaglio é su allo :
Alcuna volta invano eran cascati,
I colpi, e fa'.ta una buca a lo smalto:
Due ore o più bastonati si sono ;
Ma del ballaglìo raddoppiava il suono.
INI O l\ (\ A N T K MAGGIOR E
lìenrliè V<'j;iirt«) assai pi«i allo fosse
Clu' 1 i;r.iii IVl()ri;.iiile ; e' non era più forte :
1'^ già tulle le <arni avevan rosse ;
\l a vederpli era ttilla la corte:
Mor{;.inle nn trailo a Vej»tirlo percosse,
Dililteralo «li <lar};li la morte :
Il pran ballatilo in sul capo appiccóe,
Tal che A'egnrlo morto rovincie.
CI.II
E parve nel cader quel torrione,
r.h' un albero cadesse di gran nave :
Fece tremar la tefra il compagnone,
Non die la sala, tanto anilò più prave :
Dovun(]ne e' piunse, b) smalto o 1 mattone
Fracassò lutto, e ruppe una pran trave;
Tanto clie "I palco sotto rovinava,
IC molta gente addosso gli cascava.
dosi mori il superbo imbasciadore,
ì] non tornò con la ris|iosta a drielo :
Meridiana ])ur n avea dolore,
Ma l'Iivier di ciò troppo era lieto.
Molto dl.'-piacque a Carlo imjieradore,
IJencliè nel petto il tenessi segreto ;
l'ercliè pur era imbasciador mandato,
E pargli, a Caradoro essere ingrato.
CMV
Caradoro aspettò più tempo invano
Che ne dovessi la figlia venire.
Lasciam costoro, e ritorniaitu) a Gano,
('Ile non vide il disegno riuscire ;
K manda così a dire a Carlo Mano,
C<ime ne l'altro canto vo' seguire:
Cile so cir io v'ho tenuto troppo a tedio:
Cristo sia vostra salute e rimedio.
CAINTO XI
ARGOMENTO
•>^^@<K-^
trarlo (ìà bando al sir di Montalbano,
Che con Astolfo si inctlc alla strada :
A istigazion del turbolente Gano
Una i;iostra in Parigi a Carlo ac;^rnda ;
Rinaldo e Astolfo rnnndan tutti ni piano:
Sorpreso Astolfo, nvi'ien che prigion vada,
E se Rinaldo e Orlando eran rncn destri^
Sentiva come stringono i capestri.
-^^m^%^
santo Pellican, che col tuo sangue
Campasti noi da la fera crudele.
Dal suo veien, come peslifer' angue,
E poi gustasti r aceto col fele,
Tanto che la tua madre afflitta langue;
Manda in mio aiuto TArcangiol Michele,
Si ch'io riporti <li vittoria insegna,
E seguir possa questa storia degna.
II
Gano scriveva a Carlo in questo modo :
O Carlo imperador, che t' ho io fallo ?
S IO non commisi inganno mai né frodo,
Perchè consenti tu ch'io stia di piallo?
S' io t' ho servito sempre, assai ne godo ',
Tu mostri essere ingrato a questo tratto ;
E sanza udir le mie ragion, consenti
Che i miei nimici sien di me contenti.
IH
Quel dì eh' io presi in Parigi la piazza,
Che sapev' io chi drente era venuto,
O se pur v'era gente d'altra razza,
Che ti paressi Orlando sconosciuto?
Per riparare a quella furia pazza.
Corsi a la piazza; e parvemi dovuto:
Che sapev' io se tn t'eri ingannato,
O che ne la città fussi trattato ?
IV
Rinaldo non istette mai a udire
Le mie ragion ; ma furiando forte,
Mi minacciava di farmi morire :
Io fuggi' temendo de la morte ;
Tu li stai in festa, ed Io con gran martire;
E taJrto tempo è pur ch'io fui in tua corte
De' tuoi baroni, e del tuo gran Consilio ;
Or m'hai scaccialo e mandato in esilio.
V
Carlo lesse la lettera piangendo,
Però che molto Ganellone amava;
Ed ogni cosa per fermo tenendo
Che gli scriveva, in drieto rimandava,
Dicendo : Il tuo partif, Gan, non commendo.
E la distanzia tua troppo mi grava ;
Torna a tua posta, e come caro amico.
Come stalo mi se' pel tempo antico.
INI Oli (V \ N T K M A (ìG l O K K
(iaii rilorii»), come scriveva ('<ailo :
Carlo lo vide mollo volentieri,
K corse, come lo vide, abbracciarlo ;
Heii sia tornalo il mio Gan da l'onlieri:
Gali come (iinda in ironie osa l)aciarlo,
Direa llinaldo al marcbese Ulivieri :
Vedi die Carlo consente cbe torni,
E rilorniamci pur ne' primi {giorni,
VII
Io vo' che '1 capo Carlo Man mi la;;li.
Se non è (|nel eh' a Caradoro ha scrillu,
E che lo 'inbasciador fece mandagli:
Non so come gnanlar lo può diritto:
Ma metter lo polrìa in tanti trava{;ii,
Che ([nalche volta piani>;erà poi alllitto ;
Cosi pareva al Marchese ed Orlando;
Tutta la corte ne vien mormorando.
vili
Ma con),? avvien che sempre la lortuua
Si diletta veder diverse cose,
E sempre volge, come fa la luna ;
Mentre che Carlo par così si pose,
Sanza più dubitar di cosa alcuna,
Ma sanza spine godersi le rose ;
Ed ogni dì fa giostre e torniamenti,
E lutti i suoi baron vede contenti :
IX
Un giorno a' scacchi Ulivler Borgognone
In una loggia con Rinaldo giuoca ;
Vennono insieme gincando a quislione ;
E tanto ognun di parole rinfuoca,
Ch'Ulivier disse a llinaldo d' Amone :
Tu hai talvolta men cervel di' un' oca ;
E col gridar difendi sempre il torto :
Non so se ni' hai per tuo ragazzo scorto.
X
Rinaldo rispondea : Tu credi forse,
Percliè presente è qui Meridiana,
(^h' io ti riguardi : e tanto ognun trascorse
D'una parola in un'altra villana,
Clie Ulivieri il pugno innanzi porse ;
La damigella gli prese la mana : »,
Rinaldo si rizzò subitamente :
Ma Ulivier non aspettò niente.
XI
Subilo corse per la sua armadura :
Torna a Rinaldo, e trasse fuori il brando:
Rinaldo non l'aveva a la cintura;
Ma In questo mezzo si (tacciava Orlando.
Meridiana triema di paura:
Carlo Rinaldo venia minacciando :
Ogni di inetti la corte a romore,
E l torto hai sempre, e fammi poco onore.
XII
Rinaldo, ch'era tutto infuriato.
Rispose a Carlo Magno: Tu ne menti,
Che '1 torto ha egli, ed liamini minacciato.
Carlo gridava a tutte le sue genti:
Fale che presto costui sia jiigliato ;
«Se non die tutti farò malcontenti.
Dicea Rinaldo: Igniiii non mi s'accosti,
Che gli jiarrà che le inosdie gli arrosti.
Orlando vide il cugino a mal porlo,
E COSI disse: Piglia tuo parlilo:
Vattene a Montalban per mio conforto ;
(jh' io veggo Carlo troppo insuperliito,
Sanz;» voler saper chi s' abbi il torlo.
Rinaldo s'è prestamente fuggilo:
Tolse Uaiardo, ed obbediva Orlando,
E 'nversQ Montalban va cavalcando.
XIV
Carlo si dolse con Ojrlando molto,
Perchè 1' avea così fallo fuggire,
Dicendo : Il traditor dove m' ha ciìllo !
Per la gola ogni dì m' ha a smentire :
Ti ho a trattare un giorno come stolto,
Subito fece il consiglio venire,
E disse in brieve e soluta orazione
Quel che far debba del figlio d' Amone,
XV
Diceva Orlando : A mio modo farai :
Lasciagli un poco uscir quest' arroganza,
Ed altra volta ginocchiou l'arai;
E farem, che ti diiegga perdonanza.
Carlo rispose : Ciò non farò mai,
Che di smentirmi più pigli baldanza :
10 vo' perseguitarlo insino a morte.
Né mai più intendo tenerlo in mia corte.
XVI
Namo a la (ine dette il suo consiglio,
Che si dovesse di corte sbandire.
Acciò che non seguissi altro periglio.
Che qualche mal ne potrebbe seguire;
E dicea: Tutto il popolo è in bisbiglio,
Cir altra gente pagana dee venire ;
E forse ])otre' farne novitade :
Che mollo amato è pur ne la citlade.
XVII
Astolfo non volea che si sbandisse,
Ma che gli fossi in lutto perdonato-,
Ma Ulivieri incontro Astolfo disse,
Tanto che molto di ciò fu sdegnalo:
E Carlo comandò che si seguisse
11 bando come Namo ha consiglialo,
Gano avea detto solo una parola:
Se C ha smentito, impiccai per la gola.
XVIII
Poi che più Astolfo non vide rimedio,
E die Rinaldo è sbandito da Carlo,
Si dipartì sanza stare più a tedio,
A Montalban se n'andava avvisarlo,
Che consiglialo s' era porgli assedio,
E accordali poi di sbandeggiarlo ;
E ciò ch'aveva dello a Carlo Mano
Per suo consiglio il traditor di Gano.
Rinaldo mille volte giurò a Dio,
Che ne farà vendetta qualche volta
Di questo fraudolente iniquo e rio,
Se (iriiiia non gli fia la vita lolla ;
K poi diceva : Caro cugin mio.
So «he tu m'ami; e pertanto m'ascolta
lo vo'che tutto il paese rubiamo,
E che di luascalzon vita te:;namo.
M O 1\ G A N T K MAGGIORE
l'I se snii Pier tfov.isviiiid n r.imfuiiio,
("Ile sia sj>(»p;li.il<ì e messo n (il «li sp.id.i
1'. Ili( ri,-)) iliMIo nnror sia n)a1;ii)drii)o.
Rispose AsIoHo : Perrl)^ sli.mx) a bada :
i'ilo sjiojilierò Otton per mi (jiiatlrino :
'Domali si vuol che s'assalii la strada:
Non si risparmi parcnle o rtcìipa^ino ;
K poi si parta il bollino e 1 {^iiadaiino.
xxi
Se vi passassi con stia compaenia
Saul' Orsola con l'Apiiol Gabriello
CI)' aiiiiimziò la Yercine Maria;
Che sia spoulialo e lollocii il mantello,
lìirea Rinaldo : Per la fede mia,
Cbe Dio li ci ba iDandato, rar' fratello ;
Troppo mi piace, e savio or li conosco :
Parmi iniiranni che noi siam nel bosco.
XXII
Quivi era Dralapijii, e confermava
Che si dovesse far com'egli ha detto,
Rinaldo {^enle strana radunava :
Se sa sV»andito ignnn, eli dà ricetto,
(ìenle die ognun le forche meritava,
A Montalban rimetteva in assetto.
Donava yianni, e facea buone spese :
Ti)Ulo ch'assai ne ragunò in un mese.
XXIII
Tolto il paese teneva in paura ;
Ogni dì si sentia qualche spavento:
Il tal fu morto in una selva scura ;
Vj tolto venti bisanti ; e al tal cento,
Infin presso a Parigi in su le mura.
Non domandar so Gano era contento,
Acciò che Carlo più s' inanimassi ;
Tanto che a campo ^i Monlalbano andassi.
yxiv
E perchè più s' accendessi Rinaldo,
Diceva a Carlo un di : La corte nostra
Par tutta in ozio per qux^sto ribaldo.
Che co' ladroni a le strade si mostra ;
Io sono in f|uesto proposito saldo,
Che si vorrebbe ordinare una giostra
Per sollazzar la corte e \ popnl prima,
E non mostrar far di Rinaldo stima.
XXV
Carlo gli piacque quel che Gan diceva;
E fé' per tutto Parigi bandire.
Come il tal dì la giostra si faceva :
Che chi volessi, potessi venire :
Tutta la corte piacer ne prendeva.
Gali per potere ogni cosa fornire,
E per parer a cicS di miglior voglia ;
In punto misse Grifon d' Allafoglia.
x\vi
Quest'era de la scliialta di Maganza :
Orlando s' era di corte partito :
Gan gli diceva : O Grifon di possanza,
Poi che non c'è Rinaldo, eh è sbandilo,
Con tutti gli altri accettar dei la danza:
Ch'Orlando non si sa dove sia ilo.
Grifon rispose al suo de^no^ signore :
Io farò sì eh' i' vi faro onore.
Venne la giostra e 'l tempo deputato,
I', ordinò lo 'iiqierador per segno
D'onore a quel <hc l'ara meritato,
Vii bel carbonchio mollo ricco e degno,
Che in un bel gambo «1' oro era legato.
l'iivvi gran gente di tulio il suo regno,
IL molla baronìa verme a la giostra :
Grifone il primo in sul campo si mostra.
XXVIII
Rinaldo un giorno un suo falcon paiccndo,
Ecco venire il fratel Malagigi ;
ìi come e' giunse, diceva riden«lo :
Non sai tu coni' e' si giostra a Parigi ?
Che tu vi vadi a ogni modo intendo
Isconosciuto con istran vestigi :
Ed una barba d' erba porterai,
Che conosciuto da nessun sarai.
XXIX
Tutto s'accese Rinaldo nel core,
E missesi di subito in assetto
Di sopravveste, d' arme e corridore :
1"^ disse : Io intendo menar Ricciardetlo,
E d'Inghilterra il famoso signore;
Alardo rimarrà qui per rispetto.
Missonsi in punto tulli, e l'altro giorno
Isconosciuli a Parigi n' aadorno.
XXX
E solean questi sempre per antico
Dismontare a la casa di Gualtieri,
O ver di don Simon lor caro amico:
A questa volta trovorno altro ostieri
Fuor di Parigi, ch'era assai mendico:
Quivi smontorno e missono i destrieri,
Per fuggir ogni tradimento reo ;
E r oste appellato è Barlolommeo.
XXXI
E poi Rinaldo Ricciardetto manda
In piazza per veder qnel che facieno.
Ricciardo aveva a traverso una banda
A la sua sopravvesta e al palafreno,
E in certa parte una gentil grillanda
Di fior' che quasi il petto gli coprie'no ,
Di bianco drappo era la soprawesla,
A nessun mai più non veduta questa.
xxxii
Una grillanda aveva a la testiera,
Ed una in su la groppa del cavallo
Di varii fior' come è di primavera :
La coverta è di color lutto giallo :
Vide la giostra che cominciata era,
Né potè far non entrassi nel ballo :
Il jjrimo ch'egli scontra in terra ha spinto ;
E poi il secondo e'I terzo e'I quarto e'I quinto.
xxxiii
Poi si partì, e tornava al fratello,
E disse ciò che al campo aveva fatto.
Rinaldo ch'era armato come quello,
E'I dura Astolfo n' andorno di tratto:
E tulio il popol si ferma a vedello,
Perchè parca ne 1' arme mollo adatto.
Ulivicri era già venuto al campo,
E con la lancia menava gran vampo.
MORGAN T K AI A G (> 1 0-l\ K
XXXIV
Hinaldd come giunse, al suo liajardo
L'iia fiaiu-ala delle con j;li sproni :
Vennepli inconlro il Marchese {;ap;liardu.
Non si conoscon (jiiesli due baroni :
Dne colpi grandi sanza alcun riguardo
A mezzo il corso dellonsi i campioni :
Le lance in aria pel colpo ne vanno ;
Ma 1' uno a 1' altro facea poco danno ;
XXXV
Salvo clic in ginorcliion vanno i deslrieri ;
VI. nel cader T cimelio si sdilaccia
Al valoroso marchese Ulivieri,
Tanto che tutto scoperse la faccia.
^'i(^el Rinaldo, e fece assai pensieri
Di dargli morie, e fuggir via poi in caccia;
Pur si ritenne per miglior parlilo ;
Ulivier si rizzò lutto smarrito,
XXXVI
Allor Rinaldo un' altra lancia prese,
V^ rivollossi col cavallo a tondo :
Vide venire un certo maganzese.
Che si chiamava per nome Frasmondo :
Sopra lo scudo la lancia giù scese :
Gì Italo in terra, e poi gittò il secondo,
i'Aoè Grifon eh' avea molta possanza.
Ch'era mandalo da Gan di Maganza.
XXXVII
Quivi comliatte il signor d'Inghilterra,
Ed or questo or queiraltro manda al piano;
Molti n'aveva cacciali per terra:
Rinaldo guarda se conosce Gano :
Videlo un trailo, e Baiardo disserra ;
E com' e' giunse al Iraditor villano.
Per fargli il «liuoco, se poteva, netto.
Gli pose a la visiera de l'elmetto.
xxxvin
Gan si scontorse tutto in su 1' arcione :
La lancia si spezzò subitamente ;
E '1 suo forte destrier Mallafellone
S' accosciò in terra, se Turpin non mente :
E come fu caduto Ganellone,
vSubilo intorno gli fu molla gente
De' Maganzesi, e corsono aintallo,
E rilevato fu su col cavallo.
Quanti ne scontra Rinaldo in c[uel giorno
Tanti per terra par che ne trabocchi :
Alda la bella al cavaliere adorno
Sempre teneva qtiel dì fiso gli occhi;
E quanti cavalier' con lui gìostrorno,
Parvon le lance gambi di finocchi ;
Tanto che molto piacque a Gallerana,
Ch'erg con Ald;i e con Meridiana.
XI,
Falla la giostra fu dato i onore
Al buon Rinaldo che lo meritava.
Alda la bella al baron di valore
Un ricco diamante poi donava.
Dicendo : Questo porta per mio amore :
!•". Gallerana un rubin suo gli dava ;
Tanto lor parve im cavalier possente ;
Rinaldo gli accettò corlesemenle.
Tornossi a l' osle di fuor de la terra
Rinaldo con Astolfo e col fratello,
(iaii, i»erch' avola vergogna avea in guerra,
Vituperalo drenlo il suo cor fello.
Pensò di far con sua genie tal serra
Al ])aladin' eh' egli uccidessi quello;
Acciò che tanti cavalier prestanti
D' aver vinlì (|uel giorno non si vanii.
XMI
Subilo fuor di Parigi son corsi ;
E giunti a l'oste, Rinaldo trovare;
IL cominciorno con graffi e con morsi
A volerlo atterrar sanza riparo-
Cosi con esso a battaglia appiccorsi ;
Tanto che Astolfo per forza pigliare :
E con fatica Rinaldo è fuggito.
Con Ricciardetto che 1' avi'a seguilo.
XMII
Gan lece a Astolfo 1' cimelio cavare,
(-on intenzion di dargli poi la morte ;
Ma saper prima ben d' ogni suo affare,
E del compagno suo eh' è tanto forte :
Come il conobbe, cominciò a parlare :
Tu se' quel tradilor che nostra corte
Vituperasti sempre, e Carlo Mano,
E malandrin se' fatto a Monlalbano ?
XLIV
I tuoi peccati t' hanno pur condotto
Dove tu merli, se tu guardi bene
A la tua vita ; e pagherai lo scollo
Di quel eh' hai fallo con affanni e pene.
Astolfo per dolor non facea motto.
Gan di Maganza a Parigi ne viene ;
E giunto a Carlo lutto in volto lieto,
(ili dette Astolfo in sua man di segreto.
XLV
Questo facea perchè non abbi aiuto ;
Né per la via scoperto l'ha a persona.
Acciò che non sia tolto o conosciuto ;
E dice: O Carlo Mano, alta corona,
Fallo impiccar: che tu farai il dovuto:
A la sua vita mai fé' cosa buona;
Se tu riguardi nel tempo passalo.
Per mille vie le forche ha meritato.
XLVI
Carlo lo fece mettere in prigione,
Per ordinar di farne aspra giustizia.
Mentre che questo ordinava Carlone,
E Gan tulio -era acceso di letizia ;
Rinaldo, eh' era pien di passione,
Senlla d'Astolfo al cor molla tristizia;
E pensa pur com' e' debba aiutarlo,
Che dicea : Carlo Man farà impiccarlo.
XLVII
Orlando appunlo a Monlalban giugnea,
nQuale era sialo per molli paesi,
E rivedere il suo cugin volea :
E Ricciardetto e lui truova sospesi :
Rinaldo poi d' Astolfo gli dicea :
Or questo par eh' al conte mollo pesi,
Che in Agrismonle stato era di 13uovo ;
E non sapea di ([ucsto caso nuovo.
MOl\G ANTK M A (. ('. 1 OK E
IC arrttrdossi roti ItiiiaMo iiisii-inr,
(.^le 1)011 t;li Ha la vita pcrfJoiiala ;
J'^ Malaiii};! Ita penluta o^iii speme ;
Poro rlie Carlo un'ostia roiKarrala 95-
Gli ha messo addosso : che ile l'arie temè
Di Malajii}»! ; e la prigion (guardata
In modo avea, che non si può aiutare,
Né con inj;epni o spirli lil)crare.
M.IX
Dirova Orlnndo : Io per me fun disposto
Insieme con Aslrdfo ir a morire.
Disse Rinaldo: Ed io; farciam ptir tosto J
Però elle n«)n è lonpo da tiormire.
Come fo il Sol ne 1' Oci'an nascosto,
Sidiito l'arme si fecion p;oernire ;
E Ricciardetto con seco menomo ;
E cavalcar ia notte insino al giorno.
La manina per tempo capitali
Fiiron fuor de le porte di Parifiì,
E non si sono a cnun manifeslali ;
Ma sfellonsi nascosi in san Dionigi :
E certi viandanti son passali :
Orlando drieto mandò lor Terigi
A domandar se novelle sapieno
Di corte, e quel che i paladin facieno»
LI
Fnjlli risposto: Niente sappiano,
Se non ch'egli è certo mormoramento,
r.h' un de' baroni impicca Carlo Mano
Qnesta mattina per suo mancamento ;
Le forche qoa su la strada voggiano ;
Altre novelle non sentimmo <lrenlo.
Terigi presto ritornava al Conte,
E di Parigi le novelle ha conte.
LH
Disse Rinaldo: E' fa por da doveiro ;
Ben dehhe goder or qnel traditore.
Diceva Orlando: E' fallerà il pensiero,
Se tu mi segni, cugin, di bnon cuore.
Disse Rinaldo : Morir teco spero,
E 'I grimo _ucf idee Carlo imperadore.
Prima ch'Astolfo, come G.-^Uo agogna.
Vegga morir con tanta sua vergogna.
LUI
Io trarrò a Gano il cuor prima del petto,
Ch' i' sofferì veder mai tanto duolo :
Così la fede, Orlando, li proUiefto :
To verrò leco in mezzo de lo stuolo
Così sbandilo sanza alcun sospetto,
S' io vi dovessi morto reslar solo.
E così insieme congiurati sono
Di mettersi a la morte in abbandono.
LIV
E slanno a la veletta per vedere
Qualunque uscissi fuor de la citlade.
Così Terigi, eh' era lo scudiere,
Aveva gli occhi per tutte le strade :
Ognuno in punto teneva il destriere.
Ognun puardava come il brando rade,
Diceva Orlando a Terigi : Sarai
Sul canq»auile, e cenno ci farai.
Ma la cIh' bene in ogni parie guardi,
A« • io che rrror per nidia non jiigliassi ;
Se tu vedessi apparire stendardi,
O che alle forche nessun s'accostassi,
Subito il di', che noi mui fustini tardi ;
Che I manigoldo intanto lo "mjiicas.si ;
Ma, a mio parer, sanza diuutstrazione
S' ingegnerà mandarlo Ganellone.
T,vr
Gan la Tnillina per tempo è levato,
\\ ciò che fa dì bisogno ordinava ;
Insino al manigoldo ha ritrovato:
Non domandar coni' e' sollecitava :
I pala<lini ognun mollo ha pregato:
Ma Carlo chi lo priega minacciava.
Perdi ' ostinato era farlo morire.
Tanto che pochi volcaii contraddire.
LVII
Avea mollo pregalo T ammirante,
Che con Ernunion si fé' cristiano.
Questo era quel famoso Lionfanle,
Che prese 7\slolfo presso a Monlalbano :
Meridi.ina pregava e Morgante ;
Ma tulio il lor pregare era alfin vano.
Gan da Pontieri in su la sala è giunto ;
Dicendo a Carlo: Ogni cosa e già in punto.
LVlIl
E taglia a chi pregava le parole.
Dicendo : O iniperador, sanza giustizia
Ogni città le barbe scuopre al sole,
Per non punire i tristi e lor malizia ;
Vedi che Troia e Roma se ne duole :
E sanz' essa ogni retno precipizia;
La tua sentenzia dcbbe aver effctlo,
E non mutar quel eh' una volta hai dello.
MX
Carlo rispose : Gan, sia tua la cura.
Fa che la giustizia abbi suo dovere ;
Quel che bisogna a tulio ben procura.
Gan gli ripose : E' fia fatto, imperiere :
Di questo sta con la mente sicura:
Se Asfollo prima volessi vedere
Ch' io '1 meni via, il trarrò di prigione,
Per i sfollarli a tua consolazione.
Rispose Carlo: Fatelo veniie.
Astolfo innanzi a Carlo fu menato.
Carlo comincia iratamenle a dire,
Poi ch'a'suoi pie se gli fu inginocchiato;
Com' hai tu avuto, Astolfo, tanto ardire
Con quel ribaldo, Irislo, scellerato
Venire a corle, e già circa a tre mesi <.
Mettere in preda tulli i miei paesi?
Perch' io avevo Rinaldo sbandilo,
Quand' io pensai tu mi fossi fedele,
A Montalban con lui li se' fuggilo,
E fallo un uom micidiale e crudele-
Del tuo peccalo è tempo sia punito ;
E dopo il dolce poi si gusta il fiele :
De la tua morte e di tue opre ladre
Non me ne incresce, ma sol del tuo padre.
IT)!
M 0 K G A N T E M A (x G I O U E
L-
r:''i2
f''^ Ollon fuor <li l'arij^i doloroso
S' era fuggito, per non veder solo
Afflitto vecchio, misero, angoscioso,
Morir si tristamcnlc il suo figliuolo.
Astolfo allor col viso lacrimoso
Rispose con sospiri e con gran duolo,
li «lisse uinileuieate : O imperadore,
Io mi t^ accuso, e chiamo peccatore^
LXIII
Io non posso negar, che la corona
Non abbi offesa assai col mio cugino :
Ma se per te mai cosa giusta o buona
Ho fatto, mentre io fui tuo paladino
Per lunghi tempi, Carlo, or mi perdona
Per quel Gesue che perdonò a Longino,
Pel padre mio, tuo servo e caro amico,
Se mai piaciuto t' è pel tempo antico;
LXIV
Pel tuo caro nipote e degno conte.
Per quel ch'io feci già teco in Ispagna,
S' io meritai mai nulla in Aspramonte,
Per la corona tua famosa é magna :
E pur, se morir debbo, con tant'onte.
Quel tradllor oh' è pien d'ogni magagna,
Più eh' altro Giuda, o che Sinon di Troia,
Per le sue man non consentir ch'io muoia.
LXV
Carlo diceva : Questo a che t' imporla ?
Gan da Pontler gli volse dar col guanto ;
Ma '1 duca Namo di ciò lo sconforta.
Astolfo fu da' Maganzesi intanto
Preso e menato inverso de la porta,
E tutto il popol ne facea gran pianto:
Uggier più volte fu tentato sciorre
Astolfo, e a Ganellon la vita torre.
rxvi
Ma poi di contrapporsi a Carlo teme ;
E non pensò che rius<:issi netto:
I Maganzesi son ristretti insieme.
Perchè de' paladini avean sospetto,
E d'ogni parte molta gente preme:
Quel traditor di Gan per più dispetto
Come un ladrone Astolfo svergognava,
EU manigoldo pur sollecitava.
LXVII
Avea pregato Namo e Salamone
Lo 'mperador che dovessi lasciarlo:
Avolio, Avino, Gualtier da Mulione,
E Berlinghier si sforza di camparlo,
Dicendo: Abbi pietà del vecchio Ottone,
Che tanto tempo t' ha servito, Carlo :
Tutta la corte per Astolfo priega ;
Ma Carlo a tutti questa grazia niega.
Lxvni
E finalmente a Gan fu consegnalo,
Che facci che far dee di sua persona :
Gan sopra un carro l' aveva legato,
E 'n testa gli avea messa una corona ^
Per traditore, e '1 glubbon di broccato ;
E gran romor per Parigi risuona :
E un capresto d'oro gli awolgca :
Or questo è quel eh' a Astolfo assai dolca.
Fe'jìcr Parigi la cerca maggiore;
Le trombe innanzi e stendardi e bandiere,
Minacciando, e chiamandol riibalore :
Ma nondimen del signor del quartiere
E di Rinaldo lemea il traditore,
E tnttavolla gliel parea vedere.
Terigi presto del fatto s' accorse;
Al conte tosto ed a Rinaldo curse<
LXX
Orlando sopra Veglianlin s' assetta :
Rinaldo sta come suole il falcone
Uscito del cappello a la veletta;
Ma per aver più salvo Ganellone,
Che si scostassi di Parigi aspetta,
Tanto che fussi giunto a lo scaglione;
Dicendo: Quant» più si scosta Gano,
Tanto più salvo poi 1' aremo in mano.
LXXI
Lasciagli pure a le forche venire.
Che se noi gli assallassim cosi tosto.
Ne la città potrebbon rifuggire:
lo vo' che '1 traditor tarpiani discosto :
Astolfo in modo alcun non dee morire :
Noi giugnerem più a tempo che V arrosto:
Forse verrà a veder lo 'inperadore ;
E vo' con le mie man cavargli il cuore.
LXXII
I Maganzesi so che sgombreranno.
Come vedranno scoperto il quartieri,
O '1 lione sbarrato mireranno:
Cosi si fumo accordali i guerrieri,
E come i can' con gli orecchi alti stanno
Per assaltare o leprella o cervieri.
Gan traditor con mollo oltraggio e pena
Astolfo inverso le forche ne mena.
Lxxin
Non potre' dire il signor d' Inghilterra
Come schernito sia da quella gente:
Per non vederla gli ocelli spesso serra,
E come agnello ne venia paziente :
Già lanto tempo in corte stato e in guerra
Si degno paladin, tanto eccellente,
Morti a' suoi di con le sue proprie mani,
Per salvar Carlo, migliaia di Pagani.
LXXIV
O Carlo Imperarior, quanto se' ingrato!
Non sai lu quanto e in 7)dio a Dio tal peccai"
Non hai tu letto, che per tal peccalo
La fonie di pietà su in ciel si secca ?
E con superbia insieme mescolalo
Caduto è d' Aqiiilon ne la Giudecca
Con tutti i suoi seguaci già Lucifero:
Tanto è questo peccalo in sé pestifero.
LXXV
Tu hai sentilo pur, che Scipione,
Senilo di senno vecchio, e giovan d' anni,
A Annibal tolse ogni riputazione,
Di che tanto acquistala avea già a Canni :
Fumo i Roinani_ijigrali a la ragione ;
Onde sci'uiron poi sì lunghi affanni :
Questo peccato par che'l mondo adugge,
E finalmcnle ogni regno distrugge.
M O U G A N T E ÌM A (\ (\ 1 O K E
LXXVI
Questo perralo scarda la i;iiisli/ia,
Saiiza la (|iial non può tiurare il in(iiid«t :
Questo perralo è pien d" 4»f:ni niali/.in,
Que.>to perrato a pnun non è secwntlo :
(ìerusalein per questo preripizia :
Questo perdio Ila messo (ìiuda al fondo:
Onesti» pe«r.ito Innlo {irida in cielo,
Che ci pertiirlia ogni sua grazia e zelo.
I.WVM
Quel di' ha fallo per te pia il paladino,
Credo tu "I sappi (ma saper noi vuoi)
Mentre che fu tra 'I popid sar.irino :
So che tra eli altri a>sai lodar quel suoi.
Non ti ricordi, fijilinitl di l'ij>ino.
De' benefici, e penlcr non vai poi:
E pur se fatta ha cosa che sia atroce,
Del Ino Gesù ricordati già in croce,
I.XWIM
Che perdonava al pojiol che 1" ofTende,
Racromand.ilo ai padre umilemente :
y\<loMo in colpa ginorcliion si rende, ;,i ^
K chiede a te perdon pietosamente:
E p«ir se 'I giusto priego non s' accende.
Di grazia ti domanda fìnnlmenle,
Che per le man di G.-in non vucd morire ;
E tu noi vuoi di questo anco esaudire.
LXXIX
E non sai ben che se qnel guida a morte
Astolfo, così guida te, Carlone,
E i tuoi baroni, e tutta la tua corte.
Fa che tu creda sempre a Ganellone ;
Ben ti conducerà fuor de le porte,
Quando fia tempo, ancor questo fellone :
E pei consiglio suo ti fai crudele,
E ngrato contro al servo tuo fedele.
LXXX
Astolfo poi che si vide condotto
Presso a le forclie, e gnun per sé non vede,
Unj)ianto cominciò mollo dirotto,
Quando in sui primo scagiion pose il piede,
E i Maganzesi il sospingean di sotto ;
E disse : O Dio, è spenta ogni mercede :
Non è pietà nel mondo più né in cielo
Pe' tuoi fedel' che credon nel Vangelo.
I-XXXI
S" io ho Ire mesi assaltalo a la strada
Per disperato e pien di giusto sdegno,
Consenti tu eh' a le forche ne vada ?
lo ho tanto assaltato il pagan regno,
E tanti per te morti con la spada,
Che di misericordia era pur degno :
Com un ladron m' impicca Cario Mano ;
E per più ini;,iuria il manigoldo è Gano.
LXXXII
Quel die l'ha fatti mille tradimenti,
E mille e mille e mille a la sua vita,
E tanti ha già de' tuoi crisli.mi spenti:
Ov è la tua pietà, s'ella è infinita?
A questo modo eh io muoia or consenti ?
Per la tua deità eh" è in ciel gradila,
Per la tua santa e gloriosa madre,
Alibi pietà del mio misero padre,
I.XXXIII
Se per me stesso non V ho ineritalo ;
Per le sue opre degne e giuste e sante ,
Ma tu sai pur, se pel leni|>o passato
(!ondiatluto ho nel Ponente e Levante;
'Jai rh i' pensavo d'avere acquistato
Altra corona o carro trionfante,
Altri stendardi di più gloria e fama ;
Or col capresto (ìan ladron mi chi.ima.
r.xxxiv
Avino era venuto per vedere
Quel che veder non vorrebbe per certo ;
Ma 'I grande amor Io sforza, e più tenére
Non potè il pianto, tanto avea sofferto.
Guardava Astolfo contro a suo v<»lere
Le forche in alto, e '1 cammin gli par erto;
E quanto può di non salir s' attiene.
Che di morir non s'accordava bene.
i.xxxv
I Maganzesi gli spnlan nel viso.
Come fa< ieno a Cristo i Farisei :
Diceva alcun con iscorno e con riso;
Or fien puniti i tuoi peccati rei :
Iiicordati di me su in paradiso:
Altri dicea, come ferno i Giudei,
Mentre eh" ognun quanto può lo percuote:
Dimmi, sin sai, chi li batte le gote ?
tx:xxvi
Tu il deveresti saper, paladino,
Tu deveresti conoscer la mano,
Se se' profeta, astrolago o indovino:
Che, guardi tu del senator romano,
O die li scampi il figliuol di Pipino?
Che aspetti tu il signor di Montaibano ?
Ne verrà a te quando a' Giudei il Messia
E anco Cristo chiamò in croce Elia.
LXXX VII
Era a vedere Astolfo cosa oscura ;
Il manigoldo tirava il capresto.
Dicendo: Vien su con buona ventura;
E '1 traditor di Gan dicea : Fa presto.
Astolfo avea de la morte paura,
Percbé ha «iiciotlo in volta, e vanne il resto;
E tuttavia di soccorso pur guarda ;
E quanto più polca di salir tarda.
LXXXVIII
Con le ginocchia a la scala s' appicca ;
E "1 manigoldo gli dava una scossa :
< Ili qualciie dardo a le gambe gli ficca ;
Ma sosteneva in pace ogni percossa :
Malv(ìlenlier da' gli scagiion' si spicca:
E cigolar si sentian prima Tossa:
Pur per la forza di sopra e di sotto
Sopra il terzo scaj^lioa 1' avean condotto.
LXXXIX
Diceva Gano : A la barba 1" arai :
Tira pur su, ribaldo traditore,
Clie più le strade non assalterai.
Or questo é quel di' Astolfo passa il cuore,
E dicea^^: Tradilor non fui già mai ;
3Ia tu se' traditore e rubatore;
E quel che tu fai a me, meriti lue ;
Ma contro al mio destin non posso piiie.
M O U G A N T K MAGGIORE
Io non posso pensar come il terreno
Non s' apre, e non oscura sole e luna ;
Poi cl»e a te tradilor <!' infi;anni pieno
M'ha «iali» così in preda la forUina.
O Crocifisso ginsto Nazzareno,
Non è nel ciel per me difesa alcuna :
Questa è pur cosa dispietata e cruda,
Da poi che Iradilor mi chiama Giuda.
xci
Dov'è la tua piuslizia, Sicnor mio?
Non è per me persona che risponda :
Che questo tradilor malvaj^io e rio
M'uccida e con parole mi confonda,
Noi solferir, beniu;no eterno Dio.
E tanto sdegno nel suo core abbonda,
Che con quel poco vigor che gli resta,
Si percotea ne la scala la testa.
XCII
Ma il manigoldo tuttavia punzecchia.
Ed or col piede, or col pugno lo picchia ;
Quando nel volto, e quando ne V orecchia
E pure Astolfo meschin si rannicchia ;
E tullavolta co' pie s'apparecchia
Di rappiccarsi a scaglione o cavicchia :
Ma con le grida la gente 1' assorda,
E '1 manigoldo scoteva la corda.
xeni
Alcuna volta la gola gli serra :
Non dimandar s'egli era un nuovo Giobbe:
Un tratto gli occhi abbassava a la terra,
Ed Avin suo fra la gente conobbe:
Or questo è quel dolor che 'I cor gli afferra ;
Fece le spalle pel gran duol più gobbe ;
Raccomandògli sopra ogni altra cosa
Il vecchio padre e la sua cara sposa.
X'CIV
Talvolta gli ocelli volgeva a Parigi;
Quando guardava inverso Montalbano :
Non sa che 1 suo soccorso è in san Dionigi :
Diceva allor per dileggiarlo Gano :
Che guardi tu, se ne vien Malagigi ?
E'fia qui tosto; egli è poco lontano:
Perchè con meco, Astolfo, così adiriti ?
Che liberar ti farà da' suoi spiriti.
xcv
E nondimeno un'ostia, com' io dissi, ^^
Gli avea cucilo di sua mano addosso
Ne la prigion, che caso non venissi,
Che Malagigi l'avessi riscosso;
Acciò che in ogni modo quel morissi.
Diceva Astolfo : Omè, che più non posso
Risponder, traditor, quel che tu meriti
De' tuoi peccati pe' tempi preteriti.
XCVI
Gan lo scherni'a di nuovo con parole,
E pure al manigoldo raccennava ;
E '1 manigoldo tira come suole :
Astolfo a poco a poco s' avviava.
Però che solo im tratto morir vuole ;
E Così finalmente s' accordava ;
I Maganzesi pur gridan dintorno,
E sbuffan beffe con isclierno e scorno.
()r!ando in questo Astolfo in alto vide,
1"^ disse : Tempo non è da star saldo :
Non senti tu quel liimnilo e le gride ?
E 'l simigliante diceva Rinaldo :
Io veggo il manigobli) che 1' uccide,
E già il capestro gli acconcia il ribaldo :
Non aspettiam, che gli facci più ingiuria.
Così di san Dionigi escono a furia.
XCVHI
Rmaldo punse in su' fianchi Baiardo ;
Che non si vide mai saltar cervietto,
Ch' a petto a questo non paressi tardo;
Così faceva Orlando e Ricciardetto :
Non è lion sì presto o liopardo;
Terigi drieto seguiva il valletto ;
Rinaldo scuopre il lione sbarrato;
Orlando il segno ha del quartier moitrato.
XCIX
Astolfo pure ancora stava attento,
Come chi spera insino a morte aiuto:
Vide costor che venien ^ome un vento,
Non come strale o come" uccel pennuto.
Fumo in un tratto i lupi tra 1' armento.
Che quasi ignun non se n' era avveduto :
Ma poi che Orlando e Rinaldo conosce,
Fu posto fine a tutte le sue angosce.
e
E' paren proprio un nugolo di polvere:
Giunse in un tratto, la folgore e 'l tuono.
Il manigoldo si facea già assolvere
Al duca Astolfo, e chiedeva perdono,
Che gli volea poi dar l' ultimo asciolvere,
E messo avi'a la vita in abbandono,
E domandava di grazia, in che modo
Far gli dovessi, che scorressi il nodo.
CI
Guarda fortuna in quanta stremitale
Condotto avea col capresto a la gola
Il paladin di tanta degnitale.
Che non facea di morir più parola I
Avea mille vittorie già acquistate,
E domandava ora una cosa sola,
Che 'l manigoldo acconciassi il capresto
Per modo che scorressi il nodo presto.
cu
Giunto cbe fu tra' Maganzesi Orlando;
Ah, popol tradilor, gridava forte;
E misse mano, a Durlindana il brando.
Rinaldo grida : A la morte, a la morte ;
E poi si venne a le forrlii^ accostando :
Trasse Frusberta, e legami e ritorte
Tagliò in un colpo, e le forche, e la scala,
E ogni cosa in un trailo giù cala.
CHI
Mai non si vide colpo così bello ;
Tanto fu Tira, la rabbia e 'l furore:
Astolfo cadde leggier come uccello,
Tanto in un tratto riprese vigore :
Il manigoldo si spezza il cervello :
Gan da Po.ilier fuggiva il traditore :
Avin, che '1 vide, drielo a lui cavalca;
Ma non potieno uscir fuor de la calca.
JM O U (i A N r i: MAGGIORE
Orl.Tiulo »• ili me/./o di (|iu'' di M.ijraiiza ;
V, iiuMia colpi di drit'to e davnnte
Con Diirlind.ìiia, e faceva V iisan/.i :
(>tiaiiti ne piiiunr, al ci«'l Vdl-idii le {tiaiitc.
1". Hicciardclli), cliiia molla j)ossanzfl,
Molli n'uccide col tirando pesante :
Tom' nn lion famelico ojiniin ruiiiie ;
Gan da Poulier verso Parigi fujige.
cv
E' si vedea in nn tratto sbaragliare
I Mapanzesi, e fne^ir ])er panra
Clii qna olii là, percliè possa campare :
Trasse Rinaldo nn colpo per venlnra,
Un Maiian/ese morto fé' cascare,
K tcdsepli il cavallo e V armadiira ;
1-L rassettava Astolfo d' Insilili terra ;
E corron tulli poi verso la lerra.
evi
I Maganzesi innanzi si cacciavano,
Come il Inpo suol far le pecorelle ;
E questo e quello e qnelT altro tagliavano,
E braccia in terra balzano e cervelle :
Fino a le mura i colpi raddoppiavano.
Cacciando ì brandi giù per le mascelle:
Altri avean fessi iusin sopra gli arcioni,
Chi insino al petto, e chi insino a' talloni.
cvii
Astolfo, poi cir a cavai fu montato,
Tra' Maganzesi a gran furor si getta,
(/ridando : Popol crudo e rinegato,
Gente bestiale, iniqua e maladelta,
Io li gasligherò del tuo peccato:
E con la spada facea gran vendetta ;
E niolta avea di quella turba morta.
Prima ch'entrati sien drcnlo a la porla.
CVIII
Ricciardetto era a Ganellone affianchi,
E col cavai lo segui'a a tutta briglia ;
BtUK^ue convien che 1 tradilore arranchi.
Perchè da lui non levava le ciglia,
(iiimti in Parigi i baron degni e franchi,
Subito tutto il popol si scompiglia :
E come fu saputa tal novella,
Subito i paladin montorno in sella.
ax
r.arlo, sentendo come il fatto era ito,
E che in Parigi era Rinaldo e '1 conte,
E come Astolfo è di sua man fuggilo;
Con ambe man si percosse la fronte :
Esser gli parve a sì tristo partito,
Che si fuggì per non veder sue onte,
E la corona si trasse di testa,
E ndosso si stracciò la real vesta.
ex
Era Rinaldo già in piazza venuto
Col conte Orlando, e sollevalo tutto
II popol, che di Astolfo gli è incresciulo,
E dì.-iava Carlo sia distrutto,
Da poi eh' a Gano avea sempre creduto,
E seguitato n'era amaro frutto:
Presso la piazza al palajiio corrieno,
Là dove Carlo Man pigliar credìeno.
Dicea Hinablo ; Ignun non mi dia impaccu)
lo intendo a Carlo far <|uel « IT è dovere:
Come vedete cb' io le man gli caccio
Addosst», ognun da parte stia a vedere :
La prima «osa il vo" pigliar jiel braccio,
1'^ levarlo di sedia da sedere;
Poi la corona di testa cavargli,
E tutto il capo e la barba pelargli.
exii
E mettergli una milera a bendoni,
1'^ "n sul rarro tli Aslolfo farlo andare
Per tutta la (iltà come i ladroni ;
E farlo tanto a Gano scoreggiare,
Che sia segnato dal capo a' talloni ;
1^ r uno e r altro poi farò scjuarlarc :
Ribaldo vecchio rimbambito e pazzo !
Così con gran iuror corse al palazzo.
r_xiii
Carlo la sala aveva sgomberata.
Perchè e' conosce Rinaldo assai bene:
Vide Rinaldo la sedia votala;
vSnbito fnor del palazzo ne viene,
E per Parigi fece la cercala ;
E minacciava, che chi Carlo tiene
Nascoso, o sa dov' e' si sia fuggilo,
Glie! manifesti, se non, fia punito.
ex IV
Carlo a rasa d' Orlando per paura
S'era fuggilo, inteso la novella,
Come Rinaldo drento era a le mura ;
E nascoso l' avea Alda la bella.
Che '1 dì venuta v'era per ventura;
E triema tuttavia questa donzella.
Che non vi corra il popolo a furore,
E che sia morto il vecchio imperadore.
cxv
Gan si fuggiva innanzi a Ricciardetto :
Ma poi che più fuggir non può il fellone,
E già Rinaldo si vedeva a petto ;
Al conte Orlando si delle prigione:
E 'I conte Orlando rispose: Io t'accetto,
Per far di le quel che vorrà ragione.
Diceva Gano : Io mi ti raccomando.
Che tu mi salvi almen la vita. Orlando.
ex VI
Com' e' fu preso il tradilor ribaldo.
Ognun gridava: Fagli quel eh e'merta:
Non si polea rattemperar Rinaldo,
Che lo voleva straziar con Frusberta,
E come il veltro non islava saldo,
Quando la lepre ha veduta scoperta.
Diceva Orlando : Aspetta d' aver Carlo,
Ch'io vo' in sul carro con esso mandarlo.
cxvu
Per tutta la città tutto quel giorno
Cercalo fu di Carlo ; e finalmente.
Non si trovando, al palagio n' andorno ;
E '1 conte Orlando è il suo luogotenente.
Alda la bella col suo viso adorno
La notte se n'andò celatamente.
Ed ogni cosa diceva al suo sposo.
Coni' eir avea lo "niperador nascoso.
M O K (i A N T E IM A (1 (> i O ì\ K
CXVIII
Orlando disse : Fa «he lu Io lonj:,a
Colalo, tanto <lie passi il itirore ;
E fa che io modo nessun non avveniva,
Che nulla manchi al nostro imperadorc,
Acciò clic ij^nim disa<i;io non sosl(Mi<;a,
Ch' egli è pui- vcccliio e ii)io padre e sij^uqrc;
Così tliceva : e la die sia secreto :
Vedi s' Ur}apclq rjqstro pr;^ t^ispre|,o»
ex IX
E' pi' innrescea di Carlo quanto puole ;
E di Rinaldo dubitava forte,
E per ])iclà ne balenava le J!;ole,
Che non gli dessi a la fine la morte,
Perchè era vecchio, e lui pur suo nipote ;
E sa che guasta sarebbe la corte.
Così forno alcuin giorno dimorati ;
E i Magauzesi morti, e chi scacciati.
cxx
Rinaldo pure Orlando ritoccava,
Cile si dovessi con ogni supplizio
Uccider Gan, che così meritava;
E che dovessi a lui dar quest'uffìzio;
Astolfo d' altra parte il de-mandava
Di grazia in luogo di gran benefìzio;
Che di sue ingiurie far volea vendetta;
Orlando rispoiidea, che Carlo aspetta.
cxxi
E che farebbe sì crudel giustizia
Di lor, eh' ognun ne sarebbe contento.
Gan nel suo core avea molta tristizia,
E dubitava di molto tormento.
Come colui eh' è pien d'assai malizia.
Orlando, eh' era savio a comj)imento,
E «li Rinaldo conoscea 1' umore.
Lasciava pur ralFreddarlo nel core.
cxxu
Dopo alcun giorno, quando tempo fue.
Gli cominciò così parlando a dire :
Di Carlo ornai, dimmi, che credi tue ?
Per disperato dovette morire :
Ucciso si sarà con le man sue :
Fuor di Parigi non si vide uscire :
E quel che più mi dà perturbazione,
E, che stanotte il vidi in visione.
CXXIII
E' mi pareva a vederlo nel volto,
Cile fossi tutto afflitto e doloroso.
Di quel color eh' è 1' uom quando è sepolto,
La barba e '1 petto tutto sanguinoso,
E tutto il capo arruffalo e ravvolto :
E con un atto mollo disdegnoso
Mi guardassi nel viso a mano a mano
Un Crucifisso eh' egli aveva in mano.
cxxiv
Dond' io n'ho lutto questo giorno pianto ;
Che come desto fa' disparì via ;
Ed io temendo mi levai; e 'nlanto
Feci prego a la Vergine Maria,
Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo,
Che 'nlerpetrar dovessi quel che sia :
E parmi aver ne la mente compreso.
Che Carlo è morto, e Cristo abbiamo offeso.
ex XV
Non si dovea però vederlo morto,
Però che pur tenuta Im la corona
Già tanto tenipo ; e juir si vede scorto
Quanto Dio amassi la sua stirpe buona,
Che dal ciel Io steiidard(» gli fu porto,
Che non fu dato al mondo mai a persona:
Temo eh' offeso non abbiam Gesiìe
Pc' suQÌ grar) rqerli e per le sue vir(.ue.
CJ^XVI
E credo che sarebbe utile ancora
Che si mettesse per Parigi un bando,
Che chi sapessi ove Carlo dimora,
O vivo o morto lo venga insegnando ;
E come giusto imperador s' onora.
Che si venissi il sepolcro ordinando;
Pero che il ciel, se lia concepulo sdcgnu
De la sua morte, mostrerà gran segno?
(xxvii
Quando Rinaldo le parole intende.
Subitamente nel volto cambiossi ;
E di tal caso sé mollo riprende.
Dicendo : Io non pensai che così fossi :
E nel suo cor tanta pietà s'accende.
Che gli occhi già son lacrimosi e rossi ;
E disse: Orlando, quel che detto m'hai,
Mi pesa troppo, e dolgomene assai.
CXXVIII
Ma non pensai però che tanto male
Di questo caso seguitar dovessi :
Ma dopo il fallo il penler poi non vale ;
A me par verisimil s' uccidessi ;
Perchè pur sendu di stirpe reale,
Ara voluto uccidersi lui stessi,
Piuttosto eh' altri vi ponessi mano ;
Come di Annibal sai che letto abbiano. •
Mandisi il bando, al mio parere, e. toolu,
Che lo riveli sanza alcun sospetto
Chi r ha tenuto o tenessi nascosto ;
Però che di dolor mi s' apre il petto,
E d' onorarlo per Dio son disposto
Sì come imperador magno e perielio :
E sempre piangerò questo peccato ;
E vo' al sejiolcro andar, com' è trovato.
cxxx
E dico eh' a voler ben onorallo,
E' si raguni tutto il concesloro ;
E che si facci subilo scoi tallo,
Non di marmo o di bronzo, anzi sia d' oro,
Con la corona sopra un gran «avallo.
Come ferno i Roman'd' alcun di loro ;
E lettere scolpite eterne e salde
De la sua gloria e fama e pregio e laide.
cxxxi
E come il ciel già mandassi il vessillo,
Ch' è stato in terra assai più avventurato,
Che quel eh' a Roma riportò Cammillo,
Allor che '1 Campidoglio era occupato.
Orlando come savio alquanto udillo.
Poi prestamente il bando ebbe ordinato:
E com' e' fn per tulio andato il bando,
Abla la bella ne venne ad Orlando,
I
INI O R G A N T K M A f. C, 1 O R E
l'I (li>>p, rumi' darli» in r.is.i Avra,
V. coiiir per ilolor min parca vivo :
Tnlla la «orto praii f«'>la farca,
l't'i'ciir «•rciloari ili vita (ii-oi ])riv():
llinaldo indilo lieto si vciira,
Acrnsanild sr misero e callivo:
1'^ fu menalo a eorle a };rjiitl onore,
l'L povlo in sedia Ciarlo iinper.ulore.
CNXXIII
Astoir«i rliiese a (!arlo prrdoiianza,
K (]arlo ])eriionan/a rliiese a lui,
E«l arriisava il ronle di Mauaiiza,
Dierndo : Consiglialo da (]nel fni.
Quivi alcun {liorno si fere T usanza :
Opniin si scolpa de' peccali sni :
("-Olile nel dir sejitienle dirò in versi.
Guardivi il ciel da tulli i casi avversi.
1
CAINTO XII
ARGOMENTO
"^^^^r*
G.
iJ ano lascia iti corte : a tradimento
Prende in un bosco lìicciordelto, e a Cario
Lo dà in potere ; e Carlo assai conlento
S' è ^iìi de/iherato d' impiccarlo.
Orlando parie a così strano d'ente;
Ricciardetto ha chi i-iene a liberarlo.
Farisei per suo re Jìinaldo adotta;
E Orlando dal Persiano è messo in grotta.
■^^m^^-
O
fonie di pietà, fonte di «razia,
Madre de'peccator', nostra avvocata,
Di cui la mente mia mai non si sazia
Di dir quanto tu sia nel ciel beata :
Tu redemisli nostra contumazìa,
Dal dì die n terra fusti annunziata ;
Non mi lasciare, o Vergine di gloria,
Tanto ch'i' possa ordinar questa storia.
II
Troppo sarebbe lungo il dire in rima
Di tanta gente appunto le parole,
E d'ogni cosa far non si de' stima.
Rinaldo il tradilor Gan morto vuole,
Carlo di grazia V avea cliiesto prima,
De la qual cosa il popol se ne duole ;
Pur lo lasciar con questa condizione,
Che mai più in corte non istia il fellone,
III
Rinaldo malcontento si ritorna
A Montalban con Ricciardetto insieme ;
Bla "1 Iraditor di Gan che non soggiorna,
E sempre inganni de la mente preme ;
Coiiiinf io presto a ritrar fuor le corna :
Perchè Rinaldo non v' era, non teme;
E Carlo l'ha salvato da la morte,
Ed or cacciar noi sapeva di corte.
IV
E cominciò di nuovo a far pensiero,
Che Carlo gli credessi al modo antico.
Per distruggere alfìn tutto il suo impero ;
E Carlo ritornato è già suo amico,
E ciò eh' è bianco gli pareva nero.
Diceva Gano : Intendi com' io dico:
Se viver non vuoi sempre con vergogna,
Rinaldo al tutto spegner ti bisogna.
v
Carlo diceva : A la fine io ]a lodo j
Perchè tu vedi ben quel che m' ha fallo ;
Ma non ci veggo ancor la via nè'l modo,
E molte cose con meco combnllo.
Diceva il traditor pien d ogni frodo:
Io credo satisfarti a questo tratto :
Come scacciato da te me n'andróe
A Montalbano, e segreto staróe.
VI
E manderotti lettere poi scritte.
Che parrà che sien falle ne le Mecche:
Dirò che le mie genti sieno afflitte,
E che punite omai sien tante pecche;
E molte altre parole a te diritte;
Ch" io vo' tornar a dir salamalecche,
Peccavi, Domne, miserere mei
De le mie colpe e de' processi rei.
VII
Tu mostrerai le lettere palese :
Rinaldo crederà ch'io sia lontano,
E eh' io non torni più in questo paese :
Un di ch'egli esca fuor di Montalbano,
Subito insieme saremo a le prese;
E so eh' io r uccidrò con la mia mano;
E come morto fia, sai che "I tuo regno
Sicuro è poi, e tu, imperador degno.
m O \\ (; ANTE ]M A G G I 0 1\ E
A Carlo piacque al fin questo consiglio,
E fere vista Gan da sé scacciare.
Gan dette presto a suo' arnesi di piglio:
Prima fingeva sé raccomandare.
Carlo mostrava con turbato ciglio,
Che in corte più non lo vuol raccellare,
K che cercando sua ventura vada,
E ritrovassi subito la strada.
IX
Partissi il traditor celatamente,
E presso a Monlalban fece un agguato,
E scrisse a Carlo come la sua gente
E lui in paganìa era arrivato;
E mostrava pregare umilemente,
Che perdonar gli debba ogni peccato ;
E Carlo aveva le lettere mandate
A Montalbano, e molto palesate.
X
Rinaldo s' era im giorno dipartito
Per passar tempo con un suo falcone ;
E Ruinalto con lui era gito
Verso Agrismonte a lor consolazione :
E Ricciardetto un dì ne giva al lito
Del fiume, ove nascoso è Ganellone
In una valle, ov' è certo boschetto
Presso a quel fiume a pie d'un bel poggelto.
XI
E mentre in qua e in là s'andava a spasso
Gan si pensò che Rinaldo quel sìa :
Uscì del bosco con molto fracasso,
Ed assaltoUo con sua compagnia ;
Tanto che preso rimaneva al passo :
La notte inverso Parigi ne già,
E dette Ricciardetto preso a Carlo;
E ordinorno presto d' impiccarlo.
XII
Orlando, poi che questo fatto ba inteso,
Molto pregato avea lo'mperadore
Che non guardassi d' aver costui preso,
E non gli facci oltraggio o disonore:
Carlo rispose di grand'ira acceso:
10 vo' impiccarlo come traditore.
Perchè d'Astolfo impedì la giustizia.
Con esso insieme per la sua nequizia.
XIII
Diceva Orlando : E'non è ancora spento
11 fuoco, Carlo, eh' arder potre' ancora :
Se tu r uccidi, io non sarò contento :
Rinaldo ne verrà sanza dimora :
Vedi che Gan già fatto ha tradimento ;
E sanza lui non puoi vivere un' ora.
Carlo dicea : Traditor non fu mai,
E ciò eh' ha fatto è percliè m' ama assai.
XIV
E tu le l'hai recato in su le corna,
Tu e Rinaldo, perch' egli è fedele,
E dì né notte già mai non soggiorna
Di spegner chi contro a me fu crudele.
Partissi Orlando ; e stando un poco torna.
E disse : Io giuro a le sante Vangele,
Che se tu uccidi, Carlo, il mio cugino,
Io ti farò de la vita tapino.
E trasse fuor la spada Durlindana,
E con la punta una croce fc' in terra,
E 'n su la croce poneva la mana,
E dipartissi, ed uscì de la terra :
Ma la regina savia Gallerana
Pregava insieme col sir d' Inghilterra,
E 'I duca Namo, Ulivieri, e'I Danese,
Ch' almen la morte gì' indugiassi un mese.
XVI
Carlo le forche in sul fiume di Sena
Fece ordinare, e ciò che fa mestiero.
Gan traditor grande allegrezza mena,
Perch' e' pensò riuscissi il pensiero:
Tutta la corte di sdegno era piena.
Rinaldo e Ruinatto il suo scudiero
Intanto a Montalbano era tornato,
E Ricciardetto suo non ha trovato.
XVII
E scrisse a Astolfo come il caso stava
Che 1 avvisassi e stesse proveduto.
Però che molta gente ragunava
Per dare a Ricciardetto presto aiuto :
Astolfo d' ogni rosa lo 'nformava,
E come Carlo gli avea conceduto
Un mese tempo a mandarlo a la morte ;
Ma duolsi sol eh' Orlando non è in corte.
XVIII
Or questo è quel eh' a Rinaldo dolca,
Che si fussi partito il conte Orlando :
Che sanza lui di camparlo temea ;
Pur la sua gente veniva assettando :
E Gallerana, che glie ne' increscea,
Ogni dì Carlo veniva pregando,
Che Ricciardetto libero lasciassi,
Acciò che Orlando in corte ritornassi.
XIX
E non tentassi tanto la fortuna;'
E non credessi tanto al conte Gano :
E se mai grazia far gli debba alcuna.
Che Ricciardetto gli dessi in sua mano :
Ma non poteva ancor per cosa ignuna
Rimuover da l' impresa Carlo Mano.
Rinaldo pur quel che seguissi, aspetta,
E tuttavia la sua brigata assetta.
XX
Era già presso il giorno deputato,
E Smeriglione e Vivian di Maganza,
Come Carlo avea detto, hanno ordinato •.
E Ganellone avea tanta arroganza,
Ch' ognun che priega è da lui minacciato.
Lo 'mperador gli avea dato baldanza ;
Tanto che Namo per nulla non v'era,
E per isdegno n'era ito in Baviera;
XXI
E Berlin ghieri ed Ottone ed Avino,
S' eran partiti, Avolio, e Salamoue,
E '1 figliuol del Danese Baldovino,
Veggendo a Gan tanta presunzione.
Erminion, che fu già Saracino,
Era con Carlo pieii d' afflizione,
E r amico d' Astolfo Lionfante
Famoso e degno e gentile ammirante.
iMORGANTK MACWWOKE
XXII
Kvvi Morjiaiile con la damierlla
Meridiana, f rtiii suo conrcstoro.
()(;iiuii (li Rirciardetlo assai favella,
Dio farle» a (orlo s»li dava iiiarloro.
Gai) da Poiitier sua liaronia appella,
Quando fu tempo, v runiandava loro
Che liiociardello siilkJlo leiin^siiio,
H 'il sul fiunie di Sena lo 'nipiccassioo.
XXIII
Rinaldo era venuto, come scrisse
Astolfo; e-^pn sue penti stava attento
Aspellar che "l fralel di fuor venisse :
Vide in un tratto gli sleiidartli al vento,
Prima che fuor Ricriardello apparisse,
K Smeriglion, che si facea contento,
K molto a quel meslier ]>areva destro;
E 1 buon Vivian ch'era l'altro maestro.
XXIV
Non aspellò, che, come Astolfo, venga
Fino a le forche ; ma tosto si lìiosse,
Accio eh' alcuno scherno non sostenga,
Che ne la fronte sputato fili fosse:
Verso la porla par che '1 caniniin tenga :
Tra Maganzesi in un tratto percosse:
E Ricciardetto suo fu sciolto presto,
Che, com'Astolfo, al collo avea il capresto.
XXV
Or qua or là si scaglia con Baiardo,
E fece cose quel dì con Frusberla,
Che chi '1 dicessi fia dello bugiardo.
Ma come fu la novella scoperta,
Ognun fuggiva ; in questo tempo Alardo
Ismeriglìon co« la zucca scoperta
Trovava ; e con un colpo, che die a quello,
Gli partì il capo, e fessegli il cervello.
XXVI
E poi si volse con molla tempesta
Verso Vivian da Pontier eh" era appresso,
E con la spada gli die in su la testa ;
L' elmo e la cuffia iusino al mento ha fesso:
Rinaldo a Gan terminò far la festa,
E finalmente s' appicca con esso :
E 'n su 'n braccio un colpo V ha ferito,
Che cadde in terra pel duci tramortito.
xxvii
E fu po-lnlo come morto via ;
E Ricciardetto sopra un deslrier monta,
Che Smeriglione abbandonalo avìa ;
E con la spada tra costor s' affronta :
I colpi e le gran cose che fac a.
Per non tediar chi legge, non si conta.
Carlo era corso già insind a la porla ",
Vide Rinaldo e molta gente morta;
XXVIII
E disse fra suo core : 1' ho mal fatto :
Ecco di nuovo il popol sollevato :
E fuor de la città si fuggì ratto.
Rinaldo drento in Parigi era entrato,
E grida: Popolazzo vile e matto,
Com' hai tu tanto oltraggio comportato?
A sacco, a fuoco, a la morte, a furore ;
E misse tutto Parici a romore.
XXIX
K cominciò in un certo bor^o il fuoco
Appiccare, e rubar botteghe e case,
Tanto eh' a' Parigin' non parca giuoco;
Non si facea qui le misure rase.
Co>i il furor cresceva a poro a poco;
Tanto che pochi drento vi rimase,
Sentendo al fuoco gritlar e a la morte ;
E per paura uscien fuor de le porte.
XXX
Non rimase un Maganzese solo,
Che non fuggissi per la via più piana ;
E molto pianto si mentiva e duolo;
Ma la reina presto Gallerana
Sì misse in mezzo di tutto lo stuolo;
E come savia, benigna ed umana,
Pregò Rinaldo che fossi contento,
Che "1 fuoco almen dovessi essere spento.
XXXI
Rinaldo aveva sentito ogni cosa.
Ciò die per Ricciardetto fatto aveva
L'alta reina degna e gloriosa i
Subito un bando per tutto metteva.
Che, poi che piace a la donna famosa,
Ognun si posi, e 1 fuoco si spegneva :
Prese la terra quel giorno a suo agio ;
E Gallerana lo menò al palagio.
xxxii
E fu quel dì Rinaldo incoronato;
C,lie contraddir non gli potè persona ;
E ne la sedia di Carlo è posato,
E messogli poi in testa la corona,
E d' una vesta regale addobbalo :
E di sua forza ognun quivi ragiona ;
Percir egli aveva quel dì fatte cose,
Ch' a tutto il popol fur niaravigliose.
XXXIII
Gano in Maganza si fece ritorno;
Benché portato vi fu come morto
Da le sue genti che 1' accompagnorno.
A Gallerana non fu fatto torlo ;
Ognun come a reina gli è dintorno :
Così Rinaldo comandava scorto,
Che fatto fossi a la reina onore,
Come se Carlo fosse imperadore.
XXX IV
Vero è th" un altro, che ne scrive, dice
Che subito ne venne 3Talagigi,
E menava C(m seco Beatrice,
Che di Rinaldo madre era a Parigi,
Perdi' esser volea lei la 'mperadrice :
Ma *l preoze si ricorda de' servigi;
E vuol che Gallerana sia in effetto,
Perchè molto aiutato ha Ricciardetto.
XXXV
Tornò a Parigi Namo e Salamone,
E Berlinghier famoso e Baldovino,
Ch' ei a Bgliuol del sir de lo Scaglione ;
Tornò Gualtieri a corte, tornò Avino,
Tornò con gli altri insieme il franco Ottone,
E tutto quanto il popol parigino:
E i Maganzesi ognun nettò la soglia ;
Che luiìi ve ne rimase seme o foglia.
\
INI O I\ (t \ N T K M A G G l O W E
XXXVI
Fecionsi fuoclii assai per la ci Hate ;
Fecionsi pioslrc e halli e feste e giiioclii ;
Fiiroii tutte le dame ritrovate,
E gli aiiiador", che non ve n' era pochi :
Tanti slraiiiholti, romanzi e ballale,
C<lie lutti i tanltriii' son fatti rochi ;
Seatiensi lamhurelli e zulTulelli,
Liuti e arpe e cetre e or<:;anelt).
XXXVII
Era Rinaldo molto reputato,
E più che fusci mai contento e lieto,
Se non eh' Orlando suo non v' ha trovato ;
Dond' ej^li avea pran duol nel suo sej^relo:
Orlando con Terigi è cavalcato
Più e più idiomi già contraddivieto ;
E 'nverso Pagania n' andava forte,
Con intenzion mai più tornare in corte.
XXXVIII
E tuttavolta piangea Ricciardetto,
Dicendo : Io so che Carlo V ara morto ;
Ond' io n'ho tanto dolor nel mio petto,
Ch' io non ispero più trovar conforto:
Il traditor di Gan per mio dispetto
Eia slato il primo a cosi fatto torto:
E '1 simiglianle Terigi direa.
Che Ricciardetto troppo gli dolca.
XXX IX
Aveva già cavalcato più d' un mese,
E finalmente in Persia si trovava ;
E come fu condotto in quel paese.
Sentì che gran battaglie s' ordinava :
E poi eh' un giorno una montagna scese,
Una città famosa ivi mirava.
Là dov' era assediato TAmostanle
Dal gran Soldano, e da un fer gigante.
XL
Aveva una figliuola molto bella.
Che luce più che stella mattutina,
L'Amostante; ciiiamata Chiariella,
Tanto leggiadra accorta e peregrina.
Che per amor di lei montato è in sella
Il Soldan con sua gente saracina,
Per acquistar, se può, sì bella cosa :
E '1 gran gigante non trovava posa,
XLI
Ch'era detti» per nome Marcovaldo,
A'^enuto de le parli di Murrofco,
Di gran prodezza e di giudicio saldo;
Ma per amor di lei pareva sciocco,
Come chi sente 1' amoroso caldo,
(ìhe solca dare a tutti scaccorocco :
Ma tanto il foco lavorava drento,
Che per costei j>erduto ha il seulimenlo.
XLII
Cavalcava un' al fan a smisurata
Di pel morello, e stella avea in fronte ;
Sol un difetto avea eh' era sboccata ; Sj,
E pel furor gli par piano ogni monte :
Arebbe corso tutta una giornata ;
Tant' eran le sue membra h»rti e pronte.
Giunse Terigi e '1 figiiuol di Miloue
Dov' era del gigante il padiglione,
Ch' era tulio ili Cuoio di serpente,
Ct)ii certi Macometli messi a oro.
Con gran carbonchi, se Turpin non mente,
Zaflir', balasci ; e valeva un tesoro,
Orlando al padiglion poneva mente
Dove il gigante faceva dimoro ;
E slava tanto fiso a mirar questo.
Che Marcovaldo s' adirava presto.
XMV
Perdi' e' giocava a scacchi a suo sollazzo,
Sì com'egli è de' gran signor' costume ^
Volsesi, e disse con un suo ragazzo ;
Chi è quel poltronitr che tiene il lume?
Caccialel via : e' dehbe essere un pazzo :
Donde è venuto questo strano agrume ?
Fu preso a Vegliantiu tosto la briglia,
Cli' Orlando al padiglion lenea le ciglia.
XLV
Terigi quando vide il Saracino,
Ch' avea preso la briglia al conte Orlando,
Come fedele e servo al ]»aladino,
Subito trasse a la testa col brando ;
E quel Pagan gitlava a capo chino,
Che le cervella fuor venuon balzando.
Ah, disse Orlando, come bene hai fallo
A gastigar, Terigi, questo mallo !
XLVI
Marcovaldo colui vide cadere:
Maravigliossi, che non parve appena.
Che Terigi il toccassi : Ah pollroniere.
Gridava forte, matto da catena I
E poi si volse ad un altro scudiere:
Piglia quel, disse, e drento qua lo mena :
Ch' io non intendo soflTerir tal torlo,
Ch' egli abbi in mia presenzia colui morto.
XLVU
Allora Orlando prese DurKndana,-
Che tenìpo non gli par di stare a bada ;
Ed acco6lossi a la turba pagana :
Terigi s' arrostava con la spada :
Quanti ne giugne, in terra morti spiana ;
Tal che non ve più ignun che innanzi vada:
Orlando a chi non era al fuggir destro,
Facea col brando il segno del maestro.
XLVIIl
Maravigliossi tanto il fer gigante
Di quel che vide in un momento fare
Al conte Orlando a' suoi occhi davante.
Che cominciò così seco a parlare :
E' basterebbe al gran signor d' Angrante,
Che in tutto il mondo si fa ricordare,
Quel ch'ha fatto costui qui col suo brando:
De la qual cosa mollo rise Orlando.
XMX
Fate venir, gridò, lo-lo mìe armi,
Ch' i' Ilo di questo fallo maraviglia :
Io vo' con questo cavalier provarmi,
Che tutta quanta mia gente scompiglia ;
Veggiam se ardito sarà d' affronlaruii ^
E fa sua alfana pigliò per la briglia:
Prese une lancia, e 'nverso Orlando corse ;
Ma 'I buon Terigi del fatto s' accorse.
MOKGANTK MAGGIORE
A un P.-t;;.Tn di man tolse una lanria,
t disse: l'iella, piglia tosto, «onte:
Le {jeiilile/zf son rimase in Francia;
Krro il pi'iante che ti viene a fronte;
Ne per veri;<»pna arrossila l»a la guanrìa
Di venirli a trovar; rlie jiare un monte;
Tu con la spada, e lui eon 1' aste in resta:
Vedi die pente, anzi Tanaglia è (juesla !
ir
Rispose Orlando: Sia quel eh' csfer vuole,
r.lie in ogni modo non la slimo un fico.
Vero ci»' egli è si grande, die mi duole,
Ch'appena gli porrò l'aste al liellico:
Ma il brando taglia pur com' e' si suole;
(^on esso il Irallerò come nemic»).
Terigi stava a diletto a vederlo;
E Vegliantin ne va com' uno smerlo.
MI
E poi in up tratto la lancia abbassava,
E va inverso il Pagan di buona voglia,
E 'n su lo scudo basso lo trovava :
Questo passò come fussi una foglia,
E la corrazza e lo sbergo passava ;
Tanto che Marcovaldo ebbe gran doglia ;
E ruppe la sua lancia a mezzo il petto
Al conte, bestemmiando Macometto.
MII
L' alfana che pel colpo ebbe paura,
Perchè gli parve di nu)lta possanza,
Era di borra, com' io dissi, dura: St
Suliilo fere col morso l'usanza,
E c(miinciò a sgomberar la pianura ;
Ma l conte Orlando seguiva la danza:
Egli e Terigi i cavalli spronorno,
E drielo a Marcovaldo s' avviorno.
LIV
Poi che tutto ebbe attraversalo il piano.
Giunse V alfana appiè de la montagna :
Quivi al(ìn pur la ritenne il Pagano,
Però che tutta di sudor si bagna.
Orlando grida : Saracin villano,
Ben l'ho seguilo per ogni campagna:
Questo è quel di che ti convien morire;
Vogliti in drieto, tu non puoi fuggire.
LV
Sentendo il Saracin così chiamarsi,
Volsesi in drielo, e trasse il brando fuore,
E disse: Al mondo ignun non può vantarsi,
Cli'io lo fuggissi per viltà di core:
Ma sappi che i rimedii son si scarsi
Bi questa ajfana a frenare il furore,
Quand' ella piglia con la bocca il morso.
Che iasin dove tu vedi son trascorso.
LVI
Ma tu se' qua condotto dov' io voglio,
E 1 tuo compagno eh' uccise il mio servo:
S'io son quel Marcovaldo ch'esser soglio.
Non lascerò a tagliarti osso né nervo.
A piò di sette abbassato ho l'orgoglio:
E sempre col nemico questo osservo,
Ch'io non mi curo por la lancia in fallo;
Ma con la spada mi serbo ammazzallo.
Rispose Orlando: Tu il dl'per vergogna :
Cile tu romjiresli un gambo di (inocchio
A gran fatica ; e scusa or li bisogna :
Ad io rh' allato a te paio un ranocchio,
So che col ferro ti gratlai la rogna,
E corse il sangue piò gin die 'I ginotcliio:
Cosi f avessi veduto la dama,
(-he (ìhiariella jter nome si chiama.
I.VIII
Disse il Pagano: Or donde liai tn saputo
(hi tenga del mio cor le chiavi e '1 freno';'
Sappi che molte volle m'ha veduto
(iitlar piò cavalier' morti al terreno,
E mai jierò di me non gli è incresciulo;
Ma pur per compiacergli nondimeno,
S' io gli credessi dar sollazzo e festa,
Di le, poltron, gli manderei la lesta.
i.ix
Rispose Orlando : E' Pia piò bel presente
La tua, gigante, ch'è maggiore assai:
(31 tre veggiam come sarai valente,
E quel eh' a Chiariella manderai :
E Durlindana alzò subitamente.
Dicendo: Or Macomello chiamerai;.
E dieglì un colpo in su la destra spalla.
Che '1 fer gigante in qua e 'n là traballa :
LX
E fece lo spallaccio sfavillare;
Ma pure al taglio de la spada resse :
E 'I Saracin si volle vendicare,
E par eh' un gran fendente al conte desse.
Orlando con lo scudo vuol parare ;
Ma la pesante spada e dura il fesse,
E due parte ne fé', se '1 dir non erra,
E r una de le due balzava in terra.
Orlando per grand' ira l'altra getta,
E battella al gigante nel mostaccio;
Poi Durlindana in pugno si rassetta,
E trasse un coljio al Saracino al braccio.
Che benché 1' arme assai fussi perfetta,
Parve che fossi o di cera o di ghiaccio :
Il braccio gli tagliò jìresso a la mano;
Tal ch'un gran mugghio metteva il Pagano.
LXII
E la spada e la man vide cadere ;
E cadde pel dolor giò de l' alfana;
E disse: lo mi t'arrendo, ch'è dovere,
Ch' io veggo ogni speranza in Macon vann:
Per grazia, non per merlo, cavaliere.
Dimmi se se' de la legge cristiana,
Pili che tu m' hai cosi condotto a morie,
Ch' io non trovai Pagan mai tanto forte.
LXIII
Disse Orlando: Da poi che tu mei chiedi
Per grazia, io userò mia cortesìa :
Io sono Orlando, e questo che tu vedi,
E il mio scudier, ch'è meco in compagnia;
Tu se' morto e dannato, sin non credi
Presto a colui, che nacque di Maria:
Battezzati a Gesù, credi al Vangelo,
Acciò che r alma tua ne vadi in cielo.
INI O I\ G A N T K MAGGIORE
Macoim'lto l' aspella ne lo 'nfcrno
Con gli altri malli che vati tlriclo a lui :
Dove III arderai nel fuoco elerno,
Giù ne uli aliissi dolorosi e bui.
Disse il l'aiian : Laudalo in seinpllerno
Sia Gesìx Cristo, e tutti i Santi sui :
Io voglio in ogni modo ballezzarini,
E per tua mano, Orlando, Cristian farmi.
r,xv
E ringrazio il tuo Dio, poi ch'i'son morto
Per man del pi ù famoso uom che sia al mondo;
S' io mi dolessi, io arci certo il torto :
Battezzami per Dio, baron giocondo:
Ch'io sento già nel cuor tanto conforto,
Cii' esser mi par d' oiini peccato mondo.
Orlando- al fiume subito correa;
Trassesi 1' elmo, e d' acqua poi V empiea ;
LXVI
E battezzò costui divotamenle :
E come morto fu, sentiva nn canto,
E Angeli apparir visibilmente.
Che r anima portar nel regno santo:
E d' aver nìorto costui fu dolente,
E con Terigi faceva gran pianto :
E feciono nna fossa a drenlo e scura,
E dettono a quel corpo sepoltura.
LXVU
Ma ima grazia, prima che morisse,
Al conte chiese quel gigante ancora ;
Cile se per caso già mai avvenisse,
Che parlasse a colei che lo'nnamora;
Che gli dicessi come il fatto gisse,
E come sempre insino a 1' ultim' ora
Di Chiarella e del suo amor costante
Si ricordò, come fedele amante.
Lxvin
E che per merlo di sì degno affetto
Dovessi qualche volta venir quella,
Dove il suo corpo giacerla soletto,
E chiamassi e dicessi : Chiariella
Ti piange, Marcovaldo poveretto,
Qual ti parve nel mondo troppo bella ;
Cli' avea speranza, se costei il chiamassi.
Che r anima nel corpo ritornassi.
LXIX
O come fece a pie del gelso moro
Piramo, quando Tlsbe lo chiamóe,
Ch' era già presso a V ultimo martoro.
Cos\ far egli Orlando il confortóe.
Dicendo : Io lo farò, se pria non moro.
Che a la città son certo ch'io n' andróe :
E cosi fece a luogo e tempo Orlando,
Per venir sempre la sua fé servando.
LXX
Terigi aveva veduto andar via
L' anima in ciel con molti Angeli santi,
Sempre cantando dolce melodia :
Tutto smarrito par ne' suoi sembianti.
Quando e' sentì dir: Salve, Ave Maria,
Con armonia celeste e dolci canti.
Disse ad Orlando : Io ho invidia a costui,
Che come lui da le morto non lui.
Da ora innanzi tra Pagani andiamo,
Ch' io non istinto piit di stare in vita,
Purché per la tua fé, Cristo, mojamo :
Poi cite queir alma vidi a la ])arlita.
Diceva Orlando, al campo ritorniamo:
Questa novella non vi Ha sentita:
Non ci dee riconoscer quella gente ;
Né di costui non sapranno niente.
I,XXII
Così pel mezzo del campo passaro,
Che conosciuti non fur da persona ;
E 'n verso la città poi sen' andaro,
Dov' era l'Amostanle e sua corona ;
E del palazzo real domandaro ;
Poi inverso quello ognun di loro sprona ;
Tanto che sono al palazzo arrivati,
E innanzi a l'Amoslante appresentali.
LXXIII
Ad un balcon rAmostanle si posa :
Chiariella veggendo il conte Orlando,
Cir era più fresca che incarnata rosa.
Molto lo squadra, e venia rimirando :
E disse al padre : Stu guardi ogni cosa,
Quando costor si vennono accostando.
Come stava costui sopra 1' arcione,
Tulli i suoi segni son d' un gran barone.
LXXIV
Così fossi egli Orlando quel cristiano.
Ch'ha tanta fama, come e' par qui desso:
Che non saria pien di stendardi il piano :
Non ci starebbe il campo così appresso,
Che non ci arebbe assediati il Soldano.
Orlando udiva e ridea fra sé slesso :
L'Amoslante parlò cortesemente ;
Ben sia venuto, cavalier possente :
LXXV
Macon sia sempre la vostra difesa :
Se voi cercate da me soldo avere.
Che vedete il mio caso quanto pesa.
Io vel darò, e più che volentiere:
Costor venuti son qua per mia offesa;
Evvi il Soldan con tutte sue bandiere
Venuto qua del corno egiziano :
E cuopre con sue genti il monte e "1 piano.
LXX VI
E raccozzalo ha qua tutto il Levante;
E vuol per forza pur questa mia figlia :
E per ventura ci venne un gigante.
Che dà terrore a tutta mia famiglia:
Sopr' una alfana ognun si caccia avanle
Molto sboccata, e corre a sciolta briglia,
E già de le mie genti ha strutte molle ;
Or va giistando tutte le ricolle.
Lxxvn
Orlando disse : Il gigante eh' hai detto.
Non temer più che in su 1' alfana vada :
Non ti farà più danno, ti prometto.
Non tornerà in suo regno o in sua contrada;
Appiè de la montagna al dirimpetto
Oggi l'uccisi con questa mia spada:
Io te lo dico, re, per tuo conforto.
Che quel gigante giace in terra morto.
MOR a A N T K M A (i G l O IV E
I.XXVIII
Non potei rAniostaiite creder questo,
ÌL (loniaiidava pur per più rerlezza :
Di' eh' iiccidcsli il gigante nioleslo ?
Poi r aì)l)rarriò per la iindla allegrezza,
Dicendo : Poco mi curo del resto.
La daiìiigella con gran tenerezza
Corse abbracciare Oliando inctintancnle,
CI»' a dire il ver, non "li spiacciuc niente.
i.xxix
E men sarìe dispiaccinlo a Rinaldo;
Dove se' tu sipnor di Montalbano ?
Diceva Orlando ; Tu .«aresti saldo
S' ancor più oltre stendessi la mano.
Dunque tu di' eh' bai morto Marcovaldo,
Dice la dama, cavalier sovrano ?
Sia benedetto chi li peneróe :
y. mille volle Macon ringrazióe.
I.XXX
Avea già Cbiariella posto amore
Al conte Orlando, tanto gli è piaciuto,
E già Cupido la saetta al core.
Or ritorniamo al Soldan eh ha saputo
Che Marcovaldo è de la vita fore,
E gran dolor n' avea, come è dovuto ;
E '1 viso lutto di lacrime bagna,
Quand' e' guardava in verso la montagna.
LXXXI
Ma chi r uccise saper non potea ;
Detto gli fu eh' egli era un viandante,
E questo verisimil non parca,
Sappiendo quanto era fiero il gigante ;
E per ventura seco al campo avea
Un savio antico e sottil negromante ;
E disse : Fa eh* io sappi ]>er tua arte
Chi è colui eh' uccise il nostro Marie.
LXXXII
Il negromante allor per ubbidire,
Ch' era maestro di somma dottrina,
Subito fece per arie apparire
Quel che bisogna con sua disciplina :
Trovò come un cristiano il fé' morire,
Che si facea di legge saracina ;
E come egli era col grande Amostanle :
Cosi trovò chi avea morto il gigante.
LXXXIII
Quando il Soldano il negromante udi'o.
Dolor sì grande non sentì già mai,
E disse : O Macometto, o pazzo Dio,
A tuo diletto consumato m'hai:
E scrisse a l' Amostanle il caso rio,
Dicendo : Re di Persia, tu non sai.
Che quel ch'ha morto il gigante pagano,
E quel eh' è leco ; e sappi eh' è cristiano.
LXXXIV
E qualche tradimento farti aspetta:
Da ora innanzi, se (jnesto ti piace,
Io vo' di Marcovaldo far vendetta,
y, far ron teco a tuo modo la pace.
La lettera suggella e manda in fretta.
A l'Amostanle il caso assai dispiace,
Quando sentì come cristiano è (|uelIo ;
Cbiamandol traditor, ribaldo e fello.
I.XXXV
E la risposta faceva al Soldano,
Che vuol far pace e Iriegua a ogni modo,
Pur che punito sia questo cristiano:
Così la pace si metteva in sodo.
Poi prese Orlando un giorno per la mano,
E disse : Cavalier, sappi eh' io godo,
Ch'i' ho col gran Soldan la pace fatta,
E parlirassi questa genie matta.
T.XXXVI
Orlando non pensava tradimento;
Disse che mollo se ne rallegrava,
E di tal pace troppo era contento.
Dicendo: Del Ino caso mi pesava;
Or tutto alleggerito il cor mi sento.
Poi rAmostante pel Soldan mandava;
E lui vi venne, e montò presto in sella.
Per veder anco la fanciulla bella,
LXXXVII
Segretamente il trattalo ordinare:
Di pigliar il Cristian preson parlilo,
Quando fia al letto e non ara riparo :
E così fu tra loro stabilito.
Venne la notte: e al letto se n' andaro :
Orlando a la sua camera n'è gito
E disarmossi, e crede esser sicuro;
Ma non sapeva del suo mal futuro.
LXXXVIII
Quando più fisso la notte dormìa,
Una brigata s' armar di Pagani,
E un di questi la camera aprìa ;
Corsongli addosso come lupi o cani :
Orlando a tempo non si risenlla.
Che finalmente gli legar le mani :
E fu menalo subito in prigione
Sanza ascoltarlo o dirgli la cagione.
LXXXIX
E dopo lui Terigi fu menalo,
E messi poi nel fondo d'una torre.
Orlando era di questo smemorato ;
Per quel che fussi non si sapea apporre
Che l'Amostanle 1' avesse ingannato ;
Ma disse : E' mi vorrà la vita torre.
Come ne l'altro cantar vi fia detto.
L' Angel di Dio vi tenga pel ciuffetto. C'i
. •—
M O K G A N TK MAGGIO IV K
CAINTO XUl
ARGOMENTO
-ì^^®=?^'
R.
biposto a Carlo il diadema in tcsta^
Partono Ricciurdc.lto ed Ulii'icri
Col ficr Rinaldo^ il qual suona a tempesta
Sopra Marsilio re là tra gli Ibcri ;
Ma r un dclV altro buon amico rcsta^
E a Saragozza spronano i destrieri.
Rinaldo è messo d'amor sulle rostCj
E a prò rf' Orlando corron per le poste.
V erjiiiie sacra d' ogni bontà piena,
Madre di quel per cui si canta Osanna,
Ver2;ine pura, Vergine serena,
Dammi la tua quotidiana manna;
Con la tua mano insino al fin mi mena
Di questa istoria, che \ tempo e' ingaima,
E la vita e la morte e '1 mondo cieco,
SI eh' io faccia ascoltar ciascun con meco.
II
La damigella con dolci parole
Con motti ben cogitati e soavi
Diceva al padre : Così far si vnole,
E punir sempre i frodolentì e pravi:
Però di questo caso non mi duole,
E vo' che lasci a me tener le chiavi,
E governargli, e serrare ed aprire,
Acciò che non ci possa ignun tradire.
Ili
Di questo l'Amostante s'allegróe,
Che queir nficio pigliassi la dama ;
E le chiavi a costei raccomandóe :
Or questo è quel che la donzella brama.
Subito al conte Orlando se n' andóe
A la prigione, ed umilmente il cliiama,
Dicendo : Cavalier, di te mi pesa ;
E ciò che vuoi, farò per tua difesa.
IV
Orlando quanto può costei ringrazia,
E disse : Dimmi, sai tu la cagione.
Perchè il tuo padre in tal modo mi strazia,
E messo m'ha di subito in prigione?
Di questo fa per Dio mia voglia sazia,
Trammi di dubbio e di confusione :
E sta non mi puoi trar di questa torre,
Non mi lasciare almen la vita torre.
Rispose Cliiarlella al paladino :
La cagion rhe '1 mio padre t'ha qui preso,
E che'I Soldano da un certo indovino,
Come tu sia Cristian par ch'abbi inteso,
Benché In mostri d' esser Saracino ;
E perchè del gigante fiensi offeso,
Ha fatto pace col Soldano, e saldo
Di vendicarsi del suo Marcovaldo.
VI
Ogni Cristian che uccide un africante,
Secondo nostra legge, morir debbe :
Tu uccidesti adunque quel gigante
La vita al nostro motlo te n' andrebbe :
Ma perdi' io t' ho già eletto per mio amante.
Tolsi le chiavi, che di te m' increbbe ;
E di morir non dubitare ornai ;
Che tu se' salvo, e libero sarai.
VII
Io lio tanto sentito ricordare
Quel cavalier eh' Orlando è nominato.
Che sue virtù m' han fatta innamorare,
E per suo amor non sarai abbandonato :
Del nome tuo, di me ti puoi fidare,
Dimmel, baron, ch'assai mi sarà grato.
Orlando rispondea : Gentil madama, '
Io son colui che Orlando il mondo chiaraajrfl^
vili
Guarda dove condotto m' ha fortuna,
Ch' appena crederai eh' io sia quel desso :
Io mi parti', né di mia gente alcuna
Volli, se non qui il mio scudiere appresso:
Ho cavalcato al sole ed a la luna ;
Ora il tuo padre a forza m' ha qui messo:
Ma se pensalo avessi tradimento.
Per lo mio Dio non mi nietlea qui drento.
IX
A te mi raccomando, poi ch'io sono
Dove tu vedi, e fa che \ mio destriere
Sia governato ; e poi sempre ti dono
L'anima e 'l citore, e ciò ch'è in mio potere.
E vo' che intenda ancor quel ch'io ragiono;
Se tu potessi questo mio scudiere
In qualche modo di qui liberarlo.
Manderei per soccorso in Francia a Carlo.
X
Non potè sofferir che piii parlassi
La damigella udendo eh' era Orlando :
Parve che '1 cor nel petto si schiantassi
Per gran dolcezza ; e <lisse lacrimando :
Io credo che Macon qui ti mandassi
Per mio amor 5f)l ; ma non so come o quando:
Che sempre desialo ho di vederti ;
Ma in altro modo qui vorrei tenerti.
-M OR (V A N TK
I S' io dovessi il mid padre far morire
Con le mie prttprie man, tn non morrai':
Amor (oni.ìudj, ed io voglio ubJtidire,
die tu Ma salvo; e salvo le n'andrai:
Qii.indo fia tempo ti saprò aprire ;
ti tuo cavai, contento ne sarai:
E lo M:u<lifr Ha franco ad opni modo;
E clic tn il mandi in Francia affermo e lodo.
XII
Foi eh' elibe Chiariella rosi detto,
La^i-iava Orlando, e vanne al padre tosto,
E «lii e* : Qnel sergente poveretto
Si morrà certo, elie nii par disposto
Di non voUr mangiar: ctmie folk-Ito
Cjiualo Ila via ciò eli" i' ì:1ì lio innanzi posto;
E colpa in ver non ci ha dj pnnna banda.
Ch'ubbidir dee qnel che 'I signor comanda.
XIII
Rispose rA.™ostante : Mandai ria :
Se si morisse, e' ci sare' vergogna ;
Fa che queir altro ben guardato sia :
Di questo non aremo altro che rogna.
Disse la dama : Per la fede mia,
Ch'io non so se farnetica o se sogna:
Quanti" io domando, e' guata come un mallo,
E non risponde ; anco sta stupefatto.
XIV
E poi tornava a la prigion ridendo,
E disse come il fatto era fornito.
Diceva Orlando con Tcrigi : Intendo,
Che presto insino a Carlo ne sia gito,
E che tu meni Vegliantin commendo,
E «lica il caso coni" io son tradito
Da TAmostante, e trovomi in prigione ;
E quel che stalo ne sia la cagione.
XV
Cosi a Rinaldo mio dirai ancora.
Ad Ulivieri e tutta nostra corte,
Che mi soccorri n prima che qua mora.
Che tutti so poi piangerien tal morie.
Terigi si parli sanza dimora,
Sella il cavallo, etl usci de le porle ;
E tanto cavalcò per monte e piano.
Che giunse ove non era Carlo Mano :
XVI
Perché pensava a Parigi trovarlo.
Ma col suo Ganellone era a Pontieri :
Sentì come Rinaldo^^ fatlo^Carlo :
A lui n'andava, e così a Ulivieri.
Rinaldo, come giugneva a guardarlo,
Subito pien fu di tristi pensieri ;
Perch e' piangeva sì miseramente,
Che in modo alcun non potea dir niente.
xvn
Gridò Rinaldo: Ch' è del mio cugino?
Tu debbi certo aver mala novella.
Allor Terigi quanto può meschino,
A gran fatica in tal modo favella :
L Amostanle di Persia Saracino
L'ha incarceralo, e guardai Chiariella,
Una sua figlia nobile e gradita.
Quale ha promesso campargli la vita.
Que$r è perch' egli uccise Marcovaldo :
Onde il Soldano aveva un negromante;
1-^ che Cristian quel fosse intese saldo,
Che r avea morto ; e fé' con l'Amostanle
La pace e i patti il traditor ribaldo.
Che fossi preso il buon signor d" Angranle.
La notte luti' a due fummo legati,
E in un fondo di torre incarcerati.
XIX
Orlando s'accomanda a Carlo Magno,
A le, Rinaldo, o ver santa corona,
Al suo cognato, a l'amico, al compagno;
Prima che così perda la persona:
Vedi che di sudor tutto mi bagno:
Volalo son, non come fa chi ^rona,
Tanto ch'i' son, come tu vedi, giunto:
Or tu se' savio, e 'ntendi il caso appunto.
XX
A la sua vita tanto afflitto e gramo
Non fu Rinaldo, quanto a questa volta,
E disse sospirando : Che di', Namo ?
Ch' i' ho già per dolor la mente stolta.
Quel savio vecchio disse: Noi intendiamo;
S" i' Jio questa imbasciata ben raccolta.
Ch'aiutar ci bisogna Orlando presto:
Ora dirò com' io farei di questo.
XXI
Ogni allro aiuto, che lo imperadore
E llivieri al fin sarebbe vano;
Perchè qui è la forza e '1 grande amore :
Direi che si mandasse a Carlo Mano,
E che ritorni a l'usato signore
Per la salute del popol cristiano :
E ciò che tu vorrai, conlento fia ;
E voi n' andiate presto in Paganìa.
XXII
A-lolfo sia gonfaloniere eletto.
Che so che Carlo fia contento a quello.
Per quel ch'ha fatto a lui e a Ricciardetto:
Can sia sbandilo a l'usalo e ribello.
Rinaldo, appena aveva Namo detto.
Che disse: Così posto sia il suggello:
Così da' paladin" fu posto in sodo,
E scrisse un brieve a Carlo iu questo modo.
XXIII
Perchè se" vecchio, io l'ho pur riverenzia,
E 'ucrescemi tu sia sì rimbambito.
Che a Gan pur creda e la sua fraudolenzia,
Che mille volte o più t' ha già tradito,
Sanza trovar 1 error suo penilenzia,
E per suo amor di corte m'hai sbandito;
Astolfo e Ricciardetto a mille forti
dolesti uccider pe' suoi ma' conforti.
XXIV
Degno saresti d'ogni contumace;
Ma perchè mio signor fusti già tanto,
Io ti perdono, io fo con teco pace,
E I tuo pristino imperio giusto e santo
Ti rendo, e la corona, se li piace,
I tuoi baroni e "1 tuo regale ammanto,
La sedia tua, l'antico e degno scetro,
Suiiza più ricercar del tempo addietro.
12
M OR GANTE MAGCxlORE
XXV
Sappi eli' Orlando è preso in Pa2;an'ia :
Vieni a Parigi tuo lilit'iaiiUMiIc,
Ed Ulivieri ed io in compagnia
SoccorriT lo vogliani subitamente :
Astolfo tuo gonfalonier qui fia :
Quel Iraditor non vo'qua per niente:
Gallerana reina è riservala
Come fu sempre, e da tutti onorala.
XXVI
La lettera suggella, e manda il messo :
Subito a Carlo Man si rappresenta:
Carlo fu lieto, e in ordine s'è messo:
Gan nel suo petto par eh' assai duol senta:
Tornò a Parigi; e'ncontro venne ad esso
Tutta la corte, assai di ciò contenta ;
E lutti r abbracciavan lacrimando,
E gran lamento si facea d' Orlando.
XXVII
Quivi piangeva il marchese Ulivieri,
Né riveder eredea più il suo cognato :
Piangeva Astolfo e '1 valoroso Uggierì ;
E Salamon pareva smemoralo:
Piangeva Baldovino e Berlinghleri ;
Ma il savio Namo ognuno ha confortalo ;
Rinaldo con solenne e degno onore
Ripose in sedia il magno imperadore.
xxviii
Poi mise al suo cavallo il fornimento,
Ed Ulivier con lui volle partire :
Terigi s'assettava in un momento,
E Ricciardetto disse: Io vo' venire.
Rinaldo, poi che vuol, ne fu contento :
Ognun pur si voleva profferire ;
Ma '1 prenze non volle allri per compagno:
Cosi si dipartir da Carlo Magno.
XXIX
E feeion sopravveste divisale :
E cavalcando per la Spagna, un giorno
Il re Marsilio e certe sue brigate
In un bel piano a cavallo seontrorno,
E con parole saracine ornate.
Come fur presso a lui, lo salutorno.
Disse Marsilio al prenze : Il tuo cavallo
Troppo mi piace, s' a me vuoi donallo.
XXX
Questo mattin mi venne in visione,
Ch'io guadagnavo si nobil destriere:
Se noe lo doni, per lo Iddio Macone
Tu mi trarrai fuor d'uno stran pensiere,
Cioè dì non aver meco quistione:
Però fa gentilezza, cavaliere :
Che pur, s'altro rimedio a ciò non veggio,
Combatterono, e Ui n' andrai col peggio.
XXX{
Disse Rinaldo: E' fu già temporale.
Che si fussi il destrier di chi 'l sognava :
Chi possedeva quella cosa tale
Qnal fosse, per quel sogno gliel lasciava :
Onde un borghese, non lì dico quale,
Vn paio buoi dormendo immaginava
D' un suo vicin, che gli teneva cari,
E volevagli pur sanza danari:
XXXII
An/i voleva pagarlo di sogni:
Colui dicea : Del jnio gli comperai,
E cosi credo eh' a le far bisogni,
Se non ch'ai fin sanz'essi le n'andrai:
Mentre che par che in tal modo rampogni,
Si ragunò dintorno genie assai,
E non sappiendo solver la quistione,
N'andorno di concordia a Salamone.
XXXIII
E Salamone perei»' era sapicnle,
Con questi due se n'andò sopra un ponte,
E fevvi i buoi passar subitamente,
E poi si volse con allegra fronte
A quel che gli sognò, disse : Pon mente ;
Vedi tulle le lor fattezze pronte
Là giù ne l'acque? e l'ombra si vedea
Di que' buoi ciie colui sognali avea.
XXXIV
Disse colui: E' paion proprio i buoi
Ch' io vidi : e Salamon rispose il saggio :
Tu che sognasti, logli, che son tuoi :
Colui che li pagò, de' aver vantaggio :
Non bisogna sognargli, che son suoi :
Così sta la bilancia di pafaggio :
Così dich' io a le, nota, Pagano,
Che il mio cavallo arai sognalo invano.
XXXV
Se volessi altro dir del campo piglia :
Questo destrier si sia di chi il guadagna.
Il re Marsilio si fé' maraviglia :
Disse : Questo è da bosco e da campagna:
Non ho nessun qui tra la mia famiglia
Ch'avessi tanto ardir né in tutta Spagna,
Quanto ha costui; e mostra esser uom forte.
Poi gli rispose: Oltre, io li sfido a morte.
xxxvi
Rinaldo non istelte a parlar troppo,
Le redini girò del palafreno ;
Poi ritornava per dargli d'intoppo:
Facea tremare il ciel, non che 1 terreno.
Perchè Baiardo non pareva zoppo.
Diceva alcun di maraviglia pieno:
Sarebbe questo del Cristian concilio,
Che così fiero va a trovar Marsilio ?
XXXVII
Quando Marsilio vide il cavaliere.
Fra sé diceva: Aiutami Macone,
Che poco vai qui contro al suo potere
Allegar Trimegisto, o vuoi Platone :
La lancisTabbassa, e pungeva il destriere :
A mezzo il petto di Rinaldo pone :
E benché ì colpo fusse ostico e crudo,
Ruppesi in pezzi l'aste ne lo scudo.
XXXVIII
Rinaldo a la visiera pose a quello,
E fece fuor balzar tante faville.
Che tante mai non ne fe'Mongibello :
Are' quel colpo giltali giù mille:
L' elmo rimbomba, e 'ntronava il cervello:
E sanza fare al testo altre postille,
Marsilio rovinò giù de l'arcione,
E fu pur sogno il suo, non visione. v>*V
w
iSi
M O U G A N T E MAGGIO W V
XXXIX
E disse : Diniiiii per I.i tua Icanza,
Chi tu se', ravalicr, per rorlcsia,
Che mai pili vidi a noni tanta possanza.
Disse Rinaltlo : Ter la lesta mia,
Io U\ tliri), perch' io rion lio «Inttanza :
Non pnarderò s'io sono in Papanìa :
Sarà quel ch'esser può: franco Pagano,
S.^ppi che '1 signor son da Montalbano.
XI-
Ed alzò la visiera de P elmetto.
Per dimostrar che non avea paura.
Disse il Pagano allor : Per Macometto :
Ogni suo sforzo in te m«)strò natura.
Dicea Rinaldo: E questo è Ricciardetto:
Andiani cercando la nostra ventura:
Questo è Terigi d' Orlando scudieri,
E questo è il nostro famoso Ulivieri.
XLI
Marsilio guarda questi compagnoni :
Disse : Voi siete così travisati,
Voi mi pareste quattro ragazzoni :
Non vi conobbi, in modo siete armati :
Ben posson sicuri ir questi campioni :
E' ci sarà de gli altri arrelicati.
Che rimarranno a questa rete, slimo :
Dimmi s'io son, Rinaldo, statuii primo?
XMI
Disse Rinaldo : Il prin.o per mia fé.
Da poi che tu domandi, io ti rispondo:
E stato è buon principio un tanto re ;
Ma qualcun altro ancor sarà il secondo:
Or se tu vuoi il cavai ch'io non ti die,
Perchè tanto il tuo nome suona al mondo,
10 te '1 darò, magnanima corona;
E poi soggiunse, e 1' arme e la persona.
XLIII
Marsilio era uom generoso e discreto :
Molto gentil rispose come saggio:
To non son ragazzin d'andarti drieto :
S'io lo logliessi, io farei troppo oltraggi*);
Però che '1 tuo valor non m' è segreto ;
Ch' io n' ho veduto a questa volta il saggio:
11 sogno è ver, ch'acquistalo ho il destriere,
Poi~che me '1 dai; ma non sognai cadere.
XLIV
E vo', Rinaldo, una grazia mi faccia:
Che venga meco a starli a Siragozza
Co" tuo" compagni, e ciò non li dispiaccia,
Benché a te nostra terra parrà sozza;
Né creder eh' a Parigi si confaccia.
Dove ogni gentilezza si raccozza ;
Pur qualche giorno ti darò diletto,
Quanl'io potrò, per lo Dio Dlaconietlo.
XLV
Rinaldo disse : Tanta cortesia
Per nessun modo, re, confonder voglio ;
Ma s' io t' ho fatto al campo villania,
Di questo, quanto posso, or me ne doj^lio,
E dicone mia colpa o mia pazzia,
Che così far per certo mai non soglio ;
Non ti conobbi allor, pel mio Gesue.
Disse il Pagan ; Di ciò non parlar piiie.
]Non li bisogna di ciò scusa prendere :
Usanza è di mostrar la sua prodezza,
E sempre non si può di pari ofTcndcrc :
Bench' io radessi per la tua fierezza,
lo ne volevo in ogni modo scendere,
RinaMo rise di tal gentilezza,
E disse : La risposta tua significa
Quanto la tua corona è in sé magnifica.
xi.vii
Rimontò a cavai Marsilio allora;
Cosi Rinaldo, perchè n'era sceso,
Come colui eh' i suoi maggiori onora :
Marsilio per la man poi l'ebbe preso,
E Ulivier volea pigliare ancora :
Ma Ulivier s' è scusato e difeso :
E poi che i convenevoli fatti hanno.
Inverso Siragozza se ne vanno.
XLVIIl
E disniontali al palazzo reale,
Marsilio sempre tenne per la mana
Rinaldo per le scale e per le sale.
La sua figliuola, della Luciana,
Ch'ogni altra di bellezza assai prevale,
Feccsi incontro benigna ed umana,
E salutò Marsilio e i suoi compa{;ni
Con alli onesti e graziosi e magni.
XLIX
Né prima questa Rinaldo vedea,
Che si sentì da uno slral nel core . , ^
Esser ferito, e con seco dicea:
Ben m' hai condotto dove vuoi. Amore,
A Siragozza a veder questa Iddea,
Che più che '1 sol m' abbaglia di spl< i:<l(>rn:
E rispondeva al suo gentil saluto
Quel che gli parve che fossi dovuto.
r.
Quivi alcun giorno dimorar conienti :
Non domandar se Cupido galoppa
Di qua di là con suoi nuovi argommli,
E la fiincinlla serviva di coppa :
Rinaldo sempre ebbe gli occhi luce;ili :
Alcuna volta con essi rinloppa ;
Or questo è quel che come zolfo o esca
Il foco par che rinnalzi ed accresca.
LI
Mentre che sono in lai consolazione.
Un messaggiero al re Marsilio venne,
E geltasegli in terra ginocchione,
E dice, come un gran caso intervenne :
Che morti ha cinquecento o più persone
l^n gran cavai co' denti e con le penne,
Ch' era sfrenato, e fu già di Gisberlo ;
E parca un demone in un deserto.
Lli
Noi savam cinquecento cavalieri,
Diceva il messo, e giunli a la mont.'igna
Fummo assaliti da questo destrieri :
Non si potea fuggir per la campagna:
Missesi in mezzo fra' tuoi cavalieri:
Non fu mai lupo arrabbiato né cagna,
Che così morda e divori ed attosclie ;
Né anco i calci suoi paiou di nioscht.
INI O l\ (; A N T E M A (; G 1 O R i:
lo '1 vidi, o re Marsilio, ri/zar dianzi,
Ed accostarsi .1 un Pagano a pcllo,
E poi menar de le j^ampe dinanzi ,
Clie pensi In, c1k> gli dessi un luifTelto,
Da far cadérgli del capo due sciiianzi ?
E' gli schiacciò le cervella e V elnielto,
E balzò il capo più di dieci braccia :
Pensa co' piò di drielo s'egli scliiaccia.
1.IV
Se dà in quel muro una coppia di calci,
E' farà rovinar questo palagio:
Io feci presto mazzo de' miei salci,
Che lo star quivi mi parve disagio ;
Però che contro lui poche arme vaici.
Tanto superbo par, bravo e malvagio :
Sanza pietà mi pareva Briusse :
Io mi fuggi', che attorno andavan busse.
LV
Né credo, che vi sia campalo un solo :
E '1 tuo nipote vidi morir 10,
Afflitto poveretto con gran duolo.
Quando Marsilio queste cose udi'o.
Che così tristamente tanto stuolo
Vi fosse morto : O Macon nostro Iddio,
Dlcea piangendo, come lo consenti
Che così sien distrutte le tue genti ?
LVI
Questi eran pur, Macon, de tuo' Pagani,
Che così morti son come tu vuoi :
Sarestu mai d' accordo co'Crislianj ?
Ma se tu se', ch'arai tu fatto, poi
Che lutti sarera morti come cani ?
Arai falli morir gli amici tuoi.
Sarai tenuto al fin pur lu crudele.
Poi che fia spento il popol tuo fedele.
LVII
Rinaldo vide Luciana bella
Dolersi con parole inzuccherale;
Verso Marsilio in lai modo favella :
Manda con meco de le tue brigale
Un, che m'insegni questa" bestia fella:
Non li doler de le cose passale:
Qiie' che son morti, Dio gli faccia sani :
Vedrai ch'io 1' uccidrò con le mie mani.
I.VIII
Tra pazzi e pazzi, e bestie e bestie fla.
Che c'è ben di due gambe bestie ancora;
Forse a qualcuno uscirà la pazzia.
Il re Marsilio consentì allora,
Quantunque fare gli par villania:
Che di Rinaldo suo già s'innamora;
E (lettegli a la fine un suo valletto:
E Ulivier volle ire e Ricciardello.
Volevalo Marsilio accompagnare :
Rinaldo disse: Io non voglio altro meco;
Se non che ancor Terigi volle andare.
Che sa ch'egli è suo debito esser seco.
Vedevasi Rinaldo sfavillare.
Come volea colui eh' è pinto cieco.
Dicea Marsilio : Io priego il nostro Dio,
Che t'accompagni, car' Rinaldo mio.
Rinaldo se ne va verso il decerlo :
E '1 messaggier irio-slrò dov' e' credea
Che sia il cavai, benché noi sa]>pi certo ;
Rinaldo allor di Baiardo scendea :
In questo il gran dcslrier si fu scoperto,
Che già pel bosco sentiti gli avea :
Ma f[uel Pagan, come vide il cavallo,
Sopra un gran cerru terminò aspettallo,
I,XI
Ed anco s' arrecò su bene in velia.
Disse Ulivier : Per DTo, tu mi par pratico:
A questo modo ogni animai s' asj)clla.
Disse il Pagano : Egli è pazzo e lunatico;
E so quel che sa far con la zampetta ;
Questo è colpo di savio e di gramatico:
Saprò me' dire conie il fallo è ilo
Al mio signor; però son qui salilo.
LXIl
Ricciardetto, veggendo il Saracino,
Che come il ghiro s' era innalberato,
Diceva : Esser vorrebbe im orsaccliino,
Che insin costì t' avesse ritrovalo.
Disse il Pagan : Va pure a tuo cammino :
Il giuoco netto piace tu ogni lato i
Io temo il danno e '1 pentirsi da sezzo ;
De la vergogna, io mi vi sono avvezzo.
LXIII
Come Baiardo il cavai bravo vede,
Non r arebbon temilo cento corde: ^ ,.
A guisa di battaglia lo richiede :
Corsegli addosso, e tempestava e morde,
E r UBO e r altro si levava in piede :
Parean le voglie lor del pari ingorde;
Chi annitrisce, chi soffia e chi sbuffa;
E per due ore o più durò la zuffa.
I,XIV
Rinaldo un poco si stelle a vedere;
Ma poi veggeiiilo che 'I giuoco pur basta,
E che co' morsi quel bravo destriere
E con le zampe Baiardo suo guasta ;
Dispose far un colpo a suo piacere :
E mentre che Baiardo pur contrasta.
Delle a quell'altro un pugno tra gli orecchi
Con guanto, tal che non ne vuol parecchi.
LXV
E cadde come fussi tramortito;
Baiardo si scostò, eh' ebbe paura :
Gran pezzo stelle il cavallo slordilo ;
Poi si riebbe, e tutto s'assicura:
Rinaldo verso- lui presto fu gilo:
Prese la bocca a la mascella dura :
Missegli un morso eh' aveva recalo :
E quel cavallo umile è diventato.
I.XVI
Maravigliossi Terigi e '1 Marchese:
Rinaldo soj)ra Baiardo montava.
Né per la briglia il cavai bravo prese.
Che come un pecoriu drielo gli andava :
Il Saracin del cerro allora scese,
Ch' a gran fatica ancor s' assicurava.
Tenendo sempre in cagnesco le ciglia,
E di Rinaldo avea gran maraviglia.
M O I\ G A N T i: M A 0 T, I O I\ 1-
Per Sirapo7za fnpuiva la pente,
Come Hinalilo fu <ir<rnl«> a I.i pcirta ;
AI.i niiel cival se n niKlava tiniilmriite :
l'ii la iiovrlla a Marsilio rapjiorla:
Wniif a viilere ; f la ciania piarente
Di ipu'sto palafren pia si conforta :
1' ilonianilò con parole Iciiuiailre,
( lie plici «lonassi Rinaldo e "1 suo padre.
I Wlll
Rinaldo, che pli avea donalo il core,
Ben poteva il cavai donare a quella.
Irovossi nn fornimento al corruiore :
Rinaldo adtiosso pli y>o$e la sella ;
F." lasciosa trattar dal suo sipnore,
Come si mnpne una vii pecorella :
Poi vi montava, e preso in man la briglia,
Gli fé' far cose die fu maraviglia.
LXIX
T'n piorno ancora insieme dimorare,
Ch'Amor pur lo tenea lepato stretto,
Poi da Marsilion s' accommiataro ;
Marsilio consenlirpli fu costretto.
Quando senti d'Orlando il caso amaro;
E ciò clt' aveva pli offerse in efTello.
La damigella sospirò alquanto
Dinanzi al padre; ma poi fé' gran pianto.
LXX
Ed ogni piorno con seco piangea,
Gli" era già tutta <li Rinaldo accesa;
Aeu limila bacon" pli proflerea
Dovunque egli volessi a sua difesa;
K ringraziala Rinaldo 1' avea ;
E nel partir mollo il suo cor palesa:
Quando fia tempo, disse, per lor mando ;
E sempre, dama, a te mi raccomando.
LXXI
Passaron tutla la Spagna costoro,
E arrivomo un giorno in un gran bosco:
Genti trovorno eh" avean gran marloro :
Dicea Rinaldo : Nessun ci conosco.
A sé chiamava un vecchio barbassoro,
Ch" era tutto turbato in viso e fosco,
E disse : In cortesia di^ la cagione,
Che voi parete pien d" afflizione.
I.XXII
ni«po?e il barba«.Mir : Tu lo caprai,
l'rrclu- si fanno (|ui questi lamenti:
Ni»i siam «r una città, die tu vedrai
Tosto, ihè miglia non e' è hmpe venti :
Arila si chiama, come intenderai :
Tutti siamo scacciati e malcontenti,
Sanza sjierar chr nidia ci conforti ;
Se non che insieme piangiam mille torli.
LXXIII
Nostro signor si chiama il re Vergante,
Più cru<lel uom che forse al mondo sia :
Non crede in Cristo, e meno in l'revigante:
Questo ribaldo per sua tirannia
Le nostre figlie lia tolte tulle quante
Per {sforzarle, e noi cacciati via :
Ed ogni di fa dar aspro martire
A quelle che non voglion consentire.
LXXIV
Rinaldo pli dispiacque tal matera :
Partissi, e seguitò la sua giornata ;
E lascia il barbassor, die si dispera
Con l'altra gente così sconsolala;
A la città s' appressa in su la sera ;
A'erso la porta la briglia ha girala,
E disse: Andiamo a veder questo fallo:
Forse che far si potrebbe un bel tratto.
LXXV
Giunti a la terra, ad un oste n'andorno,
Che tutto pien si mostrava d'affanno ;
De la cagion del fatto domandorno :
Costui coniò del lor signor lo "nganno :
Tanlo che tutti si maravigliorno,
Come sofferto sia que*to tiranno;
Venne la cena, e furono onorati,
E i lor cavalli e lor ben governali.
LXXVI
Parve a Rinaldo l'oste un uom da bene;
E "ncrebbegli sentendo una sua figlia
Il re Vergante ha tolto a forza e tifue:
E diceva : Oste, sare maraviglia,
S" io dessi al re Vergante tante pene,
{'.]:' al popol lutto asciugassi le ciglia ?
E cominciava Toste a confortare,
Com io dirò ne l'altro mio cantare. -■"_.
M O 1\ G A N T E MAGGIORE
CAINTO XIV
ARGOMENTO
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F.
crganfc frustator delle donzelle
Resta giù d' un baìcon prccìpilafo
Da Rinaldo^ che fu cose pili belle,
Dopo clic, tutto un regno ha battezzato.
Un esercito grande è sulle scile
Al soccorso d' Orlando destinato.
Col suo Rinaldo Luciana sciala^
E d' un bel padiglion te lo regala.
-ì>2^l'©<H=5-
X adre del oielo, e re de l'universo,
Sanza il qiial non si muove in aria fojslia;
Non ini lasciar perduto ire a traverso,
Mentre eh' ancora è pronta la mia voglia :
Poi che tu m'hai, cantando a verso a verso,
'^ Condotto insino al mezzo de la soglia ;
Con la Ina man mi guida a sa^lvameuto
Infino al porto con tranquillo vento.
U
L'oste rispose: Chi la mia vendetta
Facessi adorerei sempre per santo.
Disse Rinaldo : Domattina aspetta,
E tutti a riposar ci andiamo intanto :
Come fia giorno, i destrier' nostri assetta :
Vedrai s' io dico il vero, o s' io mi vanto.
Cosi Rinaldo se n' andava a letto,
E fece, e rluscigli un bel concetto.
Ili
La mattina per tempo fu levato:
L' oste i cavalli apparecchiali aveva,
E da costor non volle esser pagato:
Ma di sua povertà lor proifereva :
Guata Rinaldo e Ulivieri armato,
E molta animirazion seco prendeva :
Che gli pareva ognun fiero e gagliardo,
E "Veglianlìn vagheggiava e Baiardo.
IV
Rinaldo se n' andò verso il palazzo :
Al re montava il baron valoroso :
Era a vederlo tutto il popolazzo ;
Quivi sentiva un pianto doloroso
De le donzelle. Il re superbo e pazzo
Vide costoro, e tutto disdegnoso ;
Chi siete voi, domandav' a Ulivieri,
Così presuntuosi cavalieri?
Rinaldo gli rispose : La risposta
Farò io per costui che tu domandi ;
E poi che presso a la sella s' accosta,
Disse : Per certo di te fama spandi :
Non so come il ciel facci tanta sosta,
Ch'a Belzebù giù in bocca non ti mandi :
De la tua tirannia, can traditore,
Dieci leghe lontan mi venne odore.
VI
Era la sala piena di Pagani ;
Non gli rispose alcun, ch'avieno sdegno,
E divorato 1' arlen come cani
Quel signor tristo d'ogni morte degno.
Rinaldo seguitò : Con le mie mani
Per gastigarti sol, Vergante, vegno ;
CiriiFo sono, e per divino effetto
Mi manda iu questa parte Macometto.
VII
Adultero, sfaccialo, reo, ribaldo,
Crudo tiranno, iniquo e scellerato.
Nato di tristo e di soperchio caldo.
Non può più il elei patir tanto peccato,
Nel qual tu pure se' ostinalo e saldo,
Lussurioso, porco, svergognato,
Poltron, gaglioffo, paltoniere e vile,
Degno di star col ciacco nel porcile.
vai
Dunque tu porti in testa la corona; .
Va, mettiti una mitera, ghiottone.
Nimico d' ogni legge giusta e buona,
In odio a Dio, al mondo, a le persone :
Ben verrà la saetta quando e' tuona :
Perdi' e' non paga il sabato Macone,
E '1 fuoco eterno rigido e penace,
Lupo affamato, perfido e rapace.
IX
Non pensi tu che in ciel sia più giustizia,
Malfusso, ladro, slrupatore e mecco,
Fornicator, uom pien d' ogni malizia,
Ruffian, briccone e sacrilego e becco ?
Non potrebbe schisar la tua tristizia
D' una parola sol la voce d'Ecco:
Tener le nobil' donne saracine
Vergine e 'ntalle per tue concubine !
X
E batterle ogni dì sì aspramente,
Ch'io non so a chi pietà non ne venissi,
S' alcuna pur di lor non li consente !
E come il centro non s' apre e gli abissi ?
Vergante uscito parea de la mente :
Ognun ienea a Rinaldo gli occhi fissi,
E dicien molli : Costui vien dal cielo,
(^hè ciò che dice, ogni cosa è il vangelo.
MORGANTE MAGGIORE
Non sapra die si dir Vergante, e tanto
Mulliplirò 1.1 furia e la t«'mpr$la.
Che Rinaldo lo prese da 1" un ranto»
E la roronn ^li strappò di testa,
E tutto gli stracriò il reale ammanto:
Opnnno stava a veder questa fe>ta :
Poi lo portò tra quella pente pazza,
E d' un balron lo pittò in su la piazza.
XII
Tutti color rlie 1' avevon veduto,
A pian furore spomberan la sala,
Dicendo : Da Macon questo è venuto;
Beato a chi piitea trovar la scala.
Rinaldo, come savio uom ed astuto,
Che le parole e 1' opere sue insala,
Subito andò dove le damigelle
Avca sentite batter meschinelle.
E vide eli' eran dispogliate ancora,
E tutto il dosso veraliegtiialo avie'no ;
Partissi, e del palagio usciva fora,
E vide il popol d allegrezza pieno,
E come volentier ciascun V onora ;
Che tutti riverenzia gli faciéno :
Ed accostossi ov' era alcun barone;;:)
Poi comÌDCiò questa degna orazione.
XIV
Quel vero Dio, che fece prima Adamo,
Poi pel peccato suo volle morire,
Perchè a lo nferno danuali savamo,
E non si può con ragion contraddire ;
(Perchè alcun Saracin mi fé' richiamo
Del vostro re) qui m" ha fatto venire.
Per liberar non sol le figlie vostre ;
Ma perchè a gire a lui la via vi mostre ;
XV
La qual voi avete per certo smarrita
Per lunghi tempi : e Macon falso e rio
Conoscerete dopo la parlila :
Ma '1 mio Gesù benigno e giusto Dio,
Per la sua carità eh" è infinita,
Perch" egli è grazioso e santo e pio,
Alluminar vi manda, e darvi segno,
Ch" al fin v* aspetta nel suo eterno regno.
Json ha voluto comportar l'oltraggio,
Che vi faceva il signor vostro a torto :
Questo esser debbe ad ogni saN-io un saggio
Di sua potenzia ; poi eli" io 1* ho qui morto
Ne la presenzia del suo baronaggio :
Da lui sol venne 1' aiuto e '1 conforto :
Lui mi die forza che così facessi ;
E fé" che ignun non si contrapponessi.
XVII
Lui vi spirò, potete intender certo,
Ch' a la giustizia dar dovessi loco.
Però che troppo 1' aveva sofferto :
Ed or, per trarvi de l'eterno foco,
"N'uol eli 'io vi mostri il vostro errore aperto,
Nel qual cresciuti siete a poco a poco :
Però tornate tulli al cristianesimo:
Cile non si può in ciel ir sanza ballesìuio.
XVIll
p"inite le parole, il popol tutto
( uniinciava a gridare ad un voce :
Sia benedetto chi il tiranno ha strutto,
Ch " è slato a' suoi suppetli tanto atroce:
E poi che de' seguirne un maggior fruito,
Adoriam tutti quel che mori in croce:
Dicci il tuo nome sol, tutti prepliiamo,
£ poi per le tue man ci battezziamo.
XIX
Che poi che morto hai"I traditor ribaldo,
Vogliam per sempiterna tua memoria
Un simulacro farti d'oro saldo.
Dove sia disegnata questa ist«>ria.
Ri'pose il prenze a tutti : Io $on Rinaldo
Da Montalban che v'ho dato vittoria;
Ed or v" arreco l ulivo e la pace
Dal mio Gesù che d'adorar vi piace.
XX
Allora il popol cominciò a gridare:
Viva Rinaldo, e viva il tuo Gesiic :
Ognun qui t" ha sentito ricordare
Già mille volte per le virtù tue.
E così cominciava a battezzare
Rinaldo alcun baron con le man sue:
Ognuno a' pie suoi pinocchion si getta,
E '1 primo voleva esser per la fretta.
XXI
In pochi dì fur tutti battezzati.
L'albergator, che ritenne costoro.
Quanto poteva più gli ha ringraziati.
Questa novella sentì il barbassoro,
E gli altri che Rinaldo avea trovati;
A la città venlen sanza dimoro :
E "1 barbassoro avea nome Salante ;
E molto gaudio avea del re Vergante.
xxn
Or chi vedessi quelle damigelle
Venirsi a battezzar divotamente,
E quanto allegre parevano e belle,
Di lor s" innamoreblie certamente:
Elle parìen del ciel le prime stelle :
Le madri e i padri ognun n'era gaudente:
Gran festa si facea per la cittade,
E le castella e lallre sue contrade.
XXIII
Il barbassoro de la gran foresta
Diceva al prenze: Quanto ti so grado:
Ch' a quel ribaldo rompesti la testa ;
Sappi, ch" io son di nobil parentado :
Ogni cosa sia tna eh' è in mia potestà.
Dicea Rinaldo : Intender mi fia a grado,
Questa città quanti uomini farebbe
Da portar arme qual si converrebbe.
XXIV
Rispose il barbassoro: Questa terra
Ha sotto sé cinque altre gran citiate.:
Centomila Pagan" faran da guerra,
Sanza molte castella e le villate :
Io so che la mia lingua in ciò non erra ;
Ma tu potrai veder le schiere armate.
Rinaldo udendo ciò the quel dicea,
A Gesù Cristo arazie ne rendea.
M O R G A N T E M A (> G l O K E
E slellesi alcun giorno a riposare
Rinaldo, e i suoi compagni allegrainente :
Il popol lo voltava incoronare ;
Ma Rinaldo non volle per niente,
Dicendo : In libertà vi vo' lasciare :
Il signor vostro è Cristo onnipotente :
Poi (piando un tratto vide tempo ed agio,
Il popol ragnnò tutto al palagio.
XXVI
E ragunalo, fece parlamento,
E disse : Or die di voi fidar mi posso,
10 Yo' che voi intendiate a compimento
Per che cagion di Parigi son mosso,
E perch' io vivo nel cuor malcontento
D'ini peso che mi grava Insino a Tosso:
L'Ainoslante di Persia ha imprigionalo
11 mio cugin, eh' Orlando è nominato.
xxvii
Vorrei ciie mi tacessi compagnia,
Tanto eh' Orlando mio si riavessi.
Poi che finita fu la diceria,
Fu commesso a Salante che dicessi,
E che per parte de la baronia
Ciò che chiedea Rinaldo gli offeressi :
AUor Salante ritto si levóe,
E come savio a parlar comincióe :
XXVIIl
Rinaldo, poi che liberati ci hai
Da Macon, da Vergante, e da lo'nferno;
Non pensi tu che noi siam tutti ornai
Sempre tuo' servi e schiavi in sempiterno?
Ciò che domandi, a tuo piacere arai,
Ed ora e sempre vivendo in eterno:
Taccisi tosto come vuoi la impresa,
Che di tal cosa a tutti assai ne pesa.
XXIX
Rinaldo ringraziava tutti quanti,
E poi per lutti i paesi mandava
Subitamente niessaggieri e fanti,
E n\olta gente tosto s' ordinava :
Vennono a corte a Rinaldo davanti,
In men di un mese vi si raccozzava
Novantamila cavalieri armati,
E tutti in guerra ben disciplinati.
XXX
E poi vi venner due giganti fieri.
Con diecimila armati in sii 1' arcione.
In ])unlo ben di ciò che fa mestieri,
Che rinegato avìen tutti Macoiie,
E servivan Rinaldo volentieri
L'uno e l'altro gigante o torrione;
De' quali aveva 1' un nome Corante,
E l'altro s'appellava Liorgante.
XXXI
Costui, che molto amò già il suo signore,
Poi che vide Rinaldo che V ha morto,
Non potè far non si turbassi il core,
E disse con Salante : E' mori a torto :
E perch' io fui suo amico e servidore.
Mal volenlier quest' oltraggio comporto,
Né posso far eh' io non ne pigli sdegno':
Per la mia nuova fé con voi noi> vegno.
XXXII
Disse Rinaldo : E' sarà forse il vero,
Che meco non verrai come tu hai dello, ,
E morto resterai, gigante fiero.
Che tu non credi in Cristo o in Macomctlo.
Era il gigante superbo e leggiero,
E disse: S'io li piglio pel ciudetlo,
Io ti farò sentir eh' io son gigante,
E forse vendicato fia Vergante.
XXXIII
La poca pa/.ienzia s' accozzóe
Di Rinaldo e 'l gigante apj)imto bene :
Rinaldo la sua spada fuor lirtie,
E d' una punta criv»*llando viene.
Tanto che in mezzo il petto gliel caccióe,
E riuscì di drieto per le rene :
Non potè Liorgante alzar la mazza ;
Che come un pollo morto giù stramazza.
xxxiv
E parve che cadesse una gran torre.
La gente corse a si fatto romore,
E domandava ognun che quivi corre :
Che voi dir questo? e 'nleso poi il tenore,
Dicevan tulli : E' non vi si può apporre ;
Poi che Vergante amava il traditore,
E dicea che fu a torlo il di ammazzato :
Così Rinaldo assai fu commendato.
xxxv
Poi col consiglio del savio Salante
Rinaldo a Siragozza un messo manda
A Luciana famosa e prestante";
E quanto più polca si raccomanda,
Che venga presto con sua gente avante;
E di tal cosa roinor non ispanda ;
Che si ricordi quel eh' ella ha promesso ;
E in pochi giorni compariva il messo.
xxxvi
E Luciana il vide volentieri,
E disse al padre quel che scrive il prenze.
Disse Marsilio: Che i tuoi cavalieri
Tu metta in punto e tutte tue potenze ;
Ch' io arò sempre in tutti i miei pensieri
Rinaldo nostro e sue magnificenze :
Troppo mi piacquon l' opre sue leggiadre:
E cosi in punto si misson le squadre.
XXXVII
Diceva Luciana : Io voglio ancora,
Che mi conceda che con essi vada :
E se per me il tuo sangue non si onora,
Non mi lasciar mai più portar la spada :
Ma questa é quella volta che rinfiora.
Disse Marsilio : Fa come l' aggrada,
Pur che si faccia piacere a Rinaldo,
Che di servirlo soii più di te caldo.
XXXVIII
Diceva la fanciulla a Salugante ;
O Salugante, io vo' che meco vegna
Con questa genie ch'io meno in Levante,
Acciò che sia quest' opera più degna.
Egli rispose : Pel mio Triviganle
Volenlier ne verrò sotto tua insegna.
Così fumo ordinali prestamente
Ventimila a cavai di buona gente.
MO I\ GANTE M A G O 1 O I\ E
XVXIX
Così la «lama «li Marìilion^
Si diparti co' rav .ilicri annali:
K per iii>ir;iiia uri suo gonfalone
Kron (lue rori insieme inralenali:
V. portò srr«» un rirro pa«li{;lione,
Del qiial saranno assai maravigliali:
riiè non si vide mai simile a quello;
Tanto era lavoralo ricco e bello.
xr.
E 'n pochi giorni volava la fama
Al prenze come vien la ilamigella :
Siiliitamenle molli Itaron' chiama,
E fece i principal nKmtare in sella,
£ così incontro n'andorno a la dama:
Rinaldo, come appariva la stella,
Dicea : Rinato è Cristo veramente.
Ch'apparila è la stella in Oriente.
xr I
Ginnse la donna, e 'n terra è dismontata;
De la qual còsa Rinaldo si duole,
Che la sua gentilezza è superata :
Dismonta presto, e con destre parole
Si scusa, e parte la fanciulla guata,
Come sta fissa T aquila nel sole :
E dei pensar che la dama il saluta;
E che rispose : Tu sia ben venuta.
XLII
Rimontati a cavai, tutti n' andorno
Ne la città con festa e con onore ;
E poi ch'ai gran palazzo dismontorno,
Disse la dama : O mio caro signore,
10 t'ho arrecalo un padiglione adorno,
11 qual sempre terrai per lo mio amore,
Con le sue man V ha fallo Luciana
Contesto d' oro e seta soriana.
E fecelo spiegare in sua presenzia.
Quando Rinaldo il padiglion vedea,
Maravigliossi di tanta eccellenzia,
E disse : Cerio io non so quale Iddea
Avesse fatta tal magnificenzia.
Se fusse Palla, e grazia gli rendea,
Dicendo : Per tuo amor lai padiglione
Sempre terrò : che così vuol ragione.
XLIV
Egli era in questo modo divisato :
In su la sala magna fu disteso :
In quattro parte, ov' era figurato
Quattro elementi ; e '1 primo parea acceso
Ch era per modo ad arte lavoralo,
Che si sare" per vero foco inleso
Pien di faville e raggi fiammeggianli :
Ch' ognuno abbaglia che gli sta davanti.
XLV
Quivi eran certi carbonchi e rubini.
Che campeggiavan ben con quel colore :
Certi balasci e granati sì fini,
Che in ogni parte rendeva splendore:
Quivi eran cJierubini e serafini
Come è nel foco de lo eterno amore :
Quivi è la salamandra ancor nel foco.
Che si godea contenta in festa e "n sioco.
Ne la seconda parte è 1' aer puro
Azzurro tutto, e '1 tiel con ogni stella.
La Luna e "1 Sid*-, e Venere e Merciiro,
E Giove appresso, e Voi» an «lir martella ;
Saturno e jMarte in aspetto più duro;
Dodici segni, ed ogni («iva bella,
Cile tutto non è tempo a raccontare :
Poi gli nccei sotto si vedean volare.
.\I.VII
L'gjjuila in alto con sue rote andava
Guardando fiso il Sol com'ella è avvezza:
Tanto che il Sol le penne gli abbruciava,
E rovinava in mar giù de l'altezza:
Quivi di nuove penne s' adornava,
E riprendeva poi sua giovinezza :
E la nuova fenice, come suole.
Portava il nulo a la casa del Sole.
xLvin
Ed avca tolto incenso e mirra prima,
E cassia e nardo e balsamo ed amomo.
Ed arsa, e poi rinata in su la cima.
Qui è il falcon salvalico e quel domo ;
E 1 un par che i colombi mollo opprima;
E l'altro fa con 1' aghiron giù il tomo.
Quivi è r astor col fagiano e 1 terzuolo.
Che drieto a la pernice studia il volo.
XLIX
Quivi era lo sparvier, quivi la gazza,
Che par che si volessi innalberare
E mentre che foggia forte schiamazza :
Quivi è la ludoletta a volteggiare,
E drieto il suo nemico che l'ammazza:
E lo smeriglio si vede squillare
Di cielo iu terra, e la rondine ha innanzi,
E par che l'uno a l'altro poco avanzi.
L
Quivi si vede i gru volare a schiera,
E quel che va dinanzi par che gridi :
E l'oche han fatto a la fila bandiera :
E come questi par che 1' una guidi:
Quivi è la tortorella a primavera,
E par che in verdi rami non s' annidi,
Più non s" allegri, e più non s'accompagni,
E sol ne 1' acqua torbida si bagni.
LI
Quivi sì cava il pellican del petto
11 sangue, e rende la vita a' suoi figli :
Evvi lo starno e la starna in sospetto
Ch'ogni uccel che la vede non la pigli:
E "1 nibbio si vagheggia a suo diletto,
Ad ogni mosca chiudendo gli artigli:
E gira l'avvoltoio e l'abuzzago:
E 1 gheppio molto del vento par vago.
LII
Ed anco il milion si va aggirando ;
E la ghiandaia va facendo festa;
E la gazza marina vien gridando,
E scende in basso con molta tempesta ;
E la cutretta la coda menando
Si vede, e rizza la pupa la cresta :
Quivi si pasce di sogni il moscardo,
Perch'e'non è come il frate) gagliardi».
i3
MORGAN T E INI A C ( ^ I O l\ 1 :
11 pitrlno v' era, e v» volniulo a scosse,
riu" 1 tonijierò tre lire e poro un Lesso,
Perdi' e' pensò <;li' mi papagallo fosse :
Mjiudollo a Corsignan; poi non fu desso:
Tanto che Siena ha ancor le gole rosse :
(^)iiivi è il riijjogolelto e '1 lieo appresso,
K M pappagallo, quel eh' è da dovere,
E il verde e'I rosso e'I bigio e'I bianco e'I nero.
Gli slornellelli in frolla se ne vanno ;
E tulli quanti in becco hanno 1' uliva :
Le mulacchie un lumullo in aria fanno ;
La passer v' è maliziosa e cattiva,
E par sol si diletti di far danno :
E i corho come già de 1' arca usciva :
Evvi il falappio ed evvi la cornacchia
Che garre drieloaglìallri uccelli, e gracchia.
LV
Qnivi superbo si mostra il pagone,
E grida come gli occhi in terra abbassa ;;
Garzetto e l'anilrella e'I grande ocione ;
Quivi la quaglia che pareva lassa,
Volando d' una in altra regione :
Quivi è l'oca marina che '1 mar passa;
L'anitra bianca e'I maragon calarsi,
Parean che in giù volassin per tuffarsi.
LVI
L' acceggia, la cicogna e'I pagolino,
La gallinella con variale piume,
L' uccel Santamaria v' era e '1 piombino ;
E '1 bianco cigno, che dorme in sul fiume,
Parca che fusse a la morte vicino,
Però cantassi, com' è suo costume :
Quivi col gozzo e col gran becco aguzzo
Si vedea 1' anilroccolo e lo struzzo.
Barallole, germani e farciglioni,
Altri uccei d'acqua, io non saprei dir tanli :
Certi uccelletti che si dice alcioni.
Che fanno al mar sentir lor nidi e canti ;
Altri uccellacci chiamali griccioni :
Lungo sarebbe a coniar tutti quanti,
Che slan per fiumi, per paludi e laghi,
Perchè de' pesci e de l' acqua son vaghi.
LVIII
11 marin lordo, il bottaccio e '1 sassello,
La merla nera e la merla acquajuola,
Poi la tordella e '1 frusone e 1 fanello,
E il lusignol ch'ha sì dolce la gola;
Il zigolo, il bavieri e'I montanello,
Avelia e capitorza e sepajuola,
Pincione e nileragno e pettirosso,
Il raperugiol che mai intender posso.
LIX
Quivi era la calandra e '1 calderine.
Il monaco eh' è tulio rosso e nero,
E 1 calenzuol doralo e il lucherino,
E'I ortolano e'I beccafico vero;
Insino al re de le siepe piccino.
La cingallegra, il luì, il capinere,
Pispola, codirosso e codilungo>
E uno uccel che suol beccare il fungo.
Rondoni e balestrucci eran per 1' aria ;
Poi in altra parte si vedea soletta
La passer penserosa e solitaria , .
Che sol con seco starsi si diletta, i f'Jl^^aA
A tutte l'altre nature contraria:
Etvi il cuculio con sua malizielta.
Che mette 1' uova sue drenlo a la Luca
De la sua balia, eh' è della curuca.
LXI
Il pipistrello faceva stran volo ;
E degli uccei notliirni sbandeggiali
L' allocco, il barbaggiani e l'assiuolo.
Civetta e gufo, e gli altri sventurati ;
Non ne mancava al padiglione un solo
Di que' che fur ne l'arca numerati:
Ultimamente v' è il canieleone,
Benché alcun dice vi fussi il g£Jfone.
Lxn
Vedeasi in mezzo rilucente e bella
Ne la sua sedia Giunon coronata ;
E Dejopeja e l'altre intorno a quella,
E mollo da le ninfe era onorata :
Eoi parca che tentassi procella,
E che picchiassi la porla serrala :
E Nolo ed Aquilon già fuori uscie'no,
Ed Orion d' ogni tempesta pieno.
I,XIII
Poi si vedeva Dedalo che '1 figlio
Avea smarrito e balteasi la fronte.
Che non credette al suo savio consiglio :
Vedesi il carro abbandonar Fetonte ;
E '1 fero scorpio mostrargli 1' artiglio ;
E com' e' par che in basso giù dismonte,
E la terra apre per 1' arder la bocca,
E Giove il fulminava de la rocca.
LXIV
La terza parie è figurala al mare:
Quivi Sì vede scoprir la balena,
E far talvolta navilj affondare ;
E dolcemente cantar la sirena.
Che i naviganti ha fatti addormentare :
Il delfin v' è che mostrava la schiena,
E par eh' a' marinai con questo insegni.
Che si prevegghin di salvar lor legni.
LXV
Il marin vecchio fuor de 1' acqua uscia,
E '1 pesce rondin si vedea volare ;
Ma 'I pesce tordo così non facia :
Vedeasi il cancro l'ostrica ingannare;
E come il fuJ;celletto in bocca avia,
E poi che quella vedeva allargare,
E' lo metteva nel fesso del guscio,
E pei v' entrava a mangiarla per l' uscio.
r,xvi
Raggiala e rombo, occhiata e pesce cane,
La triglia, il ragno, il corvallo e'I salmone.
Lo scorpio con le punte aspre e villane,
Ligusta e soglia, orata e storione ;
E '1 polpo con le membra così strane,
E '1 miiggin con la trota e col carpione,
Gambero e nicchio e calcinello e seppia,
E sgombero e morena e scarza e cheppia.
M O l\ (; A N T K M A C. C, I O W V.
E tonni «1 vctlicn pif;liarc a srliicrf,
E coriiiolclli p l.iinpréd»' e «ardcllf,
E allri pesri di tante nianit-rp,
("lip «lii non poo^^i ron cento favfllp,
Ver fiumi e laplii e diverso peschiere :
l'ero «he son più i pesci che le stelle;
Anguille e lucri e tinche e pesci persi :
Pensa, che quivi polevan vedersi.
I.XVIII
E .che vi fussi boncio e barbio e lasca,
Alefe finalmente v'era scorto,
E come sol de 1' acqua quel si pasca,
E tratto fuor di quella parca morto :
Vedevasi la manna che giù casca,
E "1 pesce per pigliarla stare accorto :
E come il pesrator molto s'affanni
Con rete ed esca e con mille allri inganni.
LXIX
Poi si vcdea Nettuno col tridente
Guardar con' alti ammirativi e schifi,
Quando prima Arpo nel suo recno sente,
Che lo voleva a Colchi puidar Tifi :
Scilla abbaiar si senti'a crudelmente ;
E i mostri suoi digrignavano i grifi:
Vedeasi Teti, e vedevasi Ulisse
Come più là che i sogni d' Ercol gisse.
i,xx
Cimoto e Triton placar la tempesta;
Glauco poi si vedeva ondeggiare;
Esaco afflitto con molta molesta
Cercando Esperia ancor sott' acqua andare:
Talvolta Galatea fuor trar la testa,
Che fé" già Polifemo innamorare :
Nòtavan per lo mar con ambe mane
Converse in ninfe le navi troiane.
Poi si vedeva navi in quantitate
Gir sopra V acqua, e molti legni strani,
Balnieri, grippi e galeazze armate,
E brigantin", carovelle e marrani.
Liuti, saetti'e, gonde spalmate,
E sopra fuste menarsi le mani :
Battelli e paliscalmi e schifi e barche
D' uomini e merce e varie cose cardie.
LXXII
L'jilllma parte toccava a la terra;
Quivi si vede tutte 1" erbe e piante ;
E come il globo si ristringe e serra ;
E le città famose tutte quante;
E gli animali; e come ciascun erra
Chi qua chi là per Ponente e Levante,
Per Mezzogiorno, e chi per Tramontana :
Ogni fera domestica e silvana.
Lxxni
Il liofante parca molto grande
Calloso e nero, e dinanzi d" un pez'o ;
E come quegli orerciii larghi spande,
E stende il grifo lungo, ch'egli ha avvezzo
Pigliar con esso tutte le vivande ;
E noi potea toccar se non un ghezzo :
Fuor de la bocca gli uscivan dTìe zanne
C!i eron d'avorio, e lunghe ben sei spanne.
J.XXIV
Evvi il lione , r 'I dippo gli va dricto :
l°>v%i il cavai famoso sanza freno,
E r asinelio, e 1 bue si inan<'iii-to,
E I mul che tutto par di vi/i pieno :
Vedevasi il castor mollo discreto.
Che de' suoi danni eletto aveva il meno,
I'. vtrapjiasi le iiiemhra genitale,
> eggendo il cacciator, per manco mali-.
JXV
Il leopardo pareva sdegnato
Perdi" e' non prese in tre salti la preda;
E I liororio è in grembo addormentalo
D" una fanciulla, e par che egli conce«la
Esser da rpiesta tocco e pettinato ;
Ma non si fidi a I' acqua e non gli creda,
Se non vi mette il corno prima drento ;
E se quel suda sta a vedere attento.
LXVI
Tutto bizzarro e pien di furia 1' ors«» ;
E 1 lupo fuor del bosco svergognato.
Gridato da la gente, e da can morso ;
E I porco che nel fango è imbrodolato:
Quivi era il cavriuol che molto lia corso,
E poi s' è posto a ber tutto affannato :
E "l cervo che 1 pastor che canta aspetta,
Insin che 1 altro intanto lo saetta.
rjcxvii
E 1 bufoi che ne va preso pel naso ;
E la capretta ; e 1 umil pecorella
Ch' avea le poppe munte e 1 dosso raso:
La lepre paurosa e meschinella
Par che si fugga temendo ogni caso:
Quivi era il dromedario e la cammella.
Che con lo scrigno mansueta e doma
Lasciava ginocchion porsi la soma.
Lxxvm
La volpe maliziosa era a vedere ;
E "1 can pareva fedele e leale:
Evvi il coniglio, e scherza a suo piacere :
Mollo senlacchio pareva il cinghiale:
Poi si vedeva la damma e 1 cerviere.
Che drieto al monte scorgea 1 animale:
Quivi era il tasso porco e "1 tasso cane.
Che si dormien per le lor buche o tane.
i.xxix
E lo spinoso, e l'istrice pennuto^
E sopra il bucolin del topo il gatto
Con molta pazienzia come astuto.
Tanto che netto riuscisse il tratto :
Bevero, e 1 ghir sonnolente e perduto,
E puzzola e faina e lo scoiatto :
Evvi la lontra, e va cercando il pesce.
Ed or soli' acqua ed or sopra riesce.
LXXX
Gatto mammon, bertuccia e babbuino,
Mufo, camoscio, moscado e zibetto.
La donnoletta e 1 polito ermellino.
Che parca tutto bianco e puro e netto :
La martora si sia col zibellino:
Eravi il vaio, e sfavasi soletto;
E molto bello e candido il laltizio ;
E altre fiere poi pi<iie d'i vizio.
M A G (> I O I\ i:
!.XX\I
La lonza manibla e la paniera,
1-: "l ilrapo eh' avca morto il liofanle,
K nel cailcrgli aiKlosso qnella fera,
Aveva ucciso lui come ijinorante,
Che del futuro accorto {;là non s'era:
Evvi il serpente superbo arroiiante
Che fiammeggiava fuoco per la bocca,
E col suo fiato attosca ciò che tocca.
I,\X\Il
• E '1 coccodrillo avea Tuoni prima morto,
Poi lo piangeva, plen d' inganni e froda ;
E '1 tir eh' avea lo 'ncantatore scorto,
Acciò che le parole sue non oda :
Aveva 1' uno orecchio in terra porto,
E l'altro s'ha turato con la coda;
Poi si vedea col fero sguardo e fischio
Uccider chi il guardava il basalischio.
Lxxxni
Con sette capi T idra e la cerastra ;
La vipera scoppiar nel partorire :
La serpe si vedea prudente e mastra
Tra sasso e sasso de la scoglia uscire :
L'aspido sordo freddo più che lastra,
Che con la coda voleva ferire;
La biscia, la cicigna e poi il ramarro,
E moli' altri serpenti eh' io non narro.
LXXXIV
Jenna vedìesi de la sepoltura
Cavare i morti rigida e feroce ;
La qual si dice, chi v' ha posto cura.
Ch'ella sa contraffar l'umana voce;
La cientro con la faccia orrida e scura,
E iacul tanto nel corso veloce:
E la farea crudel che per Libia erra;
L' ultima cosa è la talpa sotterra.
LXXXV
Poi si vedeva andar pel mondo errando
Ceres dolente, misera e meschina ;
E in ogni parte venia domandando
S' alcun veduto avesse Proserpina,
Dicendo : Io 1" ho perduta, e non so quando:
E la fanciulla bella e peregrina
Vedevasi di rose e violette
Contesser vaghe e gentil' grillandetle.
LXXXVI
Poi si vedea Pluton che la rapi'a,
E così stara il padiglione adorno :
I carbonchi e le gemme eh' egli avia,
Facean d' oscuia notte parer giorno;
Tal che sì bel mai più vide Soria :
Trecento passi o più girava intorno:
Le corde aveva e gli altri fornimenti
Di seta e d'oro più che 'l Sol lucenti.
I.XXXVIl
Non si potea saziar di mirar fiso
Rinaldo il padiglion, poi disse : Certo
Questo fé' Luciana in paradiso;
Non fu già Filomena in un deserto:
Né mai sarà il mio cor da lei diviso :
E so che per me stesso ciò non merto ;
Ma minor dono e di manco eccellenzia
Non si conviene a tua magnificenzia.
I.XXXVIII
Questo sempre terrò per lo tuo amore :
Questo terrò sopra ogni cosa degno :
Questo terrò con singolare onore :
Questo terrò di tue virtù per segno :
Questo terrò eh' albergherà il mio core :
Questo terrò perchè del tuo sia il pegno :
Questo terrò vivendo in sempiterno:
Questo terrò poi in cielo o ne 1 inferno.
txxxix
Disse la dama: Ascolta quel ch'io dico:
10 ti vorrei poter donare il Sole ;
E non sare' bastante a tanto amico :
11 tuo cor generoso, come suole.
Si mostra pur magnalnio al modo antico :
Ma intender chi l'ha fatto, il ver si vuole:
S'io dissi Luciana, io presi errore: '*'."'•''
Con le sue proprie man 1' ha fatto Amore.
xc
Or qual sare' quel cor qui d'adamante,
Di porfiro o diaspro o d' altra petra.
Che non s' aprissi o mutassi sembiante ?
E' traboccò giù 1' arco e la faretra,
E le saette d'Amor tutte quante :
Yolea pur dir, ma la voce s' arretra,
Rinaldo qualche cosa a la donzella ;
Ma non potè, che manca la favella.
xci
Ben s'accorse colei, ch'era pur saggia,
Che per soperchio amor non rispondessi ;
E disse: Sare' io tanto selvaggia,
Ch'a così degno amante non piacessi.
Purché mai tempo e luogo e modo accaggia ?
E qual sare' colei che noi facessi.
Salvando sempre e 1' onore e la fama ?
E ingrato è quel che non ama chi l'ama.
XCII
Rinaldo ringraziò pur finalmente
De le parole grate eh' avea dette
Ultimamente la donna piacente ;
Bendi' egli avessi al cor mille saette.
Fu commendato da tutta la gente
Il padiglione; e 'n camera si mette;
E cominciussi a trattar molte cose.
Che fien ne V altro dir maravigliose.
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M 0 R Cm ante M a C. C, I O W K
CAIMO \V
ARGOMENTO
•&H®<§^
lì,
inaldo è in Persia con armata schiera^
E disfida a battaglia VAmoslantc.
Orlando da quel career dov^ ef;H era,
E trailo aliar da Chiariella amante ;
F^li e Rinaldo dal giorno alla sera
Si don delle picchiate tante e tante^
E di Copardo per un tradimento
Presa è la terra, e VAmostantc è spento.
B,
'enigna maestà, yita superna,
Ch' alhiiiii questo e quell'altro eml.spero,
Principio d'ogni cosa santa eterna;
Donami grazia, clie nel giusto impero
A' tuoi pie santi 1' anima discerna
Tanto ch'io riconosca il falso e '1 vero;
E 'osino al fine il mio debole ingegno.
Ti priego, aiuti, se '1 mio priego è degno.
II
Fecion consiglio Rinaldo e Balante
Che si movessi la gente cristiana,
E che s'andassi a trovar l'Amostanle ;
E così confermava Luciana.
Fu la novella in Persia in poco stante,
Che ne veniva gran turba pagana :
E l'Amostante ancor non sapea scorto.
Che gente fussi, e che Vergante è morto.
Partissi dunque centoventimila
Di gente valorosa e fiera e magna.
Per quello che l' autor nostro compila.
Con que' che Luciana avea di Spagna :
Né creder eh' egli andassino a la fila ;
Coprìeno i monti il piano e la campagna ;
Tanto che sono in Persia capitati,
E presso a la città tutti accampali.
IV
Rinaldo, che di e notte non soggiorna
Per riavere il suo cugin perfetto ;
Poi ch'attendata fu la gente adorna,
A l'Amostante mandò Ricciardetto,
Dicendo : A lui va presto, e qui ritorna
Con la risposta, e conchindi in effetto,
Ch' a corpo a corpo, o pur campai battaglia
Subito fuor ne veughi a la schermaglia.
E Ricciardetto andò coni' e' gì' impose,
E fece a l'Amostante la 'nibasciata ;
Il qual molto superbo a lui ri>pose.
Che non sa chi si sia questa brigata ;
E molta maraviglia Ita di tai cose:
Che la corona sua sempre onorata
Combatter non è usa mai in Levante
Con qualche vile arcaito o ammirante.
VI
Che truovi uom simiglianle a sua corona,
E poi verrà «li fuor couiimcli' e' vuole
A corpo a corpo a provar sua persona :
3Ia di campai batlaiilia assai si duole
Sanza giusta cagiun lecita o buona :
E poi soggiimse ancor queste parole :
Se tu non fussi messaggier mandato.
Con le mie man so ch'io t' atei impiccato.
VII
Non lascio per amor, ma per vergogna,
A quel che t'ha mandato, fa risposta:
Domandai s' egli è desto, o pur se sogna,
Che molto pazza fu la sua proposta:
Né d' aspettar qui altro li bisogna :
Questo ti basti, e vattene a tua posta.
Ma Ricciardetto non fu paziente,
E così disse disdegnosamente :
VIII
Se conoscessi ben chi a te mi manda,
Noi chiameresti arcaito per certo,
E pazza non terresti sua domanda :
Ma si conosce il tuo vii core aperto :
Sappi che stu se' re da questa banda,
Quand'io t'avessi pur molto sofferto,
O Amostante vii, superbo e sciocco.
Il mio signore acquistato ha il Murrocco ;
IX
E di Carrara e d'Arna è coronato,
E molti altri reami tiene al mondo,
E non sarebbe Marte biasimato
Combatter con tal uom sì rubicondo.
L'Amostante vcggendol furiato,
Rispose: In altro modo ti rispondo:
Ritorna al tuo signor che ti mandóe ;
E di', eh' un gran baron gli manderóe.
X
Ricciardetto tornò nel campo tosto,
E disse come il fatto era seguito,
E quel che l'Amostante gli ha risposto.
Lasciam costor posarsi un poco al lito,
Chè'l messo ha fatto quel che gli fu imposto;
Torniamo a l'Amostante sbigottito,
Che non sapea che farsi, e sta sospeso,
E di tal caso avea nel cor gran peso.
MOI\ Cr A N T E MA (X; I01\ E
Vegpentlol rosi afllillo (",lnari«-lla,
Diceva: Io ci conosco un buon tÌuilmIìo :
Tu sai che'l miglior uom che monli in sella,
Si dice ciré Orlando; end' io più a tedio
Non li terrò, diceva la donzella.
Poi die tu se' condotto a questo assedio:
Sappi che quel, che tu tieni in prip;ione,
li conte Orlando è fijvliuol di Milone.
XII
E credo che farà sol per mio amore
Ciò eh' io vorrò : che così m' ha promesso
Più e più volle: ch'io gli ho fallo onore
Sempre dal di che in carcere fu messo.
S(d)ito crebbe a i'vVnioslanle il core:
E disse : Può Macon far che sia desso !
Troppo mi piace tu l'abbi onoralo,
Chè'l ciel per nostro ben l'ha riservato.
XIII
Ma vo' che mi prometta ritornarsi.
Finita la battaglia, poi in prigione.
Che M gran Soidan potre'meco adirarsi,
(Mie sai ch'io il presi a sua conlemplazione ;
E qualche modo poi potre' trovarsi
Per questo mezzo a la sua salvazione.
Chiariella ad Orlando n' andò presto,
E d'ogni cosa gli cliiosava il testo.
xtv
Se tu volessi per mio amore, Orlando,
Combatter con costui che vuol battaglia,
Questo servigio io lo verrò scullando
Nel cor per sempre, se Macon mi va<!;Iia :
Io le ne priego, io mi ti raccomando :
Un deslrier li darò coperto a maglia.
Rispose Orlando : Sia quel che ti piace :
Meglio è morir, che stare in contomacc,
XV
Ah, disse Chiariella, è questo quello.
Ch'io t'ho promesso mille volte e mille ?
Tu m'hai passato il cor con un coltello:
Io verrò, dico, queste porte a aprille.
Come a te fia in piacer, signor mio bello:
Ma sol per ricoprir molte faville,
Carlo aspettavo che di qua passassi.
Acciò che più sicuro il failo andassi.
XVI
Non ti curar prometter ritornarli
Ne la prigion, poi che 'l mio padre vuole,
CIi' io verrò per Macone a liberarli.
Prima che molli dì s' asconda il Sole
10 vo' il destrieri e 1' arme apparecchiarli.
Cosi furon finite le parole:
E di prigione Orlando è liberato,
E innanzi a l'Amostante appresenlato.
XVII
L'Amostante 1' abbraccia umilemente,
E quanto può del suo fallir si scusa ;
E se gli ha fatto oltraggio, che si pente:
11 gran Soidan di ciò ne ncolpa e accusa;
E che per far la pace il fé' vilmente.
Come per suo miglior talvolta s' usa ;
E lecito operare era ogni ingegno
E tradimento, per salvar sé e 'l regno.
Orln?ido, come savio, fu contento,
l'I disse : Per amor de la tua figlia
Farò sol cjuel che ti fia in pini^imento,
Che così Chiariella mi consiglia;
Che so che sanza lei morivo a stento;
E ch'io sia vivo mi par maraviglia:
Armossi tutto innanzi al re pagano,
E Chiariella l' armò di sua mano.
Come fu armato, saltò in sul destrieri ;
E Chiariella gli fé' compagnia
Armata con trecento cavalieri :
Cosi da l'Amostante si partia ;
Verso de l'oste pigliava il sentieri.
Come Rinaldo apparir lo vedìa,
Che stava attento armalo al padiglione,
Subitamente montava in arcione :
E Luciana anche lui avea armalo,
E datogli il deslrier che gli donóe
A Siragozza, e poi 1' ha accompagnato,
E molli cavalier' seco menóe ;
Adunque il giuoco è molto pareggiato:
E così inverso Orlando se n' andóe
Rinaldo, e salutò cortesemente ;
E la risposta fu similemente.
XXI
Ma l'uno e l'altro quanto può s'ingegna
Non esser a la voce conosciuto.
Acciò eh' al suo disegno ognun pervegna.
Dicea Rinaldo dopo il suo saluto :
Io credo, cavalier, eh' al campo vegna
Per far con 1' arme in man quel eh' è dovuto ;
Piglia del campo; ognun mostri sua forza:
E volson l'uno a poggia, e l'altro a orza.
XXII
Orlando volse con tanta destrezza
Nel dipartirsi al suo cavai la briglia,
Che non si vide mai tal gentilezza;
E Luciana affisava le ciglia :
Parvegli un atto di molla prodezza :
Ma Chiariella con seco bisbiglia :
Questo è pur quel che '1 mondo grida certo
Ne r arme tanto valoroso e sperto.
xxni
Rivoltava il deslrier Rinaldo prima,
Cominciò al modo usato a furiare :
Orlando che sia vòlto anco si stima ;
Subito in drielo lo venne a trovare :
Ma non potre' qui dir prosa né rima
Qual sia il valor ch'ognuno usa mostrare:
Se Annibal parea 1' un, l'altro è Marcello;
Se r un volava, e V altro è uà uccello.
XXIV
E' si vedea sol polvere e faville :
Non credo eh' a veder fossi più degno
A la città famosa Etlorre e Achille :
Ognun di grande ardir mostrava segno.
Ma che bisogna far tante postille,
0 dar per fede a chi noi crede il pegno?
Non son costor de' paladin' di Francia
1 miglior cavalier' che porlin lancia ?
r
io5
INI O K CV AN TE M A G G I O K E
Le lance si sprzzomo pariiiifiitc
Sopra ^Vi snuli, e i deslrifr' via passurnu,
(".Dine fuljitire va mollo fcrvrnlp;
Poi con le spaile a ferirsi tornoriio ;
Or quivi s' accostò tiilla la genie :
Quivi la zuffa insieme rappiccorno.
Era veiuilo a vedere il gigante,
Con Luciana, cliiamato Corante.
xwi
E stava in pie r»)me im pilastro saldo
A veder di costor la gran tempesta :
E Luciana avea messo a Rinaldo
In dosso una leggiadra sopravvc'^la.
Orlando «li' era insuperbito e calchi,
Con Durlindana avea stampata (]uesta :
E Luciana si doleva a morte,
Dicendo : Mai non vidi uom tanto forte.
xxvii
Egli eran 1' uno e 1 altro sì inriammati
Rinaldo e 1 conte Orlando, che l'un lullro
Non iscorgea, lanl' erano infiammati ;
Né si vedea vantaggio a Timo o T altro :
Ferivansi co brandi sì infiammati,
Che nel colpirsi dicea 1' uno a V altro :
Aiutali da <]ucslo, can nialfusso ;
E detto questo, si sentiva il busso.
XXVIll
Rinaldo dette im colpo al conte Orlamlo
Sopra il ciniier, che gliel fece sentire
Erusberta che ne venne giù fischiando ;
Non ebbe a la sua vita un tal martire,
E 'nsiuo in su la groppa vien jiiegondo,
E disse : Oh Dio, non mi lasciar morire :
Aiutami tu, Vergin benedetta ;
E 1 me' ehe può uè V arme si rassetta.
XMX
E trasse con tantira Durlindana
Al prenze, che lo giunse in su 1' elmetto.
Il qual sonò che parve una campana,
E con fatica a la percossa ha retto ;
Ed «>gni cosa vide Luciana,
Tanto eh' eli ebbe del colpo sospetto :
(.he 'usino al collo del deslrier piegossi
Riualdo, tal eh' a grau peua rizzossi.
XXX
Non arebbe però voluti Ire,
Che uscito sare'Iuor del seminato:
Pur si riebbe, e ritornava in sé,
E "1 brando i crini al cavallo ha trovato ;
Sì che due parli del collo gli fé',
E 'nsieme con Rinaldo è rovinato.
Gridò Rinaldo al conte: Traditore,
Tu r uccidesti per viltà di core.
XXXI
Rispose Orlando : Traditore, o vile
Non fui mai reputato a la mia vita.
Ma sempre in verità baron gentile;
Or se mi venne la mazza fallila,
E' me ne ncresce, e però parlo umile;
Ma innanzi che da me facci partita.
Io ti farò disdir quel che tu hai detto,
E poi saltò del suo cavai di nello.
E cominciorno più aspra battaglia,
Che si vedessi mai tra due baroni :
Lo scudo in pezzi l'uno a l'altro taglia.
Non «avalier' parieno, anzi drag<mi :
E benché regga la piastra e la maglia,
Pe' colpi spesso cadeau ginocchioni:
E r uno e 1' altro soffiava e sbuffava.
Come un lione o altra fera brava.
xxxui
Dannosi pimte, dàimosi fendenti.
Dannosi stramazzon, danno rovesci,
Eanno.si batter drenlo a 1' elmo i denti :
Frugano in modo da sbucare i pesci
Alcuna volta co' brandi taglienti,
Acciò che meglio il disegno riesci :
Raddoppia il colpo Inno a l'altro e jìiomlia:
E 1 aria e 1 cielo e la terra rimbomba.
xxxiv
Rinaldo un tratto Frusberla riserra
Per dare al conte Orlando in su la testa :
Orlando si scostò, donde il brando erra,
E cadde in basso con tanta tempesta,
(-he si ficcò più d' un braccio sotterra :
Pensa se fatto gli arebbe la festa,
E se fu grande il furore e la rabbia;
(^ir ajipena par che la spada riabbia.
XXXV
Orlando allor se gli scagliava addosso,
E grida : Or potre' io, come tu vedi.
Tagliarti con la spada insino a 1' osso.
Poi che tu hai confitto il brando a' piedi:
Ma basta che tu intenda sol eh' io po.-so ;
Cir io non son tradilor, come tu credi.
Disse Rinaldo : Ogni ragion liai tue,
E che sia traditor mai dirò piùe.
XXXVI
Era già sera, e '1 Sol verso la Spagna
Ne 1 O-èan tuffava i suoi crin' d'oro;
E Chiariella graziosa e masna
Benignamente parlava a costoro :
Perchè e' si fa già bruna ogni campagna,
Ponete fine a si fatto marloro ;
E per mio amor, così vo'che si segua.
Che venti dì facciate insieme triejiua.
XXX VII
E l'uno e l'altro rimase conlento:
Diceva Chiariella: Al mio parere,
Nou vidi mai più a uom tanto ardimento.
Né mai jiiù penso a' miei giorni vedere,
lo Iriemo tutta, quando io mi rammento
De' colpi fatti, e del vostro potere :
E perchè lanta virtù si conservi,
Ho chiesto triegua, e vuch" ognun l'osservi.
XXXVIII
Rinaldo si tornò col suo Balaule
Ai padiglione ; e la sua Luciana
Gli trasse 1' armi eh' avea messe avacte :
Orlando torna a la «ittà pagana ;
E Chiariella disse a lAmostante,
Che gli pareva oltre ogni cosa umana
Quel eh avea fatto in sua presenzia Orlando;
Dicendo : Quanto so, tei raccomando.
MOUGANTK MAGGIORE
XXXIX
Orlando volle in prijiion ritornarsi,
K rende Dnriindana e l armadnra,
1'^ 5ta ron Cliiariella a ragionarsi.
Or rilorniumo al rampo a la pianura.
Coranle 1' altro {jiorno fere armarsi,
Dicendo: Io intendo provar mia ventura:
Ed arrostossi a le mura, a la terra,
E mandò a dir che cercava di guerra.
XL
Aveva cinquecento scelti quello
De' mijilior' eh' ea;li ave.-si nel suo campo :
Era montato in su 'n suo morello
Nato d'alfana; e menava gran vampo,
Chiamando l'Amoslanle tristo e fello.
Direndo : Contro a me non arai scampo,
JNè triefjua o pare o palli né concordia :
Ch' uom non se' degno di misericordia.
XLI
Erano usciti già certi Pagani
De la città col gigante a la mischia,
Ma lutti gli straziava come cani :
A qual le spalle, a chi il capo cincischia,
Colpi menando sì aspri e villani,
Che per paura nessun più s' arrischia
E dieci braccia accostarsi a la mazza :
E bison;nava con sì fatta razza.
Chiarirla sentì che il Saracino
A molti il capo ha schiacciato com' uova,
E fa fuggire il suo popol meschino ;
5^!ibito Orlando a la prigion rilruova,
E dice : A questa volta, paladino,
Aiutami, poi ch'altro non mi giova:
Sappi eh' egli è comparito un gigante,
Ch ammazza ognun che se gli para avante.
Xtlll
A te ricorro, come niio rifugio,
Che non mi lasci in questi casi estremi :
E'debbe avere un poco il cervel bugio;
Cli'ognun minaccia, e 1 ciel non par che temi:
E" li convien soccorrer sanza indugio ;
Che tutto il popol nostro par che triemi ;
E per paura ognun tornato è drento ;
Che del bastone hanno avuto spavento.
XLIV
E' n' ha già bastonati centinaia;
E trita lor le carni, i nervi e l'ossa.
Rispose Orlando : Sempre ove a te paia,
La mia persona, Chiariella, è mossa :
E so che se m'aspetta a la callaia,
Vedrai che la tua gente fia riscossa.
Feresi 1' arme trovare e'I cavallo ;
E Chiariella sua sol volle armallo.
XLV
E fere armare alquanti cavalieri :
Orlando disse volea poca gente :
Che lasci col gigante a lui i pensieri.
Armossi Chiariella incontanente,
E con Orlando montava a destrieri,
Anzi su vi saltò molto attamente:
E'I suo fralel, ch'era ardito e gagliardo,
N andò con lei, eh' avea nome Copardo.
Era il gigante a la porta a aspettare :
Ville costoro, e innanzi si facca ;
Ma Cliiarielia, che '1 vide accostare:
Io vo' con esso provarmi, dicea:
Se (juesla grazia. Orlando, mi vuoi fare.
Orlando di' è contento rispondea.
Allor la dama va inverso il Pagano,
Che se n'avvide, e prese un'asta in mano.
XLVII
Abbassa la sua lancia Chiariella,
E poi nel petto al gigante la spezza;
Ma non si mosse punto de la sella
Per sua gran forza e per la sua grandezza,
E giunse ne lo scudo la donzella
Con r aste dura e con molla fierezza,
E fecela cader fuor de V arcione,
Che mollo spiacque al figliuol di Milone.
XLVIII
Cerante la volea pigliar pel braccio,
E come il lupo portamela via.
Diceva Orlando : Non gli dare impaccio :
Se tu la tocchi, per la fede mia.
Per mezzo il petto la spada ti caccio :
Oltre, gaglioffo pien di codardia:
De la tua gran viltà, per Dio, m' incresce ;
Ed è ben ver eh' ogni trista erba cresce.
XLIX
Non li vergogni tu donna sì degna
Volerne via portar, can peccatore,
Che in tutte quelle parti ove il Sol regna
Non è donzella degna di più onore ?
Né vo' che il suo cader tuo pregio legna ;
Che fu difetto del suo corridore.
Disse il gigante : Per Macon, eh' io sono
Contento, e per prigione a te la dono.
I,
Orlando disse : Tu mi pari or saggio ;
Che quel che non puoi vender,vuoi don farne.
Se tu vedessi costei nel visaggio.
Diresti : Cibo non è da beccarne
Un uom sì rozzo, rustico e selvaggio ;
Ch'io so che i denti tuoi non son da starne.
Allor Copardo addosso a quel si getta,
Per far de la sorella sua vendetta.
LI
E l'uno e l'altro ima lancia pigliava;
E di ronrordia insieme si sfldaro ;
Ma alfin Copardo in terra si trovava ;
E restò prigionier sanza riparo:
Perchè Corante ad Orlando parlava :
Che costui sia prigion, tu intendi chiaro.
Così, per non opporsi a la ragione,
Copardo n' andò preso al padiglione.
LII
Disse il gigante : Ed anco la donzella
E mia prigion ; ma non la vo' contendere ;
Però ch'io la gitlai fuor de la sella;
E s'io volessi, io te la farei rendere;
Che tu dicesti eh' io ti donai quella.
Per questo eh' io non la potevo vendere.
Orlando disse : Sia come si vuole ;
Con r arme arai costei, non con parole.
M O R G A N T V: M A G G I O I\ i:
Di.tse il (>ig.ìntr : Disfuialo fia,
Da poi die tu m' liai tolto la mia preda ^
Poi mi miiiarria, e «limiiii villania :
E rrrdi per vill.i le I.» conceda?
Io t' Ilo lionato per mia cortesia
Questa don/ella, e par che tu noi creda.
Orlando al suo cavai la briglia volse,
Ed un' arcala o più del Cc->tnpo tolse.
LIV
Poi ritornava per dargli 'a mancia ;
E 1 Saracin con la lancia s' altbassa :
Ma 1 conte Orlando gli pose a la pancia,
E '1 petto e '1 cuore e le reni gli passa :
Due braccia o più riusciva la lancia,
E parve allor rovinassi ima massa ;
Perchè Corante abbandonava il freno,
E dette un vecchio colpo in sul terreno.
LV
Rinalijo al padiglione aveva detto,
Quando Copìirdo prigion lu menalo,
Ch' andas.vi tra le squadre a suo diletto.
Che gT increscea di tenerlo legato :
E giurato gli avea per Macomelto,
Se dal gigante non è liberalo,
Rappresentarsi a ogni suo volere ;
E va pel campo veggendo le schiere.
LVI
In questo tempo la novella viene.
Come Coranle caduto era morto,
E che passato è "1 ferro per le schiene :
Ebbe di questo Rinaldo sconforto,
E volle chi r uccise intender bene,
Giurando vendicar si fatto torto ;
E minacciava, e facea gran tagliata,
Comunch' e' fussi la Iriegua spirata.
LVII
Copardo già pel campo aveva inteso,
Come quest" era d Orlando cugino ;
Però veggendo Rinaldo si acceso,
Rispose : A me perdona, paladino :
Per quel eh' i' ho da tua gente compreso.
La pace si farà con poco vino ;
Io t' ho a dir cose che ti piaceranno ;
E ila silenzio posto a tanto affanno.
LVIII
Sappi che quel eh' ha combattuto teco,
E il conte Orlando che prese dimora ;
E a tua posta il menerò qui meco
Per quello Dio che la mia gente adora.
Rinaldo, il di che combattè con seco,
Di sua gran forza ammirato era ancora ;
E cominciossi tosto a ricordare,
Cb' altri eh' Orlando noi poteva fare.
E se non fossi la sorella mia,
Dicea Copardo, che s'è innamorata
De la sua fama e di sua gagliardla.
Sarebbe or la sua vita annichilata,
Perchè il mio padre ncm lo conoscla ;
Ma poi che vide la terra assediata.
Gli dette Chiariella per rimedio
Di liberarlo, per levar 1' assedio.
Ma per y)aura lo tien del Soldano,
]-'. non gli dà di partirsi licen/ia :
Ma tu sc'(|ui or con armata mano;
Io ti darò la città in tua potenzia ;
Tanto m' incresce di tal caso strano
D'un uom si degno e di tanta ecccllenzia;
Ea mia sorella tanto amor gli porta,
Ch a tradimento dareniti un porta.
I.XI
Rinaldo eh' avea già legalo il core
Per gran dolcezza, abbracciava Co|)ardo,
E disse: Io sento già tanto fervore
Del mio cugin, che tutto nel petto ardo ;
So che tu parli con perfetto amore,
Se bene a le parole tue riguardo ;
E Chiariella per la fede mia
Si loderà de la sua cortesia.
LXII
Al mio parer, ritorna a la citiate,
E di con Chiariella questo fatto :
Quando fia tempo poi me n' avvisate,
Ch' io so che riuscir ci debbe il tratto :
Ch' io mi confido ne la tua bontate
Sanza far teco altra convegna o patio.
E dettegli il cavallo e 1' armi sue ;
£ presto al padre suo dinanzi lue.
LXIII
L'Amostante dicea : Chi t' ha mandato ?
Copardo dice: Da me son fuggilo.
Rispose l'Amostante : Tu hai fallato :
Poi disse : Forse è pur miglior parlilo,
Che non t' avessi un giorno là impiccato.
Copardo a Chiariella sua n' è ilo ;
E ogni cosa ragionorno insieme ;
E la fanciulla d' allegrezza geme.
LXIV
Erasi Orlando tornato in prigione
Quel di eh' al campo avea moi lo (-orante:
La damigella fé' conclusione
Di tradir la sua patria e l'Amostante,
E rinnegar con questo anco Macone ^
Or vedi questo amor quanto è costante 1
Lasciò Copardo, e vassene ad Orlando,
Che si vivea a 1' usato sospirando.
LXV
E disse : Che diresti tu, barone,
Se fossi il tuo Rinaldo qua venuto.
Per liberarli e trarli di prigione:
E se tu avessi con lui comballulo,
E mortogli già sotto il suo rondone,
Acciò che non ti possi dare aiuto ?
Non sarebbe ragion lu confessassi
Essere ingrato a chi ne domandassi ?
Or oltre io ti vo' dir presto ogni cosa,
E darti una novella che fia buona,
Ch'io veggo la tua vita assai dogliosa:
Sappi, che 1 tuo Rinaldo e" è in persona
Per trarli di prigion si tenebrosa,
(^ome colui che l grande amore sprona :
Per questo a l'Amostanle ha mosso guerra,
E per tuo amor si combalte la tt*rra.
'4
IM 0 I\ O A N T E MAGGIORE
U
213
rxvii
Copardo è lilornalo, »• ilollo Iia questo;
E perch'io t'ho donalo il uno amor tulio,
L'anima e 'I cuore, e s'allro c'è di re.slo,
M' accordo che mio padre sia dislrullo,
E dare al tuo civ^m la città presto.
Acciò che del mio amor tu vef;}r;a il frutto;
Che non ti pasca più di foglie e fiori,
E elle tu esca oniai di career fuori.
LXVIII
Orlando, quando inlese Chiariclla,
Rispose : Io credo tu fussi mandala
Il primo dì «lai cielo un' anjriolella,
CIj' a la prigion mi li fussi mostrala ;
E se' sempre poi stata la mia stella,
E la mia calamita a le voltata;
Qual merito, qual falò vuol ch'io sia
In grazia tanto a Chiariella mia ?
LXIX
Io ti dono le chiavi in sempiterno
De la mia vita , lien tu il core e 1' alma ;
lo vo che 1 nostro amor si facci eterno ;
Tu se' colei che 1' ulivo e la palma
M' arrechi, e che mi cavi de lo inferno,
E la tempesta mia converti in calma.
E non potè più oltre Orlando dire,
Tanta dolcezza gli parea sentire.
i.xx
Cliiarlella a Copardo ritornava,
E ordinò che la notte sep;uente
Rinaldo venaa , ed Orlando cavava
Di fuor de la prigion segretamente ;
Ed a Rinaldo un messaggio mandava ;
E scrisse che venisse arditamente;
E soggiugnea queste parole appresso :
Giunta la letlra, sia impiccalo il messo.
LXXl
Rinaldo, eh' a quest'opera era allento.
Aveva in punto già le genti armale :
La lettera ubbidiva a compimento:
Al messo sue vivande ebbe ordinate ;
E fecegli de' calci dare al vento ;
Poi se ne andò a la porla a la citiate ;
Quivi trovava insieme armali in sella
Copardo con Orlando e Chiariella.
r.xxii
Preso la porta, levorno il romore :
A sacco a sacco, a la morie a la morte,
E muoia l'Amostante traditore,
E i suoi seguaci, e tutta la sua corte :
Il popol si desiò tutto a furore :
Vide i nemici già drenlo a le porte:
E chi fuggiva, e chi per arme è corso.
Chi si nasconde e chi chiama soccorso.
r.xxiii
L'Amostante si desta spaventato,
E sente tanta gente e tante grida :
Subilo alcun de' servi ha domandato:
Che vuol dir questo clie 1 popolo strida ?
II me' che può si lieva, e fussi armalo,
E corre come cieco sanza guida ;
E non sapea lui slesso ove e' si vada,
Ch' aeva snìarrila la mente e la strada.
i.xxiv
Pur s'avviava ove e'sentia gran zuffa,
E risconlrossi a])punlo in Ulivieri,
C/h' era nel mezzo di quella baruffa ;
E de la spada gli dette al cimieri.
Tanto che '1 colpo ne lieva la muffa.
Ma non potè piegarlo in sul destrieri:
Ulivier lo conobbe incontanente,
E trasse de la spada un gran fendente.
i.xxv
Un cappelletto avea di cuoio colto
L'Amostante la notte in tesla messo ;
Ma Ulivier lo passava di sotto ;
E \ capo e 1 collo al Saracino ha fesso ;
E fecelo d' arcion giù dare il bollo :
La gente si fuggi che gli era apj)rfSso
Piena di doglie e terrore e sconforto,
Si come avvien quando il signore è morto*
LXXVl
Rinaldo avea veduto cader quello :
Benedetta li sia, gridò, la mano :
Ch' a quel cagnaccio partisti il cervello :
Tu se' pur de' baron' di Cario Mano.
Or qui comincia avviarsi il macello.
Era venuto un gigante pagano,
Che si chiamava il feroce Grandono,
E gettasi tra questi in abbandono.
LXXVII
Ulivier riscontrò quel maladetlo,
E trasselo per forza da cavallo,
Però ch'ai colpo suo non ebbe retto;
Poi si gillava in mezzo a questo ballo ;
E perchè il popol molto è insieme stretto,
Colpo non mena che giugnessi in fallo:
E spesso dava anch' a' suoi di gran bolle.
Che d' error pieno è il furore e la notte.
tXXVITI
E mentre che 1 gigante pur combatte.
Vi sopraggiunse a caso Luciana :
Ma quel Grandon, com' a costei s' abbatte,
Gli dette una percossa assai villana ;
Però che le piccliiate sue son malte ^
E finalmente in terra giù la spiana,
E non sentla mai più né gel né calda;
Se non che corse a quel furor Rinaldo,
LXXIX
E ripose a cavai questa e 1 Marchese ;
E domandò chi 1' aveva abbattuto.
Disse Ulivieri : In terra mi distese
Un gran gigante, e poi non l'ho veduto.
Mentre che sono in si falle conlese,
Orlando a Ricciardetto s' è abbattuto ;
E perchè e' noi conobbe ne la stretta
Lui e '1 cavai d' un colpo in terra getta.
i.xxx
E poi trovò Terigi suo scudiere,
E sopra l'elmo gli appiccava il brando
Per modo che rovina del destriere.
Benché l'elmetto non venga spezzando.
Quando Terigi si vide cadere,
Dicea fra sé : Dove se' tu. Orlando ?
Che stu ci fussi, i' non sarei cascalo,
O pur cadendo, io sarei vendicalo.
M O R G A N r i: M A G i\ I 0 f\ i:
I XXXI
Orlando il rironoLbr a \e parnir :
Di&moiitò prrslo, «r rllip^t•pli pfrcJono,
Dicrtitlo : Del lui> caso usai mi duole ;
Ma che tu monti in sella sarà buono :
Cosi sempre la noi te avvenir suole,
Diceva Orlando ; Or pli altri dove sono ?
Aresti tu vetlulo Rirriardrtlo,
O Ulivier, cir io ho di lor sospetto?
I,\X.\1I
Di>se Teri^i : L'Iivier vidi diau/i,
Che cacciava una turba di Paviani ;
Ma Ricciardetto è in terra qui dinanzi,
£ stato sarai tu con le tue mani ;
Credo che poco di vita gli avanzi :
Morto r aranno questi cani alani.
Orlando guarda, e Ricciardetto vede
Che si difende con la spada a piede.
Lxxxni
E grida: Ah Ricciardetto, hai tu paura'.
Orlando è teto ; tu non puoi perire.
Che sai eh* io t' Ito fatata li \eutura :
Quel che t' ha fatto de la sella uscire,
E stato un gran tuo amico, o tua sciagura.
Quando Ricciardo senti cosi dire.
Disse : Per certo io mi maravigliai.
Che con un colpo io e "1 cavai cascai.
LXXXIV
E dissi fra me stesso : Ecci Pagano,
II qual dovessi aver tanto valore 1
Allora Orlando strigne il brando in mano,
E gettasi là in mezzo del furore,
E grida : Ah traditor popol villano.
Con on soletto acquistar credi onore '.
A drieto, Saracin" canaglia, porci.
Che Ricciardetto mio credete torci.
i.xxxv
E Ricciardetto in sul cavai rimonta;
E di Rinaldo cercau per la terra ;
Tanto che Orlando e Rinaldo s afTronla,
E cominciorno a rinforzar la guerra :
E Chiariella i suoi peccati sconta.
Che spesse volte si truova a gran serra:
E con fatica ha salvata la vita.
Che da Copardo e gli altri era smarrita.
LXXXVI
Combatteron costor tutta la notte:
Ma i terrazzani al fin domandoo patti,
Cii" avien le membra faticate e rotte,
E dubitavan non esser disfatti:
Era tra lor de le persone dotte :
Posou giù l'arme con qnesti contralti:
Che la città sia lor liberamente,
Salvando tutta la roba e la gente.
LXXXVII
Era a])parito in oriente il giorno :
E Chiariella a Rinaldo ne viene,
E si diceva : Cavaliere adorno.
Le cose veggo ornai che vanno bene :
E tutti insieme al gran palazzo andorno :
Rinaldo per la man Copardo tiene,
E molle cose con esso favella :
Orlando sempre alalo ha Chiariella.
I.XXXVIII
Venncvi il popol tulio la mattina
A visitar co.-lor come signori.
Rinaldo parla con inulta dottrina :
O (iliiariclla, quanto nt innamori !
Di (|uesta terra vo" che sia reina
Ve brnelicj e i servigi e gli onori,
Per non parer per nes>un modo ingrato ;
E 1 tuo Copardo re sia coronato.
I.XXMX
E fé* de l'Amo-^tante ritrovare
Il corpo, e p(Ji gli dette sepoltura
E tulla la città fece ordinare.
Orlando d* ogni cosa gli die cura,
E sia con Chiariella a molleggiare.
Quando cavalca iuìin fuor de le mura ;
E ogni dì se ne vanno a sollazzo,
Rinaldo governava nel palazzo.
xc
Or ci convien lasciar costoro un poco.
Il Soldati si tornava a Babillona,
Fatta la pace, e messo Orlando in loco.
Che peuM» che lasciasAÌ la persona :
Senti com'era acceso un altro foco,
E come gli era morta la corona
De lAniostanle, e presa la sua terra ;
E cominciava a dubitar di guerra.
xci
In drieto verso Persia ritornava
Col campo lutto per miglior partilo,
E presso a poche leghe s accampava ;
E ntese meglio il caso com'era ito:
Un suo messaggio a la città mandava,
E duolsi 1 Amostanle sia perito :
Ma che comunelle la cosa si sia,
Che s* appartiene a lui la signoria.
xcu
E se Rinaldo la terra non lascia.
Che s' apparecchi di difender quella,
Se non che gli darà di molla ambascia :
E troppo biasimava Chiariella,
Che come meretrice, anzi bagascia
D' Orlando, il tradimento avea fall* ella :
Ed era un barbassor molto stimalo
Colui che imbasciadore avea mandato.
Giunse al palazzo, ove ciascun dimora,
Il barbas^oro, espose la mbasciata :
Quel Macometlo, ci»e per noi s' adora,
Distrugga questa gente battezzata :
E 1 mio signor eh' è nel campo di fuora,
E la sua figlia eh* ha 1" arme incantata.
Famosa e forte che si chiama Antea,
Salvi e mantenga: in tal modo dicea.
xciv
E guardi e salvi ciascun Saracino ;
E spezialmente que' del gran Soluano :
E viva Trivigante ed Apolllino ;
E sia distrutto ogni fedel Cristiano ;
E sopra tulli Orlando paladiuo,
E I superbo signor di Moutalbano,
Astolfo col Danese e Ulivieri,
E Carlo e Francia e tutti i cavalieri.
]M 0 l\ (; \ N T K M A Cx G I O R F.
Hinnldo non pol<' piti lnnl<» orpoplio
J«()irorir tJfl paj;an l»i'sliale e inaMo,
('.Ite par rlie pli alilii trovali tra 1' oplio.
Disse ad Orlando: Io vo'fare mi bel IrAtlo,
Oirio so pnnire i pazzi qiiaud' io V(>{!;lio :
Vedrem come a saltar cosini sia adallo,
E com' egli abbi la persona destra :
E 'n piazza lo gillò d" una Gneslra.
xc.yì
La novella al Soldan n'andò di volo:
Onde il Soldan si dtiol molto aspramente,
E minacciava appareccliiar Io sluol(>,
E la città assediar con molla gente.
"Veggendol la stia' figlia in lauto dnolo,
Diceva : La ragion ti r^co a mente.
Glie non dovea però il tuo barbassoro
Parlar come si dice in coneisloro.
xcvii
Per quel eli' io intendo, e' disse cose strane:
Se y^io'ì clie la 'mbasciata da Ina parte
Udita sia da le genti cristiane.
Non ti b^ogna altro messaggio o carte :
Lascia andar me, che con ]>arole umane
Dir») con miglior modo e miglior arte ;
E so eh' io tornerò con la risposta.
Donde il Soldan rispose : Va a tua posta.
XCVIIl
Qnesta fanciulla udito avea per fama
Rinaldo nominar molto in Sor-ia ;
E perchè le virtù mollo quella ama,
S'innamorò de la sua gagliardia.
Or s' alcun vuol saper come si chiama,
Quantunque il barbassor dello l'aria,
Repliclierem ch'ella avea nome Antea,
E tutte sue bellezze eran di Dea.
iiax
E parevan di Dafne i suoi crin d' oro ;
Ella pareva Venere nel volto :
Gli ocelli stelle eran de l'eterno coro;
Del naso avea a Giunon l' esempio tolto :
La bocca e i denti d' un celeste avoro :
E '1 mento tondo e fesso e ben raccolto :
La bianca gola, e 1' una e 1' altra spalla
Si crederla che tolto avesse a Palla:
E svelte e destre e spedita le braccia
Aveva lunga e candida la mana
Da potere sbarrar ben 1' arco a caccia,
Tanto che in questo somiglia Diana:
Dunqu» ogni cosa par che si coniacela:
Dunque non era questa donna umana:
Nel petto larga, quanto vuol misura,
Proserpina parea ne la cintura.
CI
E Dejopeja pareva ne' fianchi,
Da portare il turcasso e le quadrelle ;
Mostrava solo i pie piccoli e bianchi :
Pensa che l'altre parli anco eran belle.
Tanto, che nulla cosa a costei manchi :
A questo modo fatte son le stelle :
E vadinsi le ninfe a ripor ti»tte,
Che certo allato a quesita sarian bruite.
Avea certi atti dolci e certi risi,
Certi soavi e leggiadri costiinii
Da fare spalancar sei paradisi,
1'^ correr su jie' monti a l'erta i fiumi,
Da fare innamorar cento Narcisi,
Non che Gioseppe per lei si consumi ;
Parca ne' passi e I' abito Rachele :
Le sue parole eran zucchero e mele.
CHI
Era tutta cortese, era gentile,
Onesta, savia, pura e vergognosa,
Ne le promesse sue sempre virile :
Alcuna volta un poco disdegnosa
Con un atto magnalmo e signorile :
Ch' era di sangue e di cor generosa :
Eron tante virtù raccolte in lei,
Che più non è nel mondo o fra gli Dei.
civ
Sapeva tutte l'arti liberali:
Portava spesso il falcon pellegrino:
Feriva a caccia lioni e cinghiali :
Quando cavalca un pulito ronzino,
E correr noi facea, ma metter ali :
Da ogni man lo volgeva latino :
E nel voltar chi vedeva da parte,
Are' giuralo poi clie fussi Marl«.
cv
Questo cavallo al Soldan fu mandato,
Che gliel mandò l'Arcailo Almansore
Di Barberia, e in Arabia era nato ;
Né mai si vide il più bel corridore :
Il padre a questa T aveva donato.
Però che molto l'aveva nel core:
Tra falago e sdonniHO era il mantellu ; "
Né vedrà mai Sona slmile a quello.
evi
Egli avea tutte le fattezze pronte
Di buon cavai, come udirete appresso-;
Perchè nato non sia di Chiaramonle :
Picf^ola testa, e in bocca molto fesso:
Un occhio vivo, una rosetta in fronte.
Lunghe le nari, e '1 labbro arriccia spesso;
Corto l'orecchio, e lungo e forte il collo;
Leggier sì, eh' a la man non dava un crollo.
CVII
Ma ima cosa noi faceva brutto :
Ch'egli era largo tre palmi nel petto;
Corto di schiena, e ben quartato tutto ;
Grosse le gambe, e d'ogni cosa netto;
Corte le giunte, e'I pie largo, alto, asciutto;
E molto lieto e" grato ne l'aspetto;
Serra la coda, e anitrisce e raspa ;
Sempre le zampe palleggiava e inaspa.
CVIII
Il primo di che Antea volle provallo.
Fé' cosa in Babilonia in su la piazza,
Che fu troppo mirabil sanza fallo.
Quand' ella vide così buona razza,
E le virtù del possente cavallo,
Veiinegli voglia portar la corazza ;
E da quel tempo cominciò armarsi,
E in giostre e 'n lorniamenti a sprimentarsi.
iNl 0 I\ (; A N T E MAGGIO W E
Poi cominriò in liatta{:lia an<iare annata^
Come Caniniilla o la Pciilfsilfa :
E la sua .irmaiiiira era incantata,
Che nessun ferro tagliar ne potea :
Kra iu Damasro stata lavorata,
Fornita d oro, e piii clic "I Sol Iticea :
1- quandi ravalier" piostran con quella,
Tanti giltati avea fuor de i^ sella.
ex
Eran venuti di tulio Levante,
Di Persia, e di Fenicia, e de lo Egitto ;
E alcun cavalier famoso errante ;
Ognuno aveva abbattuto e sconiìtlo :
Nessim barun più gli veniva avante.
Che con la lancia non lo facci al gitto;
E nsino al ciel la fama risonava ;
E Babilluoa e '1 Soldan V adorava.
E maraviglia non è che l' adori,
Cir i>j;ui suo effetto pareva disino,
Al tutto de r uman rostimie fuori :
Massime là quel popol Saracino,
Ch'era già avvezzo a mille antichi errori,
Come si legge di Belo e di Nino :
Donde e' credevon cerio, che costei
Fussi nata del seme de gli Dei.
CXII
E' si potre' mille altre cose ancora
De le virtù di questa donAa dire;
Ma percir e' fugge il tempo, e cosi Torà,
La nostra storia ci convien seguire :
E se talvolta un bel canto innamora,
Pure alfin piace nuove cose udire :
Così direm nel bel cantar seguente,
Acciò che a tutti consoli la mente.
CA?hTO xyi
ARGOMENTO
^^©«H^
r iene a Rinaldo Anica^ perchè suo padre
I^.^ercdità delVAinostante chiede ;
Ainaldo adocchia le forme leggiadre
Di tal donzella, e più lume non vede.
Con tre campion delle contrarie, squadre
Anteo combatte, e un solo a lei non cede.
Rinaldo e Orlando, partito il Soldano,
Si trot'an ira i giganti a un caso strano.
•'>^t^^
O
gloriosa figlia di Davitle,
Ch' ogni emisperio allumi e 1 ciel fai bello.
Per cui salvate fur tante alme alflitte
Quel dì che ti disse Ave Gabriello ;
Insino a qui son nostre storie pitie
Col tuo color, tua arie e tuo pennello ;
Con la tua grazia abbiam passato il mezzo.;
Non lasciar la mia mente al buio e al rezzo.
Pareva a Anlea mill" anni di vedere
Rinaldo e Ulivieri e I conte Orlando,
E Ricciardetto si buon cavaliere,
E tutlavolla si viene assettando:
De la sua gente ordinava tre schiere
Forniti d° arme e di lancia e di brando ;
E dal Soldan facea la dipartita :
E finalmente in Persia ne fu ita.
Ili
Né prima giunse in su la piazza questa,
Ch'una lancia pigliò con gran fierezza :
Mosse il cavallo^ e poi la pose in resta,
Ruppela in terra con gran gentilezza;
E mentre che "1 cavai furia e tempesta,
Volselo in aria con tanta destrezza,
Che non lo volse mai sì destro Ettorre ;
E 1 popolo a furor là a veder corre.
IV
Rinaldo, che vedea da la finestra,
Maravigliossi troppo di quell'atlo,
E disse : Donna mai vidi sì destra.
Né cosa più mirabil eh* ella ha fallo :
Questa e pur d' ogni cosa la maestra.
Orlando ne pareva stupefallo:
E vanno tutti incontro a la donzella;
Ed evvi Luciana e Chiariella.
V
E giunti appresso a la gentil Pagana,
Ognun la salutò con grand" onore :
Ella rispose in lingua soriana
Cose, che tnlti infiammava nel core :
E in mezzo a Chiariella e Luciana
Menala fu nel palazzo maggiore,
E in una ricca sedia a seder posta :
Poi fece in questo modo la proposta.
M O 1\ (i A N T E IM A G (; 1 O II E
Quel primo Dio che fere e cielo e terra,
E la naliira e stelle e sole e luna,
Ed a stia posta V abisso apre e serra,
E fa, quando e' vuol 1" aria eliiara e bruna,
E ci»' è pietoso e {ì;ÌmsIo, e mai non erra,
fienchè ciascun por <^ridi a la fortuna ;
Salvi e manlenita il mio padre Soldano,
E 1 buuH Kinaldo e '1 Senalur romano,
VII
E Uliver, Ricciardetto e Terijìi,
E s' alcun c'è de la vostra brij;ata,
E Carlo imperadore e san Dionis;!'.
La ca»;ion eli' il Soldan m'ha qui mandala.
Non è per ricercar guerra o litigi ;
Ma credo 'ndoviniate la 'mbasciata :
Altro non vuol che quel che vuol ragione,
E conservar la sua giurisdizione.
vili
Questa città con 1' altre tutte quante
Dui corno qua di Persia e di Sorla,
E di tutto il paese di Levante,
Son sottoposte a nostra monarchia :
Però poi eh' egli è morto l'Amostante,
Ritorna al padre mio la signoria:
Questo si dice, e questo chiar'si mostra,
Che'n ogni modo questa terra è nostra.
IX
Né credo che voi siale in quest'errore
Di non sapere a cui ricade il regno :
Ma ogni cosa il roman senatore
Ha fatto per vendetta e per isdegno ;
Il quale ha tanta forza in nobii core.
Che fa de la ragion passare il segno :
E così fé' il Soldan (nota, Rinaldo)
Per isdegno anco lui di Marcovaldo.
X
Se voi volete lasciar la cittade
Sanza quislion, contento è il padre mio,
E ritornar ne le vostre contrade :
Se questo non farete, sia con Dio :
Noi proverem se taglian nostre spade,
E così da sua parte vi dich'io ;
E vengo a protestarvi nuova guerra,
Se non ci date libera la terra.
XI
Poche parole a chi m'intende basti;
E poi soggiunse: O misero Copardo,
O Chiariella mia, quanto fallasti!
O giudizio del ciel, tu vien sì tardo?
Ma licito ti sia; poi che cavasti,
Se ben col mio giudizio retto guardo,
Di luoghi tenebrosi, oscuri e bui
Sì gentil cavalier quanto è costui.
XII
E volsesi ad Orlando con un riso,
Con un atto benigno e con parole,
Cile si vedeva aperto il paradiso.
Che si fermò a udir la luna e '1 sole.
Ma Chiariella diventò nel viso
Del color de le mammole viole :
Così Copardo; e gli occhi giù abbassorno;
Che del peccalo lor si ricordorno.
_
vSogni più oltre Antea: Ciò ch'io vi ho detto,
sE quel die 'I jiadre mio da voi sol brama;
Or vi dirò quel eh' io serbo nel petto :
E questo il cavalier eli' ha tanta fama,
La (|ual già non asconde il suo cospetto?
Se' tu colui che lutto il mondo chiama
Il miglior paladin che abbassi lancia,
Onore e gloria di Carlo e di Francia ?
XIV
Se' tu, Rinaldo mio, famoso e bello ? yt^J
Se' tu colui che li stai in su quel monte?
Se' tu d' Orlando suo cugin fratello ?
Se' tu quel de le gesta di Chiarmonte ?
Se' tu colui che uccise Chiariello ?
Se' tu quel eh' ammazzasti Rrunamonte ?
Se' tu il nimico di Gan di Maganza ?
Se' tu colui eh' ogni altro al mondo avanza?
XV
Rinaldo sono, o gentil damigella,
Come tu conti, e di quel parentado.
Disse la dama : Di te si favella
Per tutto r universo 5 e ciò ni' è a grado;
Salvo eh' alcun te mancatore appella
Di gentilezza: eh' udito- hai dì rado
A imbasciador già mai far villania,
Coiiuinch' e' parli, o qualunque e' si sia.
XVI
Tu uccidesti il nostro imbasciadore ;
Io non vo' giudicar chi s'abbia il torto;
Se non che mi dispiace per tuo onore,
E per onor di me : poi eh' egli è morto,
Sendo mandato da sì gran signore.
Di far di lui vendetta mi conforto;
Né sanza giostra in drielo vo' tornarmi ;
Cosi ti sfido, e prenderai tue armi.
XVII
Se tu m'abbatti per tuo valimenlo,
Ogni cosa sia tuo che tu hai acquistato,
E so che "1 padre mio sarà contento :
Ma s' io t' arò del tuo cavai gittato.
Io vo' che i tuoi stendardi spieghi al vento,
E con tua gente in Francia sia tornalo ;
E che tu lasci in pace i nostri regni ;
E contro al padre mio mai più non vegni.
XVIII
Rinaldo disse a la donna famosa:
Percir io non paia né muto né sordo.
Ciò che tu liai detto nel petto ogni cosa
Drenlo scolpito ho. ch'io me ne ricordo:
Ma tu facesti a, la fine tal chiosa.
Che fa che d'ogni cosa siam d'accordo:
Non e' é più giusta cosa che la spada
A assolver nostra lite : e così vada.
Ma una grazia ppima lì domando,
Che con la spada al campo ci troviamo,
Così li priega il mio cugin Orlando,
Che insieme questo giorno dimoriamo,
Ch' io sento il cor ferito ; e non so quando
10 fussi da te preso, o con che amo;
11 terzo dì sopra il mio buon destriere
Verrò in sul campo armato a tuo piacere.
M O R (V A N T K M A C. C. I O l\ K
1
r
XX
Ri>pose a le parule presto Aniea ;
C.\o (Il a le piaci" a nif ronvii-n rhc piar(*ia.
ì\ nn*iilrr rl)e rosi pli rl-pomlra,
vS arci-se tutta qniiiila ne la faccia ;
Però eh' un fnen sul ilne cori ardea.
("urne anima }:eiitii presto s' allaccia !
< osi ferito è 1' uno e 1' iti tri» amante
Da quello strai che passa ogni adamante.
XXI
li romincioriio insieme a ripuanJarsi
Ojrnim |ii(i die 1* usato intento e fiso:
Rinjldo non potea di lei saziarsi ;
Né crede di' altro ben sia in n.iradiso :
E la fanciulla cominciò a pensarsi.
Che cosi liei già mai fossi Narciso :
Dovunque e' va, gli lenea drieto pli ocelli;
E par die fiamme Amor nel suo cor fiocciti.
E ordinossi un convito sì manne,
riie simil forse non fu ancor veduto.
Disfe Rinaldo al suo caro comparilo :
O Ulivier. qui liisojina il tuo aiuto :
Vadane Persia e ciò eh' io ci iiuadajjno :
Fa che tu abbi a tutto provvednlo ;
E vo' che di tua man serva costei
Per lo mio amor, com' io per te farei.
XXIII
E s" io ti fé* mai aeiitilezza alcuna
Di Forisena e di Meridiana,
Fa che qui cosa non manchi nessuna,
Da onorar questa gentil Pagana.
Disse Ulivier: Così va la fortuna:
Cercati d' altro amante, Luciana:
Da me sarai d' ogni cosa servilo :
Ed ordinò di subito il convito.
Fumo al convito le vivande tulle
Che si polevon dare in quel paese,
Con preziosi vin, confetti e frutte ;
Furonvi tutte le dame cortese
De la città ; né creder le più bruite :
E sempre di sua man servì il Marchese,
Massime Antea con molta riverenzia,
Di coppa, di coltello e di credeuzia.
XXV
Fatto il convito, vennon molli snonì,
Acciò che meno il giorno lor rincresca.
Trombe e trombette e nacchere e busoni,
Cemboli a staffa e cembanelie in tresca,
Corni, tambur, cornamuse e sveelioni,
E moli' altri stormenti a la moresca,
Liuti e arpe e chitarre e salteri,
Buffoni e giuochi e inCniti piaceri.
XXVI
Così passorno il giorno con gran festa.
Ma poi che 1 Sole in Granata s" accosta,
La gentil donna con voce modesta
Disse, eh' al tulio tornare è disposta.
Benché tal dipartenza gli è molesta,
Al gran Soldan ch'aspetta la risposta:
E 1 terzo di, come promesso avea,
Essere armata in sul campo dicea.
XX VII
Cosi la fesla ristette col ballo,
E dipartissi la donna famosa :
Itinaldo compagnia gli fé' a cavallo
Insino a presso ove il Soldan si posa:
E morir si credette sanza fallo,
Quaud' e' lasciò questa dama vezzosa:
E con fatica le lacrime tenne,
Iniln che juire a casa se ne venne,
XXVIII
Il Soldan domandò quel eh' avea fatto
La gentil figlia in Persia co'Cristiani :
Ella gli disse la convegna e '1 patto.
Che '1 terzo dì debb' essere a le mani;
E che sperava dare scaccomatto
Al buon Rinaldo con l'arme in su' piani,
E racquislar tolte le terre sue :
Donde il Soldan molto conlento fne.
Però che molto in costei si fidava.
Or ci convien tornare a dar conforto
A Rinaldo eh' a letto se n'andava,
E non pareva già vivo né morto;
Ma con sospiri Antea sua richiamava.
Dicendo: Lasso, tu m'hai fatto torto,
Avermi dato, e poi furato il core :
E detto questo, si dolea d'Amore.
XXX
Com' hai tu consentito die costei
M' abbi così rubato da me stesso,
E trasformato così tosto in lei.
Tanto che quel ch'io fui non son più des-o?
Ella se n'ha portati i pensier' miei :
Questo non è quel che tu m' hai promesso ;
E non ti gloriar, se col tuo arco
Per donna sì gentil m'hai preso al varco:
XXXI
Che non sarebbe ingannata Europia,
Non si sarebbe trasformalo in toro
Giove, e mutata la sua forma propia.
Né Ganimede rapilo al suo coro,
S' avessi visto sì leggiadra copia :
E non sarebbe Dafne un verde alloro,
Se Febo avessi veduto il dì Antea,
Che, innamorato, aspetta, pur dicea.
XXXII
Né fatto servo de' servi Damelo ;
Né tanto tempo Giacobbe fedele,
Che veggendo costei, come discreto,
Serviva per Antea, non per Rachele ;
Che col suo viso fari'a mansueto
Ogni aspro tigre arrabbiato e crudele;
Anzi farebbe il mar pietoso e i venti ;
E per vederla, fermi stare allenti.
XXXIII
E non arebbe Andromada Perseo
Combattuta col capo di Medusa;
E fatto un sasso diventar Fineo ;
Né fatto arebbe Ipolito mai scusa :
Né tanto Euridice chiesto Orfeo ;
O ver conversa in nn fonte Aretusa,
Se stata fussi Antea nel mondo allora.
Che de gli abissi l'anime innamora.
Il
y
M O R (i A N T E MAGGIORE
XXXIV
Non bisognava che Venere Iddca
Insegnasse a Ipòmene già come
(dittassi, mentre Atalanta correa,
(Ionie fussi passata innanzi il pome :
Nr nel suo Aconcio (".idippe scrivea, 9>^?
A'eggendo a questa il bil viso e le chiome;
li non sarebbe il convito turbato
Del pome, eh' a Parisse fu mandato,
XXXV
Che non Y arebbe giudicato a Venere :
Noi» bisognava far di ciò contesa ;
E Troja non saria conversa in cenere,
E tutta Grecia mossa a tanta impresa,
Vergendo nude queste membra tenere,
riie m'han sì il cor ferito e T alma incesa:
Né da sé sé per sé slesso diviso
Arebbe questa reggendo Narciso.
xxxvi
E non sarebbe Leandro d'Abido
Portato così misero e m.eschino,
Come tu sai, fra 1' onde già Cupido,
A pie de la sua donna dal delfino,
S'avesse Antea veduta, ond' io pur grido;
Né Polifemo in sul lito marino
Cliiamata Galatea con la zampogna,
Dolendosi che in grembo Ali a lei sogna.
xxxvii
Tu non aresli già, Teseo, menala
Ipolita, del regno già Amazzone ;
Tu non aresti Adriana lasciala
Su risoletta in tanta passione;
E non sarebbe Emilia repugnala ;
Alene per Arcila e Paiamone ;
Né Piramo già morlo, e mille amanti,
Ch'or sare' lungo a coniar tutti quanti;
xxxvin
Se fussi al secol lor vivuta questa,
Cli' io pur non vidi mai più bella figlia,
S io guardo ben la refulgente testa,
E 1 capo suo che Venere simiglia.
La faccia pulcra, angelica e modesta,
1 duo begli occhi e l'archeggiale ciglia,
E gli atti e le parole sì soave,
Cile mi parea sentir proprio dir Ave.
xxxix
Ben puoi tu, crudo, per lei saettarmi :
Ben puoi di me vittoria avere. Amore ;
Che pensi tu, ch'io apparecchi l'armi
Per passar con la lancia a questa il core.
Che può ferirmi a sua posta e sanarmi,
Come Pelléo ? non già tu, traditore,
Queste parole e molle altre dicea ;
Ma finalmente richiamava Antéa.
Dove se' tu ? perchè m" Iiai qui lasciato?
Non potesti star meco solo un giorno ?
Cl)e pensi tu, clie al campo io venga armato ?
Aspetta tanto ch'io chiami col corno:
Tu ni' hai già preso per modo e legalo,
Ch'ornai piti in Francia al mio signor non torno,
Ne posso in Babiilona anco star leco,
Né poi eh' io vidi te, più star con meco.
Che debbo far? dove sarà il mio regno?
Dove starà il mio cor così soletto ?
Orlando, ch'avea fatto alcun disegno,
La manina trovò Rinaldo a letto,
E Ulisse a queste parole lo 'ngegno.
Disse : Cugino, aresli tu difetto ?
Rinaldo il volea far pur cornamusa: ■ >■
D' un certo sogno, e trovava sua scusa.
XMI
Ri'ipose Orlando: Noi sarem que' frali,
Clie mangiando il migliaccio, 1' un si cosse,
L'altro gli vide gli occhi imbambolati,
E domandò quel che la cagion fosse ;
Colui rispose : Noi siam due restati
A mensa, e gli altri sono or per le fosse :
Cile trentatrè già fummo, e tu lo sai :
Quand' io vi penso, io piango sempreraai.
XLIII
Quell'altro, che vedea che lo 'ngannava,
Finse di pianger mostrando dolore,
E disse a quel che di ciò domandava :
E anco io piango , anzi mi scoppia il core,
Che noi siam due restali ; e sospirava ;
lEd é già l'uno a l'altro traditore:
Così mi par che facciam noi, Rinaldo;
Che noi di' tu, che 1 migliaccio era caldo?
XLIV
Ma questo è altro caldo veramente.
Rinaldo si volea pur ricoprire:
Per Dio, cugin, eh' i'^sognavo al presente
Ch' un gran lion mi veniva assalire ;
Ond' io gridavo e chiamavo altra gente ;
E con Frusberla il volevo ferire :
Forse che in sogno parlai p§r ventura :
Tu mi destasti in su questa paura.
XLV
Dond" io li son, ti prometto, obbligato ;
Però che' i' ero tanto impaurito.
Che mi par esser di bocca cavato
A r animai che m' aveva assalito.
Rispose Orlando : Ahi cugino impazzalo I
Or fus^5e sogno quel eh' i" ho udito :
Più su sta mona luna, fratel mio; ,»,
Guarda se in sogno dicevi com' io.
XLVI
O vaga Antea, cbe ti feci io già mai?
Dove m' hai tu lasciato ? ove é la fede ?
Dove se' ora, e quando tornerai?
E non arai tu mai di me mercede,
Che t" ho pur dato il cuor, come tu sai,
Che son tuo àervo pur, come Amor vede ;
Che tante volle di me domandasti :
■>Se' tu colui, che tu m'innamorasti ?(.'^j
XLVII
■ Tu se' colei eh' ogni altra bella avanza ;
Tu se' dì nobiltà ricco tesoro:
Tu se' colei che mi dai sol baldanza ;
Tu se' la luce de lo eterno coro:
Tu se' colei che m hai dato speranza :
Tu se' colei per eh' io sol vivo e moro:
Tu se' fontana d' ogni leggiadria:
Tu se '1 mio cor, tu se' 1' anima mia.
MORGAN T K M A G G I O K E
XI. VI II
Né mira, rnjin mio, pnr rhr tu JOgnì,
Non rrnlcr da me In voler relarli :
IV'ii.xa vì\ ini allrt) Iruvar ti l»isoa;ni :
l>iin(|iii' In vi«Mii in Persia a innamorarti
U' nna Pa'^ana 1 or fa clic li vrrfrogni :
cui', ([neslo è poco mcn tlie sbattezzarti:
Se' In sì ile la mente latto cicco ?
Guarda che Cristo non s' adiri teco.
Ove è, Rinaldo, la tua gagliardia ?
Ove, Hinaldo, il tuo sommo potere?
Ov'è, Hinaldo, il tno senno di pria?
Ov" è, Rinaldo, il tno antivetlere?
Ov'è, Rinaldo, la Ina fantasia?
Ov'è, Rinaldo, l'arme e "1 tno destriere?
Ov'è, Rinaldo, la Ina gloria e fama?
Ov' è, Rinaldo, il Ino core ? a la dama.
L
Parli che '1 tempo sia conforme a qnesto?
Parti clie'l tempo sia da innamorarsi?
Parti che "1 tempo sia qni Inngo o presto?
Parti che "I tempo sia dover piò starsi ?
Parti che I tempo sia lranf|iiillo o infesto?
Parti che "1 tempo sia da motteggiarsi ?
Parli che 1 tempo sia da dama o lancia ?
Parli che '1 tempo sia d'andarne in Francia?
i-i
A questo modo il regno in pace aremo ?
A questo modo acquisterai corona ?
A questo modo Antea giù abbatteremo ?
A qnesto modo andrem poi in Eabillona ?
A questo modo la fede alzeremo ?
A questo modo or di te si ragiona ?
A questo modo se' fatto discreto?
Misero a me, eh' io non sarò mai lieto.
LII
Lascia questo pensier sì stolto e vano:
Comincia a rassettar la tua armadura;
Che questo nostro Cristo e partigiano
Non so come comporta tua natura :
Vedi ch'addosso ti viene il Soldano;
E se tu abbatti Antea per tua ventura,
Che questo regno e tutte sue contrade
Sicuro abbiam sanza operar più spade.
LUI
Quando Rinaldo si vide scoperto,
E non potè celar quel eh' è palese,
Rispose sospirando : Io veggo certo,
Che queste al nostro Dio son gravi offese,
E molla punizion come dimerlo:
Ma se quel Giove Dio non si difese
Di questo ^|nor, né "1 bellicoso Marte,
Che vai qui la mia forza, ingegno o arte?
LIV
Io voglio al campo andar, ch'io l'ho promesso,
E porterò la lancia e '1 brando cinto;
Ma come potrei io ferir me stesso,
O vincer mai colei che m'ha già vinto ?
Io ho la mente cieca, io tei confesso ;
E anche il mio signor ^eco è dipinto:
E guida a questa volta il cieco V orbo :
Dun(jue lu bussi a formica di sorbo.
Io non posso voler, perch'io non voglio,
Lasciar costei: dunqui- io non voglio o posso:
Io non son più il cugin tiu), roni'io ^oglit».
Però che (jnesto è mal che sta ne Tosso:
E s' io sap^•s^i pittar questo scoglio,
Sarebbe Salamon stato un nom grosso,
Aristotile e Socrate e Pl.ilone :
Dunque, fratel, non ne faccialo rjui^tione ;
i.vi
Ch' Io non vo' dispular d' astrologia
(^on quel che non sa ancor < he co«>a è stella:
Io non vo' dispular di cerusia
Con chi sempre ara o ntacina o martella:
Io non vo' disputar quel eli" amor sia
Con un che sol conosce Alda la bella :
Ma pricgo Amor « he qualche ingegno trovi.
Acciò che tu mi creda, e che tu 1 provi.
I.VII
Rimase Orlando tutto spennacchialo,
Quando e'senll quel che'l cugino ha detto,
Perchè conobbe ch" egli era ostinato :
A Ulivier n" andava e Ricciardetto,
E disse : Il nostro Rinaldo è già armato,
Ch'aspetta a la battaglia Antea nel letto:
E raccontò ciò ch'egli avea sentito;
Donde ciascun di lor n' è sbigottito.
I-VIII
Ma l/iKier con Orlando dicea:
Io gli ho a cantar poi il vespro, s'io mi cruccio:
Deh taci, Orlando tosto rispondea.
Che li direbbe: Nettati il cappuccio:
A me eh' ignuno error di ciò sapea,
M' ha rimandato in drielo come un cuccio.
Chi vi cercassi trito a falde a falde.
Né r un né 1' altro è farina da cialde.
LIX
Vo' che tn corra, come fé' a furore
Quella badessa, e lievi il romor grande,
Che volle tor la cuffia, e per errore
Si misse de 1' abate le mutande :
Perché la monacella peccatore
Disse: Madonna, il capo vi si spande:
La cuffia prima un poco v'acconciale:
Dond' ella si tornò al suo santo abate.
LX
Qui si bisogna provvedere a noi,
E che noi andiam domani al campo armati:
Io sarò il primo, e poi sarete voi.
Che con Antea ci saremo sfidali :
Io so ch'io r uccidrò ; sia che vuol poi:
Se noi sarem dal Soldano assaltati,
Difendereraci : e Dio ci aiuteràe :
Né più la dama il mio cugino aràe.
LXI
Ma forse altri pensier potrebbe avere,
Se la fortuna o il peccato volessi
Ch'ella m'abbatta in terra del destriere,
Bench' io mi credo che se ne ridessi.
Ma Cristo mi darà forza e potere,
E con sua man nii sosterrà lui stessi :
E lascerem Rinaldo a riposarsi
Nel letto, insin che potrebbe destare.
22 7
M O 1\ ( i A N T K AI A G G 1 0 R K
Ulivier non rispose nulla a questo]
r, du'ciinila a cavallo ordinorno :
1/ altra mattina o}>;nnn s'armava presto:
Verso ile V oste del Soldan n' andorno ;
Così Rinaldo sanza esser ricliiesto ;
K disse al Conte: Sonerai tu il corno;
(",hè sai che poco il sonarlo è mia arte,
V. chiama al campo Anlea da la mia parte.
I.XIU
Ah, disse Orlando, tu non di' davvero :
Io lo farò come persona sciocca,
Che di piacerli ho troppo desidero :
E l'alifanle si poneva a bocca:
E sonò tanto forte e tanto altero,
Che come il suon del corno fuori scocca,
Subito venne a gli orecchi d' Antea,
Che fra sé stessa gran dolor n' avea.
LXIV
Dicendo: Io ho qui perduta ogni fama:
Parrà che per viltà nel padiglione
Mi slessi addormentala: e Tarme chiama,
E finalmente saltò in su l'arcione.
Quando Rinaldo scorgeva la dama,
Par che sia tratto il cappello al falcone ;
E tutto si rassetta in su la sella;
E in qua e in là con Baiardo saltella.
LXV
Giunta costei, con un gentil saluto
Lo salutò, che in mezzo il cor gli passa ;
Poi fece con Orlando il suo dovuto :
Orlando per dolor giù gli occhi abbassa.
Disse la dama: E' vi sarà paruto
Ch' io sia molto per certo pigra o lassa.
Che sto nel letto, e voi siete a aspettarmi:
Veggo che 1' arte è pur vostra de 1' armi.
LXVI
Prendi del campo tu, Rinaldo mio.
Che so che tu m'aspetti a la battaglia;
E ciò eh' io ti promissi, pel mio Dio
Osserverotli sanza mancar maglia.
Dicea Rinaldo : A combatter vengh io :
Ma vorrei far con arme che non taglia;
Volse il cavallo, e così la fanciulla.
Disse yiivieri : E' non ne sarà nulla.
LXVII
E parvegli eh' Antea se ne ridesse,
Quand' ella volse il cavallo arabesco.
Vòlto Rinaldo, 1' aste in resta messe,
E con Baiardo fé del barberesco :
Ma come e par eh' a la dama s' appresse,
Un bello scudo eh' aveva moresco
Subito drieto a le spalle giltava ;
E gitta via la lancia che portava.
LXVIII
Veggendo questo Anlea eh' era gentile,
Subito anch' ella lo scudo volgea.
Per non parer né villana né vile.
Orlando troppo di ciò si dolca,
E dice ; L' esca riscalda il fucile :
Maladelta sia tu per certo, Antea :
Or vedi, Ricciardetto, ove noi siamo :
Qui si convien che 1' arme adoperiamo.
Che (|uando vidi Antea sì larglii patti
Far, se Itinaido la vinceva in giostra ;
Io dissi : Or sono acconci i nostri fatti :
A salvamento ornai la terra è nostra ;
Ora ho temenza alfin non siam disfatti,
Poi che tanta pazzia Rinaldo nu)stra :
Parmi eh' uscito sia de lo intelletto :
E così a me, diceva Ricciardetto.
i.xx
Accostasi a Rinaldo Orlando allora,
E disse : Dimmi, dove hai tu apparata
(Giostrar così, ch'io noi sapevo ancora?
E mollo caro ho tu m'abbi insegnato:
Veggo che '1 foco drento ben lavora,
E 'n questo di riman vituperato.
Disse la dama : Così vuole Amore :
Prendi del campo tu, gentil signore.
r.xxi
Allor comincia Ulivieri a pregare :
Per grazia, car' cognato, ti domando
Che tu mi lasci con questa provare.
Io son contento, rispondeva Orlando :
Non che pregarmi, tu puoi comandare.
Ulivier venne il suo deslrier voltando,
E quanto gli parca del campo prese :
Cosi la donna, e volsesi al Marchese.
LXXII
Piiscontrò Ulivier la damigella,
E ruppe la sua lancia, e non la mosse.
Né piegò pure un dito in su la sella ;
Ma in su lo scudo in modo lui percosse,
Che cadde per virtù de la donzella,
E bisognóe che prigion suo fosse :
E Ricciardetto gli fé' compagnia,
J Acciò che gì' increscessi men la via.
LXXIU
E "nverso il padiglion forno avviali.
Rinaldo si ridea del suo fratello:
Orlando gli dicea: Pe' tuoi peccati
Credi tu abbi perduto il cervello ;
Ma qne' che son di sopra coronali,
Ben ti serbano a tempo il tuo flagello.
Rinaldo, eh' avea il cor dato in diposilo,
Non rispondeva ad Orlando a proposito.
LXXIV
Per la qual cosa Orlando è insuperbito,
E disse : lo giuro pel nostro Gesù,
Che se 1 peccato tuo non é punito
In qualche modo, io piglierò virtù
Di levarti da' giuoco e da partito.
Che con Anlea non giostrerai più tu ;
Ch' io gli darò la morte in tua presenzia
Per darti parte di tua penìtenzia.
LXXV
E disse: Antea, se vuoi, piglia del" campo.
Che fìa cagion del tuo morir Rinaldo ;
Ch' io ti farò sentir, s' io non inciampo.
D'altro per certo che d'amor pur caldo. T
Disse la dama : Nou e' è ignuno scamjvo :
Se iussi, Orlando, più che muro saldo, 7;
Io ti farò cader per tuo dispetto :
Così ti slido, e così ti prometto.
M O K G A N I' K M A G (V I O l\ K
Orlando con grami' ira il tlrslrltr v()l>c,
K va sliiiiraiiilo, che j>arcva un toro ;
r.«>sì del rampo la ianriidla tolsiN
Poi >i voltò, elle non f«'' i};iimi dimoro ;
Sopra io }.(inlo del linou Con le colse.
Credendo dari;li il sui» sezzo marloro :
Ruppe 1.! lancia, e non si mosse il muro,
Come avea dello ; tanto è forte e duro.
I.XXVll
Maravi{i;liossi di questo la dama,
K disse : Io ero in mi pensiero strano
T)' ahhatter un tal uom cii' ita tanta fama.
Orlando auro \ól lancia ruppe in vano.
Perché lo scudo è incantato e la lama:
Dunque le spade pigliavano in mano,
K cominciorno la battaj^lia insieme
Per modo, che d' Antea Rinaldo teme.
LXXVIU
Are' voluto, Ijmto è innamorato,
Del suo cujjin veder la terra rossa :
K come Orlando il colpo aveva dato,
(ili rimbombava nel cuor la percossa,
K par che "I pelto j!;li resti intronalo.
Come avviene a V infermo per la tossa ;
E opni volta con Cristo si cruccia,
E dice r orazion de la bertuccia4
I.XXIX
Alcuna volta che Anlea superava
Un j)oco Orlando, egli arebbe voluto
Cli' ella il gittassi in terra, e sospirava
Con le sue proprie man porgergli aiuto:
Guarda costui quanto Amor lo sgannava !
Ch' era di poco di Francia venuto
Con tanta impresa a trarlo di prigione,
Ed or chiedea la sua distruzione.
i.xxx
Or basti questo esemplo a chi m' intende.
Orlando con Anlea rnirabii j»rnova
Facea col brando, e costei si difende,
Però che V arme sua fatata truova,
E spesso a lui simir derrate rende ;
Ma sopra 1' arme sua poco ancor giova,
Però eh' Orlando tale avea armadura.
Che regge a tutte botte, in modo è dura.
LXXXI
Durò tutto quel giorno la battaglia,
Sanza avanzar V un V altro di niente.
Da poi che 1' arme non si rompe o taglia.
Era già il Sol caduto in occidente ;
E non restando la fiera puntaglia.
Orlando disse a la dama piacente :
Credo che teuipo da ritrarsi sia,
E lacendo altro, sare' villania.
LXXXII
Non ce vergogna, che non c'è vantaggio;
Per istasera la guerra è finita.
Disse la donna: Io ho per grande oltragiiio,
Ch'io non t' ho fatto qui lasciar la vita:
Ora a tua posta vanne a tuo viaggio.
E COSI fecion del rampo parlila,
E ritornossi Orlando al suo stazzone,
E la fanciulla al padre al padiglione.
LXXXIII
E fr.i tre dì |>roitiisson ritornare
A la battaglia, e far quel eh' «'; usanza.
Or altra storia ci ronvien trattare.
Cercalo il moiidr) avea Cian di Maganz.i,
Coni' e' potessi Rinaldo trovare :
Ma dove fossi non avea certanza :
Al caiiq)o capitò dove è il Snidano,
E dettesi a conosier ch'era (Ja.io.
I.XXXIV
E disse che di corte era sbandito,
E dava tulle a Rinaldo le colpe ;
E che pel mondo alcun tempo era gito
l*er fargli al fin lasciar l'ossa e le p4)lpe.
Avea il Soldan di Gan mollo sentito
Coni' egli è malizioso più che volj)e,
E più che Giuda tristo e traditore :
E quanto più polca, gli fece onore.
i.xxxv
E raccontò di Persia com'era ilo
Il fatto, e come Orlando 1' avea presa,
E Chiariclla il padre avea tradito,
E per questo mossa ha tale impresa;
Però che '1 regno a Ini è stabilito,
Ma noi può racquistar sanza contesa ;
Ma tanto tempo è disposto far guerra,
Che torrà loro e la vita e la terra.
LXXXVI
E disse come al campo era venuto
Rinaldo e Ulivieri e '1 conte Orlandc»,
E come Ricciardetto era caduto,
Ed Ulivier sanza operare il brando ;
E la sua figlia l'aveva abbattuto;
E com'egli ha i prigioni a suo comando:
Ebbe di questo Gan molta letizia,
E coitiinciò a pensar tosto a malizia.
LXXXVII
E dopo molto gran ragionamento
Dicea : Soldano, intendi il mio consiglio:
Combatter con Orlando è fummo al vento,
E' darà alfine a' tuoi prigion' di piglio :
Io cercherei d'avergli a salvamento,
Acciò che non ti fugghin de 1' artiglio,
E non farei in su' campi più dimoro;
Ma in Babillona me n' andrei con loro.
Lxxxvin
So che Rinaldo tanto ama il fratello,
E così Orlando il cognato Ulivieri,
Che ciò che tu vorrai, l'arai da quello.
Pur che tu renda lor questi guerrieri :
Io darei presto al vento il mio drappello,
Che non riusciranno qui i pensieri :
E tanto seppe il Soldan confortare.
Che s' accordava il suo campo levare.
LXXXIX
Rinaldo con Orlando era tornato
In Persia, e fatta gran disputazione r
Orlando s'era con lui riscaldalo:
Io credo che tu slavi in orazione,
Ch' io fossi da colei preso e legalo :
E quando bene a la Ina intenzione
Non riusciva il disegno o V archimia^
Dicevi il paternostro de la scimia: -
M O R G A N T E IM A (i (; I O 1\ i:
Vj Torse che di fiiu'sto era int^ovino.
Così la sera a ]»o>ar se n' andoriio,
Riiiibrottanflosi insicmo col ciij;im>.
Jiìiialdu si levò come fu giorno :
A'ide levalo il campo Saracino
Da un balcon dontl' e' vedea dintorno:
Maravi|>;liossi, e gran dolor n' avea ;
Cltè riveder mai più non crede Anlea.
xci
Non si ricorda ^\à di Ricciardetto,
Non si ricorda die Ulivieri è preso,
Ch'ep,li soleva amar con tanto alTelto,
Tanto il foco di amor drenlo era acceso:
Al conte Orlando presto andava al letto,
E disse : Hai tu del nuovo caso inteso ?
Dal mio balcon testé guardando il piano.
Veggo che il campo ha levalo il Soldano.
XCII
Ab, disse Orlando, come esser può questo?
Come può farlo altro che solo Dio,
Che sia di qui partilo così presto?
O Ulivieri, o Ricciardetto mio.
Forse che avvolto avete ora il capresto :
Or se' conlento, ciigin pazzo e rio :
Or si vendicherà il Soldan de' torli :
Io ne farò vendetta, se gli ha morti.
xeni
Qui si bisogna subilo riparo,
E tempo non è più d essere amante:
E finalmente d' accordo ordinaro,
Che Chiariella sposassi Balante,
■ E 1 regno a questi a governo lasciare :
E Luciana col suo Balugante
A Saragozza a Marsilio tornassino,
E per lor parte assai lo ringraziassino.
xciv
E ben conobbe Luciana, e vede
Ch'ai suo Rinaldo era uScila del core :
Contenta si parti come ognun crede,
E disse fra sé slessa : Ingrato Amore,
E questo il merlo di mia tanta fede ?
Così va chi si fida in amadore :
E ritornossi assai dogliosa al padre
Con Balugante e con le loro squadre.
xcv
Ordinato la terra, si partirò
Rinaldo, Orlando e U suo caro scudiere,
E per diverse vie cercando giro.
Dove sien del Soldan le sue bandiere:
Una mattina in un bosco apparirò,
Dove s' andava per istran sentiere
Per ispelonche e per burroni e balze,
Dove vanno le capre appena scalze.
xcvi
E come fumo in mezzo del deserto,
Cinque giganti trovorno assassini,
Che tutto quel paese avìen diserto,
Tanlo che presso non v' è più vicini:
In una grolla in un luogo coperto
Si riducevan come malandrini,
E una damigella avien con loro
Tutta angosciosa, e con assai martore.
xr.vii
Al re Ooslanzo 1" avevon rubata,
Ch' era signor de la Bellamarina :
In (luesla grolla T avevon legata,
E molto la sua vita era mes<-lìina :
K come giunse la nostra brigata,
L' un de' giganti a Rinaldo cammina,
I'^ in ogni modo Baiardo volea,
E minacciaval, se non ne scendea ;
XCVIll
E dice : Tu potrai poi starti meco,
E mcnerotti per queste contrade:
Aiuterami arrecar ciò eh' io reco,
Che ogni giorno rubiam queste strade.
Disse Rinaldo : Dunque starò teco.
Se drieto ti verrò per le masnade ?
Tu mi par poco ])ralico, gigante ;
Cir io non son uom da star teco per fante.
xcix
E detto questo, Baiardo scostava ;
Poi con gli sproni in su' fianchi ferillo
In modo, che tre lanci egli spiccava,
Che gozzivaio non parca né grillo:
La lancia abbassa, e 1 gigante trovava :
In mezzo il petto col ferro ferillo,
E passò il cuore al gigante gagliardo.
Ed anco d' urto gli die con Baiardo.
e
Un di quegli altri ad Orlando s' accosta,
E 'n su r elmetto gli die si gran picchio.
Che se non fussi che 1' arme fé' sosta,
E' gli levava del capo uno spicchio.
Non si potè riavere a sua posta
Orlando, che pel duol si fece un nicchio,
E tramortito par che giù cascasse;
Ma il fer gigante di sella lo trasse,
CI
E portello di peso un mezzo mìglio
Per gittarlo in un luogo fuor di strada.
Orlando ritornò nel suo consiglio :
Videsi preso ; e pigliava la spada,
E ficcolla al gigante in mezzo al ciglio,
Tanlo che morie cenvien che giù vada ;
Che per l'orecchio riuscì dal lato,
Sì che pel colpo il gigante è cascale.
cu
Terigi sempre 1' aveva seguite.
Or ritorniamo a Rinaldo, che resta
Ne la battaglia da gli altri assalilo.
Che forse al fin gli rompevan la lesta,
Se non fussi "il cavai eh' è tanto ardito.
Che morde e trae, e facea gran tempesta;
Tanto che gnun non si vuole accostare;
Donde un gigante cominciò a parlare :
CUI
Chi tu ti sia, cristiane o Saracino,
Tu mi par uom da far poco guadagno :
Per mio consiglio piglia il tuo cammino:
Che questo tuo destrieri è buon compagno.
Rinaldo s' avviava: e Vegliantino
Cercato ha tanlo del suo signor magno.
Che lo trovava, e su rimonta Orlando,
E molto di Rinaldo andò cercando.
MOI\(V/VNTK MA (.e. MMX K
1^ RìnaMo <li Ini rerrava aurora :
Non si Irovorno, die smarriti sono:
De la fureria rerrano iisrir ftiora.
Drlando senlc |M*r la selva un suono:
Ecco apparir quella fanciulla allora,
Cile s' in^^inorciii.! r ilomaniia perdono,
E disse c-c»nie ella fnssi «rampata
Menlre ch'egli era la zoiVa appircala,
cv
E rlie eli dessi ed aiuto e conforto.
Orlando di Rinaldo sno domanda.
Disse la cJama : Io so die non è morto;
Ma dove e' gissi, non so da qual liand.i :
Andiam cercando per Dio qnaldie porto.
Allora Orlando a Dio si raccomanda :
E cavalcorno il giorno e poi la notte
Seuipre per balzi e per fossati e grotte.
evi
Rinaldo nsci,to al giorno d' nn burrone,
Comincia del dimestico a trovare :
Triiova nn paslor che in su 'n un capperone
r.erle vivande sue volea mangiare,
E fece insiem con lui colezione :
Mangiato, cominciossi addormentare.
Perchè la notte non avea dormito,
E dal pastor si trovò poi tradito.
e VII
Questo pastor sopra Baiardo arranca,
Come \ ide Rinaldo addormentato :
Vede Rinaldo che "1 deslrier gli manca.
Che si desici perch"" egli avea sognato,
Cir un ^ran lion 1" avea preso per V anca ;
E disse ; Or sono io ben male arrivato:
E '1 me' che può soletto ne va a piede,
Perchè Baiardo e '1 paslor non rivede.
ovili
Questo pastor n'andò a una città,
Dove il Soldan teneva il suo tesoro :
Il mastro giuslizier, che quivi sta,
Vide il cavallo a quell'uom grosso e soro,
E quel che ne volea domandato ha :
Costui chiedea trecento dobhle doro;
Onde e' rispose: Io vo' veder provallo:
E quel pastor di spron dette al cavallo.
cts
Baiardo conosceva a chi egli è sotto :
Subitamente prese in aria un salto :
Onde il paslor che a 1* arie non è dolio,
Si ritrovò di fallo in su lo smalto,
E del petto due costole s'ha rollo.
Il giustizier che 1 vide levar allo.
Disse al paslor: Questo è pel tuo peccato;
Ch'io so che questo cavallo hai imbolalo:
ex
_Eoi gli fece i danari ann^verarf^
Or ritorniamo a Rinaldo, eh" andava
Sanza veder dov' egli abbi arrivare,
E Ricciardetto e Ulivier chiamava:
A questo modo vi vengo aiutare 1
Quando d' Orlando si rammaricava :
Dove lascialo t" ho, cugin mio buono.
Nel bosco, ed io dove arrivalo sono?
O Carlo ^Maglio, ben «arai ronlrnlo :
O Oanrilon, heiu- arai all«-gre/^a :
<• Chiaramontr, il tuo rigoulio «• spelilo:
O Moutallian, tu 1ornrr:ii in bassezza :
(> loion r.nic ciardit, dove è il tuo .irdiniento?
O donn.i iiii.i, dov* i- tua gentilezza ?
O raro Asltdfo mio, come farai ?
Omè Rinaldo, che via piglierai ?
CXII
E crt<-ì lamentando capitile
A Baliillona per molte contrade:
EssiMido presso, un P.igan risconlrc'ie;
E domandollo di quella citladr:
Onde il Pagan ridendo lo befTiie,
Quando lo vide cosi in poverlade :
Tu bai gli spron', dicea, dov'èl ronzino?
Tu "1 debbi aver giucalo pel cammino.
exiii
Donde Rinaldo s" adirò con quello;
Disse: Per Dio, tu pagherai lo scollo:
Prese la briglia e r<diii pel mantello,
E disse: Io vol'alfana che tu hai sollo ;
E serba tu gli spron", ribaldo e fri lo :
Poi trasse fuor Frusberta e non fé' mollo ;
E ditlegli un rovescio a la francesca,
Che lo tagliò pel mezzo a la turchesca.
cxiv
Morlo costui, innanzi gli venia
l'n allro che parea buona persona.
Disse Rinaldo : Dimmi in cortesia,
Questa città com' ella si ragiona?
Colui ri'pose sanza villania :
Sappi che questa è la gran Babillona ;
E Rabillona si chiama maggiore;
E 1 Soldan de 1' Amecche n' è signore.
cxv
Ed ecci lina figliuola del Soldano,
Che molto afflitta mena la sua vita ;
Ed èssi innamorala d' un Cristiano,
E duolsi che noi vide a la partita;
Sento eh" egli è non so che Monlalbano ;
Tant' è che per lui par tutta smarrita;
E tutta solitaria è fatta questa.
Che solca la città tener già in festa.
cxvi
Or io t'ho dello più che non domandi:
S" allro tu vuoi da me, chiedi tu stesso,
Ch' io "1 farò volentier, pur che comandi.
Che certo un «oni gentil mi par' da presso.
Disse Rinaldo : Troppo me ne mandi
Contento, se 1 tuo nome mi di* adesso.
Dicea il Pagan : Sia fatto e volentieri
Ciò che tu vuoi ; chiamato son Gualtieri ;
cx^^I
E se ti piace, io vo' teco venire
Dove tu vai, ch* io son uom poverello ;
ISon ho faccenda o roba da partire;
E d'esserti fedel giuro e prometto.
Quando Rinaldo cosi ode dire.
Disse: Gualtier per buon frale! t" accetto ;
Come ne l'altro dir vi sarà porlo.
Cristo vi guardi, e dia pace e conforto.
INI O R ( ; A N T E M A ( , Cx I O I\ K
CANTO XVII
li II r-
ARGOMENTO
►}^^®<l^
E<
I eco Rinaldo a Bahìllona, ed ecco
Gano attorno al Saldano^ acciò disperso
/lesti Rinaldo da quel f^eglio bcccOy
Che SII in montagna la suona a trai'Crso.
Gano modella poi con altro stecco,
E contro Montalban V ira ha converso ;
/Iniea V assedia, allor ch^altrove Orlando
La figlia al re Falcon sta liberando.
-^^®i-^
V.
ergine innanzi al parto e ora e sempre,
Vergine pura, Vergine beata.
Vergine che"! tuo figlio in ciel contempre,
Vergine degna, Vergine sacrata.
Vergine eh' ogni cosa guidi e ten\pre,
Vergine con Gesù nostra avvocata,
Vergine piena di grazia e di gloria,
Vergine eterna, aiuta la mia istoria.
II
Sappi, eh' io' son cohii per cui sospira
Ne la città la figlia del Soldano ;
Ma la fortuna che sue rote gira,
M' ha qui condotto con gli sproni in mano,
E di me fatto il berzaglio e la mira:
Or pur torraì quest' alfana, Pagano,
Che 1 mio cavallo ho perduto Baiardo,
E '1 mio cugin che mai fu più il gagliardo.
Ili
Ne la città n'andrai subilo a quella:
Di' che Rinaldo in sul campo 1' aspetta
A la battaglia, armato non in sella,
Che vuol de' suoi prigion' far la vendetta :
Vedrai die gli parrà buona novella.
Guallier sopra 1' alfana si rassetta,
E presto in Babillona andava a Anlea,
E quel eh' ha detto Rinaldo, dicea.
IV
Diceva Antea : Può farlo la fortuna,
Che sia Rinaldo, e sia così soletto
Sanza cavallo o compagnia nessuna !
E corse a Ulivieri e Ricciardetto,
E disse : Or non temete cosa alcuna ;
Perchè sapea che vivon con sospetto ;
E quanto più potea gli confortava;
Che per amor di Rinaldo gli amava.
E Ricciardetto avea trattato in modo,
Che mai nessun disagio comportóe ^
Tanto la strigne 1' amoroso nodo;
Poi fatto questo al Soldan se n' andóe :
"Voi non sapete, disse, quel eh' io odo :
Però quel eli' ho sentilo, vi diróe :
Rinaldo fuor m' aspetta de le mura,
A pie, soletto, sol con 1' armadura.
VI
Il Soldan disse : Molto strano è il caso,
Ch'un cavalier di tanta nominanza
Così sanza cavai sia sol rimaso ;
E disse: Glie di' tu, Gan di Maganza,
Che se' d' ogni scienzia e virtù vaso ?
Sai che Rinaldo ha pur molta possanza;
Né la fortuna ritentar vorrei :
Per tanto il tuo consiglio caro arei.
VII
Forse che Gano ebbe a pensare questo,
Ch' avea di tradinienti pieno il seno ;
E la risposta apparecchiata ha presto.
Disse : Soldan, s' a mio modo fareno,
Non metterem così in un tratto il resto,
Ma minor posta ch'Antea mellereno :
Se Rinaldo ama la donna famosa.
Credi per lei che farebbe ogni cosa.
vili
E' e' è quel Veglio antico maladetto,
Che sta ne la montagna d' Aspracorle,
E tutto il regno tuo tiene in sospetto :
La tua fanciulla con parole accorte
Conchiugga con Rinaldo questo effetto :
Che se a quel Veglio dar crede la morte.
Che riarà i prigioni, e tutti i patti
Gli osserverai che in Persia furon fatti.
IX
Era il Soldan uom molto scozzonato,
E ntese ben che lo manda a la mazza ;
E fra sé disse : Che uomo scellerato !
Ecco ben tradilor di fine razza !
Rispose : Io lòdo quel eh' hai consigliato :
Ogni altra cosa sare' forse pazza :
E la sua figlia confortò ch'andassi
Al suo Rinaldo, e questo domandassi.
X
Ella rispose al Soldan eh' era presta,
E quanto più potè si facea bella ;
Missesi indosso una leggiadra v'esla,
Ove fiammeggia d'oro alcuna stella
Nel campo azzurro, molto ben conlesta
Di seta ricca; e poi montava in sella
Con due sergenti; e non volle armadura;
Ed a Rinaldo andò fuor de le mura.
M O I\ (r A N T !«: M A ( . ( 1 1 0 U E
QuAinio Itinalilo Aiilfa vedo venire.
Seni»* nel «iior «li subito un riprezzo
D amor, clic Jiliel facea per forza aprire :
IL reo il Sol, «iisse, fra le stelle in mezzo.
Giunse la <lonuj rlie 1 farea morire ;
Aide (he s' era a seder posto al rezzo
A pie d' un moro ^el.<o in su la strada,
In su 1 pomo appo{:{:iato de la spada.
-MI
E disse : Mille salute a Rinaldo :
Qtial fato inujiu.olo o qual fortuna vuole,
CI» a pie soletto cammini pel caldo ?
Quando Rinaldo senti le parole,
Non potea il cor nel petto starali saldo,
E disse: Ben ne venga il mio bel Sole;
Qual grazia qui ti manda a conforìaruìi ?
Md dimmi, dove bai tu lasciato V armi ?
XII]
Rispose la fanciulla : Ali poro e soro,
A quel che ci l)isoa;na oa:ni arme è buona;
(Il io doverci per uscir di marloro,
Far come Tisbe mia di Labiliona,
Poi che noi siamo a pie del {^elso moro,
De la cui fede ancor la fama snona :
E forse del mio amor costante e dejino
In qualche modo il ciel farebbe sec;no.
XIV
10 son venuta, perchè il padre mio
Vuol eh" io ti dica quel che intenderai,
Ch un nostro gran nemico antico e rio,
Se tu r uccidi, i tuoi prigioni arai,
E ciò che in Persia già li promissi io :
Non so se ricordar sentilo 1' hai ;
Ma molto snona la sua possa magna ;
Il Veglio appellalo è de la montagna.
,\v
E stalli d' ogni cosa a la mia fede,
Se tu farai, Rinaldo, quel eh' io dico :
Ma dimmi come sia rimaso a piede ;
E ch'io non veggo Orlando qui il tuo amico:
Piglia questo cavai, che per mia fede,
Se non l' accetti, sarai mio nimico.
Disse Rinaldo : In un deserto lolto
Rimase Orlando, e 1 deslrier mi lu lollo.
XVI
11 me' ch* i posso mi son ,qui condotto :
Ti amor ch'io porto a Anlea me lo fa fare:
E son venuto a pie più che di trotto.
Né voglio altro cavai mai cavalcare,
Infin che 1 mio Baiardo non m'è sotto:
Or perchè sempre mi puoi comandare,
Colui che di' di montagna o di bosco,
Fammi a saper ; ch'io per me noi conosco.
XVII
E s' egli avessi la testa di ferro.
Per lo tuo amor due pezzi ne fartie :
Cosi ti giuro, e so che mai non erro :
E d' ogni cosa in le mi fideróe
Di ciò che fo ne' patti, s'io l'atterro.
Rispose Anlea : Con leco mandertie
l'n de' miei mamalucchi che là vegni,
E questo can malfusso te lo nsegni.
XVIII
Io mi ritorno drento a la città,
Che tempo non e or da far soggiorno :
A' tuoi prigioni niente mancherà.
Ch'io gli ho sempre onorali notte e giorno:
E libero ciascun di lor sarà,
Rinaldo, in ciascun nu»do al tuo ritorno:
Macon fia leco : e poi voltò il cavallo.
Che "n volto più non solleria guardallo.
XIX
E ritornossi sospirando drento,
E ridi<eva al Soldano «icni cosa;
Non domandar <:ome Gan fu «■onlento.
De l'allegrezza non trovava posa :
E perdi' e" fossi doppio il tradimento,
Disse cosi : Se lu vuoi nJr la rosa
A tempo; o sanza pngnerti la mano,
Un altro bel ])artito c'è, Soldano.
XX
Rinaldo non ara col Veglio srampo.
Or mi parrebbe la tua figlia andassi
A Montalbano intanto a porre il campo :
E baslere trentamila menassi
Prima che sia raffreddo questo vampo :
Orlando non v' è or che rimediassi,
Ma sol Guicciardo, Alardo e Malaiiigi :
E preso Montalban, preso è Parigi.
XXI
Questo Ulivieri e questo Ricciardetto
De' miglior paladin' son ch'abbi Carlo:
Carlo in Parigi è rimaso soletto,
E per paura attenderà a guardarlo ;
Qui è il partito vinto, e 1 giuoco nello,
Pur che lu sappi, signor mio, pigliarlo.
Donde al Soldan troppo la 'mpresa piate ;
E ciò ch'ha dello Gan gli fu capace.
XXII
E la figliuola scongiurava e priega.
Che ora è tempo acquistar qualche fama ;
Ma la fanciulla al principio ciò niega.
Come colei che Rinaldo molto ama:
E molto saviamente al padre allega.
Che sempre più 1' onor che 1' ulil brama,
E che Rinaldo voleva aspettare,
E ciò che aveva promesso osservare.
xxin
Il padre rispondea : Prima che torni
Dal V'eglio, o eh* e' gli dia sì tosto morte,
Saranno trapassali molti giorni :
Tu sarai a Montalban prima a le porte
» o' tuoi stendardi e i tuoi baroni adorni :
E oltre a questo, Orlando or non è in corte.
Né Ricciardetto, L'iivieri o Rinaldo ,
Però balliamo il ferro mentre è caldo.
XXI v
Quando Rinaldo sarà ritornato,
Perch io m' avveggo lu gli porti amore,
Ciò che promesso gli hai, fìa osservato,
E giusta il mio poter faremgli onore,
Tanto ch'in Persia si sia ritornato:
Quivi si poserà, sendo signore:
Direni, che ne la Mecca tu sia andata,
E n pochi giorni qui sarai tornala.
-^i o i\ (; A ìN t e jm /V g (] I o i\ e
x\v
(ì.ifio ili sul latto i-lire^.i p.trolr,
(". ir «T.iii tutte (le'ciilj)i ili'l iiiaf>tro :
Qnaiuiit Antt-a ville <lie I SuMan pur vuole,
lìi>IM>se che parata era a suo destro.
FaiiMOsi iiìse<;iie, rontf far si suole,
lì roruiiiienti poi liiojit» caiiipeslro :
r.iili{;lioiii e lral»a(< l>c s' apparecrliia ;
E Uilla r arme si ritruova veccUia.
Non credo rlie mai tanto martellassi
In Moi)i;iUello il firaii falihro Vulcano,
(^^iianto per tutta l>aliill()tia Tassi:
E rlii portava l' arco soriano,
R.K concia le saette co' turcassi :
(•Ili la sua scimitarra piglia in mano,
ìì. vntil veder s' eli" è di tutta pruova :
Chi briglie e selle, e chi staffe rinnuova.
xxvii
In pochi giorni sun tutti assettati ;
VL die il Soldan le sue benedizioni
A la (i^liuu'a, e sono accomiatali,
E dati tulli al vento i lor pennoni.
Guardava Antea cine' cavalieri armati,
E tulli pli vagheggia in su gli arcioni,
E dice : Io vedrò pur Crislianitade,
Castella e ville e V altre sue contrade;
XXVJll
Le sne marine, i boschi, i monti e '1 piano,
E 'I bel Castel che guarda Malagigi
Del mio Rinaldo, dello Montalbano:
Vedrò la bella chiesa san Dionigi :
Vedrò il Danese, Astolfo e Carlo Mano,
Quand' io sarò a combatter poi a Parigi;
E s' io lorrò a Rinaldo il suo castello,
Polrò ciò eh' io vorrò poi aver da quello.
XXIX
Combatterò co' paladini ancora:
Rinaldo tornerà, così Orlando ;
E proverommi con lor forse allora :
La faina insino al cìel n' andrà volando :
Così di queste cose s' innamora,
Mentre che a ciò pensava cavalcando,
Come colei che sol bramava onore,
E mollo generoso aveva il core.
Gan per la via con lei molto parlava,
CfT^a con essa a fargli compagnia ;
Così faremo ; e mollo confortava.
Dicendo spesso; Per la lede mia,
Del tradilor Rinaldo non mi grava ;
E' non ci va due mesi, che in balìa
Arete tutto il reame di Francia,
Sanza operare mollo spada o lancia.
XXXI
Io ho parenti e amie i in ogni lato ;
E non ha Carlo sì fidala terra,
Ch' io non saj>pi orilinar qualche trattalo,
Coin' e' vedranno appiccala la guerra.
Di«-eva Antea : Guata noin bene ostinalo !
Chi dice tradilor, certo non erra :
Cile je di questo il mio giudizio è saldo,
INuu vidi a la mia vita un tal ribaldo.
Così coslor ne vanno a Montalbano.^')
i)v ritorniamo un poco al suo signore.
Rinaldo, e 1 manialncco del Soldano
Vanno a rjiiel Veglio crudo e peccatore.
Dicea Rinaldo a lo scuilier pagano :
Monta in su quest' alfaiia per mio amore :
Che iiuin che 'I mio cavai non troveruc,
Altro destrier già inai cavalcheróe.
xxxin
Nim voleva il Pagan per__revcrenza ;
Ma poi ])cr reverenza anco I' accetta.
Vanno paiTando de la gran potenza
Di queir aspra persona e maiadetta.
Diceva il mamalucco : Abbi avvertenza.
Che la sua branca addosso non ti Mie Ita.
Rinaldo rispondea : Tu riderai ;
Che maggior bestia son di lui assai.
xxxiv
Poi che furono entrati in nn gran boseo.
In mezzo a quel trovorno un gran burrone
Diserto, oscuro e tenebroso e fosco :
Disse il Pagan: Qui sta quel can ghiottone
In quel palagio che vedi : io il conosco
Insin di qua, ch'io "I veggo a nn balcone:
E mostra quello a Rinaldo che stava
A la lineslra, e pel bosco guardava.
XXXV
Com' e' vide apparir Rinaldo, forte
Gridò da quel balcon: Che gente è questa?
Che andate voi cercando qua la morte ?
Venne a la porta con molta tempesta.
Disse Rmaldo : A te sanza allre scorte
Venuti siam per l'oscura foresta;
E vengo a dare a le quel eh' hai tu dello,
Per onta e disonor di Macomelto.
»
xxxvi
So che tu se' del graai Soldan nimico;
E son venuto qui per vcndicallo
Di ciò che fatto gli hai pel tempo antico;
Che contro lui commesso hai più d' un fallo.
Rispose il Veglio : Io fui sempre suo amico
Per ogni tempii, e lutto il mondo sallo ;
E ])ercliè cavalier mi par' da bene,
Vo' che tu intenda onde tal cosa viene.
xxxvii
Questo Soldan già sendo addormentato,
Una manina in vision vedea.
Che senilo sopra il suo cavallo armato.
Una montagna addosso gli cadea :
E ha per qiìeslo sogno interpretalo
Ch' io sia quel desso : e già ci mandò Antea
A coiiilialler con meco; e finalmente
De la battaglia si partì perdente.
XXXVIH
Questo sos|)elto fa che mi persegua,
E cerchi «|uanto e' può tormi la vita,
Sanza voler con meco accordo o triegua :
iMa se questa sentenzia é stabilita
In ciel, se innanzi a me non si dilegua ;
Convien che (inalinenle sia esaudita :
Or se ti' se' venuto qua a sfidarmi,
Aspetta lauto eh' io prenda mie anni.
INI O K G A N T J: ini a Ci G I O K K
XXXIX
Diwc Rinaldo: In o<ru'\ modo vo<;lio,
die tu ti vesta tutta tua arniadtira ;
(.Ile altrimenti roniliatter non Miglio :
\'edrem rome al mio brandn sarà «lura :
V. forse ti farò «^iù por l'orpoplio,
E più il Soldan non islarà in jiaiira.
Arnios.<^i il ^'e•:lio allor di tutta liutta
Di pelle di serpente dora e cotta.
XL
E tolse jier ispada un mazzafrusto
Con tre palle di ])iombo incatenate,
• Ferralo, nocchieruto {trave e «giusto,
K ritornò a Rinaldo immediate,
ÌL disse: Io ti farò mutar di gusto.
Come tu assa»;gi di (|ueste picchiate:
Che s' io t' accocco una palla di piombo.
In Babillona s' udirà il rimbombo»
XLI
Ma vo' che tu mi dica, se li piace.
Il nome tuo, e se tu se' pagano;
Poi che tu parli sì superbo e audace,
E vuoi far le vendette del Soldano.
Disse Rinaldo : Ciò non mi dispiace :
10 sono il gran signor di Montalhano,
E per amor d'Antea vengo a ammazzarti;
Che lo farò pria che da me ti parli.
XLU
E so che per la gola. Veglio, menti,
Ch' a la battaglia vincessi colei :
Non sette, come te, co' tuoi parenti:
Oltre io ti sfido per amor di lei ;
Ed liogli fatti mille sacramenti.
Che sanza il capo tuo non tornerei :
E nel partir mi donò questa stella
D' una sua vesta eh' avea molto bella;
XLIII
Ed io gli donerò per cambio a questo
11 rapo tuo, malvagio traditore.
Turbossi il Veglio ne la ironie presto,
Quand' e' sentì chi era quel signore:
E se fussi il partirsi stalo onesto,
Si dipartìa ; sì gli tremava il core:
Ma per vergogna il mazzafrusto alzóe,
E con Rinaldo la zuiTa appiccóe.
XLIV
Rinaldo aveva gli occhi a quelle palle,
Ch' un tratto che Tavessin fatto colta.
Gli facevon le gote altro che gialle ;
Pur s' appiccorno alcune qualche volta.
Che non potè così nello schifalle ;
Tanto che 1' elmo sonava a raccolta :
Dunque convien chogni suo ingegno adopre,
E con lo scudo e col brando si cuopre.
XLV
E come e' vede la mazza caduta.
Il me' che può con la spada il punzecchia;
Quando a le gambe, quando a la barbuta:
Con r altro braccio lo scudo apparecchia
Per riparare : e 'n tal mudo s' aiuta,
Che lo schermire era l'arte sua vecchia;
Ma ogni volta riparar non puossi ;
E spesso con V un piede iuginocchiossi.
Quand' «blum ronibnttuto un'ora o piùe,
Rinaldo un trailo l'rusherla su alza:
l'cr mostrare a quel colpo sua virltìe ;
l)n capiit-llacciu di' egli avea giù balza
l*vr la percossa; che ^i aspra fue.
Che '1 criidel Veglio la terra rincalza
E cadde come il tordo sbalordito.
Tanto eh' un jiezzo stelle tramortito ;
XLVll
E risenlito disse : Cavaliere,
10 mi l' arrendo, e dommi tuo prigione ;
Che mi potevi uccidere a giacere :
Da ora innanzi, famoso barone.
Di mia persona fanne il tuo volere.
Disse Rinaldo : Per mio compagnone
T accetto, e tua persona franca e degna
Con meco in conq)agnia vo' che ne vegna.
XLVin
Rispose il Veglio : Io son molto cootenlo
Seguitar cavalier tanto giocondo;
E vo' che sia tuo sempre a tuo talento
Questo palagio, e ciò eh' i' ho nel mondo,
E s'altro c'è che ti sia in piacimento.
Rinaldo disse : A questo sol rispondo,
Che Ih ci dessi da far colezione,
Ch' ognun ci piglierebbe oggi al Loccone.
XLIX
Noi abbisim per un deserto camminalo,
Dove pan non si Iruova né farina ;
E so che '1 mio compagno anco è all'amalo,
Ch' era a cavai ; pensa chi a pie caromioa:
Abbiam sanza vigilia digiunato ;
Che ci partirn per tempo ier mattina.
Il Veglio apparecchiar facea vivande,
E fece loro onor subito e grande :
E stanno così insieme a riposarsi.
Or ritorniamo ov io lasciai Anlea,
Ch' a Mont^lban cominciava appressarsi,
Tanto che un giorno a le mura giugnea,
E con sua gente comincia accamparsi :
E poi mandò, come Gau gli direa.
Un niessaggier di subilo al castello
Al buon Guicciardo e V altro suo fratello.
LI
11 messo andò con la 'mbasciala in fretta,
Z ù'^se come del Soldan la figlia
Era venula con molla sua sella :
E che non abbin di ciò maraviglia.
Però che questo è fallo per vendetta
Del lor fralel contro a la sua famiglia ;
Che mandin giù le chiavi del castello,
O vengan sopra il campo a salvar quello.
Lll
Guicciardo a quel messaggio rispondea :
Che non sa che vendetta o che cagione
A quest' impresa commossa abbi Anlea ;
E che restava pien d ammirazione ;
E che le chiavi eh' ella gli chiedea.
Gli porterebbe lui sopra l'arcione,
Per dargliel con la purità de la lancia,
Che così era il costume di Franti.).
iG
M O R G A N T K MAGGIO R E
Torna il messaggio e fere la 'mliasciala ;
De la qual cosa Anlea seco sorrise.
Giiicciardo con Alardo e sua brigala
L' altra mattina ognun 1' arme si mise ;
E tutta fu la terra ralTorzala,
E con le sbarre le strade ricise ;
E vennono in sul campo armati io sella,
Dove aspettava la gentil donzella.
LIV
La qnal, come coslor vide venire,
Fecesi incontro benigna e modesta,
E dicea seco: E" non posson disdire.
Che non sien di Rinaldo e di sua gesta,
Tanto sopra il cavai mostran d'ardire:
L" aspetto e '1 modo lor lo manifesta:
E di Rinaldo suo pur si risente,
E salatogli graziosamente^
LV
E disse: Tu che innanzi a gli altri guardo,
Sanza che ì nome tuo più oltre dica.
Se' quel gentil baron detto Guicciardo,
Dove ogni gentilezza si nutrica :
()iieir altro cavalier chiamato è Alardo,
Jii cui risiirge ogni eccellenzia antica:
Ma dimmi, ove hai tu lasciate le chiavi,
die in su la lancia dicesti arrecavi ?
LVI
Guicciardo gli rispose : O damigella,
Io non so la cagion de la tua impresa :
Ma poi che cosi è, tenuto in sella
Sono in sul campo per la mia difesa :
E certo tu mi par donna sì bella,
*,lie di combatter con teco mi pesa:
Se ignun de' miei t'ha fatto mancamento,
Per la mia fé eh' io ne son mal contento.
Lvir
E arei caro intender qual sia quello
Che t' abbi fatto ingiuria, ove o in qual parte.
Per darti poi le chiavi del castello ;
(Ile tu mi par, quand' io ti guaio, Marte:
Né altro fuor eli' un mio carnai fratello,
E '1 mio cugin, maestro di qnest' arte,
< ioè Orlando e Rinaldo d' Anione
A idi star meglio armato in su 1 arcione.
Lvm
Rispose allora a Guicciardo la dama :
Per gentilezza e non per nimistale,
Per acquistar con teco in arme fama.
Vengo a combatter la vostra cillale.
Disse Guicciardo : Se questa si cliiama.
Gentil madonna, come voi parlate ;
Forse eh' eli' è gentilezza in Soria ;
Ma in Francia nostra mi par villania.
Pur se con meco volete provarvi,
Contento son ; ma farciain questo patto.
Che a Babillona dobbiate tornarvi
Con tutta vostra gente s'io v'abbatto ;
Se mi vincete, il Castel vo' donarvi.
Rispose Antea : Per Macon ciò sia fatto:
Piglia del rampo, gentil mio Guicciardo,
Ch'io proverò come sarai gagliardo.
Preso del campo le lance abbassaro,
E vengonsi a lerir con gran fierezza :
E poi «Ite insieme i destrier s' aceostaro,
Il buon Guicciardo la sua lancia spezza,
E molti tronchi per 1' aria n' andaro :
Ma la fanciulla il colpo poco apprezza,
E per tal mudo Guicciardo ha ferito,
Che di cadere al fin prese parlilo.
r.xi
Disse la dama : Tu se' mio prigione :
Io vo' provarmi con quell'altro ancora:
E mandò via Guicciardo al padiglione,
E nverso Alardo s" accostava allora,
E disse : Piglia del campo, barone.
Poi che Guicciardo de la sella è fuora.
Alardo presto allor del campo tolse,
E r uno incontro a l' altro il destrier volse.
LXIl
Vanno più presto eh' uccello o saetta
DI buon balestro o arco disserrata,
E pensa ognun la lancia in resta metta,
Quando fu tempo d' averla abbassata :
E come insieme furono a la stretta,
Tremò la terra, e parve impaurata.
Tanto Antea grida e 1 suo cavai conforta.
Che 1 suo signor come un drago ne porta.
LXIII
Alardo ne lo scudo appiccò il ferro,
E fece con la lancia il suo dovuto ;
Ma poco valse il colpo, s' io non erro,
Che noi passò, benché sia molto acuto ;
Perché non era una foglia di cerro,
E finalmente restava abbattuto :
Ch' al colpo de la donna non s' allenne ;
Tanto ch" a lui com'a quell" altro avvenne.
LXIV
E fiinne al padiglion preso menalo.
Quivi allor Ganellon con lei s' accosta :
Disse la dama a Gan : Ch'hai tu pensato
Far di costor ? rispondimi a tua posta.
()uel traditor che slava apparecchialo,
Non ebbe troppo a pensar la risposta,
E disse : Dama, a voler giocar netto.
Io gli farei impiccar; questo è in effetto.
i.xv
Rispose la figliuola del Soldano:
Non dubitate, cavalier', d'Antea :
Colui per cui tenete Montalbario,
Giostrò con meco ; e so che mi potea
Uccider con" la lancia eh' avea in mano;
Ma noi sofferse il ben che mi volea :
E per suo amor vo" render guidardoue,
E non sarà contento Ganellone.
Io giostrai in Persia col vostro Ulivicri,
E vlnsilo, e così poi Ricciardetto ;
Quantunque io noi facessi volentieri :
E molto duol ne sento, vi prometto ;
Però eh' io gli ho lasciati prigionieri
Al padre mio, e sloniie con sospetto:
Rinaldo è ilo acquistar per suo meglio
De la montagna quell' antico Veglio.
IM O U (; A N T l< IM A C, (i I O I\ K
I.XMI
E romp qiipslo .ir(|(iis(ato 5arà,
Oli renilrrà i ]tri};ioiii il padrr mio ;
l'I so rlic presto ne verraiiDO in <]ua ;
De la qnal rosa i' ho trop|)o disio ;
N<> infili vhc sia (ornalo il ror ini sta
r,ont(*nto drcnt*» al petto, pel mio Dio :
Or questo tradllor <".in rine|!alo i v«.«*«)
Si pentirà di quel eli' lia consigliato.
I.XVIII
E fere};li iniliollire il cioliberello
Da quattro inanialurrlii co Itasloni :
Ne inai campana sonò si a martello,
Quanto e" sonavan le ])ercussioni ;
Guicciardo ne godea, cosi il iratello.
l'oi die l)attuto fu, qne' ronij)a<;noni
Lo rizzon su con i.^^clierno e con hefle,
Dicendo lutti : Nasseri bizzefre.
Non Milendeva Gan questo linpuajigio,
Se non che la fanciulla gliel chiarì;
I niainalucchi voglion per vantaggio
Per ogni bastonata un nasserì
Da ogni peccator che fanno oltraggio :
Or vedi, Ganellon, la cosa è qui f,
II tradimento a molli piace assai,
Ma il traditore a gnnn non piacque mai.
Così in parie portò la pcuitcnzia
Il tradilor di Gan de .-noi peccali:
Che j)er occidla e divina sentenzia
Sono assai volte i nostri error purgali ;
Ma voglionsi portar con pazienzia ;
Non come Giuda andar tra' disperali :
Dunque e' si vede al lin la sua vendetta
Per qualche via chi luogo e tempo aspetta.
txxi
Guicciardo ringraziò quanto più puole
La damigella di quel eh avea fallo:
Ma per dolore il petto si percuote,
Ch' Ulivier di prigion non era tratto,
E Ricciardetto: e bagnava le gote,
Temendo che il Soldan non rompa il patto:
Ma quanto può, dà lor costei conforto,
Che a niun di lor non gli sia fallo torto.
Allor pregorno Guicciardo e '1 fratello :
Piacciali, Antea, venire in cortesia
A star del Ino Rinaldo nei castello,
Tanto che torni in qua di Paganìa :
Non li bisogna ornai combatter quello;
Ogni cosa li diamo in tua balia :
De la qual cosa fu costei contenta;
E Ganellon ne la prigione slenta.
txxni
Lasciamo Anlea che stava a suo piacere
A Montalbano, e 1 suo Rinaldo aspella :
E mollo onor, secondo il lor potere,
Fanno i Cristiani a questa donna eletta.
Orlando va con mollo dispiacere
Con quella sventurata poverella.
Come dicemmo, clie s' era fuggila
Da que' giganti per campar la vita.
ixxiv
Ove se' tu, dicendo, fratcl mio?
Ove lasciato xnMiai così meschino?
Ove vai lu ? perchè non son le<'o io ?
Ove mi guidi, mio buon Vegliantiiio :
Ove capilerem ? questo sa liio ;
Ove, o in qual parie fia nostro ramniino ;'
Ove guido costei per <|uesti boschi i'
Ove Iroviam qualcun <'he la conoscili i'
I.XXV
Io maiadico la fortuna ria ;
lo maiadico Persia e T /\mostanle:
I(» maiadico la <iisgi-azia mia :
Io maiadico la gente alricanle :
Io maiadico il Soldan di Sona ;
lo maiadico Antea <'he volle amante
Io maiadico Amor che n' è «'agioiu' ;
Io maiadico il nostro Ganellone.
LXXVI
Sentendo la fanciulla lamentare
Orlando, gran pietà gli venia al core,
Dicendo : Lasso, non li disperare ;
Raccomandali a Dio giusto Signore,
Che non ci voglia così abbandonare.
Orlando disse : Dama, per mio amore
Cavalca innanzi un po' col mio scudiere,,"
Ch'io vo' solttlo alquanto rimanere.
I.XXVII
Terigi e la fanciulla s' avvide.
Orlando allor di Vegliantino scese,
E in terra ne la via s' ingiiu)cchióe :
Le braccia al cielo umilmente distese,
E 1 suo Gesiie, come solea, adoróe,
E la sua madre, che in qualche paese
Lo conducessi fuor di quel burrone :
E in questo modo fu la sua orazione :
LXXVIII
O sommo Padre giusto, onnipolenle,
O Vergine in cui sol sempre sperai,
O Redentor de la cristiana gente ;
Io non mi leverò di terra mai.
Se prima non rallumini la mente
Là dove il mio cugin condotto l' hai,
O s' egli è vivo o morto o incarceralo,
O sano o infermo, o dov'è' sia arrivato.
LXXIX
Io te ne priego per quella viriate
Che donasti a l'angel Gabriello,
Venendo annunziar nostra salute.
Che lu mi guidi dove è il mio fratello.;
E perch'io vo per vie non conosciute,
Come a Tobia mi manda Raffaello
Che m'accompagni insio che me lo nsegni.
Se i prieghi miei di grazia in te son degni.
LXXX
Per l'amor che portasti al nostro Adamo,
Pel sacrificio che Abram già li fé'.
Per ogni profezia che noi leggiamo,
Pel tuo Davidde e pel tuo Moisè,
Per quella croce onde salvali siamo,
Pel tuo Jacobbe antico e per Noè,
Pel lamento che fece Geremia,
Per Giovacchin, JosefFo e Zaccherla;
Al 0 R r, A N T i: MAGGIORE
li /IH
LXX.XI
Pe'mìratolì già che tu facp";!! ;
Concedi tanta prazia a' tuoi ffileli,
(^lie dove è il mio ciiein mi mnnifestì :
lo te ne priec;o pc' santi Vanjjeli.
In questo par eli' ima voce si desti
Molto soave che parca da' cirli,
Dicendo : Al tuo cammin va ritto e saldo,
Che sano e salvo troverai Rinaldo.
LXXXII
E troverai il cavai eh' epli ha smarrito,
E ch'egli ara acquistalo nn gran gigante:
Poi fu subito nn lampo disparito,
Che prima a gli occhi gli apparve davante.
Criindo sopra il cavai fu salito,
E ringrai^iava le poten^ie sante ;
E la fanciulla e Terigi trova /a,
Che poco a lui dinanzi cavalcava.
Lxxxni
Usciron de la selva, e capilorno
A ima gran città che il re Falcone
Signoreggiava; ed a l'oste smontorno:
Appareechiavan certa colezione,
E due donzelli in questo vi passorno :
Questa fanciulla a sua consolazione
A r uscio corse per voler vedegli ;
E r un di lor la prese pe' capegli.
LXXXIV
Era del re Falcon costui nipote,
E Calandro per nome si diceva ;
Le chiome sparse e le pulite gote
Vide, e con seco menar la voleva.
La fanciulla gridava quanto puote ;
Terigi presto a le grida correva.
Ed accostossi per torla al Pagano :
Ma fugli dato nn colpo assai villano,
LXXXV
Tanto" che cadde sbalordito in terra.
Orlando intanto, e l'oste era là corso,
E Durlindana con grand' ira afferra.
Che mai non furiò sì tigre o orso :
Un manrovescio a Calandro disserra,
Che lo tagliò nel mezzo come un torso :
E Macometto nel cader giù chiama;
Così per forza lasciò andar la dama.
Lxxxvr
Eran con lui parecchie schiere armale :
Corrono addosso subilo ad Orlando ;
Ma poi eh' assaggion de le sue derrate,
Ognuno a drieto si viene allaRgando.
Fur le novelle al re Falcon portate:
Vennene a l'oste; e venia domandando:
Che cosa è questa? chi Calandro ha morto?
Fugli risposto : E' non gli è fatto torto.
Lxxxvn
Orlando al re parlò discretamente:
Sappi ch'io l'uccisi io, santa corona:
Una fanciulla di nobile gente,
Ch' i' ho con meco onesta e cara e buona,
Voiea con seco menar quel dolente,
E fargli villania di sua persona ;
E strascinava quella a suo dispetto :
Or tu se' savio : il caso in te rimetto.
r.xxxviii
So che sicura vuoi che sia la strada,
E n«m si sforzi ignun per nessun modo;
Ma die sicuro dì e notte vada.
Rispose il re Falcon : Troppo ne godo :
Rimetti, cavalier, drento la spada :
Di (|uel ch'hai fatto, io ti ringrazio e lodo:
Giustizia sempre amai sopra ogni cosa :
Questa è nipote mia, figliuola e sposa.
LXNXIX
Vo' che tu venga ne la mia città
Per ristorarti ancor di quest'oltraggio.
Guarda se questo era uom pl^n di bontà.
Guarda s'egli era nn re discreto e saggio!
Rispose Orlando: Ognun di noi verrà:
Ma perchè cavalier siam di passaggio,
Un' altra gentilezza ancor farai.
Che 1 oste in cortesia ci accorderai.
Rispose il re Falcon : Ben volenliari :
E subito chiamò lo spenditore,
E fece contentar del suo 1' ostieri :
Poi rimontò ciascuno a corridore.
Orlando, la fanciulla e lo scudieri.
Il re Falcone a tutti fece onore :
E mentre che"! convito era più bello,
Subito venne un messaggiero a quello.
xci
Era un Pagan che pare im eorbaccliione,
Molto villan, superbo, strano e nero.
Coperto d' una pelle di dragone :
E giunto con un modo crudo e fiero.
Diceva al re : Distruggali Macone,
E Giuppiler che regge il grande impero :
Tu dei saper che '1 tempo è pur venuto,
Ch' al mio signor tu mandi il suo tributo.
xcn
Turbossi tutto il re Falcone, e disse:
O mia figliuola, lasso, sventurata.
Quanto era meglio assai che tu morisse,
Anzi eh' al mondo mai non fussi nata !
Orlando lo pregò che gli chiarisse
Quel che importar volea quella imbasciata.
Rispose il re Falcon : Tu lo saprai,
E meco insieme so che piangerai.
xeni
Un'isola è nel mar là de la rena:
Otto giganti son tutti fratelli;
Ognun molt' arroganza e rabbia mena.
Come ha fatto costui eh' è un di quelli:
Hannoci dato per eterna pena.
Ch'ogni anno di noi tristi e meschinelH
Una fanciulla lor tributo sia ;
Tocca qnesl' anno a la figliuola mia.
xciv
E non potè più oltre dir parola :
Colui la 'mbasciata sua replica :
Il re Falcone abbraccia la figliuola.
Orlando disse : Vuoi tu eh' io gli dica
Quel che mi par per la mia parte sola?
Che di tener le lacrime ho fatica.
Tanto m' incresce 4i 1^' ^ di voi?
Ond' e' rispose : Di' ciò che tu vuoi.
M O I\ G ANTE M A i\ (> I O R i:
Orlando ilissr al .iiiperlx) pig.infr :
Nnn so fnu'i die 'I signor Ino si iloin.inda;
Ma tu mi pari noni <-rii<lclc arru^ianlt' :
La tua iinltasriata minaccia e onniamia ;
(ilic liaslt-relilx* al Soldan del ]-e^anl«* :
Diniini il tuo nome, e di (pici «de ti manda,
Voi ti dirò «|nel rhe sarà dovuto,
Come tu alibi a acquistare il triliuto.
xcvi
Disse il Pagan: Se pur saper t' aggrada
Il nimie mio, chiamato son Domliruno,
K Salincorno il sir «le la contrada.
Rispose Orlando : Lecito a ciascuno
E ciò che si guadagna con la spada ;
Questo confessi tu ? dond' io son uno, CA^^.^.
Che vo' ({uesta fanciulla guadagnarmi
Con leco con la spada o con altr' armi.
XCVIl
Disse Donibrun: Per Dio conlento sono :
Andiam, che noi farem bella la piazza *,
E se tu vinci, va, eh' io tei pentono.
Orlando aveva indosso la corazza,
E disse al re Falcone : E' sarà buono
Cirio ti gaslighi così fatta razza:
Levossi ritto, e niissesi 1' elmetto,
E disse : Andiam, Pagan, ove tu hai de Ito.
XCVIII
Corsone in piazza ognun subitamente,
E tutto fu conturbato il convito :
Salì Dombrun sopra fin suo gran corrente,
Orlando è sopra Veglianlin salilo :
Or qui si ragunò di molta gente,
E la donzella col viso pulito
Era a veder la sua redenzione ;
E per Orlando faceva orazione.
XCIX
Pure orazìon s'intende a la moresca;
Pregava Macon suo che 1' aiutasse,
E che di sua virginità gì' incresca.
Che "1 fer gigante non la violasse
Ne la sna pura età fiorita e fresca.
In questo i due baron" le lance basse
Av'ieno ; e tutta la piazza tremava,
Però che Veglianlin folgor menava.
e
Il popol maraviglia avea di quello :
Orlando truova Dombruno a la peccia ;
Ma pur lo scudo reggeva al martello.
Ruppe la lancia che parea di feccia,
E tutto si scontorse il Pagan fello :
E la sua aste appiccava a la treccia ;
Ma per quel colpo ne fé' tronchi e pezzi :
Dunque lo scudo ad Orlando fé' vezzi.
CI
Prese Dombruno una sua scimitarra.
La qual già disse alcun eh' era incantata.
Benché '1 nostro autor questa non narra ;
Crédo più tosto forte temperata;
E par che 'nverso il ciel bestemmi e garra:
Dette ad Orlando ima gran tentennata,
Gridando : Se tu puoi, da questa guarii ;
E de lo scudo gli fece due parti ;
Percitè con esso si volle coprire :
Orlando de l' un pezzo «h' avea in mano,
l)<'lte a Donihrun, tal che gii»-! fé' sentire,
Perchè mi cill'i» giugneva al Pagano,
l'^ Ifccgli tre denti foora uscire,
ì\. tramortito rovinò in sul piano:
Onde ciascun maravigliato fue,
Che così presto il torrion va giue ;
nii
Dicendo: E'basterebbe al conte Orlando:
Quel colpo ari'hbe atterrato «ma rocca.
Il Saracin pur venne respirando,
E ritto si mettea la mano in bocca,
E le sue zanne non venia trovatiilo,
E '1 sangue giù pel petto gli trabocca:
Donde si duol sanza comparazione,
E sol si studia bestemmiar Macone.
civ
Poi disse al conte Orlando: Assai mi duole
Pe' denti e de l'onor eh' i' ho perduto; ,
Pur sempre la sua fé' servar si vinile:
Comanda ciò che vuoi, di' egli è dovuto.
Rispose Orlando: E' bastan due parole:
Ch'ai re Falcon mai più chiegga il tributo:
Ed ogni volta che tu mangerai.
De la promessa li ricorderai.
cv
E vo' che tu ti facci medicare
Prima che tu ritorni a Salincorno ;
E stalli qualche dì qui a riposare :
Così Dombrun si posava alcun giorno :
Aglina volta die volea mangiare,
Dicieno i servi, che stavan dintorno :
Che farebb' ei co' denti che gli manca?
Di Gramolazzo mangerebbe I' anca.
evi
Poi nel partir lasciò la fede pegno,
Ch' al re Falcon mai più, come soleva,
Darebbe oppression : eh' aveva il segno,
Come con 1' arme perduto lui aveva
Il gran tributo; e tornossi al suo regno:
Il re Falcon contento rimaneva,
E ringraziar non si saziava Orlando,
Dicendo eh' ogni cosa è al suo comando.
cvii
Giunto Dombrun dove la rena aggira
Al vento, e come il mar tempesta mena,
Raccontò tutto, e molto ne sospira,
A Salincorno che n' ebbe gran pena :
E fatto è scilinguato, e con niolt'ira
Diceva : A desinar sempre ed a cena
Ricorderommi di quel ch'ho perduto:
Andrai tu Salincorno, pei tributo.
ovili
Rispose Salincorno : Io v' andrò cerio
A dispello del cielo e di Macone :
Chi è quel cavalier che t' ha diserto ?
Non debbe esser di corte di Falcone.
Disse Dombruno : E' non va pel deserto
Di Barberìa sì possente lione.
Né leonfanti, o p«r Libia serpenti,
Che non traessi a lor come a me i denti.
/
M O R G A N T i: MAGGIO W E
Non so l>en cliì si sia quel «avalicre ;
Ma so eli' e' sare' liuono erliolaio :
C.liè sa cavare i denti, al mio parere :
Questo è il tributo eh' io t' arreco e '1 maio;
E se tu vuofjli andar, li fo a sapere
Che ne trarrà a te anco più d' un paio :
10 gli promissi, se l' osserverai,
Che mai tributo al re tu chiederai.
ex
E per me tanto non vi vo' venire.
Acciò die traditor non mi chiamassi.
Pur Salincorno tanto seppe dire,
Cli' al fin Dombrun dispose che tornassi :
E cinquecento d' arme le' guernire
Di ci«) elle gli parca che biso<:;nassi :
In pochi dì ne venne al re Falcone,
Coni' uom bestiai sanz' altra discrezione.
CX(
Sanza osservare o legge o fede o patto,
Con questa gente intorno s' accampóe,
E manda un suo messaggio drento ratto.
11 messo al re dinanzi se n' andiie,
E dice brevemente appunto il latto,
SI come il suo signor gli comandiJe,
Clie mandi presto al campo a sua difesa
Colui eh' al suo fra tei le' tanta offesa.
CXII
E sta sopra un'alfana, e suona «n conio,
E minacciava il cielo e la natura.
Orlando come inteso ha Salincorno,
Fece a Terigi darsi 1' armadura :
E la figliuola del re gli é d' intorno.
Dicendo : Dio ti dia, baron, ventura,
E in ogni modo vincitor ti faccia,
Poi che fortuna ancor pur mi minaccia.
CXIII
Diceva Orlando: Non temer, donzella,
Che in ogni modo rimarrem vincenti :
Ch' a Salincorno trarrò la mascella,
S' al suo fratello ho tratto solo i denti ;
E con Terigi suo montalo è in sella:
Ma la fanciulla e certi suoi sergenti.
Volle con lui sino in sul campo andare,
Che sanza lui non si fidava slare.
cxiv
Disse il gigante : Se' tu quel Pagano,
Ch'ai mio Dombruno hai fatto villania?
E questa la tua femmina, ruffiano ?
Rispose Orlando : Per la testa mia.
Che gentilezza è teco esser villano :
Così di te, come de 1' altro fia :
Quel ch'io gli ho fatto mi pare una zacchera,
Tanto è che preso non fia più a mazzacchera.
cxv
Questa fanciulla ha cento servi e'I padre,
Che te per servo non vorrcbbon, credi :
E le sue membra che sou sì leggiadre,
Volevi per tributo eh' ancor chiedi :
E se' venuto qua con queste squadre :
E di' eh' io son ruffian : néltati i piedi :
Che per voler bagasce e concubine.
Ara il peccalo luo sue discipline.
cxv I
Disse il gigante: E" non son sr-nipre eguali,
(ionie tu s;ii, le forze di ciascuno:
I denti miei saranno di cingiii.iìi,
Non li parranno forse di I)(»mhruiio ;
Olio giganti siam fralei carnali :
Signor' là de la valle di Malprimo
Cinque ne sono ; e noi tre siamo insieme
Dove la rena come il gran ntar freme.
cxvrt
Rispose Orlando : I cinque pel bollire
Sono scemati, e (piesto abbi per certo :
(>on f|uesla spada un ne feci morire,
E l'altro nn mio cngin eh "è molto sperto;
Una fanciulla osoron già rapire
Al re Costanzo, e slavan nel deserto ;
Quale ho con meco molto ornala e bella,
E voglio al padre suo rimenar quella.
CXVIII
E s' io ritorno mai per quel paese,
Ch' io truovi ancor que' Ire ne la foresta ;
Io non sarò come fui già cortese,
Ch' a tulli e tre dipartirò la lesta.
Or Salincorno lant' ira l'accese,
Clie cominciava a menar gran tempesta,
Quand' e' sentì ricordar tanti torli,
E come due de' suoi fralei son morti.
Traditor, rinnegato, micidiale.
Piglia del campo, con un grido dis«e.
Orlando a Veglianlin fé' metter ale.
Poi si voltava, e 1' aste in basso misse,
Ch' era un abete saldo e naturale,
Qual tolse a la città, prima partisse ;
E giunse con la lancia dura e grave
Nel petto a quel che gli parve una trave.
cxx
E disse allor: Che dìavol fia, Maco/ie !
Questo mi pare un albero di fusta.
La lancia resse a la percussione,
Perch' era dura e grossa e molto giusta ;
Ma regger non potè quel compagnone,
Né la sua alfana, benché sia robusta :
Dunque fu il colpo di tanta boutade.
Che Salincorno e 1' alfana giù cade.
ex XI
La figliuola del re che vide questo,
Fra sé disse : Un miracolo ho veduto :
E '1 gran gigante feroce e rubesto
Disse ad Orlando: Tu m'hai abbattuto,
(E saltò de la sella in terra presto)
Vedi che staffa non ebbi perduto:
E stalo sol difetto de l' alfana,
E la tua lancia fu molto villana.
CXXII
Rispose Orlando: Stu non se' ben chiaro.
Io li potrei co! brando chiarir tosto :
A ogni cosa troverem riparo.
Disse il Pagan. Per Dio, s'io mi t'accosto,
Io ti farò eostar quel colpo caro.
Diceva Orlando : E pagherai tu il tosto ;
E Durlini^ina sua fuori ha tirala,
E Salincorno ha la mazza ferrala.
V
M o n e. A N r k m a g e. i o u k
cxxiti
Qui 5Ì rominria a srnlir vp<pro e nona
Qui Ir liolriiti notr runniirioniu :
Qui innanzi niattiitin già trr/a suona:
Qui non si posan le mosche (iintorno :
Qui sanza balrnar l'aria rintruona :
Qui purga i suui prcrati Salincornu:
Qui si vctlrà rlii saprà .li xlirnnaglia :
Qui nio>lra Durliinlaua s' ella taglia.
l \.\iv
Il Sararin talvolta alza la mazza,
E liirr : A.^petta ch'io ti furbo il nifo.
Il palailin risponiiea : Bestia pazza,
(Jie dirai tu, se col Itrando lo schifo ì
K ritrovava a costui la corazza.
Tanto che spesso scontorceva il grifo ;
Ma non poteva colpirlo a 1 elmetto,
Però che allato gli pare uu Ca>chetlo.
e XXV
E Salincorno .per la sua grandezza
Alcuna volta la mazza fallava :
Un tratto mena con tanta fierezza,
Che giunto a voto in terra rovinava.
Orlando volle mostrar gentilezza :
Lieva su, disse : il Pagan si levava,
E disse : Dimmi, cavalier da guerra,
Perchè cagion non mi feristi in terra ?
Tu debb' esser per certo un uora gentile
Di nobil sangue, tu non puoi negarlo:
Tu non volesti darmi come vile:
Se lecito, barone, è quel eh' io parlo,
Dimmi il tuo nome. Orlando, come umile,
Rispose : Io son nipote del re Carlo,
Orlando di Milon figliuul d Angrante,
Nimico d' Apollino e Trivigante.
cxxvii
Sentendo Salincorno dire Orlando,
Cominciò il cuore a tremargli e la mano,
E disse : Onde venuto, o come o quando
Se*, paladino, in questo luogo strano ?
Non vo' con teco operar mazza o brando,
Ch" lo so che '1 mio poter sarebbe vano :
Da ora innanzi sia come tu vuoi ;
Che la battaglia è finita tra noi.
CXXVIII
Odo che 1 fior se' di tutti i Cristiani,
E che tu se" fatato per antico :
Io vo più tosto trovarmi a le mani
Col tuo cugin ch" è molto mio nimico,
E \endicarmì d" assai casi strani :
Io vo" che mi prometta come amico,
Quando col tuo Rinaldo tu sarai.
Per qualche modo me n avviserai ;
cxxix
Ch" io son disposto rompergli la fronte,
Però che mio nimico è in sempiterno :
E s" egli è de la schiatta di Chiarmontc,
Ed io del sangue son di Salinferno ;
E non intendo sofferir tanl onte :
Colui che '1 nome suo risuona eterno,
Mainbrin dell Ulivante, anco ej>e nato
Del sansue mio da ciascuno onoralo.
Disse Orlando : lo non so dove si sia
Rinaldo ancor ; ma s' io lo Irovrróe,
Subito un messo a le mandalo fia,
E n questo modo andar ti lasrer^ie,
Ch al re Falcon non dia piii ricardia ;
Benché malvolrntier ti liberóe :
Ma so eh» tu darai ne 1' altra relè,
Se con Rinaldo mio vi proverete.
cxxxi
Il Saracin promise licenziare
Del tributa quel re liberamente,
E fece il campo suo presto levare.
Orlando al re Falcon subitamente
Ne la città tornava a raccontare
Coni" egli è salvo, e libera sua gente :
E dopo alquanti di prese commiato,
E lasciò quello al tutto sconsolalo.
cxxxii
E cavalcando va per molte strade
Sanza posarsi mai sera e mattina,
E domandando va per le contrade,
Dove sta il re de la Bellamarina ;
Tanto che giunse un giorno a la ciltade,
E quella damigella peregrina
Rappresentava al suo doglioso padre,
Che 1 ha gran tempo pianta, e la sua madre.
cxxxiii
Era vestila a nero Ja città,
E "i re con lutti i suoi con mollo affanno;
Ne sopra i campanil gridando va
Ne' suoi paesi piti il talacimanno :
Per le moschee molti uffici si fa
Al modo lor, che di costei non sanno
Dove perduta sia già slata tanto ;
Sì che per morta n'avean fatto il pianto.
CXXXIV
La novella n'andò con gran furore
Al re Costanzo, come la sua figlia
Era venuta, ond" e" gli crebbe il core,
E corse incontro con la sua famiglia:
E tutta la città trasse a romore.
Come avvien sempre d" ogni maraviglia :
Ognun voleva il primo abbracciar questa;
Pensa se '1 padre suo gli fece festa.
cxxxv
Ella gli disse: Questo è il conte Orlando;
E dove e come e' 1" aveva trovata,
E da" giganti tolta; e disse quando
E in che modo e" T avevon rubata;
E tutta la sua vita vien contando;
E come pel cammin 1' abbi onorata
Orlando sempre insin che 1' ha condotta,
li re Costanzo cosi disse allotta :
cxxxvi
Questo è colui che ti scampò da morte ?
Queslo è colui che t ha dunque prosciolta?
Questo è colui ch* è tanto ardito e forte ?
Questo è colui ch'a gli altri fama ha tolta?
Questo è colui eh' allegra or la mia corte?
Quello é Colui per cui non se sepolta ?
Questo è colui eh' uccise il fier gigante ?
Questo è colui ch e il gran ii|:nor dAngrante?
/
M O K 0 A N T E ]M A G G 1 O K E
CXXXVII
Non (Mvalca cavai nti{;lior barone,
Nt- iiii;;lior ravalier porla elmo in lesta :
IVoii cinsi' spada mai siinii campione :
Me ini;ili()r paladin pon lancia in resta :
Non noni lanlo {icnlil si calza sprone :
K(l ahltracciava Orlamio con gran festa:
E la reina e Ini Io rinj^raziorno,
E Inllo il poj)ol suo die gli è dinlorno.
CX.XXVIII
Or lasciam qnrsli star cosi contenti:
Kitorniaino al Soldan di Babillona,
Che non pareva già clie si rammenti
Di qncl di' a Anlea promise sna corona
De' due prigion' ; ma pensava altrimenti
Di tor subito a questi la persona
Prima die sia Rinaldo a lui tornato
Dal Veglio, dov'è' sa clic l' lia mandato.
cxxxix
Mandò pel giuslizier quel traditore,
E scrisse un brieve per la gran letizia
Al re Costanzo, per mostrargli amore,
(iiie venisse a veder questa giustizia ;
Dicendo : Sappi famos») signore,
CU io gli ho a punir di più d una malizia,
Com' io dirò ne l'altro cantar bello.
Guardivi sempre V agnol RalTaello.
CArSTO XVI II
AP%GOMENTO
•N4(i)<H^
R,
'inaldo assente^ condanna il Saldano
.'Illa forca Ulii'icri e Ricciardetto ;
S (irrosta Orlando, e non s^ arrosta insano,
Pcrchìi in aria non facciano un balletto.
Minnldo arrida, ed il P'e^lio montano
Al Soldan che basisce ammacca il petto.
Morgantc f accompagna con Margutte^
Gran professor di cose inique e brutte.
xTXagnifica, Signor, l'anima mia;
E lo spirito mio di tua salute :
E tu, per cui fu detto Ave Maria,
Esaltata con grazia e con virtute,
O gloriosa Madre o Virgo pia,
Con l'altre grazie che m'hai concedute,
Aiuta ancor con tue virtù divine
La nostra storia infin eh' io giunga al line.
n
Io dissi che 1 Soldan mandato avea
Al re Costanzo, e scritto che venisse
A veder la giustizia che facea:
Ma come il messo par che comparisse.
Subito il re la lettera leggea,
E 'illese quel che 1 traditore scrisse :
La lettera ad Orlando pose in mano,
Dicendo: Questo ha scritto il tuo Soldano.
Quando ebbe lutto inleso il conle Orlando,
Si volse al re Costanzo sbigottito,
E disse : A Dio e a te mi raccomando :
Vedi come il Soldan m'ha qui tradito:
Aiuto in questo caso ti domando.
Rispose il re : Tu non arai servilo
A questa volta ingrato. Orlando mio.
Oh' io ti darò soccorso pel mio Dio.
IV
Io farò centomila in nn momento
Cavalier' de la tavola ritonda :
E se più ne volessi, anche altri cento :
Cente e tesoro il mio reame abbonda.
Non dubitar, tu sarai ben contento,
E vo' che quel ribaldo si sconfonda :
E mandò bandi e messaggieri e scorte,
Ch' ognun venissi presto armato a corte.
V
In poclii giorni furono a cavallo,
E ordinali stendardi e bandiere :
11 suo bel gonfalone è nero e giallo ;
Mai non si vider meglio in punto schiere :
E scrisse al gran Soldan che sanza fallo.
Fra pochi giorni il verrebbe a vedere :
Che l'aspettassi, e i prigion'soprattenga,
Tanto che lui, che già s' è mosso, venga.
VI
Orlando aveva le squadre ordinate
Con le sue mani, e pieno é d' allegrezza,
E' riguardava quelle genti armate,
Che gli parevan di somma prodezza.
Quella fanciulla con parole ornate
Mostrava di ciò aver molta dolcezza,
Ch'Orlando ristorato sia da quella,
E vuol con esso andar la damigella.
M O r\ G A N T E MAGGIORE
Il re Gostanza auro v' arulò in persona :
E v.iiiiio giorno e notte ctvalraniit»,
T.into rlie mui fonilolli a Baliillixia :
(^hiivi di fuor si vennono DriMn)|i;iniio,
K iìncendo anii<-i/i;i intera e Itnoiia,
Il re Go.>l.inzo insieme ron ()rlan«l«»
Vanno al Soldan con nmlli r.i|iorali
Uomini degni, e lutti i principali.
vili
Quando il Soldan costor vede venire,
E vede tanta genie a la pianura,
Senti 5torinenti, sentiva anitrire ;
Comincia a sospettar con gran paura,
E come savio nel suo core a dire :
Questa è troppa gran gente a le mie mura:
Pur si mostrava allegro, ch'era saggio,
E manda a Salincorno un suo messaggio,
i.\
Quel cir avea con Orlando comliallnlo,
E elle volca tombatler con Rinaldo,
Glie venga presto in là ben provveduto;
E Salincorno mai non si fu saldo.
Che diecimila ordinava in suo aiuto ;
Ed eran, perch' e son di luogo caldo,
Uomini neri, e di statura ginsli ;
E portan per ispade mazzafrnsli.
X
Rappresenlossi con qnesti al Soldano.
Or ritorniamo a Rinaldo eh' avea
Già vinto il Veiilio. Un giorno quel Pagano:
Cir avea con lui mandalo prima Anlea,
Aide venir gran gente per un piano ;
E con Rinaldo è col Veglio dicea ;
Che gente è questa che di qua ne viene ?
Non si conosce a' contrassegni bene.
XI
Rinaldo come e" furono appressati,
S' accosta, e domandava uno scudiere :
Chi son costoro ? ove siete avviali ?
Costui rispose: F. il mastro giustiziere
Gir a due Cristian, che sono imprigionati
In Babillona, va a fare il dovere :
Son paladini e l' un di lor marchese,
Ch" una lìgliuola del Soldan già prese.
XI 1
In questo che Rinaldo domandava,
Giugneva il giustizier sopra Baiardo :
Quando Rinaldo il cavai suo guardava,
E diventò come un lion gagliardo,
E 1 giustizier per la briglia pigliava.
Disse il Pagan : Se non ch io ti riguardo.
Che qualche bestia ne 1 aspetto parmi,
T' insegnerei per la briglia pigliarmi.
vili
Rinaldo trasse Frusberla per dargli ;
Poi dubitava a Baiardo non dare :
In questo il Veglio che vide appiccargli,
Subito corre Rinaldo aiutare:
Cominciò con la mazza a tramezzargli.
11 giustizier non si potè parare:
Che con un colpo la testa gli spezza,
E casco giù come una pera mezza.
Allor Rinaldo in »u Baiardo salta ;
E come fu so|»ra il cavai ^aiito,
Presto levava Erusberla su alla ;
E un Pagano in sul rapo ha ferito,
Cile del suo .••angue la trrra si ^malta,
£ morto a pie del cavallo e gin ito :
Il Wglio prrstl» sali in sul destriere
Di quel Pagan, come il vide « adere.
XV
E Ira la turba si mette pagana.
Tanto che molto Rinaldo il < inniiienda :
Quanti ne giugne la sua ma//a str.iiia,
Tanti convito che morti giù ne scenda.
Il mainalucco, ch'aveva T alfana.
Non si stava anco ; che v" era faccenda :
E tutta quella gente si sbaraglia,
(.he più che gente era o ciurma u canaglia.
XM
11 Veglio pur con la mazza di ferro
Ritocca e suona e martella e forbotta,
Ch' era più dora che (juercia o che ceffo;
Alcuna volta n' uccide una frotta :
Rinaldo si scagliava come un verro
Dove e' vedeva la gente ridotta ;
E rompe e urta e taglia e straccia e spezza
Ciò che trovava per la sua fierezza.
XVII
Chi fuggi prima, se n' andò col meglio :
Ch' a tulli il segno faceva Frusberla :
E ogni volta ron la mazza il Veglio
Diceva a molti che dava 1 ofTerla :
A questo modo chi dormissi sveglio;
£ rilevava la mazza su a l'erta :
E tutti in volta rbtta si fuggieno ;
Anzi sparivan come fa il baleno.
XVllI
Poi cominciò Rinaldo al Veglio a dire :
10 vo' eh' a Babillona presto andiamo,
Perchè il Soldan farà color morire.
Rispose il Veglio : Tuo servo ini chiamo ;
Però comanda, eh' io voglio ubbidire,
E vo' cVie sempre insieme noi viviamo;
Dove tu andrai, io sarò sempre teco ;
E basti solo un cenno, o vienue meco.
XIX
Missonsi tutti a Ire presto in cammino
11 Veglio con Rinaldo e '1 mamalncco.
Rinaldo come al campo fu vicino,
Dicea : Se del veder non son ristucco,
lo veggo tanto popol Saracino,
Che non fu più al tempo di Nabucco :
D insegne e padiglion coperto è il piano :
Non so se amici si son del Soldano.
XX
Ma 1 campo eh' assediò Troia la grande,
Non ebbe la metà di questa gente,
Tante trabacche e padiglion si spande ;
Forse il Soldan vorrà fare al presente
A que" prigion gustar triste vivande ;
Ma pel mio Dio eh' io lo farò dolente :
Questa con seco diceva Rinaldo,
E venia lutto furioso e caldo.
MOUGANTE MvVGCxlOUE
Orlainlo disse un giorno a Spiiiellone :
l.> v»>' die noi vef>}>;iani(> i priiiioii nostri;
Cli'era rol re Costanzo un j^ran barone:
Andiamo e preplierein clie ce pli mostri,
S.in/a cavar-;li fiu)r «le Ja prigione.
Disse il l'aiAan : Sempre accomandi vostri
«Sarò parato; e se non c'è d'avanzo,
Sarelilie da menarvi il re Costanzo;
XXII
Cile yo die <^Vì fia caro di vedere
Due paladin di tanto pregio e lama.
Orlando disse: Troppo m' è in piacere;
E Spineilone il re Costanzo chiama:
Ne la città ne vanno a non tenere
Più che biso2;ni Innga questa trama :
E la licenza lor dette il Soldano ;
E pon le chiavi al re Costanzo in mano.
XXlll
A la prigion se n' andorno costoro,
('ome Ulivier sentiva aprir la porla,
A Ricciardetto disse: Ecco coloro
Che vengono a recarci altro che torta,
Questo sarà per V ultimo marloro :
E molto ognun di lor se ne sconforta.
Orlando, quando Ulivier suo vedea
E Ricciardetto, parlar non polea.
xxiv
Il re Costanzo disse : Or m'intendete :
Se voi volete adorar Macometto,
De la prigione scampati sarete ;
Se non che domattina io vi prometto
Ch'ai vento insieme de' calci darete.
Rispose a le parole Ricciardetto :
Se ci darà pur morte il Soldan vostro,
Conlenti siam morir pel Signor nostro.
XXV
E se ci fossi il mio caro fratello
Rinaldo, non saremmo a questo porto,
O '1 conte Orlando eh' è cugino a quello:
Ma spero, poi eh' ognun di noi fia morto,
Contro a questo crudel signore e fello
Vendicheranno ancor sì fatto torlo,
E piangeranne Babillona tutta :
Che so per le lor man sarà distrulla.
XXVI
Ma ben mi duol ch'innanzi al mio morire
Non vegga il mio fratello e '1 cugin mio ;
E tuUavolta me gli par sentire.
Come forse spiralo dal mio Dio.
Orlando non potè più sofFerire,
Che d' abbracciargli avea troppo disio ;
E mentre che ciò dice Rlcciardello,
Alzava la visiera de 1' elmetto,
XXVII
E disse: Tu di' il ver ch'egli è <}ui presfo
Orlando, che non l'ha mai abbandonato.
Ulivier guarda, e dice : Egli è pur desso :
E Ricciardello V ha raffiguralo :
Subito il braccio al collo gli ebbe messo.
Ed Ulivieri abbraccia il car cognato.
Per tenerezza gran pianto facevano,
E Spineilone e 1 re con lor piangevano.
xxvin
Poi molle cose insieme ragionare) :
Orlando disse, ignun non dubita&si,
(~.h' a «Igni cosa ordinato ha riparo ;
Ch' ognun di buona voglia si posassi :
E così insieme al vSoldan riportato
Le <:hiavi, che sospetto non ]>igliassi :
E ringraziorno la sua signoria ^
De la sua gentilezza e cortesia.
XXIX
Orlando non avea mai 1' elmo tratto ;
Onde il Soldano un giorno gli ebbe dello:
Deh dimmi, cavalier, che stai di piallo.
Per che cagion lu tien sempre 1' elmetto?
Ch'io non posso comprender questo fallo:
Tu mi faresti pigliarne sospetto:
Io vo' che tu mei dica a ogni modo ;
Se non eh' io crederò che ci sia frodo.
Diceva Orlando: Certa nimicizia
Fa che quest'elmo tengo così in testa.
Acciò che non pigliassi ignun malizia
Di farmi a tradimento un dì la festa.
Disse il Soldano : Qui è sotlo tristizia :
Non si riscontra ben la cosa a sesta :
Sempre color che sconosciuti vanno,
O per paura o per malizia il fanno.
XXXI
Io ho disposto in viso di vederli.
Se iV>n che mal le ne potrebbe inctìrre.
Diceva Orlando : In ciò non vo' piacerti :
D' ogni altra cosa puoi di me disporre.
Disse il Soldano: E' convien eh' io m' accerti;
E vollegli la mano al viso porre.
Orlando gli menava una gotata, ,
Che in sul viso la man riraan segnata.
XXXII
Quivi il Soldan con gran furor si rizza,
E grida a'mamalucchi : Su, poltroni.
Orlando fuor la spada non isguizza,
Che conosciuta non sia da' baroni :
Rivoltossi a costor con molla stizza,
E da lor si difende co' punzoni;
E pesche sanza nocciolo appiccava.
Che si ritrasse ognun che n' assaggiava.
xxxiu
E S])inellon, come ledei compagno,
Subito pose la spada a la mano,
E fé' di sangue con essa un rigagno,
Che nessun colpo non menava invano ;
Ma poi che vide e' non v' era guadagno,
Si fuggì in una camera il Soldano,
E per paura si serrava drento:
Orlando si ritrasse a salvamento.
XXXIV
E Spineilone, e '1 re Costanzo è inloriio
Con lui ristretti ; e son di fuori usciti
Di Babillona ; e nel campo lornorno :
I baron del Soldano sbigottiti,
Chi qua chi là lutti si scompigliorno.
Maravigliali di que' tanto ardili :
E fu per la città molto romore.
Che così fussi fatto al lor signore.
MOKC. A \ TV. M AC. (\ I O l\ K
xxxv
Quando il SoMan ras^iriiralo fnc,
Fere venir lulta la baronìa,
E ne Ij »edia si levava sue.
Né mai si fé' sì bella tlirerìa ;
K ruiiiiiiriò ruii le parole 5ue :
Mai più fu tocca la persona nira :
Ma a ogni cosa appareccliialo son«i ;
E come piace a voi, cosi perdonro.
XXXVI
Il re Costanzo ha tanti cavalieri
Cile cuopron, voi vedete, il piano e I monte:
Non so qnai si sien drento i suo pensieri ;
Ma per fnsrgir sospetto e niappior" onte,
Mostralo ho di vederlo volentieri :
Or con colui che mi battè la fronte.
Credo che buon sarà forse far triepna,
Acciò che maggior mal di ciò n«)n segua :
XXXVII
K dare a la giustizia esecuzione
Intanto di qOe" due eh io tengo presi.
Acciò che il re Gostan/ < e Spinellone
Kilornin con lor gente mì lor paesi :
Morti questi baron eh ^ <biam prigione.
Noi sarem poi da tanti leno offesi:
Che s'io mi fo nimico .i re Costanzo,
Per al presente non ci veggo avanzo.
XXXVIII
In questo mezzo Antea potre' pigliare
Quel Montalban che Gauo ha consiglialo :
Rinaldo so che non dee mai tornare :
Credo che 1 Veglio I abbia ora ammazzato:
A luogo e tempo si potrà nioslrare
Al re Costanzo che m'abbi ingiuriato:
Ch' io non vo far vendetta con mio danno,
Ma aspettar tempo come i savi fanno.
XXX IX
Salincorno riprese le parole:
E" non ha tempo mai chi tempo aspetta :
Per nessun modo triegua non si vuole :
10 vo" con queste man farne vendetta.
Prima che molli dì ritorni il Sole:
De la giustizia che in punto si metta,
Questo mi piace ; e facciasi pur presto :
E tutti in fine s" accordano a questo.
Al re Costanzo va tosto una spia,
11 dice ciò ch'ordina il Soldano :
E re Costanzo ad Orlando il dicia :
Orlando disse: In punto ci mettiano,
Ch* ai prigion fatto non sia villanìa:
E tutti si schierorno a mano a mano.
In questo tempo il Soldano ordinava
Ciò che bisogna, e I giuslizier chiamava.
XLI
E misse bandi per le sue città,
Ch' ognun eh' avesse arniadura o cavallo.
Venga a veder la giu>lizia che ia,
Che si farà in tal giorno sanza fallo.
Un giovane ch" avea molla bontà,
Sentendo questo, venne a visitallo.
Chiamato Mariotlo, un gran signore,
Cii era figliuol del loro iniperadore :
Trentamila menò cjuel Mariotlo,
(>n<1e al Soldan fu questo molto (^ro,
Armali stran.)nicnle di cuoio colto : •>
Ben centomila a cavai ragimaro
In punto a modo lor di tulio botto,
E di mandar la giustizia ordinaro :
Il giuslizier con molla gente andóe
\ la prigione, r i due baron legóe.
XI III
Pili gli legò a cavallo in su la sf-lla
Pur sopra i lor destrier con le lor .trini ,
Perchè il Soldano in tal modo favella:
Che tu gli meni amendue armati, panni.
Il giuslizier, eh' al suo dir non appelL,
Ki>pose : Cosi avea pensalo farmi.
Questo non era il giustiziere usalo,
Che 1 Veglio, com' io dissi, V ha ammazzalo.
XI.IV
Di nuovo un'altra spia ne va vtjlandu,
Che la giustizia uscirà presto fore :
E Spinellone insieme con Orlando
Rassellan le lor genti a gran furore.
Il re Costanzo al conte vieu parlando:
E ci sarà fatica, car signore,
Racquislar questi con ispada o landa.
Tanto in sul crollo son de la bilancia.
Era a sentir molta compassione
I due baron come ciascun si lagna :
O conte Orlando, o Rinaldo d Amone,
Dovè la tua possanza tanto magna?
Non appettar più, vien col gonfalone ;
Però che noi darera tosto a la ragna :
Queste parole van dicendo forte,
C]hè gran paura avevan de la morte.
XLVI
Cià eran gli stendardi apparecchiati,
E Mariotlo è innanzi a la giustizia :
Già fuor de la città son capitali:
Evvi il Soldan eh' avea molla letizia:
E sempre per la via gli ha svergognati ;
Ribaldi, tradilor, pien di malizia :
3Ia Ricciardetto a ogni sua parola
Diceva : Tu ne menti per la gola,
XLVll
Che la se" tu ribaldo e traditore :
Ma ne verrà Rinaldo in qualche modo,
E caveratti con sue mani il core:
Che promettesti, e rimanesti in sodo,
Renderci a lui, crudele e peccatore.
Dicea il Soldano : Tu arai presto un nodo.
Che ti richiuderà colesta strozza ;
Ma prima ti sarà la lingua mozza.
XLVI II
Orlando e '1 re Costanzo hanno veduto
E Spinellon, che la giustizia viene,
E che 1 Soldan con essa è fuor venuto:
Ognun la lancia in su la coscia tiene :
Fannosi incontro; e Spinellon saputo
Verso quel Mariotlo: E" non è bene,
Dicea, c4ie questa giustìzia si faccia.
Acciò eh" al nostro Dio non si dispiaccia;
MOKO ANTi: M/V(V(; I0[\ V
l'errile il Soldan, secondo intoiidcr posso,
Promisse pure a Itinaldo appellarlo:
il or rlie così a furia si sia mosso,
Troppo mi par che sia da hiasiniarlo :
li olir' a questo e' vi verrà qua aildosso.
Come questo saprà, sul)il<» Carlo ;
E ne verrà Rinaldo e 1 siu) fratello ;
E gran vendetta far vorrà di quello.
L
Ma pur se non venissi niai persona,
Parli che questo al Soldan si convenga?
Dov' è la fede de la sua corona,
Che par cue sotto sé qua il mondo tenga?
Bitorna, Mariolto, in Bahillona,
Acciò clie scandoi di ciò non avvenga ;
Diceva Spinellone iratamenle.
Che '1 re Goslanzo non vuol per niente.
LI
Rispose Mariolto : Tu se' erralo :
Se ci fossi presente Carlo Mano,
Orlando e '1 suo cugin eh' hai nominato,
O se ci fossi il grande Ellor troiano,
O con la scure il possente Burraio ;
Non s'opporrebbe di questo al Soldano :
E se tu se' in cotesla opinione,
Io ti disfido, e guarii Spinellone.
tu
Ispinellon non islelte a <lir più,
A drielo col cavai presto si scosta ;
Poi si rivolge, e 1' asta abbassa in giù,
Si che del petto passava ogni costa
A Mariolto, si gran colpo fu.
La turba eh' era dal lato si scosta ;
E Spinellon cacciava mano al brando :
AUor si mosse il re presto ed Orlando.
LUI
Orlando Veglianlin per modo serra,
Che '1 primo Saracin die vien davanle.
Con r urlo e con la lancia abbatte in terra;
Poi misse mano a la spada pesante,
E colpo che menassi mai non erra :
Convien che chi 1' aspetta, alzi le piante :
E '1 re Costanzo è ne la zuffa entrato,
E tutto il campo già s'è sbaragliato.
LIV
Quando il Soldano il romore ha sentito.
Subito disse : Quél eh' io mi pensai.
Sarà pur vero al fni eh io son tradito
Dal re Costanzo, com' io dubitai;
Vede già il popol tutto sbigottito :
Di questo caso dubitava assai:
Pur si fé' innanzi, e con la spada in mano
Ya confortando ogni suo capitano,
LV
Orlando or qua or là si scaglia e getta;
E dove e' vede la gente calcala,
Subilo si metteva in quella stretta,
F con la spada 1' aveva allargata :
E tristo a quel che Durlindana aspetta,
Che gli facea sentir s' ella è affilata :
Quanti ne giugne riscontra o rintoppa,
>* Faceva a lutti la barba di stoppa.
Or dicinni di Rinaldo eh" è già presso
Al campo, e vede quel rabliarulTato
Per la battaglia e dice fra sé stesso:
O Rieeiardetto mio, tu se" spacciato :
Ove, Soldan, quel che tu mhai promesso?
Poi disse al Veglio : Io son stalo ingannate»:
10 veggo segno a<-<ai tristo di (jueslo ;
Però quanto possiam corriam là presto.
i.vir
Fnrno in un hallo ne la zuffa questi.
Rinaldo ntm sapea ({nel eh' abbia a farsi :
Un Saracin pregò die manifesti
Per che cagione il campo abbia azzuffarsi:
Colui rispose: Il Soldan ci ha ridiiesli
Per due baron che doven giustiziarsi ;
11 re Costanzo non vuol che gli uccida :
Per questo il campo sol combatte e grida.
LVIII
Intanto Spinellon eh' era caduto
D'im colpo che gli avea dato "1 gigante.
Vede Rinaldo cir é sopravvenuto,
E che del caso pareva ignorante :
Disse: Baron, come tu hai sapulo.
Vedi che va sozzopra qua Levante
Per due Cristian che il gran Soldano a torto
Volea eh' ognun di lor fossi oggi morto.
LIX
Il mio signor Costanzo re non vuole,
E siam qui tulli a lor difensione,
Perché di que" baron troppo ci duole.
Che r un fratel di Rinaldo é d" Anione :
E perch' io non ti tenga più a parole,
Ne la battaglia é il figliuol di Milone,
E fa gran cose per campar costoro;
Ed io combatto qui pedon per loro.
i,x
Né posso ancor rimontare a cavallo,
Dond" io fu' tratto da un Salincorno :
Tulli color del conlrasiegno giallo
Pel mio signor combatton questo giorno.
Disse Rinaldo: Io vorrei sanza fallo
Sapere il nome tuo, barone adorno.
Disse il Pagano : Spinellon mi chiamo ;
E molto Orlando e Rinaldo suo amo.
LXl
AUor gridò Rinaldo : O Saracino,
Io son Rinaldo ; e son qui capitato
Per ritrovare Orlando mio cugino:
Monta a cavallo; e '1 Pagano è montato;
Menami ove combatte il paladino ;
E Spinellon fu tutto consolato,
E disse : Vincilor saremo ornai :
Andianne dove Orlando tuo lasciai.
I.X1I
E tanto per lo campo insieme vanno,
Cile lo condusse ove comballe Orlando,
Ch' era pien tutto di sangue e d' affanno :
Dice Rinaldo : Posa un poco il brando :
Dimmi, i prigion, cugin mio, come stanno?
Allor Orlando il vien raffigurando ;
Abbracciò questo, e pianse di letizia;
E del Soldan contóe la sua tristizia.
M 0 K r. A N T K M A (; (. I () W K
••<;(;
I XIII
Pili disse : T»Miipo non è farsi f('*la :
Qui si r«)nvifne i priiiioni aiiilarr.
Niin va lioii pei laine per fttresta,
Ctiine Kiiialilii lominriò a niu^i'iliiarc,
A i|tieslo e quello spe/./amhi la lesta,
Le slrolte srliiere farrnilo .•illar;;are :
Qui il Veglio e Spinclloiie e I Conte sono,
È paioli lutti a (iiiatlro in>icnie un tuono.
ixcv
Nò prima detlon tra le schiere drenlo,
Clie si vetleva .«.harai;liar la pmle,
Ch'egli eran qu.iUru lupi iu un armenlo :
E pur s* alcun non liifi^e, se ne pente;
CI» Ofjni cosa aliballevan come un vento ;
E "nverso il sonTalou suhilaniente
Dovè il Soltlan con gran furor irandorno;
Or qui le spade ben s' insanjiuinorno.
i.w
Era il Soidan sopra un cavai morello,
Co' mauìalucclii suoi quivi rislrelto :
Giuuson costoro insieme a un drappello
Gridando: Muoia il Soidan nialatletto.
Ma come il Veglio ha conosciulo quello,
Prese una lancia e posesela al |>etto,
E disse: Io vo' veder se la tua morte
Sì serba a me per destino o per sorte.
LXVl
Quando il Soidan vide abbassar la lancia,
Subito aneli egli il suo cavai moveva,
Perdi e" vedeva che ctistui non ciancia,
E ne lo scudo del A'e^lio piujineva :
Pensò passargli la falda e la pancia :
L' aste si ruppe, come il ciel voleva,
E in molli pezzi per V aria trovossi ;
Che quel eh' è destinato tor non pnossi.
f.WII
Ebbe pur luogo alfin la visione,
Ch' una montagna gli cadeva addo-<':o :
Che come il Veglio a lo scudo gli pone.
Subito lo passò, eh' era pur grosso,
E la corazza e lo sbergo e 1 giubbone
Ch' è di catarzo, e poi la carne e 1 osso ;
E con la furia del cavai l*urlóe
Tanto, ch'addosso al Soidan roviuóe.
LXVIII
Ma 1 cavai si rizzò del Veglio tosto :
Quel del Soidan col suo signore è in terra,
E morto V uuo e 1' altro a giacer posto :
Cosi il giudizio del Ciel mai non erra ;
Era così provveduto e disposto :
Or qui fu quasi finita la guerra :
Morto il Soldano, ognun verso le porte
Correva sbisottilo dì tal morte.
Rinaldo, che il Soidan vide cadere,
Diceva al Veglio : Per la fede mia.
Che non era di matto il suo temere :
Vedi che luogo ha pur la profezia 1
Or oltre in rotta si fuggon le schiere ;
Dunque niostriam la nostra gagliardia :
E vanno trascorrendo ove e vedieno
1 Saracin che indrieto si fuggieno.
Itinaldo il giuslizier trasse per niorl<i
Di ^ella con un ndpo con Fru.sberia ;
Ond egli di;>.se : Tu ni hai fatUi lui lo :
A quello modo il mio ben (ar non merla,
(di' ho dato aiolo a' prigioni e conforto.
Disse Itinaldo : Dove e >ien m' accerta.
1'^ in questo modo «-auiperai la vita ;
Se no, tu non farai da me partila.
LXXI
Il giustiziere allor Rinaldo mena
Dove i prìgion si stavan «la 1" un canto
Afflitti, dolorosi «on gran pena.
Ed arean fallo quel giorno gran pianto :
Tanto che più gli riconosce appena.
Che paghereste voi, ditemi il «guanto,
Direa Hiualdo a lor, chi vi scampassi ?
Ed Ulivier, come e suol, cheto slassi.
) XMl
Ma Ricciardetto ri-pose : Niente :
Noi non abbiam danar né cosa alcuna :
Siam qui conduUì si mi.-eraiiienle
Sanza speranza, come vuol fortuna ;
Ma se qui fussi Rinaldo al presente.
Non temeremmo di cosa nessuna :
O se ci fussi il conte Orlando appresso.
Che di camparci pur ci avea promesso,
rxxiii
Disse Rinaldo : Siete voi Cristiani ?
Rispose Ricciardetto : Si, messere,
E paladiu già fummo alti e sovrani.
Rinaldo pili nim si pot<^ tenere :
A la visiera si pose le mani.
Acciò che in viso il polessin vedere ;
D ontle ciascun lo riconobbe presto ;
Ma volendo, abbracciar non posson questo.
i.y.xiv
Allor Rinaldo gli scioglie ed abbraccia,
E ilice : Non sapete voi eh' Orlando
E qui nel campo, e questa gente scaccia,
Per venir voi da morte liberando ?
Per mio consiglio mi par che si faccia,
Acciò che vi vegnate riposando,
Coi gitistizier qui ve n'andrete vostro
Al padiglion del re Gostanzo nostro.
LXXV
E tutti a tre n" andorno al padiglione ;
Ma in questo tempo quel gìgaole forte
Uccise il re Gostanzo in su 1' arcione,
Che molto pianse Orlando f^al morte.
Poi abbaile d'un colpo Spinellone :
Qui sopravvenne Orlando a caso e sorte;
E tanto fé', che si lece cristiano ;
E battezzollo con sua propria mano.
LXXVI
E fu cosa mìrabil quel che disse
Ispinellone in questo suo morire;
Credo che '1 ciel per grazia se gli aprisse,
Dove r anima presto dovea gire :
Perch' e' teneva in su le luci Gsse,
Che gli pareva gli Angioli sentire ;
E disse con Orlando: Orlando, cerio
Io veggo il paradiso tulio aperto.
INI O i\ (/ A N r i: M A (i ( r I O ]\ K
LXXVII
Non vrdi tu là su (jiiel vhc vt'{;<;' io ?
Clii è colui rir o<>;muu) onora e teme,
In sodia coronalo e giusto e pio,
Tra mille lumi e mille diatleme ?
Rispose Orlando : È Gesù nostro Iddio
Che pasce lutti di ii;audio e di speme,
Colui ch'adora opù fedel cristiano:
Allor gli fé' reverenzia il Pagano.
r.xxvui
Chi è colei che siede a lato a quello,
Che sopra tulle par donna serena,
V. presso a lei un Angel così bello ?
E la sua madre Vergin Nazzarena;
1'. l'Angel che gli è presso, è Gabriello,
Colui che gli disse y^i'r. ijratìn piena.
Allor le braccia il Saracino stende,
Ed umilmente grazia a quella rende.
I-XXIX
E poi diceva: Io veggo intorno a quella
Dodici in sedia tulli coronati.
Rispose Orlando : Questa brigateli»
Son gli Apostoli suoi glorificali.
Quell'altro con la croce in man si bella,
Che par che mollo fisso Gesù guati,
E non si sazia di veder sua vista ?
Rispose Orlando: E il suo cngin Ballista,
LXXX
Quelle tre donne accosto si al Signore ?
Rispose Orlando : Son le tre Marie
Ch' al suo sepulcio andar con tanto amore.
Poi elle fu crucifisso il terzo die.
Chi è colui che guarda il suo Fattore,
Quasi dicessi : Io li disubbidie ?
Rispose Orlando: Sarà il noslro Adamo
Pel cui peccato dannati savamo.
LXXXI
Chi è quel vecchierel con tanta fede,
Che non si sazia di cantare osanna,
E par che di Maria si goda al piede ?
n Colui che fu con lei ne la capanna.
Quell'altro vecchio ch'appresso si vede
Con la sua sposa ? E Giovacchino ed Anna,
Rispose Orlando, il padre di Maria,
E la sua madre gloriosa e pia.
LXXXIl
Color che paion si giusti e discreti.
Co' libri in man, sai tu quel che si sia ?
Rispose Orlando : Saranno i profeti
Che predisson l' annunzio di Maria :
Quivi è Davidde e gli altri sempre lieti,
E Moisè legista e Geremia.
L'altre corone ch'io vi veggo tante?
Rispose Orlando: Gli altri santi e sante,
LxxJ^^U
E marlir patriarciii e confessori.
Tante altre cose ch'io vi veggo belle?
Rispose Orlando : Celesti splendori,
Come i pianeti e sole e luna e stelle.
Que' dolci gaudi e qne' soavi odori,
Tante dolci armonie, tante fianjmclle ?
Rispose Orlando : E il gaudio sempiterno,
E l sommo ben di quel Signore eterno.
i.xxxiv
Color che cantan che paioli dì loco,
Con 1' alie intorno a la sedia vicini ?
liispose Orlando: Qui li ferma un poco:
Sono altre spezie di sjiirti divini ;
Ed ha ciascuno ordinato il suo luco :
Que' primi, (cherubini e Serafini,
1'^ gli altri Troni che si presso stanno;
Si che Ire gerarchie que' cori fanno.
i.xxxv
Gli altri che seguon questo primo coro
De' Serafin, Cherubini e de' Troni,
Virlute e Potestà son con costoro;
Ma innanzi a questi le Dominazioni:
Poi Principati, e gli Arcangel con loro
Ed Angel par che d' un canto risuoni.
Disse il Pagan : Come tu m' hai diviso
Coslor, così gli veggo in paradiso.
r.xxxvi
Ah, disse Orlando, e' non passerà mollo,
Che tu gli potrai me' vedere in cielo :
Dirizza i tuoi pensier la mente e '1 volt»
A quel Signor con puro amore e zelo,
E ncrescali di me che resto involto
In questo cieco mondo al caldo e al gielo:
E poi gli die la sua benedizione:
E r anima spirò di Spinellone.
LXXXVII
Rimase Orlando lutto consolato
Del dolce fin che Spinellone ha fatto,
E lutto con lo spirito elevato;
Tanto che Paol pareva al ciel ratto,
Chiamando morto chi in vita è restalo.
Intanto Sajincorno è quivi tratto,
E scaccia ognun che innanzi se gli affronta:
Orlando in sul cavai presto rimonta,
LXXXVIII
E grida : A drieto tornate, canaglia :
E altro che un Pagan quel che vi caccia?
E rispondieno: Egli è ne la battaglia
Questo gigante, che Giove minaccia :
E' ci divora, non ferisce o taglia,
Tanto eh' ognuno ha rivolta la faccia.
Orlando pur gli sgrida e svergognava ;
E in questo quivi Rinaldo arrivava.
LXXXIX
E Salincorno avea già domandato:
Dov' è Rinaldo ? Io vorrei pur trovarlo.
Orlando, come lo vide appressalo,
Diceva: O Salincorno, or puoi provarlo:
Ecco colui ch''hai tanto minaccialo :
Questo è Rinaldo tuo col quale io parlo :
E volsesi a Rinaldo, e disse seco :
Questo gigante vuol provarsi leco.
xc
Quando il gigante vedeva Rinaldo ;
Parvegli un uom ne V aspetto gagliardo,
E tulio stupefatto stava saldo :
Guarda il Cristiano, e guardava Baiardo ;
E raflreddossi, che parca si caldo :
Disse: lìaron, s'ogni tuo elfello guardo.
Non vidi mai il più bel combattitore ;
Ma tu se' il capo d'ogni traditore.
M O n G AN T E MA G G l O W K
Tu «irriderli pia (Jt'mifi cunsorli
{)nr\ (.liianVl « lic fti tanto nomato :
Di-" miri fralrlli «hie n' avrtr nuirti,
E liriinainoiilr <ai dir 1' hai ammazzalo
Con niillr tradimenti e mille torli ;
E Manihrin rh' era ilei mio janijne nato,
E Gu»t2ntìn con inganno iicridfsli,
E nirrilJtu liai già mille capresti.
XCII
Noi siam rimasi sei fralei carnali ;
Ma piinirotti io <ol, tradilor fello.
Hinaliio stava tuttavia in su Tali,
Come il lerzuol, per diltallersi a quello ;
E disse : Badalon, se tanto vali,
Come ti fé' cader qui il mio fratello ?
Dunque tu chiami traditor Rinaldo,
Che >ai che tu se" il fior d" ogni riboldo ?
xeni
Disse il 2Ì^anIe : Orlando, io mi ti scuso,
Non p'uò ciò comportar nostra natura:
Costui mi par co giganti poro uso :
Che s" io comincio per la sua sciagura,
Gli forbirò col mazzafrusto il muso.
Rinaltio, che smarrita lia la paura,
Gli volle dar < ol guanto nel mostaccio,
Se nou che (.)rlando gli pigliava il braccio.
xciv
E disse : Fate battaglia reale.
Rispose Salincorno : I" ho combattuto
Tutto di d'oggi, e fatto tanto male,
E Spkiellone e Gostanzo abbattuto, .
Che far con esso or battaglia campale,
O in altro modo non sare dovuto :
Ma domattina in sul campo saremo.
E so che 1 lume e i dadi pagheremo.
xrv
Rinaldo fu contento, e Salincorno
In Babillona si tornava drenlo ;
E così i nostri al padiglion tornorno.
Diceva il Veelio : Iguuu mio guernimcntu
Non mi trarrò, Rinaldo, insino al giorno :
Così ti priego che tu sia contento.
Rispose Orlando: Il tuo consiglio parmi
Di savio, e non si voglion c^var 1' armi.
sevi
Il ^eglio, come pratico, in aguato
Con una schiera quella notte sta.
Or Salincorno, come addormentato
Crede sia il campo, usci de la città :
^ eiso Rinaldo u" andava affilato.
Che di tradirlo pensalo seco ha :
Ma ne V uscir ne la schiera scontrossi
Del savio Veglio, e la zuffa appiccossi.
XCVII
E cominciossi la gente a ferire.
Questo romor ne va pel campo presto ,
Ma pur Rinaldo si stava a dormire:
Baiardo che la notte stava desto,
'.omincia presso a Rinaldo anitrire:
Non si sentendo, spezzava il capreslo,
E corse sanza sella cosi ignudo,
E dettegli del pie drente a lo scudo-
XCVIII
Rinaldo allor si fu pur rì>rnlilo ;
E Ric< iardetto e IMivier de-l«ie :
Ognun s'armava tutto sbalordito:
Orlando in sul cavai presto mont«>e,
Dove combatte il Veglio ne fu ito,
E tutto il campo iu là pre^^o n' andtir :
A Salincorno par la cosa guasta,
E pentcsi aver messo mano in pasta.
XCIX
Pur Con Rinaldo domandò batlagfia :
Rinaldo disse, del canqio pigliasse ;
E par con gran furor I un l'altro assalita
Subito fumo le lor lance basse.
Era a veder la pagana canaglia,
Che SI pensorno il mondo rovinasse.
Quando Rinaldo s'accolta al gigante;
Perch'e tremava la terra e le piante.
e
E Salincorno la lancia spezzava ;
Cosi Rinaldo ; e i hjr destricr passorm» ;
E quasi il colpo di lor s* agguagliava ;
Si che di nuovo due lance pigliorno,
E l'uno inverso l'altro ritornava:
Trovò Rinaldo al cimier Salincorno,
E con quel colpo dilacciò T elmetto,
E 1 suo p^nacchio gli spiccò di netto.
CI
Rinaldo ne Io scudo pose a lui
Un colpo eh' egli arebbe traboccato,
Se fussin tulli insieme i frate" sui ;
E 'n su la groppa a l'alfana è cascalo.
Gridava Salincorno : Mai non fui
A questo modo piò vituperato ;
O Macometlo becco, can, ribaldo,
Tu hai pagata la balia a Rinaldo.
cu
Credo che tu l' intenda co'Cristiani :
E 1 me" che può sopra T arcion si rizza;
E prese il mazzafrusto con due roani:
Verso Rinaldo va con molta stizza
Gridando : Tu n'andrai con gli altri cani,
Se questa mazza di man non mi schizza :
Che se tu scampi da me questa notte.
Non tornerò mai più ne le mie grolle.
CU!
E d" una punta gli delle nel fianco.
Che gli fé" rimbalzar 1' elmetto in testa ;
E benché fossi il paladin sì franco.
Per la percossa ebbe tanta molesta,
Che poco raen che non si venne manco,
E non volea la seconda richiesta:
E Frusberta di man gli era caduta;
Se non che la catena 1 ha tenuta:
E 1 elmetto pel colpo gli era uscito ;
Il Saracin se gli scagliava intanto
Addosso, che pensò che sia fornito.
Orlando, eh' a vedere era da canto,
Gridò: Pagan, se' lu del senno uscito?
Orchenonha piul'elmoo Ibrandool guanto,
Gli credi addosso andar co' mazzafrusti,
Ci-nie un gaglioffo vii che sempre fusti ?
INI O K (i A N T K M \ (V G \ O l\ E
E volle dargli un colpo con la <;pada.
Quando il gif!;anle Orlando irato vide,
Diceva: E' non è buon che innanzi vada:
Che questa spada il lìorliro divide.
Qoando Rinaldo a queste cose bada,
Per la verf:;oi;na il cuor se f!;li conquide ;
E ripistliato alquanto di vigore,
Verso il Pagano andò con gran furore,
evi
Rizzossi in sn le staire, e 1 brando strinse,
E Salincorno trovò in sul cappello:
E fu tanta la rabbia che lo vin5e,
Che lo tagliò come latte il coltello:
Non domandar quanto sdegno il sospinse:
E spezza il teschio duro, e poi il cervello,
E '1 collo e '1 j)ello, e fecene due parti,
Cile così appunto non tagliano i sarti.
cvii
Cadde il gigante de V alfana in terra :
Fece un fracasso come quando taglia
Il montanaro, e qualche laggio atterra.
I Saracin che son ne la battaglia,
Clii qua chi là per le fosse al buio erra :
Ognuno inverso le porte si scaglia,
Veggendo Salincorno giù cadere;
Che lo senti chi noi polca vedere.
ovili
Conibatfevan' a lumi di lanterne
Coslor la notte, e fiaccole di pino ;
Sì che molli restar per le caverne
Chi morto e chi ferito e chi meschino:
Nostri Cristian quanti potit'n vederne,
Tanti uccidien del popol Saracino :
Buon per colui che fu prima a le porte,
Che lutti que' da sezzo ebbon la morie.
cix
Ne la città chi può si fuggì drenlo,
E iuron presto le porte serrate;
E cominciorno a far provvedimento.
Come le mura lor fussin guardale ;
Che d'uscir fuor non avean piìi ardimento.
Lasciam costoro e T altre genti armate:
E ci convien tornare un poco a Carlo,
Che non si vuol però dimenticarlo.
ex
Carlo in Parigi ne la sua tornala
Meridiana volse rimandare
A Carador che l'ha tanto aspettala:
E lei più in Francia non volea già stare,
Da poi eh' Olivier suo T avea lasciata:
Morgante volle questa accompagnare^
E finalmenle dopo alcun dimoro
Rappresentolla al gran re Caradoro.
CXI
E pochi giorni con lei dimoróe.
Perdi' e' voleva andar verso Sona,
Dov'era Orlando; e licenzia piglióe,
E sol soletto si misse per via :
Meridiana al partir lo pregóe.
Che r avvisassi d' Ulivier che sia ;
E ritornassi qualche volta a quella
Che rimanea scontenta e mesthmella.
Giunto Morgante un dì in sn 'n crocicchi«i,
l'>cito d'una valle e d'un gran bosco,
Vide venir di lungi per i»|Mcchio
Un uoin che in volto parta tulio fosco:
Delle «lei capo del battaglio un picchio
In terra, e disse : Costui non conosco ;
E po>esi a sedere in su 'n sasso,
Tanto che questo capil«>e al passo.
CXlll
Morgante guata le sue membra tulle
Più e pili volte dal capo a le piante,
(/he gli pareano strane, orride e bruite :
Diiuuii il tuo nome, «licea, viandante ?
(]olui risp<)se : Il mio nome è Margulte ;
Ed ebbi voglia anch' io d' esser gigante :
Poi mi penti', quando a mezzo fu' giunto :
Vedi die selle braccia sono appunto.
cxiv
Disse Morgante: Tn sia il ben venuto:
Ecco eh' io arò pur un fiaschetto allato,
(die da due giorni in qua non ho beuto :
E se <;on meco sarai accompagnato,
Io ti farò a cammin quel eh' è dovuto :
Dimmi più oltre io non t'ho domandato,
Se se' cristiano, o se se' Saracino,
O se tu credi in Cristo, a in Apollino.
cxv
Rispose allor Margulte: A dirtel tosto,
10 non credo più al nero, eh' a l'azzurro;
Ma nei cappone, o lesso o vuogli arrosto ;
E credo alcuna volta anco nel burro,
Ne la cervogia, e quand' io n' ho nel mosto,
E mollo pili ne l'aspro che il mangurro;
Ma sopra tutto del buon vino ho fede ;
E credo che sia salvo chi gli crede.
cxvi
E credo ne la torta e nel tortello.:
L' uno è la madre, e l'altro è il suo figliuolo.
11 vero paternostro è il fegatello,
E possono esser tre, due, ed un solo ;
E diriva dal fegato almen quello :
E perch' io vorrei ber con un ghiaccinolo,"
Se Marometlo il mosto vieta e biasima,
Credo che sia il sogno o la fanta.-ima.
ex VII
Ed Apollin debb' esser il farnetico,
E Trivigante è forse la tregenda.
La fede è falla come fa il solletico :
Per discrezion mi credo che tu intenda :
Or tu potresti' dir ch'io lussi eretico.
Acciò che invan parola non ci spenda:
Vedrai che la mia schiatta non traligna :
E ch'io non son terren da porvi vigna.
exvui
Questa fede è come 1' noni se 1 arreca :
Vuoi tu veder che fede sia la mia ?
Clie nato son d' una monaca greca,
E d'un papasso in Bursia là in Turchia:
E nel principio sonar la ribeca
Mi dilettai; perch' avea fantasia
Cantar di Troia, d' Ettore e d' A( bilie,
Non una volta già, ma mille e mille.
!M 0 l\ (r A N r K INI A (; (i I O K K
cxtx
Poi rhe m' iiicrcbbe sonar la «liilarra,
Io cinniix'i.ii portar l' arro e "l torrassu.
' Un <lì rli' io fé' ne la niorcliea poi siiaira,
K dì" io nori>i il ntio verrino papasso,
Mi posi a lato questa sriniilarra,
K coiiiinriai pel mondo andare a spasmi» ;
E per ronipafini ne menai con mero
Tuli" i perrali o di lnrc(» o Ji greco ;
» \x
AiMÌ qnanli ne son gin ne lo interno ;
Io n'ho icllanla e selle, de' mortali,
Che non mi lascian mai la .slate o I verno;
Pensa quanti io n' Jio poi de veniali :
Non credo se durassi il mondo eterno,
Si potessi commetter tanti mali,
Quanti ho commessi io sulu a la mia vita;
Kd ho per alfabeto ogni parlila.
cxxi
Non li rincresca T ascollarmi un poco:
Tu udirai per ordine la trama :
Mentre oh" i" ho danar, sio Jono a giuoco,
Rispondo come amico a chiunque chiama,
E gjnoco d' ogni tempo e in ogni loco,
Tanto ch'ai tutto la roba e la fama^
Io m'ho giocati, e i pel già de la barba:
Guarda se questo pel primo ti garba.
cxxii
Non domandar quel eh io so tar dun dadu,
O fiamma o Iraversin, testa o galluccia,
O lo spuntone : e va per parentado ;
Che tutti siam il" un pelo e d'una buccia:
E forse al camuffare inciampo o bado,
O non so far la berta o la bertuccia,
O in furba o in calca o in beslrica mi lodo:
lo so di questo ogni malizia e frodo.
CXXIII
La gola ne vien poi drieto a quest'arte :
Qui SI conviene aver gran discrezione.
Saper tulli i secreti a quante carie
Del fagian, de la slama e del cappone,
Di tutte le vivande a parte a parte,
Di>ve si imo vi morbido il boccone :
E non ti fallirei di ciò parola.
Come tener si debhe unta la gola.
txxiv
S' io ti dicessi in che modo io pillotto,
O tu vedessi coni "io fo col braccio;
Tu mi diresti cerio eh' io sia ghiollo :
O quante parte aver vuole un migliaccio,
Che non vuol esser arso, ma ben cotto.
Non mollo caldo e non anco di ghiaccio,
Anzi in quel mezzo, e unto, ma non grasso.
Parli che '1 sappi? e non troppo alto o basso.
cxxv
Del fegàtel non ti dico niente:
Vuol cinque parti, fa eh" a la nian tenga:
Vuol esser tondo, nota sanamente.
Acciò che "1 fuoco egual per lutto venga ;
E perchè non ne caggia, tieni a menif,
La gocciola che morbido il mantenga:
Dunque in due parli dividiani la prima,
Cile r una e l'altra si vuol farne slima.
«:xxvi
Piccini .sia questi», ed è proverbio antico;
E fa che non sia povero di paiuii ;
Però che (|uesto imporla eli' io ti dico :
Non molto cotto, guarda non l inganni :
Che COSI verdemezzo come un lii-o,
Par che si strugga, quando tu 1 .i/./anni :
Fa che sia caldo, e pno'sonai le nacchere :
Poi spezie e melarance e altre zacchere.
( \xvii
Io ti darei qui cento colpi netti ;
Ma le cose sollil, vo' che In creda,
Consiston ne le torte e ne (or elicili :
E ti fare' paura una lampreda.
In ({nauti modi si fanno i guazzetti :
E j)ur chi r ode poi convien che ceda :
Perchè la gola ha sedautadue punti,
Sanza moli altri poi ch'io ve ii iio aggiunti.
CXXVill
Uno che manchi, guasta la cucina ;
Non vi potrebbe il eie! poi rimediare.
Quanti segreti insino a iloinaltina
Ti potrei di quest' arte rivelare 1
Io lui ostiere alcun tempo in Egina,
E volli queste cose disputare.
Or lasciam questo, e d' udir non l incrcM a
Un' altra mia virtù cardinalesca.
Ciò oli io li dico, non va in.-ino a lede :
Pensa quand io sarò condotto al me.
Sappi eh' io aro, e non dico da bette,
Col cammello e con 1' asino e col bue :
E mille capannucci e mille guetì'e
Ho meritato già per questo, o pine :
Dove il capo non va, metto la coda ;
E quel che più mi piace è eh' ognun 1 oda.
cxxx
Mettimi in ballo, mettimi in convito,
Ch'io fo il dover co' piedi e con le mani:
lo son prosontuoso, impronto, ardilo ;
Non guardo più i parenti che gli strani :
De la vergogna io n" iio preso parlilo,
E torno a chi mi caccia come i cani ;
E dico ciò eh" io fo, per ognun sette ;
E poi v'aggiungo mille uovellelTe.
cxxxi
S" io ho tenute de l'oche in pastura,
Non domandar, eh' io non te lo direi :
S'io li dicessi mille a la ventura,
Di poche credo eh' io ti fallirei :
S io uso a muuister per isciagura,
S' elle son cinque, io ne traggo fuor sei :
Ch' io le fo in modo diventar galante,
Che non vi campa servigial né fante.
cxxxii
Or queste son tre virtù cardinale.
La gola, e '1 bere, è '1 dado ch'io t' ho delU>:
Odi la quarta ch" é la principale.
Acciò che ben si sgoccioli il barletto,
Non vi bisogna uncin, né porre scale
Dove con mano aggiungo, ti prometto :
E mitere da papi ho già portate
Col seguo in testa, e drieto le granale.
H
M 0 l\ G A N T E INI A G G I O l\ E
(AXXIII
V. trapani e paU'lli e lime sorde,
K succi» i «r opni falla, e prinialdt-lli,
li scale o vuoi di legno, o vuoi di corde,
K levane, e calrelli di fcltrolli,
Che fanno, qiiand' io voVh' ognuno assordc,
l^avoro di mia man, pulili e belli*,
K fuoco che per sé lume non rende,
Ma con lo sputo a mia posla s' accende.
cxxxiv
Sin mi vedessi in una chiesa solo,
Jo son più vago di spogliar gli altari,
l^he "l messo di contado del paiuolo :
Poi corro a la cassetta de' danari,
Ma sempre in sagrestia fo il primo volo ;
E se v' è croce o calici, io gli ho cari :
E i Crucifissi scuopro lutliquanti ;
Poi vo spogliando le Nunziate e i Santi.
cxxxv
Io ho scopato già forse un pollaio.
Sfu mi vedessi stendere un bucalo.
Diresti che non è donna o massaio
Che •!' abbi cosi presto rassettato.
S' io dovessi spiccar, Morganle, il maio,
lo rubo sempre dove io sono usalo :
Ch' io non islò a guardar più tuo che mio;
Perchè ogni cosa al principio è di Dio.
cxxxvi
Ma Innanzi eh' io rubassi di nascoso.
Io fui prima a le strade malandrino :
Are! spoglialo im Santo il più famoso,
Se Santi son nel del, per un quattrino:
Ma per islarmi In pace e 'n più riposo.
Non volli poi più essere assassino ;
Non che la voglia non vi fussi pronta,
Ma perchè il furto spesso vi si sconta.
CXXXVII
Le virtù teologiche ci resta :
S' io so falsare un libro, Dio tei dica :
D' un iccase farolli un fio che a sesta
Non si farebbe più bello a fatica :
E tragcone ogni carta ; e poi con questa
Raccordo V alfabeto e la rubrica :
E scambiereti, e non vedresti come,
11 titol, la coverta, il segno e 1 nome.
CXXXVIII
I sacramenti falsi e gli spergiuri
Mi sdrucciolan giù proprio per la bocca
Come i fichi sampier que ben maturi,
O le lasagne o qualche cosa sciocca ;
Né vo' che tu credessi eh' io mi curi
Contro a questo o colui, zara a chi tocca:
Ed ho commesso già scompiglio e scaiidolo:
Che mai non sé poi ravviato il bandolo.
cxxxix
vSempre le brighe compero a contanti;
Beslemmialor, non vi fo ignnn divario
DI bestemmiar più uomini, che Santi ;
E lutto appunto gli ho in sul calendario :
De le bugie ignun non se ne vanti,
Che ciò ch'Io dico, fia sèmpre il conirario;
Vorrei veder più fuoco eh' acqua o lerr.i :
E"l mondo e'I cielo in peste, In fame e'n guerra.
E carità, limosina, u digiuno,
') orazion non creder eh' io ne fac( la.
Per non parer provano : chieggo a ognuno,
E sempre dico cosa che dispiaccia,
Superbio, invidioso e Iinporluno :
Questo si scrisse ne la prima faccia :
C>lie i peccali mortai meco eran tulli,
E gli altri vizi scellerati e brutti.
cxr.i
Tanto ch'io posso andar per tutto il mondo
Col cappello in su gli ocelli con»' io voglio;
Com' una sehianceria son netto e mondo :
Dovunque Io vo, lasciarvi il segno soglio
Come fa la lumaca, e noi nascondo :
E mulo fede e legge, amici e scoglio
Di terra in terra, com' io veggo o truovo;
Però eh' io fu" eattivo insin ne V uovo.
cxui
Io t'ho lasciato In drieto un gran capitolo
Di mille altri peccati in guazzabuglio :
Che s' Io volessi leggerli ogni titolo,
E' li parebbe troppo gran miscuglio :
E cominciando a seiorre ora II gomitolo,
Ci sarebbe faccenda insino a luglio ;
Salvo che questo a la fine udirai,
Che tradimento ignun non feci mai.
exT.iii
Morgante a le parole è stalo allento
Un'ora o più, che mai non mosse il volto:
Rispose e disse : In fuor che Iradlmento,
Per quel eh' i' ho, Margulte mio, raccolto,
Non vidi uom mai più tristo a compimento:
E di' che il sacco non hai tutto sciolto?
Non crederei con ogni sua misura
Ti rifacessi appunto più natura,
CXIIV
Né lanlo accomodalo al voler mio :
Noi sarem bene insieme in un guinzaglio ;
Di tradimento guardali, perch'io
Vo' che lu creda In questo mio battaglio.
Da poi che tu non credi In cielo a Dio,
Ch'Io so domar le bestie nel travaglio:
Del resto come vuoi le ne governa:
Co'Sanli in chiesa e co' ghiotti in taverna.
CXLV
Io vo' con meco ne venga, Margulte,
E che di compagnia sempre viviamo :
Io so per ogni parte le vie tulle :
Vero che pochi danar ne portiamo :
Ma mio costume a 1' oste è dar le frutte
Senipre al partir, quando il conto facciamo;
E 'nfìno a qui sempre a 1' oste ov' Io lussc,
Io gli ho pagato lo scollo di busse.
CXLVI
Disse Margulte : Tu mi piaci troppo ;
Ma resti tu contento a questo solo :
Io rubo sempre ciò eh' i' ho d'Intoppo, ,
S' io ne dovessi portare un orciuolo :
Poi al partir son mulol, ma non zoppo ;
Se lo dovessi torre un fiisaiuolo,
Dove tu vai, lo' sempre qualche cosa ;
Ch' io tirerei V aiuolo a una chiosa-
IMO WG A NTK M \ G (i I () W V.
CXLVII
10 ho cercato diversi paesi,
II» Ilo solcata tutta la marina,
Kd lio sempre rubato ciò eh' io spesi ;
Dunque, Mor^ante, a tua posta cammina.
Così detton di piglio a' loro arnesi;
Morgante pel lialtatclio suo si china,
K C(d compagno suo lieto ne gU ;
K dirizzossi andar verso Sona.
CXLVIII
M;»r'^utte aveva una schiavina indosso)
Kd un cappello a spicchi a la turcltesca,
Salvo ch'egli era fatto d'un ceri' osso.
Che gli spicchi eran d' altro che di peica ;
Ed era mollo grave e molto grosso,
Tanto che par che spesso gli rincresca:
Un paio di stivaletti avea in pie gialli,
Ferrali, e con gli spron, coHìe hanno i gitili.
CXLIX "^^
Diceva Morgante, quando gli "vedea :
Saresti tu di schiatta di galletto ? fi, yc
Tu hai gli spron di drieto ; e sorridea.
Disse Margotte : Questo è per rispetto :
Che spesso alcun ciie non se n' accorgea,
Se ne trovò ingannato, ti prometto :
Campati ho già con questi molti casi,
K molti a questa pania son rimasi.
CL
Vannosi insieme ragionando il giorno :
La sera capitorno a uno ostiere ;
E come e' gìunson, costui domandorno :
Aresti tu da mangiare e da bere ?
E pagati in su V asse, o vuoi nel forno.
L'oste rispose: E* ci fia da godere,
E e' è avanzato un grosso e bel cappone.
Disse Margutte : Oh, non fia un boccone.
cr.i
Qui si conviene avere altre vivande ;
Noi siamo usati di far buona cera :
Non vedi tu costui com' egli è grande ?
Cotesla é una pillola di peia.
Rispose r oste : Mangi de le ghiande :
Che vuoi tu ch'io provvegga or ch'egli è sera?
E cominciò a parlar superbamente,
Tal che Morgante non fu paziente.
CLII
Cominciai col battaglio a bastonare :
L' oste gridava, e non gli parea giuoco.
Disse Margutte : Lascia un poco slare ;
Io vo' per casa cercare ogni loco ;
lo yidi dianzi un bufol drenlo entrare :
E' ti bisogna fare, oste, un gran foco ;
E che tu intenda a un fischiar di zufolo ;
Poi in qualche modo arrostire quel bufolo,
CLUI
11 fuoco per paura si fé tosto.
Margotte spicca di sala una stanga t
L'oste borbotta, e Margotte ha risposto :
Tu vai cercando il battaglio t infranga ;
A voler far quell animale arrosto.
Che vuoi tu tórre ? un manico di vanga ?
Lascia ordinare a me, se vuoi, il convito :
E frnalinenle il bufol fu arrostito.
Non creder con la pelle .'corlirata ;
E" lo sjiaró nel corpo solamenlf :
Parca di casa più ciie la granata :
Comanda e grida, e per lutto si sente :
l'ii a>-se mollo liiii^.i lia ritrovata,
Appareccliiolla fuor subitainentc :
E vino e carne e del pan vi poiiea ;
Perchè Morgante in casa non capea.
ci,v
Quivi mangìoron le reliquie tulle
Del bufolo, e tre staia di pan o pitie,
E bevono a bigonce : e poi Margotte
Disse a quell' oste : Dimmi, aresli lue
Da darci del formaggio o de le frutte,
Cile questa è stala poca roba a due,
O s' altra cosa tu ci hai da vantaggio T
Or udirete come andò il formaggio.
CLVI
L' osle una forma di cacio trovóe,
Ch' era sei libbre o poco più o meno :
Un canestretlo di mela arrecóe
D' un quarto o manco; e non era anche pieno.
Quando Margutte ogni cosa guardóe,
Disse a quelf oste : Bestia sanza freno,
Ancor s' ara il battaglio adoperare,
S altro non credi trovar da nianjiiare.
E questo compagnon da fare a once ?
Aspetta tanto ch" io torni un miccino,
E servi intanto qui con le bigonce :
Fa che non manchi al gigante del vino.
Che non ti racconciassi T ossa sconce :
Io fo per casa come il topolino ;
Vedrai s'io so ritrovare ogni cosa,
E s'io farò venir giù roba a iosa.
ci.vin
Fece la cerca per tutta la casa
Margutte, e spezza e sconlicca ogni cassa,
E rompe e guasta masserizie e vasa ;
Ciò che trovava ogni cosa fracassa ;
Ch'una pentola sol non v' è rimasa ;
Di cacio e frutte raguna una massa,
E portale a Morgante in un gran sacco,
E cominciorao a rimangiare a macco.
ctix
L'oste co' servi impauriti sono,
E a servire alteodon lutti quanti,
E dice fra sé stesso : E' sarà buono,
Non ricettar mai simili briganti;
E' pagheranno domattina al suono
Di quel battaglio; e saranno contanti:
Hanno mangiato tanto, che in un mese
Non mangerà tulio questo paese.
CLX
Morgante, poi che molto ebbe mangiato.
Disse a quell'oste : A dormir ce n' andremo;
E domattina, com' io sono usalo,
Sempre a cammino, insieme conteremo ;
E d' ogni cosa sarai ben pagato.
Per modo, che d" accordo resteremo.
E 1" osle disse, a suo modo pagasse,
(Ile gli parea miU' anni e* se n'andasse.
ÌM O i; (. A N T K INI A (; (; I () \\ K
Morpante .nido a trovare mi pagliaio,
V.t\ ajipoj^t^iossi come il liofanle :
M.ugtiUe disse: Io spendo il mio danaio:
lo non voglio, oste mio, come il gigante
l'ar de gli orecclii zufoli a rovaio ;
Non so s'io son più pratico o ignorante;
Ma cir io non sono aslrolago so certo :
lo vo con teco posarmi al coperto.
CI. XII
Vorrei prima che i lumi sieno spenti,
Clie tu traessi ancora un po' di vino :
f.l>e non par mai la sera io m'addormenti,
S' io non becco in sul legno un ciantellino
Cosi per risciacquare un poco i denti :
E goderenci in pace un canzoncino :
E" basta un bigonciuol cosi tra noi,
Or che non c^ è il gigante che e' ingoi.
CLXlfl
Vedestu mai, Margutte soggiugnea,
Un uom più bello e di tale statura,
E che tanto diluvi e tanto bta ?
Non credo e' ne facesse un più natura :
E" vuol, quand'egli è a Foste, gli dicea,
("-he Toste gli trabocchi la misura;
Ma al pagar poi mai più largo uom vedesti:
Se tu noi provi, tu noi crederesti.
cr.xiv
Venne del mosto; e stanno a ragionare ;
E l'oste un poco si rassicurava.
Margutte un canzoucin netto a spiccare
Comincia; e poi del caramin domandava,
Dicendo a Babillona volea andare.
L'oste rispose, che non si trovava
Da trenta miglia in là casa né letto
Per più giornate, e vassi con sospetto.
CLXV
E disselo a Margutte, e non a sordo,
Che vi pensò di subito malizia ;
E disse a V oste : Questo è buon ricordo.
Poi che tu di' che vi si fa tristizia :
Or oltre al letto; e sarem ben d'accordo.
Ch'io non istò a pagar con masserizia;
Io son lo spendilore ; e degli scotti,
Come tu stesso vorrai, pagherotti.
ri.xvi
Io ho sempre calcata la scarsella :
Deh dimmi, tu non debbi aver domala,
Per quel eh' ione comprenda, una cammella
Ch'io vidi ne la stalla tua legata;
Ch'io non vi veggo né basto né sella?
Rispose l'oste: Io là tengo appiattata
Una sua bardelletta, eh' io gli caccio,
Ne la camera mìa sotto il primaccio.
CLxvn
Per quel ch'io il faccia,credo che tu intenda:
Sai che qui arriva più d' un forestiere
A cena, a desinare ed a merenda.
Disse Margutte : Lasciami vedere
Un poco come sta questa faccenda.
Poi che noi siam per ragionare e bere,
E son le notti un gran cantar di cieco:
E l'oste gli rispose: Io te l'arreco.
CI.XVIll
Hccò quella bardella il sempliciotto:
Margiilte vi fé' su tosto disegno,
Che questo accorderà tutto lo scotto ;
I'^ disse a l'oste : E'mi piace il tuo ingegno:
Qtieslo sarà il guancial ch'io terrò scilo;
E dormirommi, qui in su questo legno :
So che letto non hai, dov' io capessi,
Tanto che tulio mi vi distendessi.
(LXIX
Or vo' saper come tu se' cliiamato.
Disse r ostier : Tu saprai tosto, come.
Io sono il Dormi per lutto appellalo.
Disse Margutte : Fa come tu hai nome ;
Così, fra sé, tu sarai ben destato
Quando fia tempo, o innanzi fien le some.
Com' hai tu brigatella, o vuoi figliuoli ?
Disse r ostier: La donna ed io siam soli.
Disse Margutte: Che puoi tu pigliarci
La settimana in questa tua osteria ?
Com' arai tu moneta da cambiarci
Qualche dobbra da spender per la via ?
Rispose l'oste: Io non vo' molto starci;
Ch' io non ci ho preso per la fede mia
Da quattro mesi in qua venti ducali,
Che sono in quella cassetta serrati.
CLXXI
Disse Margutte : Oh solo in una volta
Con esso noi più danar piglierai:
Tu la lien (juivi ? s' ella fusse tolta ?
Disse r ostier : Non mi fu tocca mai.
Margutte un occhiolin chiuse, ed ascolta ;
E disse : A questa volta lo vedrai :
E per fornire in tutto la campana,
Ifn" altra malizielta trovò strana.
rj.xxii
Perché persona discreta e benigna,
Dicea con l'oste, troppo a questo trailo
Mi se'parulo; io mi chiamo il Graffigna;
E 1 profferer tra noi per sempre é fallo :
Io senio un poco difello di tigna,
Ma sotto questo cappel pur l'appiatto:
Io vo' che tu mi doni un po' di burro,
Ed io ti donerò qualche mangurro.
CLXXIII
L'os(e rispose: Niente non voglio:
DomantJa arditamente il tuo bisogno,
Che di lai cose cortese esser soglio.
Disse I\Iargulte allora : Io mi vergogno :
Sappi che mai la notte non mi spoglio
Per certo vizio eh' io mi lievo in sogno :
Vorrei eh' un paio di fune mi recasse,
E legherommi io slesso in su quest'asse.
cr.xxiv
Ma serra 1' uscio ben dove tu dormi,
Cir io non ti dessi qualche sergozzone ;
Se tu sentissi per disgrazia sciormi,
E che per casa andassi a processione,
Non uscir fuor. Rispose presto il Dormi,
E disse: Io mi starò sodo al macchione;
Così voglia avvisar la mia brigala;
Che non loccassin qualche lenlcnnala.
M O R (; A N T i: M A (. d I O W K
l IXXV
Le fune *■ 1 luirro a Marp:iitl^ p» reca ;
K disse a' servi tli «jiiesto coslnme :
di' o<ninn si guardi da la fossa riera,
K non islturlii i<;iiun fuor de le piiinie :
Odi ribaldo '. odi malizia greca '■
Così soletto ii restò rol fTime,
E fere vista di legarsi slretlo.
Tanto rite 'I Dormi se n' aaiìù al letto.
CLXXVI
Come e" sentì russar oli' ognun domiira,
E' cominciò per cas.i a far fardello :
A la cassetta de' danar ne giva;
Ed ogni cosa pose in sul rammello :
E come un uscio o qualche cosa apriva,
l'gneva con quel burro il cliiavistello :
E com" egli ebbe fuor la vettovaglia:
Appiccò ri fuoco in un monte di paglia.
CI.\\\1\
E poi n'andava ai pagliaio a Morgante ;
Non dormir più, dicea, dormito ha* assai :
Non di" tu che volevi ire in Levante?
Io sono ito e tornalo: e tu il vedrai :
Non istiam qui : dà in terra de le piante ;
Se non che presto il fummo sentirai.
Disse Morgante : Che diavolo è questo ?
Tu hai par fallo, per Dio. nello e presto.
fLxxvin
Poi s" avviava, che aveva timore.
Perchè quivi era un gran borgo di case,
Che non si levi la eente a romore.
Dir^-a Margutte : Di ciò che rimase
A 1 o.-le, un birro non are' rossore ;
C.ì\' io non istò a far mai le slaia rase :
Ma sempre in ogni parte dov" io fui,
Sono stalo cortese de 1' altrui.
CI.XXIX
Mentre che questi cosi se ne vanno,
La casa ardeva tnlla a, poco a poco:
Prima che '1 Dormi s' avvegga del danno.
Era per lutto appiccato già il foco ;
E non credea che fussi sialo inganno ;
Quivi la gente correa d" ogni loco ;
Ma con fatica scampò lui e la moglie:
E così spesso de" malli si coalie.
CLXXX
Quando fu giorno che 1" alba apparie,
Morgante vede insino a la grattugia ;
E fra sé slesso dicea : Tutto die
De' miglior certo t'impicca ed abbrucia;
Guarda costui quante ciabatte ha qui'e !
Per Dio clie troppo il capresto s" indugia.
Disse Margutte : E c'è insino a la secchia,
Non dubitar, questa è l'arte mia vecchia.
CLXXXI
Noi abbiamo andar per nn cerio paese,
Dove da se non ha chi non vi porla;
E pure arem danar da far le spese ;
E tutta la novella dicea scorta
De la cassetta; e come il fuoco accese,
Com" egli ebbe il cammei fuor de la porla:
E come il Dormi se n' andò a dormire ;
Ma il fuoco l'ara fallo risentire.
CLXXXII
.Morgante le ma»cella ha (gangherale
Ver le risa talvolta che gli abbonda,
E direa pure : O forche sventurate,
Erro che boccon ghiotto o pesca monda '
Non vi rincresca s' un poco aspettate :
Costui pur mena almen la mazza tonda.
Quanto piacer n' ara di questo Orlando,
S io lo Tcdrò mai più, <1ie noo so quando.
CLXXXIII
Dicea Margutte: In questo sta il guadagno:
Quanto tu lasci più il brigante scusso :
Tu puoi cercar per tutto d' un compagno,
(.'he d'ugni cosa sia, com" io, malfussu ;
Né per ghermire, altro sparvier grifagno
Non ti bisogna, o Zingaro Arbo o Usso :
Quel che si ruba non" s' ha assaper grado,
• E sai eh' io comincio ora a Irar pel dado.
ft XXXIV
Io chiesi infino al burro; e dissi a quello
Oste, eh' un poco di tigna sentivo.
Per iigner poi gli arpioni e I chiavislello,
Che non sentissi quando un uscio aprivo,
Tanto eh' io avessi assettalo il cammello ;
Ad ogni malizielta io son calti\o:
Del livido mi guardo quant' io posio,
Poi non mi curo più giallo che rosso.
CLXXXV
Or mi piacesti tu, Margutte mio,
Dicea Morgante, e ntanto un eh' ha veduta
Quella cammella, diceva: Per Dio,
Ch'eli' è del Dormi ostier quella scrignuta.
Disse Margotte : Il Dormi sarò io :
Non vedi tu, babbion, che si tramuta,
E sgombera qua presso a un castello ?
E maggior bestia se' tu, che 'i cammello.
CLXxxn
Tutto quel giorno e T altro sono andati
Per paesi dimestichi costoro:
11 terzo di in nn bosco sono entrati,
Dove aspre fere faccvan dimoro :
Ed eron pel cammin lutti affannali :
Né vin né pan non avean più con loro.
Dicea Morgante: Che farem, Margutte?
Vedi che roancan qui le cose lotte.
CLXXXVll
Cerchiamo almeno a pie là di quel monte.
Se vi surgessi d'acqua alcun rampollo:
Che pur, se noi trovassim qualche fonte,
La sete se n' andrebbe al primo crollo :
Che le parole più spedile o pronte
Non sento, se la bocca non immollo :
Quel mi par luoso d'esservi de l'acque:
Onde a Margotte il suo consiglio piacque.
CLxxsvm
Vanno cercando tanto, che Irovorno
Ina fontana assai nitida e fresca:
Quivi a sedere un poco si posorno,
Perch' e" convien che'l camminar rincresca:
Ecco apparir di lungi un liocorno
Che va cercando ove la sete gli esca.
Disse Margulte : Se tu guardi bene.
Quel liocorno in qua per ber ne \iene.
. I —
M O I\ (. A N T E INI A G (i I O l\ K
CLXXXIX
Questo sarà la nostra cena appunto ;
E' si consuma di dar ne la rete ;
Però t' appiatta, tanto die sia giunto,
i'.he trap;<ra a noi la fame e a sé la scie.
Il liocorno da la voglia è punto,
lì. non sapea le trappole segrete :
Venne a la fonte, e '1 corno vi metteva :
£ stato un poco, a suo modo beevja.
cxc
Morgante, che da lato era nascoso.
Arrandeilo il batlai^lio eh' e"\\ ha in mano:
Dettegli un colpo tanto grazioso.
Che cadde stramazzalo a mano a mano,
E non battè poi pili senso né poso :
E fu quel colpo sì feroce e strano.
Che di rimbalzo in un masso percosse,
E sfavillò come di fuoco fosse.
Quando Margutte il vide sfavillare,
Disse: Morgante, la cosa va gaia;
Forse che cotto lo potrem mangiare,
Per quel che di quel sasso là mi paia :
Noi gli farem del fuoco fuor giltare.
Disse Morgante : Ogni pietra è focaia.
Dove Morgante e '1 battaglio s' accosta ;
Sempre con esso iie fo a mia posta.
cxcii
Ma tu che se', Margutte, sì sottile,
Ed hai condotte tante masserizie ;
Come non hai tu V esca col fucile ?
Disse Margutte : Tra le mie malizie
Né cosa virtuosa, né gentile
Non troverai ; ma fraude con tristìzie.
Disse Morgante: Piglia del fien secco;
Vienne qua meco; e Margutte disse: Ecco.
CXCIII
Vanno a quel sasso, e Morgante martella,
Ch' arebbe fatto riscaldare il ghiaccio ;
Tal eh' a Margutte intruona le cervella,
Sì che quel fien gli cadeva dì braccio.
Allor Morgante ridendo favella :
Guarda, se fuor le faville ti caccio.
Margutte il fien per vergogna riprese,
E tennel tanto che '1 fuoco s' accese.
CXCIV
Poi sì cavò di dosso la schiavina,
E scaricò la caramella a ghiacere,
E trasse quivi fuori una cucina ;
Apparecchiò a le spese de 1' ostiere,
Ch' avea recato insino a la salina,
E tazze e altre vasella da bere:
Al liocorno abbruciò le caluggine :
E fece uno schidon d' un gran peruggine.
Cosse la bestia, e posonsi poi a cena ;
Morgante quasi intera la pilucca,
Sì che Margutte n' assaggiava appena ;
E disse : Il sai ci avanza ne la zucca :
Per Dio, tu mangeresti una balena ;
Non è cotesta gola mai ristucca:
Io ti vorrei per mio compagno avere
Ad ogni cosa, eccetto eli' al tagliere.
r.xcvi
Disse Morgante : Io vedevo la fame
In aria come un nugol d' acqua pregno ;
E certo una balena con le squame
Areì mangiato sanza alcun ritegno,
O vero un liofante con lo stame :
Io rido che tu vai leccando il legno.
Disse Margutte : Stu ridi, ed io piango ;
Che con la fame in corpo mi rimango.
cxcvii
Quest' altra volta io ti ristorerò, •
Dicea Morgante, per la fede mìa.
Dicea Margutte : Anzi ne spiccherò
La parte ch'io vedrò che giusta sia,
E poi r avanzo innanzi ti porrò.
Sì eh' e' possi durar la compagnia :
Ne r altre cose io t' arò riverenzia ;
Ma de la gola io non v' ho pazìenzia.
CXCVIII
Chi mi toglie il boccon, non è mio amico;
Ma ogni volta par mi cavi un occhio :
Per tutte 1' altre volte te lo dico,
Ch' io vo' la parte mia insino al finocchio.
Sa divider s'avesse solo un fico,
Una castagna, un topo o un ranocchio.
Morgante rispondea : Tu mi chiarisci
Di bene in meglio, e com' oro affìnisci.
CXCJX
Racconcia un poco il fuoco, ch'egli è spento:
Margutte ritagliò di molte legne.
Fece del fuoco, ed uno alloggiamento.
Disse Morgante : Se quel non si spegne
Per istanotte, io mi chiamo contento:
Tu hai qui acconcio mille cose degne :
Tu se' il maestro di color che sanno :
Così la notte a dormir quivi stanno.
ce
E la cammella sì pasceva intorno :
Ma poi che l'aurora si dimostra,
Disse Margutte a Morgante: Egli è giorno:
Leviamci, e seguitiam 1' andata nostra :
Così tutte lor cose rassettorno.
Or perchè 1' un cantar con l'altro giostra,
Quel che seguì, sarà ne I' altro Canto,
E lauderemo il Padre nostro intanto.
— ^^I>*«#l<^-
M O I\ (; A N T K INI A (; ('. I O U K
CAiNTO \l\
ARGOMENTO
•N43^<«-
D.
I Morf^arttr r .Ifareiit'r una fjutsttone
Fa tirare il calzino a due i. tifanti,
Che àlito aiTano in guardia a un Itone
Una fanciulla consumata in pianti.
Sì fattamente a sghignazzar sì pone
■Var^utie, ch'a una sdraia f'cn pa avanti.
.Vergante a Eabillona capitando.,
La sottopone in compagnia d' Urlando.
JUandale, parvolelti, il Signor vostro;
Laudate sempre il nome del Sij:nore :
Sia benedetto il nome del Re no>lro
Da ora a sempre insino a T ullim' ore.
Or tu die inìino a qui m'hai il cammin uioslro,
Del laberinto mi conduci fore,
Sì ch'io ritorni ov' io lasciai Morganle,
Con la virtù de le tue opre sante.
II
Partironsi costoro a la ventura :
Vanno per luoghi solitari e strani
Sanza trovar mai valle né pianura :
Non ienton cantar galli o abbaiar cani ;
Pur capitorno in certa vaile o>ctira,
Ove e sentirne di luo'ihi lontani
^'en^^ certi lamenti afflitti e lassi,
Che parean d" uom che si rammaricassi.
Ili
Dicea Morgante a Margutte : Odi tue,
Come fo io, un certo suono spesso
D" una voce che par che innalzi sue.
Poi si raccheti ? ella debb' esser presso.
Msrgutle ascolta e una volta e due;
K poi diceva : Anch' io la sento adesso :
Questi fien malandrin eh' assalteranno
Qualcun che passa, e rubato 1 aranno.
IV
Disse Morgante: Studia un poco il passo,
Veggiam che cosa è questa, e chi si duole;
A! mio parere egli è qua giù più bassO;
Però per questa via tener si vuole.
Chiunque e' sia, par mollo afflitto e lasso.
Quantunque e' non si scorgan le parole ;
n se son mascalzon, tu riderai,
Chio n" ho de gli altri gaslfgati assai.
Poi che furono scesi una gran balza,
E' cominciorno da presso a sentire ;
Però che sempre il lamento rinnalza;
Una fanciulla piena di martire
Vidono al fine scapigliata e scalza,
Ch' a gran fatica poteva coprire
Le belle membra sue, tanto è stracciata,
£ con ima catena era legata.
VI
E un lione appresso stava a quella,
Che la guardava ; e come questi sente,
Fccesi incontro la bestia aspra e fella:
Vanne a Morgante furiosamente,
E cominciava a sbarrar le mascella,
E volere operar 1' artiglio e 1 dente :
Morgante un £ran susurno gli appiccóe
Col gran battaglio, e "1 capo gli tchiaccióe.
VII
E disse : Che credevi tu far, matto ?
I granchi credon morder le balene !
Poi verso la fanciulla andò di tratto;
Parali discreta, nobile e dabbene :
E domandulla come stessi il fatto,
Onde tanta disgrazia a questa avviene.
Costei pur piange : e Morgante domanda ;
Ma finalmente se gli raccomanda,
vili
Dicendo : Non pigliassi ammirazione,
Se prima non risposi a tue parole,
Tanto son vinta da la passione :
Ma se di me pur per pietà ti duole,
Io ti dirò del mal mio la cagione,
Che per dolor vedrai scurare il sole :
Come tu vedi, stata son sett' anni
Con pianti, con angosce e amari affanni.
IX
Il padre mio ha fra gli altri un castello,
Che si chiama Belfior, presso a la riva
Del Nilo ; e Filomeno ha nome quello.
Un di fuor de le mura a spasso giva ;
Era tornato il tempo fresco e bello
Di priniavera, ogni prato fioriva :
Come fanciulla, m' andavo soletta
Per gran vaghezza d' una grillandetta.
X
Il Sol di Spagna s' appressava a V onde,
E riscaldava Granata e 1 Murrocco,
Dove poi sotto a 1 Ocean s'asconde;
E pur seguendo il mio piacere sciocco,
U^n lusignuol sen già di fronde in fronde.
Che per dolcezza il cor m" aveva tocco,
Pensando come e fu già Filomena :
Ma del Nil sempre segnavo la rena.
61 O K (1 A N T E MAGGIORE
V
.88
Mentre rosi I(ing;o la riva aniiava,
Il liisi<;iiiiol si liipge in una valle;
liti i(» pur drielo a costui sej^uitava,
togliendo violette rosse e gialle:
Ma finalnieute in un boschetto entrava,
IV ì liei capegli avea drieto a le spalle ;
K posta ni' ero in su 1' erba a sedere,
Cile del suo canto n avea gran piacere.
XII
Mentre di' io stavo come Proserpina
Co' fiori in grembo a ascoltare il suo canto,
Giovane bella lieta e peregrina,
Il dolce verso si rivolse in pianto :
Vidi apparire, omè, lassa, tapina !
Un uom pel bosco feroce da canto \
Il lusignuulo e i fior quivi lasciai,
E spaventata a fuggir cominciai.
XIII
E cerio io sarei pur da lui scampala :
Ma nel fuggire ad un ramo s' avvolse
La bella treccia ; e tutta avviluppala.
Giunse costui, e per forza la svolse :
Quivi mi prese ; e così sventurata
In questo modo al mio padre mi tolse,
E slrascinommi insino a questa grotta.
Dove In vedi eh' io son or condotta,
XIV
Credo eh' ancora ogni selva rimbomba
Dov io passai, quando costui per terra
Mi strascinava insino a questa tomba :
E s' alcun Salir pietoso quivi erra,
Questo peccato so eh' al cor gli piomba,
O se giustizia l'arco più disserra:
Omè, che mi graffiò più d' uno stecco ;
Tal che risuona ancor del mio pianto Ecco.
XV
Le belle chiome nu'e tra mille sterpi
Rimason, de' pensar, tnlte stracciate
Tra boschi e tra burrati e lupi e serpi,
Che fur com'Assalon mal fortunale.
Omè, che par che '1 cor da me si scerpi :
Omè, le guance belle e tanto ornale
Furono a' pruni, e credo che tu '1 creda;
Troppo felice ed onorala preda,
XVI
I drappi d' oro, e i vestimenti tutti
Al lolo, al fango, a' sassi, a'rami, a' ceppi.
Che solo un bruscolin facea già brulli.
Poi gli vidi stracciar per tanti greppi :
ISè creder eh' io tenessi gli occhi asciutti.
Misera a me, comunque il mio mal seppi ;
Ma sempre lacrimosi e meschinelli.
Dovunque io fu', lascioron due ruscelli.
XVII
E fur pur già ne la mia giovinezza
E lume e refrigerio a molti amanti ;
Arien giuralo e dello per certezza.
Che fussin più che '1 Sol belli e micanti ;
E molle volte per lor gentilezza
Venìen la notte con suoni e con canti,
E sopra tulio commeudavan questi,
Che furon graziosi e insieme onesti.
Ed or son falli, come vedi, scuri ;
Cosi potessi alcun di lor vedegli,
Cile non sarien sì dispietati e duri,
Cii' ancor ]>ietà non avessin di quegli :
An/i l'arebbon ne gli anni futuri;
Ricordericnsi già che furon begli;
Ma per me più non è persona al mondo.
Cercando l' universo tutto tondo.
XIX
Il padre mio di duol si sarà morto.
Poi ch'alcun tempo ara aspettato invano,;
E la mia madre sanza alcun conforto
Non sa eh' io slenti in questo luogo strano.
Né del gigante die mi facci torto,
E ballami ogni dì con la sua mano,
E faccimi a' lion guardar nel bosco,
Tanto eh' io slessa non mi riconosco.
XX
O padre, o madre, o fratelli, o sorelle,
O dolci amiche, o compagne, o parente;
() membra afflitte, lasse e meschinelle ;
() vita trista, misera e dolente ;
O mondo pazzo, o crude e fere stelle ;
O destino aspro e 'ngiusto veramente :
O morte, refrigerio a 1' aspra vita.
Perchè non vieni a me ? chi t' lia impedita?
XXI
E questa la mia patria dov' io nacqui?
E questo il mio palagio e '1 mio castello ?
E questo- il nido ov' alcun tempo giacqui?
E questo il padre e "1 mio dolce fratello?
E questo il popol dov' io tanto piacqui ?
E ([ueslo il regno giusto, antico e bello ?
E questo il porlo de la mia salute ?
È questo il premio d' ogni mia virlule ?
XXII
Ove son or le mie purpuree veste ?
Ove son or le gemme e le ricchezze ?
Ove son or già le notturne feste ?
Ove son or le mie delicatezze ?
Ove son or le mie compagne oneste ?
Ove son or le fuggile dolcezze ?
Ove son or le damigelle mie ?
Ove son, dico ? omè, non son già quie.
XXIII
Ove son or gli amanti miei puliti ?
Ove son or le cetre e gli organetti ?
Ove son ora i balli e i gran conviti?
Ove son ora i romanzi e i rispetti ?
Ove son ora i profferii mariti?
Ove son or mill' altri miei diletti?
Ove son 1' aspre selve e i lupi adesso,
E gli orsi e i draghi e i tigri? son qui presso.
XXIV
Che si fa or in corte del mio padre ?
Che si fa or ne' templi e in su le piazze ?
Fannosi feste a le dame leggiadre,
Provansi lance, e mille buone razze
De' be' corsier Ira l' armigere squadre :
Credo eh' ognun s'allegri e si sotlazze;
E pur se già di me si pianse alquanto
Per lungo tempo, omai passalo è il pianto.
MOKGAN TE MAGGIOKK
Misera A inr, quanto ho tniitatu il vezzo I
Kxscr solcM) sral/.ìta ojini srra,
VL porpore 4poj;IÌAr di tanto prezzo,
Che riliu-ien pio ri»»" del Sol la spera .
Or de' miei panni non »i tien più pezzo :
Innante donzelle al servigio mio era !
Che ncrhc pietre ho portate {^ià in testa 1
E stavo sempre ui canti, in suoni e in festa.
XXVI
Ed or, come tu vedi, son condotta
Senza veder mai creatura alcuna :
Il mio regal palagio è questa grotta;
Dormo la notte al lume de la luna.
Or citi felice si cliiama talotta.
Esemplo pigli de la mia fortuna :
Cascan le rose, e restan poi le spine :
Non giudicate nulla innanzi al fine.
\XV11
Io fui già lieta a mia consolazione,
Ed or con Giòbbe cambierei mie pene :
Ogni di questo gigante ladrone
Mi balte con un mazzo di catene,
Sanza saper che sia di ciò cagione;
Credo che sìa, perchè da cacciar viene
Irato co lion, serpenti e draghi,
£ sopra me de l' ingiurie si paghi.
XXVIIl
E vipere e ceraste e strane carne
Convien ch'io mangi, che reca da caccia:
Che mi solieno a schifo esser le starne:
Se non che mi percuote e mi nìinacria :
Sì che per forza mi convien mangiarne;
Alcuna volta de gli uomini spaccia,
Poi gli arrostisce e mangiagli il gigante
Col suo fratel che si chiama Sperante,
XXIX
£ lui Beltramo: e ogni giorno vanno
Per questi boschi come malandrini :
E molte volle recato qui m hanno,
Percir io mi spassi serpenti piccini,
Come color che i miei pensier non sanno,
Alcuna volta bizzarri orsaccltini :
E perchè ìgnun non mi possi furare,
Da quel lion mi facevon guardare.
XXX
Così di paradiso sono uscita,
E son condotta in queste selve scure :
Già si provò di camparmi la vita
Burraio, e non potè con la sua scure:
E con fatica di qui fé' partita:
E so eh' egli ebbe di vecchie paure :
Tulio facea, perchè di me gliucrebbe;
E anco disse che ritornerebbe.
XXXI
Quand" lo ti vidi al principio apparire.
Mi rallegrai, dicendo nel mio core :
E' fia Burraio, che non vuol mentire.
Né esser di sua fede mancatore,
Per liberarmi da tanto martire,
Già cavalieri erranti per mio amore
Combattuto hanno con questi giganti;
Ma morti son rimasi tulli quanti.
XXXII
Se voi credessi di qui liberarmi,
Il padre mio, se vivo fossi ancora,
Che forse spera piw di ritrovanni,
^1 darebbe il suo regno ove e' dimora .
Che so con gran «IÌnÌo debbe appettarmi :
Pero, s" a questo neskun si rincora.
Io ve ne priego, io mi vi raccumaodo :
Così dicea piangendo e sospirando.
xxxiu
Morgante già voleva confortarla,
>Ia non potea, tanta pietà 1" ansale.
Mentre eh ancor questa fanciulla parla.
Ecco Beltramo tli aveva un cingliiaic,
E comincia di lungi a minacciarla:
In su la spalla tenea 1' animale ;
Col braccio destro strascinava un orso ;
E sanguinava pe' graffi e pel morso.
xxxiv
Vide costoro, e la testa crollava,
Quasi dicessi a quella: Io te ne pago:
Ecco Sperante che quivi arrivava,
E per la coda strascinava un drago :
Questo era maggior bestia e assai più brava
Del suo fratello, e di far mal più vago :
Giunti a Morgante, a gridar coininciorno,
Tal che le selve intronavan d" intorno.
XXXV
Morgante guata la strana figura
De' due fratelli ; e poi li salutóe ;
Che gli delton capriccio di paura ;
Ma 1 uno e l" altro il saluto accellóe
Pur tal qual concedea la lor natura ;
E poi Beltramo a parlar cominci«)e :
Che fai tu qui con questo tuo compagnoT
Tu ci potresti far tristo guadagno.
XXXVI
Io vo' saper chi quel lione ha morto ?
Disse Morgante : Il lione uccisi io.
Che mi voleva, gigante, far torto.
Disse Beltramo : Al nome sia di Dio,
Io tei farò costar, datti conforto :
Tu vai così qua pel paese mio :
E so che quel lion certo uccidesti
Per far poi con costei quel che volesti.
XXXVII
Disse Morgante : Amendue siam giganti,
Da te a me vantaggio veggo poco :
Noi andiam pel mondo cavalieri erranti,
Per amor combattendo in ogni loco ;
Questa fanciulla che m' è qui davanti.
Intendo liberar da questo gioco :
Dunque veggiam chi sia di miglior razza;
Io proverò il batlaglio, e tu la mazza.
xxxviii
Non ebbe pazienza a ciò Sperante:
Riprese meglio il drago per la coda,
E una gran dragala die a 3Iorgaule,
E disse: GagliofTaecio pien di broda.
Tu sarai ben, come dicesti, errante,
Se tu credi acquistar qua fama o loda ;
Rechiam per preda serpenti e lioni,
Ld or paura arem di due ghiottoni *
'9
ISI O I\ (1 A N T E M A (> (i I O l\ K
xxxtx
Tu ri minacci, rili.-tliion, villano;
De «ili altri ri hanno ancor lascialo l'ossa,
(rridò Morj^anle con un rniippluo strano,
Quand'c sentì del drag:o la percossa,
Vj prestt) al viso si pose la mano,
(.Ile 1' nna e l'altra {^ota aveva rossa:
Gillo il battaglio, tanta ira T ahbap;lia,
K con gran furia addosso a q(i«;t si scaglia.
xr.
Eli abbracciarsi questi comp.nfjnoni
('din' i lion s' abbraccian co' serpenti.
Guastandosi co' morsi e con ^li unghioni:
Morgan le il naso gli strappò co' denti :
Poi fece de gii orecchi due bocconi,
Dicendo : Tu non meriti altrimenli.
Beltramo addosso a Margotte si getta,
E col baston le costure gli assetta.
xu
Non domandar se le trovava tutte,
O se le spiana me' che '1 farsettaio : <r\
Tocca e ritocca, e forbotta Margotte,
E spesso il volge come un arcolaio,
Tanto ch'ai fin gli avanzavan le frutte,
E faceval sudar di bel gennaio :
Saltato aria, per fuggire, ogni sbarra :
Pur s' arrostava con la scimitarra.
Ma Be'iramo era sì fiero e sì alto,
Che quando in giù rovinava il bastone,
Lo disfaceva, e piegava a lo smalto :
Se non che pur, come un gattomammone,
Margotte spicca molte volte un salto
Per iscliifar questa maladizione ;
Ma finalmente disteso trovossi,
Com' un tappeto che più aitar non puossi;
, xLin
Ch' una percossa toccò si villana,
(]he parve una civetta stramazzata :
Alzò le gambe, e in terra si dispiana :
Qiìi toccò più d' una batacchiata ;
Che '1 baston snona come una campana,
E lulla la schiavina ha scardassala :
Poi che sonala fu ben nona e sesia,
Bcllram chinossi a spiccargli la testa.
XLIV
Veggendosi Margutte mal parato,
Posò le mani in terra in un momento
Per trar due calci com' egli era usalo,
E giunsel con gli spron di sotto al mento ;
E conficcò la lingua nel palato
Al fer gigante; ond' egli ebbe spavento,
E tolto pien d' ammirazion si rizza :
Allor Margotte in pie subito sguizza.
XLV
Vede Bellram che si cerca '^la bocca,
E '1 sangue che di fuor già zampillava.
Il capo presto tra gambe gli accocca.
Per modo che da terra il sollevava ;
E poi in un tratto rovescio il trabocca,
E questo torrion giù rovinava;
E nel cader ciò che truova fracassa.
Come se fussi caduta una massa.
Questo galletto gli saliava addosM),
Glie par che sia sopra nna bica un pollo :
])iuK[ue gli sprou Margutte hanno riscosso;
Il capo a questo levava dal collo.
Gilè la sua scimitarra taglia 1' osso,
E non potè Bellram piii dare un crollo,
Gilè quando in terra lo pose Margotte,
Si fracassoruo k- sue membra tutte.
Gran festa ne facea quella fancitdia ;
Ma in questo tempo che Beltraiiut è morto,
Morgaule con colui non si trastulla,
Gilè vendicar volea del drago il torlo :
Ma d' atterrarlo ancor non era nulla,
Quanlimque molto si fussi scontorto:
E tanto a una balza s' appressorno.
Che insieme giù per quella ròvinorno.
xr.viit
E' si sentiva un romore, un fracasso,
Insin che son caduti in un burrone,
Gome quando de' monti cade in basso
Qualche rovina o qualche gran cantone.
Non vi rimase né sterpo né sasso.
Dove passò questo gran lastellone ;
(jhè rimondoriio insino a le vermene,
E deltono un gran picchio de le schiene.
xrix
Non si fermoron, che toccorno fondo ;
Ma Morgante di sopra rimanea :
Delle del capo in su 'n un sasso tondo
Tanto a Sperante, che morto il vedea :
Poi si tornò su pel bosco rimondo,
E con Margotte gran festa facea.
Dicendo : Io non pensai, Margutte mio.
Trovarli vivo : ond' io ne lodo Iddio.
L
Noi siam qua rovinati in nna valle.
Tal eh' io credetti lasciar le cervella,
E tutto il capo ho percosso e le spalle.
Poi si rivolse a (juella damigella
Gl>' avea le guance ancor pallide e gialle,
Però che in dubbio e sospesa era quella,
Ghe non sapeva che morto è Sperante,
Se non che presto gliel dice Morgante.
LI
Non dubitar, non ti doler più omai :
Rallegrati, fanciulla, e datti pace :
Gon le mie mani il gigante spacciai ;
Rimaso è morto a le fiere rapace,
E presto al padre tuo ritornerai.
Che libera se' or come ti piace;
Ed ha pur luogo avuto la giustìzia :
E lutti insieme facean cran letizia.
E sciolse a la fanciulla la catena,
E disse: Andianne omai, dama gradila.
Questa fanciulla d' allegrezza è piena,
E spera ancor trovar suo padre in vita ;
Mors;ante per la man sempre la mena ;
Però eh' eli' era ancor pure stordita,
E debol pe' disagi e per gli affanni
Ch'avea sofferti misera molt' anni.
MOi\(>\N ri: M\(.(. lOK i:
LUI
DiriM MarjiiiHr : QnrI ran traditore
l*<*r iiti>di> lo (OìUirc ni lia trovale,
('.Ile non sarcltlie rallivo sartore:
lo ho liillr le rene frar^sìiati'.
Disse Moi l'aule : S io non presi errore,
ì: ti locrò di verrine liastouate :
lo li senti spianare il ^iulibcreilo.
Mentre eli' i' ero a le man col Iraleilo.
IIV
Cosi (ulto quel giorno rcnionàndo
Vanno costoro insieme pel dc>erto,
iMa da man<;iar niente mai trovando,
()::nnn di lur jii.'i fame avea sofTcrlo :
Mar};utle vede di Innjji t^nardando,
(he il lume de la Iona era scoperto.
Una testn&;e:in eli" in) monte pareva,
I'. (jiieT che fuisi ancor non iscorgeva.
i.v
Ma dubitava s'ella è cosa viva,
O facea caso 1 immaginazione :
Né ancor dirlo a Morgaule s" ardiva,
Non si fidando di sua opinione :
Ma poi che presso a questa fera arriva,
Disse a Morgante: Questo compagnone
Non vedi tu che ti vien già da fronte ?
Per Dio, ch'io dubitai che fussi un monte.
LVl
Disse Morganle: Ella è una testuggine,
E mi parca di lungi un monticello;
E cominciava spiccargli la ruggine
Col suo battaglio, e spezzargli il cervello.
Non domandar se lieva le caluggine;
Quella fanciulla godeva a vedello.
Rotte le scaglie e fracassale tulle,
Disse : Del fuoco si vuol far , Margulle.
I.VII
E fece al modo usato sfavillare
Un sasso, tanto eh' egli ebbe del fuoco.
Quivi Margulle si dava da fare,
Dicendo : L' arie mia fu sempre cuoco :
Comincia la cammella a scaricare,
E la cucina assetta a poco a poco :
Poi s'accoslasa a un gran cerracchione,
E rimondoUo, e fenne uno schidione.
LVIII
E poi eh' egli ebbe assettato 1' arroslo,
E pien di certe gallozze e di ghiande,
Disse a Morganle : E' ci manca ora il mosto,
Assettali qua a volger così grande:
Io vo' veder come V acqua è discosto,
E 'nlanto tu arai cura a le vivande.
Morganle rise, e posesi a sedere,
Pefcliè Margutte arrecassi da bere.
Margulle uscito un poco de la via,
Un certo calpestio di lungi sente :
Fecesi innanzi a veder quel che sia ;
Ode una bestia, e 'nsieme parlar genie :
Volle assaltargli e far lor villanìa;
Onde coslor fuggir subitamente;
Lasciar la bestia e due otri di vino,
Ch a\ean pel bosco smarrito il cammino.
Margulle si levò gli otri in ispalla :
Lasciò la bestia andar dove volea ;
Torna :i Morg^ilc, e d' allegrez/.a galla,
Però che il mosto a 1" odor conosrra :
Comincian la le^-luggine assaggialla :
Margotte disse ch'arsa gli parea :
Pargli miir anni d'assaggiare il luoito,
E finalmente cavornu V arrosto.
I.xi
Com'è" fumo assettali insieme a desto,
Morganle delle una gran tazza piena
A la fanciulla, eh' ha l viso ancelesco,
Di vin che gli bastò per la sua cena ;
Poi si succiò, che parve im uovo tresco.
Quel che rimase in meu che non balena \
E non potè Margulle esser sì allento,
Che si succiò quegli otri in un momento.
LXII
E cominciò a gridare : Oimè 1 occhio,
Morganle, tu non bei, anzi Iracanni,
Anzi diluvi: ed io sono un capocchio,
Che so che ad ogni giuoco Ui m' inganni :
Forse tu stesti aspettare il finocchio :
Un altro arebbe badalo mill'anni:
Per Dio che tu se' troppo disonesto :
Noi parlirem la compagnia, e presto:
Lxni
Se fussin come le fatti i moscioni,
E' non bisognere' botte né tino ;
E forse lu fai piccoli i bocconi ;
Ma questo non imporla come il vino.
Tu non se' uom da star tra compagnoni :
Non lasci pel compagno un ciantellino :
Del liocorno mi rimase il torso,
Or di due otri le n'hai fallo un sorso.
Morganle avea di Margulle piacere.
E d'ogni cosa con lui si molleggia;
Dunque Margulle cenò sanza bere,
E la fanciulla ridendo il dileggia.
Dicea Margulle: Già di buone pere
Mangialo ha 1 ciacco, e sollecclii vagheggia;
E ciò che dice costei, sogghignava ;
Ma con Morgaule assai si scorrubbiava.
LXV
Quando egli ebbon cenalo, e" s" assellorno
Dintorno al fuoco, e quivi si dormieno
Per aspellar che ritornassi il giorno.
Su certe frasche e sopra un po' di fieno :
L' altra mattina il cammei caricorno,
E piure inverso il cammin lor ne gieno
Sanza trovare o vettovaglia o letto.
Tanto che pur la fanciulla ha sospetto.
LXVI
E dicea: Questa selva è tanto folta,
Morganle,. eh' a guardarla non m'arrischio.
Dicea Margulle: Che seni' io? ascolla:
E' par eh' i' oda di lontano un fischio.
Giunsono appresso ove la strada è volta ;
Ecco apparir dinanzi un bavalischio,
E cominciava gli occhi a sfavillare :
Morganle fé* la fanciulla scostare.
,r
'2.1 )J
M O K (, A N T F M A ( i G I O R E
Arrandeilo il battaglio a quella fiera,
E giunse per ventura appunto al rollo,
E spircò il capo che parve di cera,
E più di venti braccia via portello :
Margutte andò dove e' vide eli" egli era
Caduto, e presto a Morgante recollo :
Dodici braccia misuroron quello
Serpente crudo e velenoso e fello.
Lwiri
Fecion pensier se fussi d' arrostillo.
Diceva la fanciulla : Io ho mangiato
Del tigre, del dragon, del coccodrillo :
Vero è che 1 capo e la coda ho spiccato.
Disse Margutte: E' che bisogna dillo?
Questo è un morselletto ben dorato :
lo taglierò solamente la coda,
E poi r arrostiremo, ed ognun goda.
LXIX
Così fu arrostito V animale
Pur con la pelle indosso com' e" nacque,
E divorato sanza pane o sale,
E come un pinocchiato a tutti piacque ;
Lucifer non are' pur fatto male.
Eravi appresso pel bosco de V acque :
Quivi s' andorno la sete a cavare ;
Margutte più non si volle fidare,
LXX
E disse: Più da bomba non mi scosto:
Ch' io non mi fiderei di te col pegno,
Morgante, da qui innanzi a dirtel tosto,
Che tu fai sempre sopra me disegno;
Come del vin, faresti de Y arrosto ;
Pertanto io non mi vo' scostar da segno.
Morgante ride, e la fanciulla scoppia.
Che par che i denti gli caschino a coppia.
txxi
Dormiron come soglion quella notte,
E r altro giorno al lor cammin ne vanno
Per aspre selve e per sì scure grotte.
Che dove e' sia da posarsi non sanno :
Pur la fanciulla si ferma ta' dotte.
Però che l camminar gli dava affanno ;
Ma di dormire in così strano e scuro
Luogo non parve a Morgante sicuro,
LXXII
Dicendo : Io non ci veggo cosa alcuna
Da ber né da mangiar né da dormire ;
Acciò che non facessi la fortuna,
Qualch' aspra fera ci avessi assalire ;
Camminarono al lume de la luna
Tutta la notte con assai martire,
E 'nsin cl.e fa fornito l'altro giorno,
Che da mangiar né da ber mai trovorno.
LXXIU
Ed crono affamati ed assetali,
E rotti e stracchi pel lungo cammino.
Margutte un tratto gli occhi ha strabuzzati;
Ch' era per certo il diavol Tentennino.
Dice Morgante: Margutte, che guati?
Io veggo che tu affisi l' occhiolino :
Aresti tu appostata la cena?
Disse Margutte : Che ne credi ? appena.
I.XXIV
Io veggo quivi appoggiato, Morgante,
A un albero un certo compagnone
Che par che dorma, e non muove le piante;
Di questo non faresti tu un boccone ?
Morgante guarda : Egli era un liofante
Che si dormiva a sua consolazione,
Ch' era già sera, e appoggiato stava,
Come si dice, e col grifo russava.
r.xxv
Disse Morgante: Dammi un poco in mano,
Margutte, presto la tua scimitarra :
Poi s' accostava a V albero pian piano :
Ma non arebbe sentilo le carra,
S« forte dorme V animale strano.
Morgante allor ne le braccia si sbarra,
E r arbor sotto a la bestia taglióe.
Che sbalordita rovescio cascóe.
LXXVl
E cominciava a rugghiar tanl'o forte,
Che rimbombava per tutto il paese :
Dette a le gambe a Morgante due torte
Col grifo lungo : Morgante gliel prese,
E con la spada gli dette la morte,
Tanto che tutto in terra si distese.
Dicea Margutte : Questa è sì gran fiera,
Ch' io cenerò pure a macca stasera.
Lxxvn
E cominciò assettarsi a cucinare ;
Morgante intanto del fuoco facea,
E la fanciulla l' aiuta acconciare.
Però che in aria la fame vedea.
Margutte uno schidion voleva fare ;
Guardando presso, due pin si vedea,
Cli' erono insieme in un ceppo binati:
Disse Morgante : Dio ce gli ha mandati.
LXXVIII
E fece r un con im colpo cadere, .
Dicendo ; Uno schidon farai di questo :
Quest' altro ne faremo un candelliere ;
E rimarrassi ritto qui in sul cesto :
Alzò la spada, e tagliògli il cimiere,
E fece giù la ciocca cader presto :
Poi fece in quattro il gambo a poco a poco,
E appiccògli in su la vetta il fuoco.
LXXIX
Disse Margutte : Noi trionferemo :
Veggo la cosa stasera va a gala.
Poi ch'ai lume di torchio ceneremo;
Intorno a questo pin sarà la sala ;
E sotto a quésto lume mangeremo :
Ma perch'io non v'aggiungo con la scala,
Morgante, e tu v'aggiugni sanza zoccoli,
E' converrà stasera che tu smoccoli.
LXXX
Disse Morgante: Col nome di Dio
Attendi pur, Margutte, che sia cotto.
Ch'io vo' che questo sia 1' uficio mio.
Margutte acconcia V arrosto di botto ;
Poi disse : Volgi ; e' sarà pur buon eh' io
Cerchi de l'acqua, se c'è ignun ridotto;
Questo, so io, tu non trangugerai,
Ch' a tuo dispetto me ne serberai.
MORO ANTE MAGGIORE
LXXXI
Morpanlc disse anlilaiiirnle : VA,
Clic insili rhe tu riloriii aspcllcrò.
II liofantc intero ci sarà ;
Ma non pli disse : In corpo il serberò.
Mar{;iilte in giù e 'n su, di qua di là,
De 1' ar<{ua va cercando il ine' die può;
Tanto die pur lr»)vava un fossalello,
E d'acqua presto n'empieva il cappello.
LXXXI I
Ma non fu prima dal fuoco partito,
Che Morpante a spiccar comincia un pezzo
Del liofanle, e disse : Egli è arrostito :
E tutto il mangia cosi \erdeniezzo.
Dicendo a la fasriulla; 11 mio appetito
Non può più soflerir, eh' è male avvezzo :
E diegli la sua parte finalmente,
Come si conveuia discretamente.
i,xxxm
Margotte torna, e Morgante trovava
Che s' avea trangugiato insino a V osse
Del liofante, e i denti stuzzicava
Con lo scliidion del pino ove e' si cosse;
Tra le gengie con esso si cercava,
Come s' un gambo di finocchio fosse;
Le zampe sol vi restava e la testa :
D'ogni altra cosa era fatta la festa.
LXXXI v
Disse Margutte : Dov' è il liofanle
Che tu dicestì di serbare intero ?
Egli è qui presso, rispose Morgante.
Diceva la fanciulla : E' dice il vero :
£M' ha mangiato dal capo a le piante:
E non è stato, al suo parere, un zero.
Disse Morgante : Io non ti fallo verbo,
Margutte, poi che in corpo te lo serbo.
LXXXV
Tu non hai ben in lolca studiato :
Io dissi il ver; ma tu non m'intendesti.
Margutte stava come trasognato,
E dice: Io penso come tu facesti :
Può fare il ciel tu l'abbi trangugiato!
Io credo eh' ancor me mangiato aresti r
Forse fu buon eh' io non ci fussig^lianzi ;
Ch' io mi levai da la furia dinanzi.
LXXXVI
Tu m'hai a mangiare un dì poi come l'Orco;
Questa è slata una cosa troppo strana.
Un atto proprio di ghiotto e di porco.
Quel eh' ha fatto la gola tua ruffiana :
Tu non sai forse com' io mi scontorco
A comportar tua natura villana:
Pensi eh' io facci gelatina o solci.
Che '1 capo drenlo o le zampe esser vuoici?
LXXXVI I
Noi regnerem, Morgante, insieme poco:
Da ora innanzi tra noi sia divisa
La compagnia, se tu non muli giuoco.
Morgante smascellava de le risa :
Bevve de l'acqua, e poi se n'andò al fuoco.
Margutte gli occhi e quella testa affisa,
Perchè la fame non sentiva stucca,
E 1 me' che può come '1 can la pilucca.
LXXXVIII
E borbottando s'acconcia a dormire:
Così Morgante, iiisin che in oriente
Il Sole e 'I giorno comincja apparire;
E vannosene insieme filialmente:
Margutte si volca da lui partire.
Ma la fanciulla lo fé' paziente:
Non ci lasciar, dicea, tra questi boschi.
Tanto che almen qualcun uom riconoscili.
LXXXIX
Dicea Margutte: Io ho sempre mai inteso,
Che gnun non si vorrebbe mai beflàre :
Io mi vedea schernito e vilipeso,
£ costui slava il dente a stuzzicare,
Come se proprio e' non m' avessi offeso ;
Questo non posso mai dimenticare:
E' si poteva pur fare altrimenti.
Che sogghignare, e stuzzicarsi i denti.
xc
Questo faceva e' sol per più dispetto,
Ch' era proprio il boccoli rimproverarmi,
Come se fossi stato mio il difetto :
Pensa che conto e' facea d' aspettarmi.
Dicea quella fanciulla : Io ti prometto.
Se infino al padre mio vuoi accompagnarmi,
Io ti ristorerò per certo ancora :
Margutte pur si racchetava allora.
xci
A questo mudo andati son più giorni
Sanza trovare o case o mai persona ;
Ma finalmente un dì busoni e corni
Senton sonar sanza saper chi suona :
Eran certe casette come forni,
Dov' era una villetta eh' è assai buona,
A r Mscir proprio de le selve fore ;
E Filomen tcnevon per signore.
xcii
Sentendo la fanciulla allor sonare,
Subitamente al ciel levò le mani ;
Comincia Macometto a ringraziare;
Conobbe che que' suon poco lontani
Erano, e gente vi debbe abitare;
Perchè sapea i costumi de' Pagani;
Laudato sia Macoue in sempiterno,
Dicea, che tratti ornai siam de' lo inferno.
xeni
Morgante ne facea con lei gran festa,
Per venirla al suo padre rimenando \ /
Però che molto gl'increscea di questa;
E perchè spera veder tosto Orlando ;
A poco a poco uscir de la foresta,
E vengono il dimestico trovando :
E finalmente a le case arrivorno,
Dove sentilo avean sonare il corno.
xciv
Ma la fanciulla non sapea che quello
Luogo il suo padre già signoreggiassi :
Eravi un oste vecchio e poverello.
Non avea tanto, Morgante cenassi.
Disse Margutte: Togliamo il cammello;
E ordinò che questo si mangiassi ;
E arrostino coni' egli era usato,
E innanzi al gran Morgante 1' ha portato.
M O I\ G ANT K M A C C. ì O l\ K
Morgante «liè di tiiurso ne lo $(TÌ|^i)u,
K tulio lo spiccò con un boccone ;
Margulle pli faceva nn viso arcigno,
Dicendo : Tu fai scorg;erli un briccone.
Ed on;ni volta mi pajxlii di {;hig;no,_
K fai, Morgante, dosso di biilfone.
Pur die In empia ben cotesla };ola;
Vj mai non fai a tavola parola.
XCVl
rt)i ne spiccò di quel cammello un quarto,
E disse : Io intendo il mio conio vedere :
Guarda s'io tan;lio appunto come il sarto:
Tegnamo in man, ch'io veggo il cavaliere;
Ma pur dal giuoco però non mi parlo ;
Ch'io so che l'ossa non ci ha a rimanere;
E non è cosa da star leco a scollo,
Tu se' villano e disonesto e ghiotto.
XCVII
L' oste rideva, e la fanciulla ride ;
Margotte, che fu tristo ne le fasce,
Col pie sotto la tavola 1' uccide,
E con 1' occliiello disopra sì pasce.
Morgante un tratto di questo s' avvide,
E disse: Tu se' uso con bagasce:
Quella fanciulla onesta e virtuosa
Si ristrignea ne' panni vergognosa.
xcvni
Dicea Morgante: Tu se' pur cattivo.
Come tu mi dicevi, in detti e 'n falli :
Io credo che tu abbi argento vivo,
Margutte, ne' calcetti e ne gii usali! :
Da questa sera in là, se a 1' oste arrivo,
Acciò che non facessi più quesl' alti,
Farotti i pie tener ne la bigoncia,
Ch' io veggo che la cosa sare' acconcia.
XCIX
Disse Margotte: Hai tu per cosa nuova,
Ch'io sia cattivo con tutti i peccati.
Al fuoco, al paragone, a tutta prova
Un oro più che fino di carati ?
Io non fu' appena uscito fuor de 1' uova.
Ch'io ero il caffo de gli sciagurati,
Anzi la schiuma di tutti i ribaldi ;
E tu credevi io tenessi i pie saldi ?
e
Non vedi tu, Margulte, quanto onore,
Dicea Morgajìte, pel camniin gli ho fatto,
Per rimenarla al padre eh' è signore ?
Guarda che più non t'avvenga quest'alto.
Disse Margulte : A ogni peccatore
Si debbe perdonar pel primo tratto :
S' io Ilo fallato, perdonanza chieggio ;
Quest'altra volta so ch'io farò peggio.
CI
Disse Morgante : E peggio troverai :
Guarda di' io non adoperi il battaglio ;
Forse, Margutte, tu mi crederai.
Se un tratto le costure ti ragguaglio.
Dicea Margulte: Sin non mi terrai
Legalo sempre stretto col guinzaglio.
Prima che tu, vedrai, Morgante, eh' io
Adoprerò forse il battaglio mio :
Or oltre, su g«»vernali a tuo modo,
Rispose allor Morgante d'ira ]>ieuo;
Io so che "I mio battaglio (ia piii sod«»,
\\ non bisognerà guinzaglio o freno.
Itilauto la lanciidla disse : Io odo
Alcun qua che ricorda Filoineno :
("onoscilo tu, oste, o sai chi e' sia,
E 11 qual paese egli abbi signoria ?
CUI
Rispose r oste : Quel che tu domandi.
Io intendo P'ilomen sir del Belfiore:
Acciò che pili parole non ispandi,
Sappi che Filouieno è qui signore :
E siani tutti parati a' suoi comandi
Per lunga fede e per antico amore,
E regge il popol suo tranquillo e lieto,
Come giusto signor, savio e discreto.
civ
Vero è che lungo tempo è stato in pianto,
Però che gli fu tolta una sua figlia,
Né sa chi la togliessi ; ed è già tanto,
Che ritrovarla sarla maraviglia:
Poi che r ebbe cercata indarno alquanto,
Vestissi a brun lui e la sua famiglia ;
E non ci gridan poi talacimanni ;
E così son passati già seti' anni.
cv
Questa fanciulla diventò nel viso
Subitamente piena di dolcezza,
E parve il cor da lei fosse diviso,
E pianse quasi di gran tenerezza.
Dicendo : Or son tornata in paradiso,
Dove solea gioir mia giovinezza :
Pensò di troppo gaudio venir meno
Quando sentì che vivo è Filomeno.
evi
Morgante molto allegro fu di questo,
E disse: Io son sì contento stasera.
Che s' io morissi, non mi fia molesto :
Margulte mio, noi farem buona cera.
Ed è pur buon eh' io t' abbi fatto onesto.
Disse Margotte, che malcontento era:
Se tanta ^oscienzia pur ti tocca.
Ricuciti una spanna de la bocca.
cvii
Non volle la fanciulla palesarsi :
Domanda de la madre e de' parenti,
E d' ogni cosa voleva accertarsi.
Di fratelli e sorelle e di sue genti :
Quivi la notte sfanno a riposarsi.
Poi si partirno da 1' oste contenti :
Non parve tempo a rubare a Margutte,
Che non gli dessi Morgante le frolle.
CVlìI
E del cammin 1' ostier ne 1' avvisava,
Se capitar volevono a Belfiore,
Che sempre lungo la riva s' andava
Del Nilo, e non potean pigliare errore.
Morgante mentre la rena pestava.
Un coccodrillo de l'acqua esce fore.
La bocc aperse e credette iughiottillo :
Disse Margutte : Che fia coccodrillo ?
«I
II
ISI O l\ G A N l' K jM A G ( r I O R E
("«)lpstrt r troppo prari borron «la If.
Morgaiitf in itocra il battaglio ^li porse :
Il ntrroilrillo una Jtrotta glliliv,
11 i tlciili vi lìrr«\ si forte il inorsf.
Allor iMorftaiile ritirava a sé
l'rrslo il liallaglio, e 'n Imrra {glielo slorsp;
K spezza i «lenti 1' uno e T altro filo;
I*<>i prese questo e sragliollo nel Nilo.
c.\
Vn mifilio o piò «Irento al finme gittoUo,
t%»n»e nn certo autor, rlie I ville, ha scritto:
li se r avessi preso me' pel rollo,
Credo eiltato 1" arelilie in l'Egitti);
E nel rader morì sanza «lar orollo :
11 frran battauli<i da' «tenti è traCitto.
Di-ise Maronite : I«» lo vedevo srorto
Ch' egli scojìpiava, se non fussi morto.
«:xi
Era già vespri), e son presso a qnel bosco
Dove fo presa }iià rjiiesta faiiriiilla :
E tlisse con Morpaiite : Io riconosco
11 liiopo ov' io In' sciocca più clie in colia,
Sanza pensar die dopo il mele è '1 losco :
Così va chi sé stesso pur trastulla ;
Ed è ragion s' al fin mal gliene incoglie.
Chi vuol cavarsi tutte le sue voglie.
CXII
O maladelto o sventurato loco !
Quivi senti', Morganle, il lusignuolo ;
Colà fu' trasportata a poco a poco
Dal suo canto d' uno in altro volo :
A me pareva a sentirlo un bel giuoco :
Vedi che ne segui poi tanto duolo :
Ringrazio te che in' liai qui ricondotta,
E sarò savia, s'io non fui allotta.
CXIII
E mostrerotli ch'io non sono ingrata;
Ed arò sempre scritto nel mio core
Come tu ra' abbi prima liberata,
E con quanta onestà con quanto amore
Tu m' abbi per la via poi accompagnala,
Che non è stato il servigio minore.
Come fratel, come gentil gigante
Ti se' portato, e non come mio amante.
cxiv
Potevi di me far come Beltramo;
Non hai voluto, onji' io come fratello
Come tu ami me certo te amo ;
Così ti tratterò nel mio castello,
Così Margutte v«>' che noi trattiamo,
Bench' e'fussi a le volte tristerello.
Disse Margutte : S' io feci tristizia,
Tu de' pensar ch'io noi feci a malizia.
cxv
Ecco ch'egli eron già presso a le mura
Di Filomeno : or ecco che son drenlo ;
E '1 popol guarda la grande statura
Di quel gigante che dava spavento :
?{a la fanciulla ignun non ralTigura.
<i padre suo, quanto sarai conlento !
( ir ogni improvviso ben più jiiacer snoie,
ion^e il mal non pensalo anco più «Uiole.
Filonien che venir sente il gigante
(.011 la fanciulla e con nn sn«) compagno,
E eh' e' si fa verso il palazzo avante,
E die parca molto famoso e magno;
In questo mezzo ajipariva Morganle,
Filomen disse: Iddio ci dia guadagno;
CJii fia costui, e che fanciulla «• questa :'
Non mi trarr*) però la bruna vesta :
ex VÌI
Non riarò però la mia figliuola,
Dicea fra sé, che non la ronoscìa ;
Maravigliossi eh' ella sia sì sola,
Dicendo : Questa è strana compagnia :
Poi fermò gli occhi ove il desio pur voi.»;
Egriilòj Questa è Klorinetta mia :
Mala fanciulla che di ciò s' accorse,
A abbracciar Filomen subito corse.
ex VI II
Or pensi ognun questo misero padre
Quanto in quel punto fussi consolato;
A questo grido correva la madre i
E benché» Florinelia abbi mutato
Il viso mollo e sue membra Ieggia«Jre,
Al primo tratto l'ha ralfiirurato ;
Ed abbracciò costei pietosamente,
E per dolcezza par fuor de la mente.
rxix
TI popol tutto con festa correva,
Però che m«)llo amato è Filomeno :
Cosi in nn tratto la sala s' empieva ;
Morganle eh' era d' allegrezza pieno,
A Filomeno in tal modo diceva :
Ecco la figlia tua ch'io li rimeno,
E son contento più eh' io fossi ancora ;
11 perchè Filomen l'abbraccia allora.
cxx
Ma Florinella postasi a sedere
A lato al padre, e riposata alquanto,
Diceva: O Filomen, stu voi sapere
Del lungo errore e del mio grave pianto,
E come io sia vivuta, e 'n qual sentiere,
E ])crchè il mio tornar tardalo è tanto ;
Io ti dirò la mia disavventura
Ch' ancor pensando mi mette paura.
cxxi
E cominciò dal dì eh' eli' era uscita
De la città, quand'ella andò soletta,
A coniar come ella fussi rapita
E strascinala trista e ineschinelta ;
E quanto è stala afflitta la sua vita;
E la catena che la tenea stretta,
E com'ell'era dal lion guardata:
Tanto che piange ognun che l'ha ascoltata.
cxxii
E lutto il popol se ne maraviglia :
(Ignun verso Macon le mani alzava :
La madre e '1 padre e l'altra sua famiglia
D orror ciascuno e capriccio tremava.
Seiiui più oltre la leggiadra figlia,
E nverso il suo Morganle si voltava ;
E ogni cosa narrava costei
Ciò che Morganle avea fallo per lei.
MOR GANTE MAGGIORE
l'i Uì
rxxiii
_^ Come al principio e' 1' avea liberata
'''• Da quel gigante crinlel malandrino,
E come sempre l'aveva onorala
E vezzeggiata per tutto il canmiino,
E sempre per la man V àvta menata
Sì come padre o fratello o cugino,
E che tanta onestà servala avea,
Che '1 nome suo non eh' altro non sapea.
CXXIV
E tante cose dicea di Morgante,
Che 1 popol tulio correva a furore
A abbracciar questo e baciargli le piante ;
E Filoinen gli pose tanto amore,
Che in ogni modo volea che '1 gigante
Con lui vivessi e morissi signore.
Morgante Filomen ringrazia assai.
Dicendo: Sempre tuo servo m'arai.
cxxv
E sempre sarò teco vivo e morto,
Con l'anima e col corpo, pur ch'io possi:
Io voglio a Babillona esser di corto ;
E sol per questo dì Francia mi mossi :
Ch' al conte Orlando farei troppo torto ;
Ma sempre mi comanda dov'io fossi:
E pur se Florinetta m' ama seco.
Io mi starò due giorni ancor con teco.
cxxvi
Diceva Florinetta : Almeno un anno
Con meco ti starai, Morgante mio ;
E così tutti grande onor gli fanno.
Anzi adorato è da lor come Dio.
Margotte e Florinetta il gusto sanno;
E perch' eli' ha di piacergli disio.
Disse a Margutte: Attendi a la cucina
Che sia provvisto ben sera e mattina.
CXXVil
Non domandar se Margutte s'affanna,
E se parea di casa più che '1 gatto :
E dice : Corpo mio fatti capanna.
Ch'io t'ho a disfar le grinze a questo tratto:
Vedi che qui dal cìel piove la manna ;
E salta per letizia com'un matto,
E stava sempre pinzo e grasso e imto,
E de la gola ritruova ogni punto.
cxxvni
Mentre ch'io era, diceva, in Egina,
Non soleva quest' esser la mia arte :
Così ci fossi la mia concubina,
Ch' io gli porrei de le cose da parte :
Ma come il cuoco lascia la cucina,
Così da la ragion certo si parte ;
Così come Margutte di qui esce,
Sarà come cavar de 1' acqua un pesce.
cxxix
E finalmente e' provvedeva bene
La mensa di vivande di vantaggio ;
E d' ogni cosa che in tavola viene
Sempre faceva la credenza e '1 saggio ;
E qualche buon boccon per sé ritiene
E 'n corbona metteva come saggio:
Alcuna volta ne la cella andava,
E pel cocchiume la botte assaggiava.
cxxx
E sapea sopra ciò mille malizie :
Per casa ciò che truova mal riposto,
E' rassettava con sue masserizie
In un fardel che teneva nascosto :
In pochi dì vi fé' cente tristizie ;
E più facea se non partìa sì tosto ;
Conlaminò con lusinghe e con prezzi
Ischiave e more e moricioi e giiezzi.
cxxxi
A ogni cosa tirava l'ajuolo,
E faceva ogni cosa a la moresca :
La notte al capeazal sempre ha 1' orcioolo
E pane e carne in gozzoviglia e n tresca :
Poi rimbeccava un trailo il lusignuolo ;
E ritrovava, acciò che'l sonno gli esca,
Tulli peccati suoi di grado in grado ;
E sempre in mano avea il bicchiere o '1 dado,
CXXXII
O broda, che succiava come il ciacco ;
Poi si cacciava qualche penna in bocca
Per vomitar, quand'egli ha pieno il sacco;
Poi lo riempie e poi di nuovo accocca :
Ma finalmente, quando egli era stracco,
E che pel naso la schiuma trabocca;
E' conficcava 11 capo in sul primaccìo
Unto e bisunto come un berlingaccio.
cxxxiu
E sapeva di vin come un arlotto;
Che de' pensar che n'appiatta Margutte;
E quando egli era ubbriaco e ben cotto,
E' cicalava per dodi(^i putte;
Poi ribaciava di nuovo il barlotto ;
E conta del cammin le trame tutte ;
E diceva bugie sì smisurate;
Che le tre eran sette carreltate-
CXXXIV
Or pur Morgante si volea partire,
Quantunque Florinetta assai pregassi;
E cominciò con Filomeno a dioe
Che la licenzia oramai gli donassi :
Che di vedere Orlando ha gran desìre :
Subitamente un gran convito fassi
Per dimostrar maggior magnificenzia
Al gran Mprgante in questa diparteazia.
CXXXX
E poi che egli hanno tutti desinato,
E ragionalo insieme molte cose,
E la fanciulla a Morgante ha donato
Di molle gioie ricche e preziose,
E mollò Filomen 1' ha ringraziato :
Morgante come savio anco rispose.
Che accettava 1' offerte e '1 tesoro
Per ricordarsi ove e' fussi di loro.
cxxxvi
Margutte, quando udì questa novella,
Diceva : Io voglio andar per qualche ingoffo;
E tolse uno schidione e la padella,
Tinsesi il viso e fecesi ben goffo,
E corse ove sedeva la donzella,
E fece de lo impronto e del gaglioffo,
E d'sse : Il cuoco anco lui vuol la mancia,
O io ti tignerò tutta la guancia.
M O R G A N T E INI A (; G I O I\ K
CXXWII
Florinctta una prinnia, eli* avea in lesta
Gillù ne la p.ìilella a mano a mano;
Alar^ntlf rinlVa e la mano ebbe ]irrsta,
E disse : Io fo per non parer provano.
Morpanle falla {;li arebbe la festa.
S'avessi avuta qnaUlic rosa in mano;
E vergognossi ile I allo si brullo,
Dicendo: Tu m'hai pur cliiaiilu in tulio.
CXXXVIII
Margnlte si tornò in cucina loslo,
E cominciò assettare un suo fardello
Di ciò di' aveva rubalo e nascosto,
E qnel rlie solea por già in sul cauiniellu;
E perch' e' vide Morganle disposto
Di dipartirsi, si pensò ancor quello,
Ch' e" fossi da fornirsi drenlo il seno
Di ghiotlorule per due giornale almeno,
cxxxix
E mangia e bee e 'nsacca per due erri,
Dicendo: E' non si Iruova colli i lordi,
Quand' io sarò per le selve tra' cerri.
Morgante intanto al partir par s' accordi,
E Florinetta con lui era a" ferri
A pregar sempre di lei sì ricordi ;
E che tornassi a rivederla presto,
E non si parla che prometta questo,
CXL
Morgante rispondea eh' era contento,
E in ogni modo per sé tornerebbe,
E fecene o^ni giuro e sacramento ;
Non potre' dir quanto il partir gì" increbbe;
E abbracciava cento volte e cento
Quella fanciulla, e non si crederebbe
La tenerezza che gli venne al core,
E quanto Filonien gli ha posto autore,
CXLI
Margntte disse solamente: Addio;
Però ch'egli era più cotto che crudo.
Morgante poi che del castello uscio,
Disse a Margutle : Assettali lo scudo,
Ch' io vo' sfogarmi, poltroniere e rio :
Che lu se' il cuoco mio per cerio e 1 drudo:
Può far' Iddio tu sia si sciagurato !
Tu m' hai chiarito, anzi viltiperato.
CXLII
Tu va' hai pur fatte tutte le vergogne :
10 mi credevo ben tu fussì tristo,
E ladro e ghiotto e padre di menzogne ;
Ma non tanto però quanto n ho visto :
Tu nascesti tra railere e Ira gogne,
Come tra '1 bue e l' asin nacque Cristo.
Margutle gli rispose : E tra' capreslì,
E tra le scope : lu non t' apponesti.
CXLIII
Io credevo, Morgante, lu '1 sapessi
Ch' io abbi lutti i peccati mortali :
11 primo dì, perchè mi conoscessi,
Tel dissi pure a lettre di speziali :
Puomi lu altro appor ch'io ti dicessi?
Questi son peccaluzzi veniali :
Lascia eh' io vegga da fare un bel trailo
In qualche modo, e cliiarirotti affatto.
CXLIV
Morgante fìnalmente convenia
Che in riso e in gioco s' arrechi ugni cosa,
E vanno seguitando la lur via.
Eran«> un di per una selva ombrosa ;
E perchè pure il rauunino increscia,
A una fonte Morgante si posa :
Margutle eh' avca ancor ben jtieno il sacco,'
S' addormentò come affannalo e stracco.
Morgante come lo vede a giacere,
Gli stivaletti di gamba gli trasse,
E appiatlògli, per aver piacere.
Un po' discosto, quando e' si destasse.
Margutle russa , e costui sia a vedere;
Poi lo destava, perdi' e' s' adirasse.
Margotte si rizzò, come e" fu desto,
E de gli usalli s'accorgeva presto.
CXL vi
E disse: Tu se" pur, Morgante, strano:
Io 'veggo che tu m'hai tolti gli usalli,
E fusti sempre mai sconcio e villano.
Disse Morgante : Apponli ov' io gli ho pialli:
E son qui intorno poco di lontano:
Questo è per mille oltraggi tu m" liai fatti,
Margutle guata e non gli ritrovava,
E cerca pure e seco borbottava.
CXLVII
Ridea Morgante, sentendo e' si cruccia;
Margutle pure al fin gli ha ritrovali :
E vede che gli li a presi una bertuccia ;
E prima se gli ha messi e poi cavali :
Non domandar se le risa gli smuccia,
Tanto che gli occhi son tutti gonfiati,
E par gli schizzassin fuor di testa,
E slava pure a veder questa lesta.
CXLVIII
A poco a poco si fu intabaccato
A questo giuoco, e le risa cresceva:
Tanto che "1 petto avea tanto serralo,
Che si volea sfibbiar, ma non poteva,
Per modo egli par essere impaccialo :
Questa bertuccia se gli rimetteva :
Allor le risa Margutle raddoppia,
E finalmente per la pena scoppia.
CXLIX
E parve che gli uscissi una bombarda,
Tanto fu grande de lo scoppio il tuono.
Morgante corse, e di Margutle guarda
Dov' egli aveva sentilo quel suono ;
E duolsi assai che gli ha fatta la giarda;
Perchè lo vide in terra iu abbandono :
E poi che fu de la bertuccia accorto,
Vide eh' egli era per le risa morto.
• CL
Non potè far che non piangessi allotta;
E parvegli si sol di lui restare,
Ch ogni sua impresa gli par guasta e rotta:
E cominciò col battaglio a cavare,
E sotterrò Margotte in una grolla,
Perchè le fiere noi possin mangiare ;
E scrisse sopra un sasso il caso appunto.
Come le risa Tavean quivi giunto.
.•>.)/
M O l\ (; A N T E M A (i (; l O R E
E tolse sol la i!;eniuia clic };li ilelle
Florinetta al partir: T altro farileilo
Con esso ne la lossa insieme ntelte,
E con {^ran pianto si partì da quello ;
K per più dì come smarrito stette
D'aver perduto Mn sì caro fratello;
K 11 questo modo ne" boschi lasciarlo,
E non potere ad Orlando menarlo.
<,r,ii
Or ecci uno autor die dice qui,
Clie si condusse pur dov' era Orlando ;
Ma poi di Babillona si partì,
E venne in (|ueslo modo «.apitando ;
Tanto è che la sua morte fu così ;
Di questo o^nun s' accorda ; ma del quando,
O prima o poi e' è varie opinioni,
E molti dubbi e gran disputazioni.
cr-ni
Tanto è ch'io voglio andar pel solco ritto,
Clie in sul cantar d'Orlando non si truova
Di questo fallo di Margulle scritto ;
Ed ecci aggiunto, come cosa nuova,
Che j^m certo libro si trovò in Egitto,
Che questa storia di Morgante appruova ;
E r autor si chiama Alfaroenonne
Che fece gli statuti de le donne,
CLIV
E fu trovalo in lingua persiana,
Tradotto poi in arabica e^h caldea:
Poi fu recato in lingua soriana,
E dipoi in lingua greca e poi in ebrea,
Poi ne r antica famosa romana ;
Finalmente vulgar si riducea :
Dunque e' cercò la torre di Nembrollo
Tanto, eh' egli è pur fiorentin ridotto,
CLV
Quel eh' e' si sia, e' seppe ogni malizia,
E fu prima cattivo assai che grande ;
Però che cominciò da puerizia
Ad esser vago de V altrui vivande ^
E fece abito sì d'ogni tristizia,
Ch' ancor la fama per tutto si spande ;
J E furon le sue opre e le sue colpe,
i Non creder leonine, ma di volpe.
CLVI
Or lasciam questo con buona ventura,
Che la giustizia ha in fin sempre suo luco.
Morganle attraversando una pianura
S' appressa a Babillona a poco a poco
Tanto, che già si scorge van le mura ;
Ed arde tutto come il zolfo al foco
De la gran voglia di vedere Orlando,
Che non credea già mai trovare il quando.
CLVII
Era già presso al campo a poche miglia,
jlE fu veduto questo compagnone
1 1 Come un alber di nave di caniglia,
E dava a tutto il campo animirazione :
Ma quando Orlando vi volse le ciglia,
Questo è Morgante per lo Dio Macone,
Se ben le membra di questo ragguaglio,
Dicea fra sé, che io conosco ii battaglio.
Cf.VlIl
Eece,si presto menar Vegliantino,
E nondimen la lancia tolse in mano,
Che non fussi gigante Saracino,
Percliè la vista inganna di lontano :
Morgante, come vide il paladino.
Gli fece il cenno usato a mano a mano ;
'Gillo il battaglio cento braccia in allo,
Poi lo riprese in aria con un salto.
CLIX
E come al conte Orlando fu piii presso.
Subitamente giaocchione è posto :
Orlando smonta e'nconlro ne va ad esso,
E cominciò le braccia aprir discosto :
Che sì conosce im grand' amore espresso,
E disse : Lieva, Morganle, su tosto :
E missegli le braccia strette al collo,
E mille volle e poi mille baciollo.
ci.x
Non si saziava a Morganle far festa :
Tanto che '1 collo ancor non abbandona,
Dicendo : Che ventura è slata questa ?
Morgante, poi che e' é la tua persona.
Io non temo più scogli né tempesta :
Le mura IrJemon già di Babillona ;
Anzi tremare il ciel sento e la terra,
Tanto eh' ornai terminata è la guerra.
cr>xi
Io non farei con Alessandro Magno
Con Cesar, con AnnibaI, con Marcello,
O patti, o pace, o triegua con guadagno,
Da poi che tu se' qui, caro fratello;
Ch' io pur non ebbi mai miglior compagno :
lo crederei con tp pigliar Babello
E Troia un'altra volta e Roma antica:
Or vo' che mille cose oggi mi dica.
CLxn
Che è d'Astolfo mio, d'Arnaldo, Uggieri,
D'Angiolin di Baiona, e del mio Namo ?
Ch' è del mio caro e gentil Berlinghieri ?
CJi' è di Salamon mio eh' io tanto amo ?
Che è d' Ottone, Avolio, Avin, Gualtieri ?
Che è de' miei fratei, che noi lasciamo,
Ricciardo con Alardo a Montalbano ?
Ch'è di quel Iradilor del conte Gano ?
CLXIIl
Quant'è che tu li partisti da Carlo?
Dimmi se Gano è tornato a Parigi,
E s'egli attende al modo usato a farlo
Seguire i suoi consigli e suoi vestigi.
Tanto elle possi a la mazza guidarlo ?
Ha fallo l'arte il nostro Malagigi
A questi tempi? e dello dov' io sia,
E com' io abbia qua gran signorìa ?
CLXIV
E come Persia ho presa e l'Amostante
Dopo pur molta fatica ed affanno?
Allor si rizza e risponde Morgante,
Che Carlo e i paladin' ben tulli stanno ;
E Malagigi come negromante
Detto gli aveva come le cose vanno:
E che Gano era scacciato in esilio
Che Carlo noi vuol più noi suo concilio.
M 0 1\(; A N T K M \(. (. I () W K
E corno la (i-ilinol.! del Snidano,
Che .si cliiamava la famosa Aiilea,
Si slava roii IVorianlo a iMóììTalbano,
E prande «more il po|»»l te farea :
E (jiifl ch'ella ave.i (alto lare a Oano;
De la qiial cosa Orlando si ritlea :
E cosi inverso il padiiilione andorno,
E molte cose rapionaro il giorno.
ci.xvi
Qnivi g^^i^aldo, Ulivier, Ricciardcllo
Abhraccian tulli Moraanle lor caro:
Morpanle j^iuove di Francia ha lor dello;
Poi di Marpulle mollo rag.ionaro,
Come e" mori ridendo il poverello,
E come insieme pria s' accompagnaro :
E conta d'ojjni sua piacevolezza,
E lacrimava ancor di tenerezza.
CI_\VII
Quivi fecion consiglio di pigliare
La città, poi che Morganle è ventilo ;
Comincion la hatlairlia apparecchiare.
Ed ogni cosa che fanno è veduto.
Qiie* de la terra cominciorno armare
Le mura, e ordinar quel eh' é dovuto ;
E cominciossi una fiera battaglia,
E per due ore durò la puntaglia.
cr,xvm
Morgante pur verso la porta andava,
Ch'era tutta di ferro e molto forte;
I Saracini ognun forte gillava
E sassi e dardi, per dargli la morte ;
Ma '1 fer gigante tanto s' accostava.
Che col battaglio bussava le porle ;
Ma non poteva spezzarle a gnun modo,
Benché questo battaglio è duro e sodo.
CLXIX
Più e più volte percuote e martella;
Ma poi che vide che poco valeva,
E' s' appiccava a una campanella,
E con gran forza la porla scolerà :
Ma i sassi gì inlronavan le cervella,
Che in sul cappel di sopra gli pioveva :
E sente or questo or quelT altro percuotere;
Allor più volte cominciava a scuotere.
CLXX
Era una torre di mura sì grossa
Sopra la porta, eh' un gran pezzo resse ;
Ma quando e' dava Morgante una scossa,
Non è Iremuoto che tanto scotesse ;
Tanto che 1 ha tutta intronata e mossa ;
E finalmente in più parti si fesse,
Ch" era tenuta cosa inespugnabile,
E parve a tutti una cosa mirabile.
CLXXI
Orlando stupefallo era a vedello
Alcuna volta sue forze raccorre,
Ch' arebbe fatto cader Mongibello :
E delle un trailo una scossa a la torre,
Cht mai Sanson non la die come quello;
II campo lutto a veder questo corre ,
E fella rovinar giù d' allo in basso,
Che mai non si sentì sì gran fracasso;
CI.XXII
E "I polverio n'andò insiiio a h» 'Itile ;
Morgante con la porla si co|iria,
Como si fa con paivrsi o rotelle,
Che i sassi non gli iaccin villania .
Quelle genti di sopra nieschinelle,
("Ili morto e chi percosso si vedia ;
Citi rotto il bracci») e chi il lescltioaveaperlo:
E chi da' calcinacci è ricoperto.
CI.XXIII
(Jii mostra il pie scoperto e clii gaml»«-lla,
Chi con le gambe a l'erta è sotterralo;
Chi ha tra sasso e sasso qualche stretta
Avuto, e come morto è rovescialo ;
Chi'l sangue fuor per gli occhi e'I naso getta:
Chi zoppo resta e clii monco e sciancato :
Era a veder sotto questa rovina
Morti costor com' una gelatina.
ci.xxiv
I terrazzali' che difendon le mura,
Maravigliati fuggon lutti quanti,
E paion lotti morii di paura ;
Nostri Cristian' si fecion lutti avanti:
Ognun dicea : Può far questo natura?
Morgante non si mula ne" sembianti ;
E perch' e' fossi la strada spedila.
Certi canton' col suo battaglio trita.
CLXXV
E grida al conte Orlando: Andianne drenlo,
Seguite me, non abbiate sospetto.
Che Babillona è nostra a salvamento
Per onta e «lisonor di Macomello.
I Saracin' fuggien pien di spavento
Dinanzi a quel diavol maladetto:
Orlando e tutti gì' altri drenlo entrorno,
E tutti inverso la piazza n' andorno.
CLXXVI
Era a 1" entrare nn gran borgo di case :
Vero è ciie tutte son di terra e d'asse:
Di queste ignuna non ve ne rimase.
Che '1 gran Morgante non le fracassasse;
Or pensa a quanti le zucche abbi rase,
Prima che tante case rovinasse :
Di qua di là la mazza mena tonda:
Dovunque e' passa ogni cosa rimondo.
CLXXVII
I cittadini alfin s'accordar tutti,
Che piglili la città sanza contesa.
Pur che non sien da Morgante distrutti :
E così resta Babillona presa,
E fu posto silenzio a molti lutti ;
Però ch" egli era già la fiamma accesa,
E slavano i Pagani a veder poco.
Che col battaglio morieno e col fuoco.
CLXXVIII
Orlando nel palazzo fu menalo,
E posto in una sedia a grand onore ,
E quivi al modo lor fu coronato
Di Babillona e Soldano e signore ;
E molto il Veglio suo ebbe onorato,
Però che gli portava troppo amore ;
E fecel grande Arcai lo in Sona,
E Governava lui la signorìa.
IM O I\ (t A N T K M A G G 1 O W \<\
Cl.XXIX
Un dì eh' a spasso por la Icrra vanno,
l^ra salito in su 'n torrione,
(,on»' è usanza, un l)iion talariinanno :
Disse Morf«;ante : Udite il corbaccliione,
Che serra l'uscio ricevuto il danno,
E viene a rinp;raziar testé Macone !
Non domandate, com' io mi colleppolo
Di farlo venir giù sanza saeppolo.
ci,xxx
E detto questo il haltaglio pittava,
E pose appunto la mira a la testa;
E pure il rorbacchion là su gridava :
Ecco il battaglio con molta tempesta,
Che 'I capo inverso gli orecchi pigliava,
Come Morgante disegnóe a sesta ;
E mentre che gridava glie ne schiaccia,
E portello alto più di cento braccia.
CLXXXI
Or lasriain questi in Babiilona stare,
E riforniamo un poco a Montalbano,
Dov' era Antea, eh' ha fatto imprigionare,
Come in altri cantar' dicemmo, Gano :
Ma per poter meglio il dir seguitare,
Preglìiamo il ciel ci tenga la sua mano,
E direm tutto nel cantar futuro.
Guardivi il (Iglio di Gioseppe puro.
CAìNTO XX
ARGOMENTO
-N»f'©§#?-
No
on sono i furbi mai sanza fortuna:
La cosa è chiara in Gano imprigionato;
Orlando in liberarlo uomini aduna,
£ in mar viaggia alle procrlle allato.
Di Morgante piìi star non vuol digiuna
La morte, sicché un granchio r ha ammazzato.
Liopantc muor, che Aldinghier lo stiaccia.
Con cui ognun s'allegra, e te lo abbraccia.
ItAagnifica il Signor 1' anima mia ;
E rallegralo è. ne la sua salute
Lo spirito tj^i quel ben eh' ognun desia
Perch' e' conobbe tra le mie virtute
L' umiltà di sua ancilla giusta e pia,
Eternalmente da lui prevedute;
Così com' in te fu sempre umiltade.
Aiuta or me per tua somma pietade.
II
Era tanto la mente mia legata
Dal bel cantar dinanzi, eh' io trascorsi
Alquanto fuor de la via prima usata ;
Or de r error commesso mi rimorsi :
Torno a laudar te, Vergine beata,
Con la cui grazia sol la penna porsi
A questa storia, e tu m'aiuterai,
E 'osino al fin non m' abbandonerai.
Gano scriveva un giorno a Malagìgi,
Che prieghi Antea che debba liberarlo :
Che sa che più tornar non può in Parigi,
Però che sbandeggiato era da Carlo,
E die Rinaldo è in guerra e 'n gran litigi,
E grande amor lo sforza ire aiutarlo :
E se dovessi lasciar ben la pelle.
Gli arrecherà di lui buone novelle.
IV
Malgigi poi che la lettera lesse,
La stracciò prima, e beffe ne faceà.
Poi gì' increbbe che in career tanto stesse;
E finalmente un dì pregava Antea
Che Ganellon liberar gli piacesse,
E per suo amore Antea gliel concedea :
E così Gan di prigion fu cavato,
E' nverso Paganìa presto n' è andat,o.
V
Va discorrendo per molti paesi,
E cerca pur d' Orlando investigare ;
Orlando e tutti gli altri erano attesi
Di Spinellone il corpo a onorare;
E rimandato 1' ha con ricchi arnesi
Ne la sua patria e fatto imbalsimare ;
E da quattro destrier' bianchi è portato
A la sorella, ov' egli era aspettato.
VI
Al re Costanzo ha fatto similftiente.
Che si ricorda de' suoi benefici.
Ed onorata tutta la sua gente,
E dato a chi volea di loro ufici :
In questo mezzo il traditor dolente,
Ch' era il padre di lutti i malefici.
Per tutta Paganìa ne va cercando;
Ma non poteva ancor trovare Orlando.
M ORC. A N TK M A G i\ I OK K
riangriulu va la sua ili'-jvvrntiira
Per molli UifS' ' per parsi jtrani ;
lìiilrato un di prr una valle o»rura,
Qiii\i ln»vò ccrli paslor' papani,
(.hr Sì ilolraii d' una loro .sciapura,
Prrrh' rran snsiinali rome cani,
Rubati a forza da un pran pastore,
Cir era Ira lor qua&i fatto signore.
vili
Gan domandò ehi questo pastor sia;
Essi risposon : Vn rli' è sì arriccliito,
Che si fa spesso mala compagnia ;
Perchè un Cristian fu pia da lui tradito,
E toUepli un cavai quando e domila ;
Poi Io vendè, dond' epli è insuperbito,
Che ne toccò dal mastro giustiziere
Tanto, che sempre potrà ben godere.
i\
Il cavnllo era d'un certo Rinaldo
De" paladin' di Francia del re Carlo :
E Io nvilò a mangiar questo ribaldo,
E non si vergognò poi di rubarlo :
Per questo egli è di que' danari or. caldo,
Che si vorre' altrettanto comperarlo
Per impiccarlo poi. Gano ascollava,
E domandò dove il pastore stava.
X
E' gli mostrorno ove abitava questo.
Diceva Gan : Con meco ne verrete ;
Non si potrebbe trovare un capresto ?
Ch" io vo" impiccarlo, e voi m' aiuterete.
Un de' pastor' gli rispondeva presto:
Noi torrem la maestra de la rete ;
E finalmente trovorno il pastore :
Gan lo minaccia e chiama traditore.
XI
Dicea il pastor: Traditor non fu' roai ;
Sare io forse mai Gan di Maganza,?
Che t' ho io fatto, o chi cercando vȓ ?
Non è d'ignun de" miei tradire usanza.
Rispose Ganellon : Tu lo vedrai,
Poi che tu parli con tanta arroganza :
Tu se' colui che rubasti il cavallo ;
Per tanto io ti farò caro costallo.
XII
Tu lo vendesti al mastro giustiziere.
Disse il pastor : Cotesto non si nega.
Io r allevai puledro quel corsiere ;
E 1 me che sa le sue ragione allega.
Gan finalmente lo fece tenere
Da due pastori, e 1 capresto eli lega,
E sopra un alto sughero imp.iccollo,
E lasciai quivi appiccato pel collo.
XIII
Dette di piede al suo Matlafellone,
E ritornossi in su la mastra strada ;
Trovò certi giganti in un vallone,
E vollongli la man porre a la spada :
Gan si scontò: diceva un compagnone:
Noi vorremmo saper dove tu vada,
E se tu se" Saracino o Cristiano ;
Tanto che "1 nome suo disse allor Gano.
Vn di questi giganti gli rispose:
Tu suogli essere il fior de' traditori :
Tu hai già fatte tante laide cose.
Che fia mercè punirti de' tuo' errori.
Gan presto la sua lancia in resta pose,
E per disdegno p.ìr che si rincuori ;
E "I primo de' giganti eh' egli afferra
Lo traboccava morto in su la terra.
.\v
Gli altri gli son con mazzafrusti addosso;
Gan con la spada ria lor si difende,
E taglia a uno il naso insino a V osso ;
Ma intanto 1' altro di drieto lo prende,
E finalmente de 1' arcion l'ha mosso,
Tanto che Gan per forza se gli arrende,
E portalo di peso in un palagio
Per istraziarlo al lor modo per agio.
XVI
E dicean tulli : Stu vuoi dire il vero,
Rinaldo qua li manda per ispia.
Ma non è riuscito il suo pensiero ;
Noi vogliam' or saper dove quel sia ;
Perchè passando per questo sentiero
A un nostro fratel fé' villania,
E ammazzollo per uno slran modo:
Ma d' ogni cosa pagherai tu il frodo.
XVII
Ganellon. eh" era malizioso e tristo.
Diceva : lo son suo capital nimico,
Ed è gran tempo già ch'io non l'ho visto:
Di Carlo ha fatto ch'io non sia più amico;
Io Io perseguo come Pavol Cristo ;
Però che *1 nostro sdegno è molto antico:
Dunque io mi dolgo se t' ha fatto torto,
E molto più del tuo fratel ch'ho morto.
XVIIl
^ Ma ciò eh' uom fa per difender la vita,
E lecito, e d' averne discrezione ;
Perch'io mi vidi la strada impedita,
Io feci sol per mia defensione ;
E si ben ebbe questa tela ordita.
Che gli mutò di loro opinione.
Ed accordarsi di conducer quello
Dov era la lor madre in un castello,
XIX
Era chiamata la madre Creonta,
E Ganellone innanzi gli è menato,
E ciò eh' è stato ogni cosa si conta,
E coni" egli abbi il figliuolo ammazzalo :
E mentre eh" ogni cosa si raffronta,
Evvi un pastore a caso capitato.
Quel che provvide sì tosto al capresto,
E riconobbe ben chi fussi questo.
XX
Quandegli ha inteso ciò che si ragiona,
Che Ganellone in career fussi messo ;
Sapeva come Orlando è in Babillona,
Ed accostossi quanto potè appresso,
E disse : Io to camparli la persona:
Sappi eh' Orlando è in Babillona ; adesso
Io vo a trovarlo, e sarò presto seco,
E son colui che impiccai colui leco.
]NT O U (; A N T i: INI \ G Cx I O K E
Gan fere vista non 1' avrre inleso,
Terrliè del suo parlar nessun s' accorse :
!•' fu menato a la pri}>;ion di peso,
Peroliè la donna era riniasa in forse
D' nrciderlo o tenerlo così preso.
Questo pastor la notte e 'I giorno corse
Tanto, cir a Babiilona trovò Orlando,
E del suo GanelloM p;li vien contando.
XXII
E dice con Rinaldo : Egli è dovuto,
Al mio parer, tu cerchi d' aiutallo ;
Che. per mio mezzo a le man gli è venuto
Colui che li rubò già il tuo cavallo:
E per tuo amore anch' io gli detti aiuto,
E con lui insieme mi trovai •'mpiccallo:
E di questi giganti n'ha morto uno,
Che son pur tuoi nimicft^ • sallo ognuno.
XXIII
Per molte vie qui la ragion vi chiama
Di non dover costui lasciar morire,
Che pare un cavalier di molta fama,
Ed ha mostrato d'aver grande ardire:
Dunque il pastor ben ordina la trama,
Bendi' e' sia uso gli armenti a servire,
E star co' tori e co' porci in pastura ;
Che tor non puossi quel che dà natura.
XXIV
E molto piacque il suo dire a' baroni,
E feciongli accoglienza grata e festa,
E deltongli cavallo e altri doni,
Massimamente una leggiadra vesta;
E disson che tornassi a' suoi slazzoni
A dir che la brigala fia là presta ;
E confortassi da lor parie Gano,
Che presto sare' liber, lieto e sano.
XXV
Fecion costoro insieme parlamento,
Clie si dovessi pur Gatio aiutare :
E la città tutta ordinoron drento.
Che si dovessi a governo lasciare :
Poi furono a cavallo in un momento,
E parve loro il meglio andar per mare:
E vannosene inverso la marina,
E il gran Morgante a le staffe cammina,
XXVI
E portano un lion nel rampo nero
Ne lo stendardo e in ogni loro arnese:
Questo fu di Rinaldo un suo pensiero,
Per esser là a l' usanza del paese :
Arrivorno ad un porto forestiero :
Evvi una nave slata forse un mese
Che non voleva in mar mettersi drenlo,
Perchè '1 nocchier eh' è savio aspetta il vento.
xxvit
L' un de' padron si chiamava Scirocco,
E l'altro Greco di buona dottrina:
Questo era tanto dolce, eh' egli è sciocco ;
Quell'altro è tristo e di mala cucina;
Rinaldo a quel eh' è tristo dava un tocco :
Lievaci tosto e pagati e cammina.
Costui levar non gli vuol per niente.
Dicendo : Il tempo reo non lo consente.
XXVIII
E poi salvuni me fa( che viuil far, prima
Ch egli enlrin drenlo, insino a un quattrino :
Morgante gli rispose per la rima :
10 metterò la nave e te a bottino.
QiH'slo Scirocco non ne facea stima ;
Ma "I binino e '1 bel come Pavol Benino
Disse a Scirocco : Di levargli è buono,
Ch' io so che cavalier discreli sono.
XXIX
Morgante fu per traboccar la nave,
Quanilo il pie pose a 1' una de le bande,
Tanto era smisuralo e sconcio e grave.
Disse Scirocco : Tu se' tanto grande.
Che non li sosterrebbe dieci trave.
Disse Morgante : Aspetta a le vivande :
Che dirai tu, se mi vedi a scoito?
E' converrà che ci sia del biscotto.
XXX
Come il Sol sotto a TOcean si cela,
Parve a Scirocco che buon vento sia,
E finalmente la nave fa vela,
E Greco intanto comanda la via ;
Lucca, la luna come una candela;
Un nngoluzzo sol non si vedla :
Con gran diletto quella notte vanno.
Che del futuro miseri non sanno.
XXXI
L'altra mattina il vento traditore
Salta in un punto a la nave per prua ;
Caricon 1' orza con mollo furore,
E vanno volteggiando im' ora o dna;
11 vento cresce e ripiglia vigore,
E '1 mar comincia a mostrar l' ira sua :
Cominciano apparir baleni e gruppi,
E par che l'aria e'I ciel ci ravviluppi.
XXXII
II mar pur gonfia, e con Tonde rinnalza,
E spesso r una con l'altra s'intoppa,
Tanto che 1' acqua in coverta su balza,
Ed or saltava da prora, or da poppa.
La nave è vecchia, e pur 1' onda la scalza,
Tal che comincia ad uscirne la sloppa:
Le grida e 'I mare ogni cosa rimbomba ;
Morgante aggotta ed ha lolla la tromba.
XXXIIl
I marinai chi qua chi là si scaglia.
Però che tempo non è da star fermo.
Menlre che '1 legno in lai modo travaglia,
I Cristian forte chiamavan sani' Ermo,
Pregando tutti che '1 priego lor vaglia.
Che debba a la tempesta essere schermo ;
Ma né santo né diavoi non accenna,
E 'n questo 1' arbor si fiacca e 1' antenna.
xxxiv
Gridò Scirocco : Aiutaci, Macone ;
Ed albera l'antenna di rispetto.
Ed a mezzo asse una cocchina pone,
E per antenna è 1' arbor del Iriiichetto ;
Intanto un colpo ne porla il timone,
E quel eh' osserva percuote nel petto.
Tanto ch'egli ha la nave abbandonala,
E portai morto via la mareggiata.
:{■;
MORGAN T K M A G G I () I\ K
U--
ih
XX \v
Non si può pili la rorrtiina Irncrf,
Cli' un altro gruppo o{;ni rosa Incassa,
E la iiic*/zana ne porla più a bere,
IJenrli' ella fusse leiuprrata bassa :
Subito niisson per poppa due spere,
K '1 mar pur sempre Ai sopra su passa ;
K non s' osserva ilei nocrlnVr piti il fi«chit),
l.i)n\e avvien sempre in un estremo ri>(l>io.
XXXVI
Era cosa rrudel vedere il mare :
Alzava spesso, eli' un monte parea
Che si volessi a' nu<:oli a£<:uag,liare :
La nave ritta levar si vedea,
E poi soli" acqua la prora fiorare :
Talvolta un' omla si forte scolea,
(he ssretolar si srntia la carena,
E cigola e sospira per la pena.
xxxvii
Come un infermo si rammaricava ;
E'I mar pur rupahia, e i del6n si vedieno
Ch' alcun talvolta la schiena mostrava ;
E tutto il prato di pecore è pieno.
Morgante pur con la tromba aggottava,
E non temeva né tuon né baleno,
E non si vuol per nulla al mare arrendere.
Che non credea che i ciel lo possi offendere.
XXX vili
Orlando s' era in terra inginocchialo,
Rinaldo e Ulivier piangevon forte.
Il Veglio e Ricciardetto s' è botato,
Che se scampar potran sì crudel sorte.
Ognun presto al sepolcro ne Ca andato ;
E slavano in cagnesco con la morte :
Ma non valeva ancor prieghi né voti,
Tanlo il mar par che la nave percuoti.
xxxix
Sentì Scirocco Vergine Maria
Un tratto ricordare a giunte mani,
E disse a Greco una gran villania,
Dicendo : Adunque questi son Cristiani ?
Però non va questa tempesta via.
Mentre che ci saran su questi cani ;
Questo miracol sol Macon ci mostra
Per dimostrarci la gnoranzia nostra.
XL
Non domandar, quand' e' l'udì Rinaldo,
Se gli montò in sul naso il moscherino;
E preselo, dicendo: Sta qui saldo,
Vedrem chi può più. Cristo, o Apollino,
O Macomelto, pezzo di rubaldo :
Tu dei saper notar com' un delfino :
O da te stesso fuor de la nave esci,
O io ti gillerò nel mare a' pesci.
xu
Disse Scirocco : Questa nave è mia.
Disse Morgante a Rinaldo: Ch'aspetti?
Costui si vuol cavargli la pazzia :
Io il gitlerò ben io, se tu noi getti.
Rinaldo gli montò la bizzarria
E dettegli nel capo due buffetti,
E fecelo balzar di netto in mare,
E la tempesta cominciò a quetare.
Non vi fu marinaio né ignun eh' a^di^^e
Volger verso Rinaldo sol la faccia ;
E per paura il mar parve ubbidisse,
Perché in un tratto si fece bonaccia.
Morgante a prua del Irincheltu si miste.
E fece come antenna de le braccia,
Ed appicrovTÌ la spazzacuverla ;
Ed è si forte, che la tiene aperta.
Xf.III
Greco ridca quand' e" vedeva questo,
E tosto inverso la prua se ne venne,
E acconciò se nulla v' é di resto;
E dice : Qui non bisogna altre antenne ;
E forse tu non fai il servigio lesto ?
Né anco Orlando le risa sostenne,
E dice : Porti chi vuol per rispetto,
Che c'è r antenna e l' arbor del trinchetto.
XLIV
Dove è Morgante non si può perire :
Morganle tanto la vela portóe,
E 1 vento é buono che volea servire,
Che finalmente la nave guidóe,
Tanto che 1 porto comincia apparire :
^ ero é eh' alcuna volta si posóe :
E son tutti condotti a salvamento,
Perch' era poco mare e fresco venlo.
XLV
Ma la fortuna eh' è troppo invidiosa,
Fece che mentre che Morgante mena
A salvamento il legno ed ogni cosa,
Subito si scoperse una balena,
E viene verso la nave furiosa,
E cominciò a levarla con la schiena :
E finalmente V are' traboccata.
Se non l'avessi Morgante ammazzala.
XL%T
Eravi alcun che bombarde gli scocca ;
Ma non potevon da lei ripararsi.
Greco diceva : La nave trabocca,
E credo che i rimedi sieno scarsi :
E pur la bestia una scossa raccocca,
Tanto che più non sapevon che farsi,
Perché la nave levava su alta:
Se non che addosso Morgante gli salla.
XLTII
E perch' egli era mollo presso al porlo.
Diceva: Poi che la nave ho condotta
Infino a qui, s' io restassi ben morto.
Io non intendo eh' ella sia qui rotta.
Allor Rinaldo il battaglio gli ha porto :
Morgante su per la schiena gli trotta ;
E col battaglio gli dà in su la testa,
Ed ogni volta la "ncartava a sesta.
XLVIII
E tanto e tanto in sul capo percosse,
Che glie l'ha tutto sfracellalo e trito;
Donde la bestia di quivi si smosse,
E come un barbio boccheggia stordito,
E morta si rovescia in poche scosse :
Morgante prese per miglior partito
Saltar ne l'acqua, e irsene a la riva.
Però che 1' acqua non lo ricopriva.
M 0 1\ (V A N T E MAGGIORE
Greco snrpeva e varav.i la barca :
Orlando lo pagò corlesenieiUe
Tanl») die Greco non ^e ne rainmarca ;
li rilornossi in drieto preslamenle
Tra pochi giorni d' allre merci carca
I-a nave : intanto Morganle possente
A poco a poco a la riva s' appressa,
Tanto che i pesci non gli fan più ressa.
i.
Ma non polca fuggir suo reo destino:
H' si scalzò, quando uccise il gran pesce :
ÌEra presso a la riva un granchiolino,
E morsegli il lallon; costui fuor esce,
Vede che stalo era un granchio marino ;
Non se ne cura: e questo duol pur cresce;
E cominciava con Orlando a ridere,
Dicendo: Uu granchio m'ha voluto uccidere,
LI
Forse volca vendicar la balena,
Tanto ch'io ebbi una vecchia paura.
Guarda dove fortuna costai mena !
RimmoUasi più volte e non si cura,
Ed ogni giorno cresceva la pena,
Perciiè la corda del nervo s" indura ;
E tanta doglia e spasimo v' accolse.
Che questo granchio la vita gli tolse.
LII
E così morto è il possente gigante;
E lauto al conte Orlando n' è incresciuto,
Che non facea se non pianger Morganle.
E dice con Rinaldo : Hai lu veduto
Costui ch'ha fatto tremar già Levante?
Aresti tu però già mai credulo
Che così strano il fin fussi e sì subito?
Dicea Rinaldo : Io slesso ancor ne dubito.
LUI
E' mi ricorda, sendo a Montalbano,
Quel di che noi vincemmo Erminione,
Che fece còse col battaglio in mano
Ch' erano al tutto fuor d' ogni ragione :
Di Manfredonio sai eh' ancor ridiano,
Quando e' v' andò per riavei Dodone ;
E che ravvolse Manfredonio e quello
Nel padiglion, che parve un fegatello.
LIV
Il di che difendea Meridiana,
Gli vidi tanta gente intorno morta.
Glie non fu cosa al mio parere umana:
Ma dimmi, a Babillona a quella porta
'Vedestu mai però cosa sì strana?
Pensavi lu sua vita così corta ?
E' mi fé' ricordar quel dì di Giove,
Quando i giganti fer l' antiche prudve.
LV
E dissi : Certo, se Morgante v' era,
Tu ti saresti ancor. Giove, in Egitto
Con Bacco trasformalo in qualche fera,
Che costui certo t' arebbe sconfitto:
' Ma non sarà tenuta cosa vera
■ Da chi lo troverà in futuro scritto;
Che io che '1 vidi non lo credo appena
Di questo, né d' uccider la balena.
Che maladeltn sia tanta sciagura :
() vita nostra debole e fallace !
Così piangea la sua disavventura:
Ma sopra tutto ad Orlando dispiace :
Ed ordinò di dargli sepoltura,
Che spera che nel ciel l'alma abbi pace;
E terminò mandarlo a Babillona,
Ma prima imbalsimar la sua persona.
LVII
Ed ebbe tanto mezzo con 1' ostiere,
Dove e' si son più giorni riposati,
Cile gli faceva del balsifiio avere,
Ed ha lutti i suoi membri imbalsimali :
E fecelo secreto a quel tenere,
E diegli al modo lor cento ducati;
Tanto eli' a luogo e tempo e' lo raandóe
A Babillona, e quivi I' onoróe.
LVIII
E' si chiamava Monaca ov' è il porto.
Dove Orlando e costoro alcun dì stanno:
E r oste dice : Per un die fu morto,
A edi che qui grandi armale si fanno :
la verità che gli fu fallo torto;
Ma penso le vendette si faranno :
Lo mperador di Mezza è qui signore,
E veste il popol nero per suo amore.
LIX
Un suo figliuol chiamalo Mariolto
Era andato in aiuto del Soldano ;
E come a Babillona fu condotto,
L' uccise Spinellone un gran pagano,
E fassi per costui tanto corrotto ;
Vero è che '1 gran signor di Montalbano
V'era ed Orlando ed altri di sua setta;
E sopra questi si cerca vendetta.
LX
Mentre che 1' oste così ragionava.
Vi capitò colui che fa l'armata,
Can di Gattaia un giovan si chiamava,
E domandò chi sia questa brigala :
Orlando disse a Can che domandava,
Ch' eran di Persia, e gente disperala
Ch' amico non conoscon né compagno,
Ma van cercando ventura e guadagno.
LXI
Diceva Can : Quanto soldo volete ?
Disse Rinaldo : Per cento baroni
Ognun di noi, se contento sarete.
Rispose Can : Per cento gran poltroni :
Per Dio die '1 soldo che voi mi chiedete.
Che mi parete cinque mascalzoni,
Sarebbe troppo a Rinaldo ed al Conte
Che sono il fior del sangue di Chiarmonte.
LXII
Disse Rinaldo : Solda chi ti pare ;
E torna con 1' ostessa a ragionarsi,
Però eh' eli' era bella, e fassi amare,
E stava con lui molto a motteggiarsi:
E fece un suo stendardo sciorinare
Dove il lion ch'io dissi può mirarsi:
Questo lion fu veduto in effetto.
Ed allo 'mperador presto fu dello.
M O K fì A N T E M A G G l 0 I\ K
A rasa un osle, detto Cliiariune,
Sono arrivati riiiqnr viamiaiiti,
K ))ort.iii per inverna il luu liiine,
K non sappiaiii se si sono afriranti.
l.o 'inperailore a certi servi impone :
Menate}:li qui presi tutti quanti :
K rtii non vuol di lor venirne preso,
Recateneio a forza qui di peso.
i.xi\
Ginnsono a V oste questi Saracini,
K cre«lonsi lepar cinque ravretti,
() pij;liar (juesti come pecorini
Sanza arme con le punte de pli aglietti :
A'oUe a Uinaldo un por le mani a' crini,
E crede die costui il cappello aspetti:
Rinaldo si disserra ne le braccia,
I£ con uu pugno morto appiè sei caccia.
i.xv
L'altro che aveva una bacchetta in mano,
Dette con essa a Rinaldo in sul volto,
Dicendo : Che fai tu pollron villano ?
Adunque tu non credi, matto e stolto,
l'bbidir qui lo 'mperador pagano ?
Rinaldo presto a costui si In volto,
li ciufTalo per modo ne la gola.
Che r affogò senza dir mai parola.
IXVI
Eravene wn che pon le mani addosso
Al conte Orlando: Orlando un poco il guata,
E poi in un tratto da costui s' è scosso,
E dettegli nel viso una guanciata
Che gli brucò la carne insino a V osso,
E cerca se la sala è ammattonala :
Intanto Ricciardetto, th' a ciò bada,
E Ulivier lirorno fuor la spada.
LXVII
Il Veglio il mazzafrusto adoperava,
E non ischiacria V ossa, anzi le nfrange :
Orlando Durlindana alfin pigliava.
Tanto eh' ognun che laspetta ne piagne:
L' un sopra Tallro morto giù balzava:
Beato a chi mostrava le calcagne :
Che tutti gli aircttaVan come rape,
Tal che più morti in sala non ne cape.
LXVIII
Lo mperador sentì come va il giuoco:
Subito veime beiie accompagnalo.
Rinaldo ritornalo s" era al fuoco:
Orlando sta a la porla giù appoggiato :
E perch egli era pur ferito un poco
Rinaldo, tutto pareva turbato,
Che non son usi esser lor tocco il naso,
E minacciava e sbuffava del caso.
LXIX
Ecco il signor con molta sua famiglia :
Orlando non si muove da la porta :
Subitamente uu dePasnn bisbialia :
^ edi colui che la tua genie ha morta.
Orlando al Saraciu volge le ciglia
Con una guatalura strana e torta,
Tal che lo "mperador n' ebbe paura.
Che gli pareva un uom sopra natura.
E rimutossi di sua opinione ;
I Ch' Orlando molto ne gli occhi era fiero ;
Tanto eh' alc«in autore dice e pone,
Ch'egli era un poco guercio, a dire il vero;
E salutollo e dissegli : liarone,
Qual fantasia l' lia mosso o qual pensiero
Venire a far la mia gente morire,
E non voler chi governa ubbidire ■'
I.XM
Se tu se'com'hai detto Persiano,
Tu dei venire a far qua tradimento ;
O verameiilc se' qualche Cristiano,
(E forse qualche cosa già ne sento)
Tu potevi venir con oro in mano
A ubbidire, e restavo contento:
Se tu venissi qua per farci inganno.
Fa che tu pensi aifm che fia tuo il danno.
I.XXII
Q'iel che tu liai fatto io me ne dolgo forte,
E forse punirofli del tuo errore
Di que'l'agani a chi data hai la morte.
Rispose. Orlando : Famoso signore.
Tutti saremmo venuti a la corte
Per fare il nostro debito e ì tuo onore,
A visitar la tua magnificenzia.
Se avessi avuto tanla pazienzia.
LXXIII
Ma tu ci mandi a 1" albergo a pigliare
Come ladron' eh" lianno con loro i furti ;
Non ci lasci due dì sol riposare,
Ch" appena nel tuo porlo_saviuwiiirti :
Se Macon certo ciò veniva a fare,
Morto r aremmo co" morsi e con gli urli.
Più tosto che venir come ladroni
A corte in mezzo di cinque ghiottoni.
I.XXIV
Che noi siam Persiani abbi per certo :
Cercando andiam de la ventura nostra^
E non sapiam s' ella è più in un deserto,
Che in un giardino o ne la terra vostra :
E già mollo disagio abbiam sofferto,
Andiam per quella via che '1 ciel ci mostra,
Né tradimento facciamo a persona :
Io lascio or giudicare a tua corona.
• r.xxv
Lo mperador gli piacque Orlando tanto
Quanto e' sentissi uoiu mai parlar discreto,
E disse: Io so eh i'ho trascorso alquanto:
Ma se voi andate a la ventura drielo.
Io vo cercando doglia angoscia e pianto,
E non ispero mai d' esser più lieto ;
Io ho perduto tutto il mio conforto
D" allora in qua che '1 mio Ggliuol fu morto.
IJCXVl
E benché tutto il mondo qua in aiuto.
Come tu vedi, venga a mia vendetta,
Che vedi il popol già che e' è venuto,
E tante navi in punto qua si metta;
Non riarò però quel eh' ho perduto
Con tulto il mio tesoro e la mia setta ;
E vestirò pur sempre oscuro e negro,
.Come tu vedi, e nini più sarò allegro.
MOKG AN T K MAGGIORE
I.XXVII
Salvo s'io sarò mai di lanlo sazio,
r.h' io possa al conte Orlando trarre il core,
Io ne farò per certo tale strazio,
Ch'esemplo fia d' oj^ni altro percatorC}
Se mi darà Maron tanto «li .s])azio :
Cile sento die si sta (jiiel traditore
In Baliillona in gran trionfo e festa,
Eli io pur piango in questa scura vesta.
I.NXVIII
Or lasciam questo : se In vuoi venire
A corte tu con la tua compagnia
A starti meco insino al tuo partire,
Io ti farò per Macon cortesia,
E ciò ch'ho sia ttio, sanza più dire;
Forse che quivi tua ventura fia.
Orlando il ringraziò di quel di' ha detto,
L tornasi a Rinaldo e Ricciardetto.
LXXIX
Uryi fancMilla, che il lor oste aveva,
Medicava Rinaldo; e perch' eli' era
Mollo gentil, Rinaldo gli diceva
Che la voleva tot per sua mogliera.
Di giorno in giorno V armata cresceva :
Re di Murrocco con sua gente fera.
Vestili di catarzo duro e grosso.
Era venuto e pareva Minosso.
LXXX
E dì Caverla un feroce Amostante,
Ch' aveva molta turba e gran canaglia,
Chiamato da la gente Leopante :
E tulli i cavalier' suoi da battaglia
Eran coperti d' osso d' elefante,
Ch'era più duro che piastra oche maglia;
Ed im lion rampante molto fiero,
Come Rinaldo, avea nel campo nero.
r.xxxi
E per ventura passò per la strada
Di Chiarion dove dimora Orlando,
Ed alcun par che dinanzi gli vada
Certi stormenti al lor modo sonando :
A lo slendardo di Rinaldo bada,
E di chi e' fossi venia domandando ;
E n su "n carro da quattro destrieri
Facea tirarsi più che i corbi neri.
LXXXII
E disse : Chiarion, dimmi chi sia
Colui che porta così il mio stendardo ?
Orlando gli rispose: Se tuo fia,
lo tei darò, se tu sarai gagliardo.
Disse il Pagan : Tu mi di' villania :
Egli è pur gentilezza aver riguardo
A queste cose, e tu il debbi sapere,
E che porti ciascun le sue bandiere.
Lxxxni
Io vo' saper donde tu 1' abbi avuto
Questo stendardo ; e slu V hai guadagnalo,
Tu puoi portarlo, che questo è dovuto:
Ma tu m'hai viso d'averlo rubato
Più tosto che d'averlo combattuto.
Orlando disse: In Persia l'ho acquistato:
Or ti rispondo a quelT altra parola.
Ch'io non son ladro, e menti per la gola.
LXXXIV
Rispose Leopante: Ed io rispondo
Cile tu se' ladro e tristo, e ch'io non mento;
ILd Amostante son degno e giocondo,
K miglior uom di le per ogni cento:
K non fare' Macon né tutto il mondo
<'lie tu spiegassi il mio slendardo al vento:
II» vo' che tu il guadagni con la lancia
Slu fossi ben de' paladin' di Francia.
I,xxxv
Orlando non are' temuto il cieloj
Né Giuppiler, quand' egli era bizzarro ;
Rispose: Egli é ben ver più che 'I Vangelo
Che' pazzi come te vanno in sul carro :
Io vocile chi mi morde lasci il pelo;
Ed oltre a questo la bocca gli sbarro:
Esci del carro, e monterai in arcione,
E provereni di chi sarà il lione.
LXXX VI
Dismonlò con grand' ira il Saracino,
E montò presto sopra un gran cavallo :
Orlando fece sellar Vegliantino,
E non istette pel freno a pigliallo ;
Anzi saltò di terra il paladino.
Tanto eh' ognun correva là a guardallo:
E Leopante ammirato ne resta,
E posono amendue la lancia in resta.
LXXXVII
Ricciardetto e Rinaldo e Ulivieri
E 'l Veglio tutti intorno sono armali ;
Ognun guardava questi cavalieri
Per maraviglia e stavan trasognali.
L'Amoslanle ed Orlando co' destrieri
Io queslo tempo si sono accostali :
Le lance parvoo due trombe di vetro;
Poi si rivolson con le spade addietro.
LXXXVIII
Lo'mperadore avea questo sentito,
E per veder coslor provarsi venne ;
E sopra un bel giannetto era salito, y
Che non correva, anzi batte le penne :
Orlando Leopante ha già ferito
Tanto, che spesso gran doglia sostenne ;
Pur nondimen tutta voi la s' arrosta,
E con la spada facea la risposta.
LXXXIX
Rinaldo eh' era un diavolo incantato,
E vuol sempre veder cose terribile.
Diceva : Pure tu non se' adirato.
Al conte Orlando, o far non vuoi il possibile.
Orlando s'era per questo infocalo,
E facea cose che non son credibile.
Dando al Pagan con sì fatta tempesta.
Che in su 1' arcion gli batteva la lesta.
xc
Leopante era tra cattive mani:
Non sa che quella spada é Durlindana,
Che tanti n'ha già morti de'Pagani ;
E' si pentea de la sua impresa strana :
E dopo molti colpi assai villani,
Volle veder come la strada è piana ;
E cadle tra sue genti in terra morto;
E cosi ebbe del lione il torto.
MOI\(.ANTK MA(i(iIUK l
XCI
Così vinse la forza la raj^ionr,
Cile opiii volta uon >i vuol diffuiicre :
li savio sempre fojige la qtiislioiie;
K<1 è pur hrlla rosa il luomlo intendere,
laro rhe Lcopante or* ha il lione,
r.lie con la lancia It» volle oonleniiere :
La lancia è rolla, e la vila gli co!.ta ;
C."lii cerca briga, ne Iruova a sua posta.
E' si levò tra'Saracin' gran pianto
Vergendo cosi nuirto il lor signore,
E fu portato a seppellire : e "nfanto
Un piovinelto eh' avea e;rau valore
Fra tulli i Sararini, esce da canto,
E dice : Perch' io fui suo servidore,
Da poi che non c'è ij::;nuu che qua si niella,
10 vo" del nuo signor far la vendetta.
Xilll
To ti disHdo, tu che V uccidesti.
Orlando disse f La L)atla{>lia accello :
Ma perchè meco giovine saresti.
Combatterai con questo giovinetto.
Bendi' io mi credo tu m avanzaresti ;
E disse : Fatti innanzi, Ricciardetto.
E Ricciardello accettò volentieri,
E sanza altro parlar volse il destrieri.
xciv
E l'uno e l'altro insieme riscontrarsi:
Ma Ricciardetto al fin la sella vota.
Che non potè dal colpo Cero atarsi,
Si forte par che lo scudo percuota :
I Pagan" cominciorno a rallegrarsi :
Ma Ulivieri si batte la gola,
E volle vendicar lui Ricciardetto,
E disfidava questo giovanetto :
xcv
E ritrovossi in fin fuor di Rondelle.
Armossi il Veglio allor de la montagna,
E con la lancia si scontrò con quello :
Tanto cir al fin la morte vi guadagna ;
Però che l Saracin pose a pennello,
E passò r arme che parve una ragna :
Non si poteva por quel colpo meglio.
Poi eh' egli uccise un sì famoso ^'eglio.
xcvi
Quando Rinaldo cadere ha veduto
11 Veglio suo che lauto amava in vita,
Parve del petto il cuor gli sia caduto:
L' anima sua nel ciel si rimarita :
Al conte Orlando egli è tanto doluto,
Che per più di parea cosa smarrita ;
E fu mandalo a Babillona questo
A seppellir, come Morganle, presto.
XCVII
Rinaldo si sfidò col giovinetto.
Che 1 Veglio aveva morto a mano a mano
Con tanto sdegno e con tanto dispello.
Che giurò d" ammazzar questo Pagano :
Ruppon le lance T uno a l' altro al petto.
Poi s' affrontorno con la spada in mano,
E lutto il popol ragunato s' era
A veder la battaglia acerba e fera.
11 Sar;i( ino era mollo gagliardo ;
F sopra r rimo percorse Rinaldo
Tal, che in sul collo cadde di Oaiardo,
I'' con fatica si sostenne saldo.
(^)rlando, qu.tndo al colpo ebbe riguardo,
Sudò più volle, e non gli facea cablo :
Rinaldo si riz/ò pur fin-ilnteute,
E bestemmiava il ciel devotamente.
xfix
E trasse co» lanl* ira allor Fru-brrla,
Che se non che 1 Pa^an lo scudo alzava,
Quando vide la s]iada andare a T erta,
E conobbe il furor che la portava,
Rinaldo gli are' allor la lesta aperta '.
l'iovò lo scudo e nello lo tagliava ;
L" elmo sonò com' una cemmaniella,
E come morto uscì fuor de la sella.
e
E gran romor tra' Saracin' si leva.
Rinaldo, poi che gli passò il furore,
Di questo giovinetto gì" in<resceva.
Perchè conobbe in lui mollo valore,
E che quel fussi morto si credeva :
Subito sal'a fuor del corridore :
Lo 'mperador gridò: Non gli far torlo.
Non lo toccare ; e' basta oh' egli è morto.
CI
Disse Rinaldo : Per lo Dio Marone,
Ch' assai m' incresce costui morto sia.
Che mai non monterà forse in arcione
Un uom sì degno in tutta Paganìa :
10 vo' cercar per la sua salvazione
Qualche rimedio s' alcun ce ne fia :
Ed abbracciollo, eh' era in terra steso.
Poi nel portava a T osteria di peso.
cu
E fu da lutto il popol commendalo :
Quivi lo pose a giacere in sul letto,
E il polso in ogni parte ha stropicciato;
E così fa il Marchese e Ricciardetto,
Tanto eh' aIGn s' è tulio risveglialo
A poco a poco questo gioviuetlo ;
E risentito, caramente abbraccia
Rinaldo, e nsieme si baciorno in faccia ;
CUI
E chieson l'uno a l'altro perdonanza.
Orlando pone mente una sua spada.
Come di cor magnalmo è sempre usanza,
Veder coni" ella pesa o s'ella rada:
Fargli che sia da uom d' alta possanza,
E di vedere il pome poi gli aggrada:
Guardando il pome, Je^Ller vi vedea,
E per diletto quelle ancor leggea.
civ
Le lettere dicìen come costui
Era nato del sangue di Chiarmonte :
11 perchè Orlando ritornava a lui
Al letto, e domandò con umil fronte,
Se si ricorda degli antichi sui,
Come dicevon le lettere pronte:
Glie gliel dicessi, sei priego era onesto.
Che sol pel ben di lui vuol saper questo.
M 0 I\ Cr A N T K INI A G ( T I O l\ K
Epli rispose : Gentil cavalieri,
L.i madre mia chiamala è Rosaspina,
Ed io mi cliiamo por nome Aldiiigliiori,
E gcnerommi, dice, a la marina;
Del padre mio non lio i termini interi,
Perdiè non fu di stirpe sara<!Ìna ;
Ma quel clic inteso n' lio da la mia madre,
Da Rossiglion Gherardo fu il mio padre.
evi
Per che cagion tu vuoi ch'io te lo dica,
Non vo' cercar, ma parmi un uom gentile;
Né per piat^erli mai mi fia fatica
Esaudire il tuo priego tanto uuìi'le :
Di Chiaranionte è la mia schiatta antica,
E non è sangue che sìa punto vile,
Ma forse il più gentil eh' al mondo sia,
E tiene in Francia regno e monarchia.
cvit
Rinaldo quel gran sir di Montalhano
Di questo è nato, e quel famoso Orlando
Di cui fa tanta stima Carlo Mano,
Gh' altro pel mondo non si va parlando ;
E lungo tempo n' ho cercato in vano
Di questi due baroni, e vo cercando :
E tanto in ogni piarle ceicheróe.
Che innanzi la mia morte io gli vedróe.
CVIII
E se ci fussi ignun di loro stato,
Quando tu mi gittasti del cavallo,
So che m' arebbon di te vendicato.
Orlando non poteva più ascoUallo,
Per tenerezza è tutto travagliato ;
E- tutti cominciavono abbracciallo :
Perchè 1 Pagan veggendosi abbracciare.
Quel che ciò fussi gliel parca sognare.
cix
E disse : In cortesia ditemi tosto,
Per che cagion sia tanto abbracciamento.?.
Orlando innanzi a tutti gli ha risposto :
O Aldinghier, quanto son io contento !
In quanta pace ogni mio affanno è posto '.
Quanta dolcezza drenlo al petto sento!
Ecco color di chi tu vai cercando:
Questo è Rinaldo nostro, io sono Orlando;
ex
E questo è Ulivier nostro parente,
Quest'altro è Ricciardetto tuo cugino.
Quando Aldinghier queste parole sente,
Dicea fra sé : Qual grazia o qual distino
D'aver costor trovati qui consente!
Abbraccia Orlando degno paladino,
E Ulivier. Jlinaldo e Ricciardetto,
E per letizia fuor salta del letto.
CXI
Gomincia a ragionar di Carlo Mano,
E del Danese «[uanto sia gagliardo,
Glie lo conobbe ([uando era pagano :
Gomincia a ragionar del suo Gherardo,
E dice : Io intendo al tutto esser Cristiano,
E rinnegar Macon no.-tro bugiardo ;
E in Francia bella con voi vo' venire,
E cosi sempre vivere e morire :
CXII
Egli è qui tra costor di mia brigata
Dieci mila a cavai sotto mio segno:
Lo mperadore apparecclua 1' armata
Per vendicar del suo figliuol lo sdegno ;
E contro a voi la furia è apparecchiata ;
Io mi parti' con questi del mio regno,
Perchè senti' savate a Babillona,
Per ritrovarmi là con voi in persona.
CXIIl
Ed ho mandate lettere segrete
A dirvi come qua si fa appareccliio ;
Non so se voi ricevute 1' avete,
O se ciò pervenuto v' è a 1' orecchio ;
Costor minaccian, come voi vedete,
Come involti v' avessin tra '1 capecchio:
Se noi vogliam, questa città fia nostra
Con la mia gente e con la virtù vostra.
cxiv
Rinaldo, e tu per tutta Paganìa
Sete tanto temuti e nominati.
Che come il grido tra la turba fia,
E' fuggiranno tutti spaventati;
Non son costor guerrier', ma son genia :
Sempre al principio assai si son vantati,
E hannovi in un solcìo i paladini,
Poi fuggon tutti come i spelazzìni.
cxv
Rinaldo gli piacea questa pensata,
Ed Aldiogliier vieu sua gente assettando:
In questo tempo giunse un'ambasciata,
Come lo 'mperador mandato ha il bando,
Che tutta in piazza sia la gente armata,
E tutto il popol si veniva armando.
Come ne l'altro dir vi sarà detto:
Di mal vi guardi Gesù benedetto.
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Mou canti: M AC.C.IOUK
CAINI O \\l
9
ARGOMENTO
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N.
uorc per man d'Orlando il re Murroccu,
Sì corona Aldin^hìrri impcradore ;
Partono a salmr (inno, e don di brocco
""A un Castel, che Creonta /la per signore;
F. le sue guardie e i figli in gran trahocco
Jl/uoinn di stragi e sangue; ella non muore,
/.' nel Castel gli chiude, ma frattanto
Malagif^i disfà lei e V incanto.
->HC<K<?*
D,
io ti salvi, Maria, di grazia piena;
11 Signor lece in sempiterno sia,
O benedetta, o santa, o Nazzarena,
Fra tutte V altre donne tu Maria,
Sanza la qual la mia barcbetta arrena,
Se non aioli nostra fantasìa.
Che inaino a qui fatta hai tanto veloce :
Non mi lasciar, eh' io veggo ornai la foce.
II
I forestieri e tutti i terrazzani
Ognun si rappresenta in su la piazza :
Era a veder la ciurma de Pagani
Cosa parte mirabil, parte pazza :
Mai non si vider tanti uomini strani
Di tante lingue e d' ogni nuova razza.
Disse Rinaldo: In piazza ce n'andiamo,
E tutta questa gente sbaragliamo.
Ili
Mettono in punto Tarme e i lor destrieri:
Lo "mperador fa intanto dicerìa :
Clii si vanta di voi, buon" cavalieri,
Di vendicarmi da la ingiuria mia,
Io gli darò città die fieno imperi,
E sempre ara di qua gran signorìa.
Genie e tesoro, a tutte le sue voglie,
E la mia figlia sposerà per moglie.
IV
Levossi ritto il grau Can di Galtaja,
E disse : Io sarò quello, imperadore ;
Che s'io dovessi ucciderne a migliaja,
Al conte Orlando vo' cavare il cuore :
E così gli altri ognun si vanta e abbaja
Uccider pure Orlando il traditore ;
E alza il sangue in parole due braccia,
E clii più teme è quel che più minaccia.
Rinaldo in su la pi.i//.i il primi» viene.
Can di (ìallaja come 1 ha veduto.
Disse : lìaron, s' io ti conosco bene,
Ch'ai soprassegno l he» riconosciuto;
Per Macometlo. ancor rider mi tiene,
Che tu credevi e" ti fossi creduto
A chieder soldo con (jualtro poltroni
A misura di crusca o di carboni.
VI
Disse Rinaldo: S'io chiesi per cento,
A questa volta io ne vo' due contanti :
V. s' egli è ver quel che <la molti sento,
Tu se' fra questi il primo che li vanti
Di far tante vendelle, o fuYnmo, divento:
Se vuoi giostrar con meco, fatti avanti.
Can di Galtaja come questo inlese.
Turbato tutto una gran lancia prese,
VII
E va inverso Rinaldo acceso d'ira.
Rinaldo riscontrò questo arrabbiato:
Al corzaretto gli pose la mira,
E '1 collo con la lancia gli ha infilzato
Sì, che pel gorgozzul 1' anima spira.
Lo 'mperador di ciò mollo è cruccialo,
E dice: Troppe volte offeso m'hai,
Ma d' ogni cosa te ne pentirai.
vili
Disse Rinaldo r A non tenerti a tedio.
Io son Rinaldo quel di Chiaramonle,
Venuto per tuo danno e per tuo assedio :
E quest' è quel famoso Orlando conte,
Coiitra al qual sai che non arai rimedio ;
E questo è Ulivier che t' è qui a fronte ;
E questo è Ricciardetto mio fratello;
E Aldinghieri è a me cugino e a quello.
IX
Tutti sarete morti a questo tratto :
Né prima ebbe Rinaldo così detto,
Che cominciò a fuggir quel popol matto.
Lo "mperador sentendo tale effetto,
Subito disse come stupefatto :
Può far questo fortuna o Macometlo?
Piglia del campo come reo nimico,
Ch' i' ho a purgar più d'un peccato antico.
,x
Rinaldo si voltò pien di furore,
E ritornato a drieto assai più fiero,
Si riscontrò col dello imperadore.
Che non islima più vita né impero;
E con la lancia gli passava il cuore;
E ritrovò il grau Can poi in cimitero :
Or qui tutta la turba si sbaraglia,
E cominciossi una crudel battaglia.
M 0 l\ ( i A N r \'\ M A (; i\ \0\\ K
E Aldin^liier roii Mia <>,oiilc il.» «Irrnlo ;
Vj I colile Orlando la iiirredìliil cose,
E Ulìvier non serba il sno ardiinenlu ;
Né Ricciardello il suo cerio nascose:
Ma in piceni Icmpo il j;ran furor In spento,
r.lic vcf!;>;ciiilo lanl' armi san<!;iiinose,
E ricordare Orlando e Ulivieri
E I jìrenze, ognun si In^fie volentieri.
Xll
E per arroto Orlando aveva morto
Ne la Lialla^lia il j;ran re di Miirrocco:
Questo fu quel che die tanto sconforto,
t^lie '1 popol si fngf!,! bestiale e sciocco.
Ojjiuin la nave sua rilrnova al porto,
Sanza aspettar più t!;reco, die scirocco ;
E "n (jiiesto modo finiva la {;nerra ;
E i Cristian nostri piglioron la terra.
xui
E nel palazzo ove lo 'inperio slava
Vanno Rinaldo, Orlando e Aldinj^liieri
E Ricciardetto e Ulivier v' andava,
E di Rinaldo nn gentile scudieri
Il qual con Aldinijhier si battezzava,
E (la costoro è ciiianiato Rinieri :
E battezzati questi hanno ordinato
Che Aldinijhier sia imperador chiamalo:
XIV
Renelle Aldinghier per nulla non voleva.
Poi battezzar quell'oste Chiarione,
E una bella fi<iiia ch'ewli aveva,
Che medicò con tanta affezione
Rinaldo, e ristorar costei voleva ;
E per ventura Greco il lor padrone
Cile gli condusse già per la marina,
Vi capitò, quel- di buona dottrina.
XV
E come e' fu dismontalo di nave,
Senti come costor sou coronati,
E che tenìen de l'imperio le chiave:
Non si pentì che u;li aveva onorati ^
E con ])arole benigne e soave
llmileniente «li ebbe vicitati,
Dicendo, come s;jvio uomo e discreto,
Di lor prosperità troppo esser lieto.
XVI
E abbracciato fu sì alle;2;ramente,
Come se fossi lor carnai fratello :
Rinaldo presto gli corse a la mente
Di dar la figlia del lor oste a quello,
E dissegli : Fanciulla mia piacente,
Ascolta e ntendi ben quel eh' io favello :
lo ti promessi di tor per isposa ,
Questa sarebbe a me impossibil cosa,
XVII
Ch' i'ho lascialo altra mogliera in Francia,
Ma voi che Greco qui tuo sposo sia;
E darolti tal dota e sì gran mancia,
Che sempre ognun di voi contento Ga.
Un poco rossa si fece la guancia
Quella fanciulla, poi gli rispondia
Ch'era contenta a le sue giuste voglie:
E così Greco la tolse per moglie.
Ma innanzi che la lolga e battezzalo:
Rinaldo gli donò poi tanto avere,
Che del servigio I' ha ben meritato.
E sanza navigar potrà godere.
Però questo pioverbio è pur jirovato,
(.Ile non si perde mai nessun j»iacere ;
K beneir a molti iiom serva sanza frutto,
Per mille ingrati xm sol ristora il tulio.
xix
Poi fecion Chiarion governatore
Di intio il regno, che si ricordorno
(lie di sua povertà fé' loro onore:
E riposali in Monaca alcun giorno,
Per aiutare in fin quel traditore
Del conte Gan, da Ini s' accoinmialorno :
E non potrebbe lingua o penna dire
Qual fussi il jìianto in questo lor partire.
x.x
Piangea il padron che pareva battuto;
Piangea la dama dolorosamente ;
Piangea l'oslier, ch'assai glie n'è incresciulo;
Piangeva 1 popol lutto unitamente :
Piangea Rinaldo, e non sare'creduto :
Piangeva Orlando e '1 Marchese possente;
Piangeva Ricciardetto e Alilinghieri ^
Piangeva insino al jiovero Rinieri.
XXI
Ma gli autor si scordan qui con meco:
Chi vuol che Greco al governo restassi,
Chi di(;e Chiarione e Greco seco,
E l'uno e l'altro insieme governassi:
Ma a mio parere è Chiarion, non Greco,
Acciò eh' ognun Rinaldo ristorassi,
E perch'egli era de la città nato,
E de" costumi lor più ammaestrato.
XXII
Orlando e gli altri insieme se ne vanno
Tanto, che son presso a Castelfalcóne,
E due pastori appresso trovati hanno:
L' «no era quel che mandò Ganellone
A Rabillona, e gran festa gli fanno:
E domandar se Gan vivo è in prigione,
O s'egli è morto, o quel ch'era seguilo,
Se lo sapeva, o quel che n'ha sentilo.
XXI II
TI paslor disse eh' egli è vivo e sano
Ne la piigion, ma con assai disagio;
Poi prese del cavai la briglia in mano
D' Orlando, e tutti gli mena al palagio
Dove slava il paslor che impiccò Gano,
Dicendo: Qui solea star quel malvagio
Ch' avea il corsier di Rinaldo imbolato :
Noi c'imbucammo com' e' fu impiccato.
Quivi son tulli i Cristiani smontati :
E i paslor certi capretti uccidie'no,
E certi lor lallonzi hanno infilzati.
Del latte v' è da versarsi pel seno:
I destrier son come lor vezzeggiali ;
Gran sacca d'orzo e gran fasci di fieno.
Rinaldo disse: Al mio date orzo e paglia;
E poi si dice cavai da battaglia.
1.
MOUO AìSTl. M AC. e. lOP, I
Quivi TTi.inpiornn r riposarci nlqii^nto.
(Vlaiulo qor'pastor vini iliiiii.-iii<l.tnil<i
(.unir il ca'-ti'l piuliar si po>.>>i intanto.
I pasldr tulio vriiirn <iisr|rii.iii(io
(.cinir giiaril.'ilo --ia da nuni ranin,
IC p«T 5ci porle vi si virile ciilranilo,
K (><:ni porla a »na <li(rii»ioiir
F. la lor inaHr»', rliiamatj Crfoiila,
r.oiii' un ftra{;on eli nn^liioni avea affil.ili ,
Harlinla e guercia e mali/ìo.'-a e pronta :
K 5enipre aveva spiriti incintali.
K par piena di rabbia, d ira e d'onta;
I' j)er paura non è rlii la guati,
l'ilosa e nera, arrirciata e rrinola,
(ili orchi di fuoco e la lefta tornnla.
xwii
Mai non si vide pio sozza fiiinra,
Tanto eli" ella pareva la ver.-iera,
E Satanasso n' arebbe paura,
E Tesifone ed Aletlo e Mf::era :
E gran fatica fia drenlo a 1 • mura
Entrar, per questa spavenlevol fiera :
E de' giganti ogni cosa contavano.
Di lor costumi, e quel che in man portavano.
XXVIII
Or questo è quel ch'a Rinaldo piaceva ;
Quanto e' senlla più cose oscure e sozze,
E dove far qualche mischia credeva,
E' gli pareva proprio andare a nozze :
Non domandar come il cuor gli cresceva,
E dice : Se le man non mi son mozze,
Io ne farò come torso di cavolo ;
Vedrem chi fia di noi m.Tggior diavolo.
XXIX
Non mangia a mezzo, che sellò Daiardo.
Orlando e gli altri seguitavan quello:
Rinaldo se ne va sanza riguardo
Subito a una porta del castello.
Fecesi incontro im fier liou sanlinrdo
Che si pensava abboccare uno agnello.
Rinaldo e gli altri eran tutti smontali,
E i cavalli a Rinieri avevon dati.
XXX
Questo lion di terra un salto spicca,
E a Rinaldo si scagliava addosso;
I fieri artigli ne lo scudo ficca,
La bocca aperse, e"l capo un tratto ha scosso:
Rinaldo un colpo a le zampe gli appicca,
E tagliagli la carne, il nervo e l'osso;
Donde il lion die in terra de la bocca:
Allor Rinaldo a la testa raccocca,
XXXI
E spiccò il capo de Io 'mbusto a questo,
E morto si rimase in su la soglia.
Disse Aldinghieri : lo mi ti manifesto:
l'ccider vo' quest' altro, ch'io n'ho voglia.
Rinaldo gli rispose : Uccidil presto.
Acciò che non ti dessi affanno e doglia.
Dunque Aldinghier non dicea pig parola.
Ma missegli la spada ne la gola;
XXXII
E riuscì la punta ne le rrnr.
sviando disjc : Il terzo nccidr<» i«».
Ecco il lion che invrrxi ini or viene,
E "ngiuorchio«»i mansueto e pio :
Orlando Durliudana sua ritiene,
E disse: Questo è mislerio di Dio;
Seguite me, che') ciel <i «jiignr drento,
E non arem da gli altri impedimento.
XXXIU
E così fu, elle il lion si rizzava,
E tutti gli altri detton lor la via,
E quello come scorta innanzi andava.
Orlando inverso i giganti ne f:.ia :
Maravigliarsi : e 1" un di lor parlava :
(he gente è questa, e dimde entrata fia '^
Può fare il ciel eh' i lion non gli iidissino,
E tntt' a sei ad un otta dormissioo !
XXXIV
Questo mi par pure il più nuovo raso.
Subitamente uscir fuor del palazzo :
Fecesi innanzi 1 un eh' è sanza naso,
E va inverso Rinaldo come un pazzo.
I.a barba hmga aveva e "I capo raso :
Rinaldo guarda quel viso cas;nazzo,
(]he non parea né d' uom né d'animali,
E disse : Dove appicchi tu gli occhiali ?
XXXV
O con che fiuti tu 1 anno le rose ?
Tu par bestia domestica a vedere.
Que^to gigante a Rinaldo rispose :
Io lei farò, ghiotton, tosto sapere.
Rinaldo un colpo a la zucca gli pose
(h'arebbe ben dimezzate le pere:
E cacciagli Frusberta insino a gli occhi.
Tanto che merlo convien che trabocchi.
XXXVI
fonie e" fu in terra questo fa^tellaccio,
L" altro s" avventa addosso ad Aldinghieri:
Aiille menargli d' un suo bastonaccio ;
Ma e' prese un salto che parve un levrieri,
E schifa il colpo, e menavagli al braccio,
Tal che se sa schermir gli fa mestieri ;
E netto lo tagliò rome mellone,
E cadde in terra il braccio col bastone ;
xxxvii
E anche poi il gigante per la pena.
Aldinghier quando lo vide caduto,
Subitamente un gran colpo gli mena:
Al collo del gigante s' è abbattuto,
E con la spada tagliente lo svena.
L'altro fratel come questo ha veduto,
Si scaglia a Ulivier di furia acceso,
E abbracciollo, e portanel di peso,
XXXVTII
Come farebbe il lupo nn pecorino :
Ma 1 buon pastore Orlando lo soccorse,
E disse : Posa, posa, Saracino,
Posalo giù: tu non credevi forse
(he fossi presso il guardian ne "1 mastino?
Di che il gigante per ira si morse.
Che '1 sangue a Ulivier voleva bere;
Ma per paura sei lascia cadere.
]M O Px G A N T E MAGGIORE
X\XIX
Ulivier ritto si levò ili terr.i,
E trasse a quel Pa{;an con AUaclnara,
E ne la trippa mia pillila disserra,
Dieeiulo : Tu Iterai la morie amara:
E roti ([liei colpo morto ^iìi V atterra ;
E bisof^nò che trovassi la bara.
Eran già morti tre, rcslavane uno
Cli' era più fiero e forte che nessuno.
xr.
Orlando disse: La battaglia è mia,
E tocca a me quest'altro che ci resta:
E'I fer gigante pien di bizzarria
D" un mazzafrusto gli tliè in su la testa,
Glie poco men eh' Orlando non cadìa.
Gridò Rinaldo: E anco tua fia questa
l^irchiata, com' hai detto la battaglia:
Non se'tu Orlando, o'I brando più non taglia?
XLI
Allora Orlando lo scudo abbandona,
E '1 pome de la spada appoggia al petto,
E 'nverso il Saracin sé stesso sprona,
Quando e' sentì quel che '1 cugino ha detto,
E terminò passargli la persona:
Giunse la punta al bellico al farsetto
Ci»' era di ferro, e ogni cosa infilza ;
E passò il ventre e '1 fegato e la miìza ;
XLII
E riuscì di drieto un braccio o pine
11 brando che di sangue è fatto rosso,
E questo pilastron rovina giue,
E mancò poco non gli cadde addosso :
Se non ch'Orlando molto destro fue,
E parve che '1 terren si sia riscosso :
De la qual cosa in gran superbia monta
La fiera madre incantala Creonta.
XLIII
Corse al romor coni' una spiritala:
Prese Aldinghieri, e tulio lo deserta
Con ali imghion, come una bestia arrabbiata.
Travolge gli occhi, e la bocca avea aperta
Non fu tanto Eritou mai infuriala :
Rinaldo 1' aiutava con Frusberla ;
Ma di tagliarla la spada s' iiifigne :
Allor Rinaldo la gola gli strigne.
XLIV
Ella aveva Aldinghicr ghermito in modo,
Che sare' me' abbracciare un orsacchino,
E jiorlanelo a forza, e tiello sodo :
Orlando gli ponea le mani al crino.
Ma non poteva ignun disfar tal nodo :
E Aldinghier gridava pur meschino ;
Io credo che '1 diavol m'abbi preso,
E ne lo inferno mi porti di peso.
XLV
Orlando allor gli jnena de la spada,
Ma iiidrieto si ritorna Durlindana,
Quantunque ella sia forte, e eh' ella rada.
Dicea ridendo la donna pagana :
Voi date al vento i colpi, o la rugiada,
A ferir me, ch'ogni fatica è vana:
Non ne potete aver di questo vello
Per nes'^im modo o uscir fuor del castello.
Orlando tutto allor si raccapriccia,
E vede clic costei gli dice il vero :
A lutti in rapo ogni capei s' arriccia,
Veggendo quel dcmon cotanto fiero,
La faccia brulla alTumicata arsiccia :
Non si dlpigne tanto il diavol nero,
Quanto ha Creonta la lana e la pelle:
E più terribil voce che Smaelle.
XLVII
Ella vedeva innanzi i figliuol morti :
Pensa quanto dolor la misera abbia,
E come questo in pace mai comporti,
Massime avendo i suoi niniici in gabbia :
Poi si ricorda di mille altri torti
Pur de' suoi figli, e per grand' ira arrabbia,
Come fa Salai del cadimento,
Ch' udendol ricordar par si contento.
XLVIII
Poi diventò più che Niel gentile :
Non parve piìi Beritle o Saliasse
O Squarciaferro : anzi si fece umile :
Né creder come Hocco tartagliasse:
Che come Nillo parlava sottile:
Non par Sottin che in francioso parlasse:
Non t)bisiii ]>er certo a la favella,
O Rugiadan che ne porta 1' anella.
XLIX
E non parea nel suo parlar Rilette,
Cile violò il mandai con certe chiocciole;
O Astarot che nel cavallo slette,
E sotto un besso gittò tante gocciole :
Non Oratas, quel che i pippion ci dette.
Tanto ben par che sue parole snocciole ',
E Aldinghier lasciò tutto dolente,
E cominciò a parlar discretamente.
L
lo vi perdono, io vo' con tutti -pace,
Tanto m' aggrada vostra gagliardia,
E libero sia Gan come vi piace;
Disposta son non vi far villania :
De'miei figliuol quantunque e' mi dispiace,
Altra vendetta non vo' che ne sia.
Se non che mai di qui non uscirete,
E fate tutti ciò che far sapete.
LI
Era ciascun tutto maravigliato,
E trasson di prigion subito Gano,
Ch' era in una cisterna incarcerato
Ne l'acqua in hiogo molto oscuro e strano:
E come e"fu di prigion liberato,
E' pose presto a la spada la mano,
E vuol Creonta a ogni modo uccidere,
E finalmente e' la vedeva ridere.
Lll
Orlando e Ulivier si riprovorno,
E gli altri se potessino ammazzalla ;
E molli colpi a la donna menomo :
Ella rideva, e i lor pensier pur falla:
Alcuna volta a la porla n' andorno ;
Quivi persona non era a guardalla.
Ma per su stessa come ignun s' accosta,
Si riserrava ed apriva a sua posta.
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u a Gtiict'iariJo lo
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I.IV
Eli a l'aripi presto a Astolfo scris.'-c
Che Slibilo venirsi a Montalliaiio :
Astolfo per rainmin lo^to si misse,
Tanlo che torca a Malgip;! la mano:
Quale oj;ni cosa di punto gli disse,
Kd .iccordàrsi ttilli a mano a mano,
(jiiirciardo, Alartlo ire a trovar costoro ;
Per la (|tial cosa Aiilea volle ir con loro,
I.V
Dicendo : Io rivedrò Rinaldo mio.
E ])oi <lie moiri giorni sono andati.
Anzi volali come fa il disio.
Tre cavalier Pagani hanno scontrali,
E salutarci nei nome di Dio.
L' un di costor coni' e' si son trovali,
Guardava pur d Astolfo il suo cavallo,
E non si veri^ognó di domandallo.
IVI
Era chfamato il Sararin Lioml)rnno,
Nipote di Mar>iIio re di Spagna:
E dice : Mai cavai non vidi alcuno
Che non avessi in sé qualche magagna,
Salvo eh' io n' lio pur oggi veduto uno,
E 'nlendo che con meco si rimaglia.
Diceva Astolfo: Odi pensier fallace!
Quanto più il lodi, tanto più mi piace ;
LVII
Ecco rh' ognun questo cavai vorrebbe.
Ah disse Liombrun : Tu non vuoi intendere.
Diceva Astolfo : E chi t' inlenderelilie ?
Disse il Pagan : Chi ti facessi scendere"?
Rispose Astolfo : Più di me potrebbe;
X) sili noi vuoi giurar, donar né vendere,
Vo' che tu r abbi con la lancia in mano.
Prendi del campo, allor disse il Pagano.
Lvni
Sanza più dir, rivoltati i cavalli,
Abbassaron le lance con gran fretta ;
Ma perché la sua regola non falli,
Astolfo si trovò sopra 1' erbetta
Tra mille odori e fior vermigli e gialli.
Alardo che '1 vedea : Si* maladelta,
Diceva, Astolfo, la tua codardia :
Mai più cadesti, per la fede mia.
LIX
Liombrun il cavai voleva allora.
Alardo disse: Io credo tu il torcesti;
E' e" è di mollo via sassosa ancora:
Vedi che non se' oca, e beccheresti :
E' ti convien con meco giostrar ora :
E stu m abbaiti vo" clie tuo si resti ;
Ma non istimo come lui cadere,
t-h' io non ismouto prima eh" a l'ostiere.
Liombrimo di^se : Tu f.ii villanìa ;
Ma non la slimo, per< 1/ io non lì prezzo
Vi-ggiam rome tu smonti a V «isteria :
Tu ne potre>li scen<ler prima un p«-/7.o ;
Piglia del campo e disridato sia,
Cir i«t so «li chi sar.i il «av.il da sviz.it.
Alardo si volt«'i si «Irslro «• snello.
Cile ben ])area di Rinaldo fratello.
i.\«
Ah, disse Anlea, e" si conos«'e bene
La pr(ulczza «lei sangue di (".hiarmodte.
Or ecco Liombrun che inuan/i viene,
E con le lance si tr«)vono a fronte ;
Ma il Saracin iV Alardo non sostiene
Il colpo, eh' egli aria passati) un mimlc :
La lancia gli trapassa il cor pel mezzo,
E morto cadde tra'rioretli al rezzo.
I.XII
Diceva 1' un C(ui 1' altro sua compagno :
Questo sarebbe lro])po a" paladini:
Qui è poca « ivanza e men guadagno ;
Costor n«>n son per certo Saracini ;
E sarà buon mostrar loro il calcagno ;
E ritornarci ne" nostri confini ;
Feciono, c«une e' disson, tosto e netti);
Però cJie lolson su presto il sacchetto.
LXIII
Astolfo si lenea vituperalo,
Massimamente perdi' e' v' era Antea ;
E '1 me' che può del cader s'è scusato;
Onesto destrier eh' io cavalco, dicca,
Da poco in qua restìo è diventato ;
Mentre la lancia c«)rrer mi credea.
Mi dibattè perdi' e' giocò di schiena :
Io mi lasciai cader giù per la pena.
LXIV ^
Diceva Anlea : che ti bisogna scusa ?
Non ho io bene ogni cosa veduto?
E se tu fossi pur cascalo e* s' usa.
Guicciardo, poi che mollo ebbe taciuto,
Non potè più tener la bocca chiusa,
E disse: Mai più, Astolfo, se' cadulo?
Questo cavai si vorrebbe impiccare.
Che mille volle t' ha fallo cascare.
Malagigi tagliava le parole :
Astolfo sopra il suo cavai rimonta.
Cavalcono a la luna lauto e al sole,
Che capilorno al caste! di C'reonta.
Maigigi cerio incanto, come e' suole.
Fece a 1' entrar, che 1' arte aveva pronta;
E innanzi a tulli gli altri fa la scorta,
E dove e' giugne s' apriva ogni porla.
LXVl
Giunsono in piazza, e l'abbrarciate fanno.
Non conosceva Aldinghier Malagigi;
E' gli dicìen come trovato I hanno,
E che volevon menarlo a Parigi ;
Poi di Creonta tutto ciò che sanno.
Maigigi guarda i sui brulli vestigi,
E lei pur lui, e par piena d'angosce;
Che r un diavol ben l'altro conosce.
ÌM O R O A N T K M A (i (> I O K E
Dioca Mal<;i{»;i: Io ero a Montalhano,
E vidivi qua liilli in gran porlj;lio,
E mandai per Astolfo a mano a mano,
E d' aiutarvi facemmo consif^lio :
Rinaldo intanto tcnea per la mano
Aniea, «'ho '1 volto avea tutto vermiglio,
ì'j sente amaro e dolce, e freddo e caldo,
K non si sazia di guatar Rinaldo.
Lxvni
Percliè intendiate, seguitava poi
Malaigi, e' ri sarà da far pur mollo,
Disse colui che non serrava i biu)i,
Ma l'oche, e già lo ncastro aveva lollo :
Questa crudel con certi incanti suoi
(Diciam più pian ch'io la veggo in ascolto)
Ha falla certa immagine di cera,
<'>omi' colei eh ha 1' arie liilta intera :
E lì «erla jiarle sia di quei palagio,
E un dragone ajipresso v' è a guardalla :
Tanto è, che più «li lei sarò malvagio:
Ma questa <lonna bisogna piglialla
E tenerla qui tanto, eh' a beli' agio
lo possa quest' immagine guaslalla :
E nel guastar questa figura orribile
Vedrete a costei far cose terribile.
LXX
Rinaldo sol con meco ne verrà,
Che mi bisogna un conq)agno menare,
E con la spada il dragone uccidrà :
Or oltre, tempo non è qui da slare.
Orlando inverso Creonla ne va,
(.hf cominciava gli occhi a sfavillare,
E far certi caratteri già in terra ;
E Ulivieri e gli altri ognun 1' afferra.
LXXl
A gran fatica tener la polJe'no.
Ella meltea talvolta certe strida,
Che par che de lo inferno proj)rio sieuo.
Malgigi intanto Rinaldo su guida.
Dove getta il dragon fuoco e veleno,
E dice : Quanto può presto 1' uccida.
Rinaldo, sanza largii altra risposta.
A quel dragon con Frusberta s' accosta.
Lxxa
Non domandar come il drago si cruccia ;
E come e' vide Rinaldo, si rizza :
Rinaldo trasse, e la spada gli smoccia
Al collo, tal che gli cava la stizza ;
CU' appena sol si teneva la buccia ;
Tanto che poco la coda più guizza;
Dunque Rinaldo è quel ch'uccise il drago,
E le' di sangue e di veleno un lago.
LXXIU
Malgigi a quella immagine s'accosta,
Ch' era fatta di cera pura e bella
De le prime ape, mollo ben composta
Sotto coslellazion d' alcuna stella,
Con tutti i membri insino a una costa ;
E sopra il destro pie si posa quella,
Sospesa avendo la sinistra gandja
Di scorcio, strana, orribil, torta e stramba.
LXXIV
La faccia aveva soprattutto fiera,
Malgigi che sapea di punto il giuoco,
Eece per arte, che l'aveva vera.
Presto apparire un gran lampo di fuoco,
Che s'appiccò di tratto a quella cera,
E slruggela e constmia a poco a poco :
E mentre che così la cera scema,
L' aria e la terra e ogni cosa triema.
Rinaldo più d' un tratto s' è riscosso
Per la paura che gli entrò nel cuore :
Malgigi gli facea sigilli addosso,
E disse : Non aver di ciò timore :
Fa che per nulla tu non ti sia mosso :
Vedrai che presto cesserà il furore.
Ma in questo che 1' immagin si struggea,
Mlrabil cose la donna facea.
LXXVl
Ella si storce, rannicchia e raggruppa ;
Poi si distende come serpe o bisce ;
Poi si raccoglie e tutta s'avviluppa:
Ella si graffia e percuote e stridisce,
E tutta r aria in un tratto s' insuppa
Di pioggie e venti, e co'tuoni squittisce :
E grandine e temj)este e 'ncendio e furie
Cominciano apparir con triste agurie.
LXXVII
Orlando, benché ognuno abbi paura,
E Ulivieri e gli altri lenien forte
(^olei che si divora per 1' arsura
Che a poco a poco la conduce a uiorte,
) Come si distruggea quella figura.
Tanto che tosto aperle fien le porte:
Parca eh' a forza l'anima si svella,
E come Meleagro ardessi quella.
I.XXVlll
E finalmente morta si distende.
Come fu quella immagine distrutta ;
Allor Malgigi del palagio scende ;
E l'aria rischiarala era già tutta:
E ciascun grazia a Malagigi rende.
Che spenta ha questa cosa così brulla,
E liberali da tormento e affanno :
Ed alcun giorno a riposarsi stanno.
I,XXIX
Un dì non si potè tenere Alardo,
Che non dicessi come il fatto era ilo
D Astolfo, che facea sì del gagliardo:
Rinaldo, quando questo ebbe sentilo.
Lo dileggiava e chiamaval codardo :
Tanto ch'Astolfo si tenne schernito,
E per isdegno e per grand' ira caldo,
Trasse la spada per dare a Rinaldo.
LXXX
Rinaldo si scostò, dicendo: Matto,
Che vuoi tu fare ? io intendo riguardarli
Com' io t' ho riguardalo più d' un trailo ;
Ma da qui innanzi da questo allo guarii.
Orlando gli disj)iacquc questo fatto,
E disse con Rinaldo : Tu ti parti,
Per nio, da la ragion; ch'Astolfo nostro,
F'iù (he fratello, amor .-empre ci ha mostro.
M O l\r. A N T K M A(. (. I C> W V.
E nianrò poro che non 1' appirrava
Orlando ron Uiiulcio la .vcl»eriM.ipIia ;
Se non che pnr RinaMo si chclava,
Che sa, quanti' e' s' adira, quel clic va|;Iia.
Astolfo lauto «fi rio s' infiainniava,
Che in qua, in là come un lion si sragli.i ;
V. dipartissi la sr^-oenlc ntitle,
E tulle loro imprese iia guaste e rolle.
LXXXII
Però non facriam mai ittnnn di>e^no,
Ch' nn altro non ne facciala luxilUld*
E dà sempre di brocco a m<//.o il K-j-no
San7.a pietà, sanza rapione alcinia :
Questa persegue i buon, percl>è gli lia a Ndej;iio,
Infin che v' è de le barbe sol' una ;
K fa de' matti savi e i savi malli ;
E chi prestar vorrebbe, ch'egli arratli.
lAXMll
Astolfo va per un luogo deserto
Di qua di là, ci»me avvien gli smarriti.
Era di notte : un lume s' è scoperto,
Dove abitavan tre santi rouiili
Ch' avlen più tempo di>aiiio sofferto
Per riposarsi a gli eterni conviti.
Astolfo come vide il lumicino.
Subito inverso quel prese il cammino.
LXXXIV
Giunto a* romiti, la porta bussava;
E ricettato fu nel romitoro.
La notte certi Pagan v" arrivava,
E' imbavagliorno e ruborno costoro :
E perchè pure il boltin magro andava,
D' Astolfo anco il cavai vollon con loro.
Astolfo si destava : e sendo desto.
Di questo caso s' accorgeva presto.
LXXXV
E sciolti que' romiti e sbavagliali,
E' domandò donde e' preson la via
Color che gli hanno così maltrattali ;
Un di costoro a Astolfo rispoudia :
Lasciagli andar, che saran ben pagali
T>e' lof~peccatì e d'ogni colpa ria
Da quel Signor ch'eterno ha stabilito
Che '1 ben sia ristoralo, e '1 mal punito.
LXXXVl
Questi son rubai or che sempre stanno
Per questi boschi, e son gente bestiale;
E altra volta già rubati ci hanno;
Ma non ci manca il pan celestiale,
E sempre ci ristora d' ogni danno :
Se gli trovassi e" ti polrieu far male :
Lasciagli andar, che Dio ragguaglia tulio,
E rende a' servi suoi merito e frullo.
LX.XXVII
Rispose Astolfo : A cotesla mercede
Non intend' io di star del mio (lesti iere.
Ch'io so eli io me n'andrei sanz'esso a piede,
E '1 Signor vostro si starla a vedere :
Questa vostra speranza e questa fede
A me non dette mai mangiar né bere :
Io intendo ritrovare il mio cavallo,
E farò forse lor caro coslallo.
ixxxvin
E mi&»et>i a cercar tanto, che pure
Gli ritrovò, che 5on<i in .mi d' un prato,
E stanno a ripo!>arsi a le verzure,
E 1 cavai si pascea così sellalo :
Avean chi lance, chi spade e chi sente :
Aslulfo a un di lor si fu accuslatu.
Gridando: l'raditor, ladron di Ntrada ;
E 'n.sino al mento gli cai ciò la spada.
I.XXXIX
L'ailro gli mena con ima giannetta:
Astolfo vede la punta venire,
IC con un colpo tagliò l'aste nella,
Poi con un altro lo fece morire :
Addosso a gli altri compagni si getta.
Tanto che tutti gli ha falli slor<lir.- .
Quattro n' uccide di dieci Pagani -,
A gli altri il collo legava e le mani.
xc
E rimontò sopra al suo palafreno,
Enverso il romitoro si tornava:
Quando i romiti i mascalzon vedic'no,
Ognun d' Astolfo si maravigliava,
E ringrazlorno lo Dio Nazzareno.
Astolfo a questi romiti parlava :
Io vo' che voi impicchiale a ogni modo
Questi ladron pien di malizia e frodo.
xci
Dicevano i romiti : Fralel nostro,
Iddio non vuol che giustizia si faccia ;
Per tanto questo uGcio si fìa vostro.
Diceva Astolfo: Io credo eh' a Dio piaccia
Più questo assai, che dire il paternostro,
Se vero è che i cattivi gli dispiaccia ;
Cavate fuor le cappe e fa le presto,
E tutti gli appiccate a un capreslo.
XCIl
Questi romiti fanno del vezzoso,
E par eh' ognun di lor si raccapricci:
Astolfo ch" era irato e dispettoso.
Comincia a bastonargli come micci.
Dicendo : Al cui l' ara clii fìa sghignoso ;
Tanto che fuor sbalzorono i cilicci
Sentendo fra Mazzon che scuote i panni,
E parean lulti a 1' arte usi cent' anni.
xeni
Astolfo se ne va pur poi soletto
Per questa selva, ove la via lo porla,
Sanza certo proposito o concetto :
Lasciallo andar, che V angiol gli sia scorta.
Orlando si recò questo in dispetto,
E una notte «sci fuor de la porta,
E vassene soletto di nascosto,
Che ritrovare Astolfo avea disposto.
xciv
Rinaldo a la sua vita mal non fae
Pegolo contento', quanto a questa volta.
Diceva Autea : Che facciam noi qni niiìe?
Ogni nostra speranza veggo tolta :
lo v'accomando al vostro Dio Gesiie.
E nverso Babillona darò volta.
Rinaldo e gli altri ognun pre?lu dicla
Che gli voleau far tutti compagnia.
M OI\(. A N T K M \ (\ r. I 0 \\ K
1^ ])i.iMp;<)ii tutti (jujiiti il ('i)iiti' Orlati. Il) ;
1'^ ne 'iHTi'scpv.i insino .il traditore
Di ('aiH'Iloiie ; e sempre LuMiiiiaiido :
IJove se' tu, dicea, caro sijiiiore ?
li COSI •liorno e notte eavairando,
Avendo Orlando |)nr fitto nel core,
A Baltilloita condotla lianiio Anlen
Clic del -SUO mal jiiii da presso piangea.
xcvi
Non v' ha trovalo il suo misero padre
Che lo lasciò contento e sì felice ;
Non vi rivede più l'usale squadre;
E molte cose lamenlabii dice.
Rinaldo con parole assai legf^iadre
Diceva : Qui rejjina e imperatrice
Ti lascerò de la tua patria antica,
E so che Orlando vuol che così dica.
xcvn
Adunque in Babillona Anlea si resta:
E 111 da tutto il popol vicitata ;
V. non sì potre' dir con quanta festa
I)a' citladin costei fussi onorala :
E la corona re£>al tiene in testa :
E la città parca risuscitata.
Rinaldo si posò quivi alcun giorno,
E lutti insieme poi s' accommialorno.
XCVIII
E con molti sospir cercando vanno,
Se polessin trovar per Paf!;ania
Orlando ; e dove e' cerchin già non sanno:
A Monaca n' andar di comj)agnia ;
E Greco e Cdiiarion qui trovato lianno,
E domandar quel che d' Orlando sia.
Rinaldo rispondea che 1 suo fratello
Si partì per disdegno del castello.
xcix
Mollo di questo Greco e Chiarione
Si dolsono, e così la damigella,
E mandano spiando assai persone
l'er la città, per ville e per castella,
Se si trovassi il figliuol di Milone :
Né altro mai che di lui si favella :
E Greco e Chiarion molto onoravano
Rinaldo e gii altri, perché assai gli amavano.
e
Così con Cliiarlon lasciamo un poco
Tu Miin.ica costoro a rijìosare.
Astolfo andava d'uno in altro loco
Sanza saper dov' egli abbia arrivare.
Come falcon che s' è levato a giuoco,
Ed ha disposto paese vagare,
E non tornare al suo signor più a segno,
Come spesso adivien per qualche sdegno.
CI
Così faceva il nostro paladino,
Tanto che in Barberla già si ritruova,
Pov' era una città d' un Saracino
Ch' avea trovala una sua lede nuova:
Non crede in Cristo, non in Apoliino,
Non Macomelto o Triviganle appruova ;
Anzi adorar fa sé, eh' era gigante
Mollo superbo, e détto è Cuiaristanle.
E la città Coruij;lia h du.ea ;
IC l''ilii)erla si chi.iuia la iiidulie.
Dipinli (|uesli due ne la moschea
Erano Iddii, e 'I popò! quivi accoglie;
E per paura adoiar si fa« ea :
Volea cavarsi tutte le sue vo|;lie :
E vergine ogni dì per forza piende ;
Poi le iiieltcva ove il buon vin si v( nde.
cm
Avea già fatte tante crudelladc.
Che lutto il regno suo 1' odiava a itiorle.
Astolfo capitando a la ciltade,
Disnu)uia ad un oslier fuor de le porte,
E 'ntese da costui la verilade.
Come il signor gov(rnava sua corte
Con tanta inlamia, ingiustizia e vergogna ;
E riposossi, perchè gli bisogna.
civ
Or non lasciam però per sempre Orlando:
E' si partì donde morì ('reonta ;
A que' romiti venia capitando,
Dove alcun ghiotto i buon bocconi sconta:
Un de' romiti gli vicn raccontando
Di que' ladroni, e la storia avea pronta,
Come impiccar gli fece un cavaliere.
Perchè ìlVì avevon rubalo il destriere.
Ma e' si dolieno ancor de le mazzate;
Ch" Astolfo aveva lor le sliene rotte ;
Un poco le schiavine rassettate :
Ma de' ladron clie rimisson le dotte.
Lo ringraziavau per la sua bonlale.
Orlando si posò quivi la notte,
E fece carità di quel che v' era
Il me' che può co romiti la sera.
evi
E poi ch'ognun di lor fu addormentato,
L'Angiol di Dio apparve in visione
A un romito, a hallo salutalo.
Dicendo : Sappi che questo barone
E il conte Orlando eh' avete albergato ;
Fategli onor, eh' egli è il nostro campione:
Quel ch'im])iccò «olor, fu il suo cugino
Chiamalo Astolfo, un altro paladino.
e VII
E '1 simiglianle ad Orlando apparì
LAngiol, dicendo: Orlando, che farai?
Sappi che Astolfo tuo capitò qui,
E presto sano e salvo il troverai;
Non passerà da ora il sesto dì;
Che domattina di qui partirai ;
Non ti dolere, o baron giusto e pio.
Come tu fai, che ciò non piace a Dio.
CVIII
Orlando la maltina risentilo,
Subito a Vegliantin mette la sella:
Intanto a lui ne veniva il romito,
E dicegli de l'Angiol la novella.
Sì come in vision gli era apparito,
Mentre che si dormìa ne la sua cella :
E molla riverenzia gli faccia.
Orlando V abbracciò, poi si partìa.
M O n Ci A N T K M \ G (, I () 1\ i:
rix
V, <iiri//<i<si s*)) f><^r iiii vallimi
Dove li.i Irnvalo mi orriliil M-r|i<-n(«
(.Ite s' a/ziidava con un lifl unltiur.
(>rl.inJii a «|u<-.«.lo (jtto |>«>sr nirnlc,
M ]ii.iiri;li \r«lcr la Itir qiii>-ln»iir :
Ma i|ncl prifunr al fin r<'!.la ponimi**,
IVrclir il >«rprnl«- j:li avvilire la roda
l'n tratto al rollo, r titn fsso 1' annoda.
ex
Parvi- il prifone ad Orlando sì hello,
l'^ mai |iiii forse' non a^ea vi-dnto,
t.hr terminò d'aiutar questo urrello :
1'. ron nn rainu di fauuio frondiilo
Dette al serpente, e lilier.'<to Ita qtiello,
lì. ì suo nimico piti morto è caduto:
Donde il priron ne va per V aria a volo;
Orl.indo al suo ramniin pensoso e solo.
rxi
Poro più olire quattro pran lioni
Trt>vava, e Vepliantin tutto è aonibrato
(,)iiniido lia veduto «juesti compagnoni:
1. imo ad Orlando ne vien difilato,
v\pre la l>occa e «lislende eli impluuni:
Orlando Diirlindana nel costato
Gli cacciò tutta, fuor die 1' elsa e "1 pome:
Gli altri Tassalton, non li dico come.
CXII
Orlando i colpi allor misura e 'nsala,
Però die a mal partito si vedea ;
Ecco il erifoa die per 1" aria più cala
r.on tal furor, die non si conoscea.
Se fiissi un vento o pure ucrel con 1" ala;
E un lion die più ressa facea
Al conte Orlando, con pli unpiiion pliermìa
A gli ocelli, tal che schizzar gliel facla.
cx\n
Questo lion da la zuffa si spicca :
Orlando un altro col hrando n" uccide ;
E poi col quarto il prifon si rappicca
Per aiutare Orlando, e in aria stride :
E poi in un tratto gli arlipli pli ficca
Nel capo, e strinse, insin die morto il vide;
Che pli cacciò gli unghion fino al cervello:
Adunque buono amico è questo uccello.
ex IV
Non si perde servipio mai nessuno :
Servi qualunque, e non guardar chi sia ;
Dice il proverbio : e stu diservi alcuno,
Pensa di' a tempo la vendetta fia :
Ma semina tra' sassi e sotto il pruno,
Sempre gerinopHa al fin la cortesia:
E noti opnun la favola d" Isopo,
Che il lion ebbe bisogno d" un topo.
cxv
Vuoisi ser%ire insino a gli animali :
Che qualche volta m.erito si rende.
Come dicono i delti de' morali,
E fassi sdiiavo chi il servipio prende ;
E tanto è degno più, quanto più vali:
Sempre il servigio il cuor d" amor raccende,
E vien da peneroso animo e magno,
E torna al fine a casa con suadasno.
(^)uel lìmi cieco il prifon non l' ulTete
J'ii s<'iitiie/.za, e COSI frir Orlando :
E fin.iliiii-iile Ir prandi ale stese,
E dipartissi per 1° aria volando :
1", Cosi il MIO cammino Orlando prese,
A'-lolfo pure a 1' iisal'i cercando '.
E cav.-dcando piorno e noUr qiieslo.
Giunse a t-orniplia, ablirrviando il lesto.
cxvii
E dismonlatn ad un oste pagano,
Attese Neplianlino a ristorare,
(.Il era più giorni per coste e per piano
Andato, ed apparato a digiunare:
Or la<<ciaiii riposarlo lieto e sano,
A Astolfo ci bisopna ritornare.
The col suo oste fuor de la citiate
Si stava, e molle cose ha ragionate.
CXVIIl
Videi turbalo un di tutto nel voUo,
E la cagion di ciò volle sapere :
E" plie ne disse sanza pregar molto.
Che 1 sipnor vuol la sua figlia tenere,
Se non che gli sarà l'albergo tolto
Con essa insieme, e la vita e 1 avere :
Ma che piuttosto morire é contento.
Che ubbidir questo comandamento.
cxix
E la figliuola di sua mano uccidere,
Innanzi che veder tanta vergogna :
Che si sente di duolo il cor dividere.
Astolfo disse : Questo non bisogna,
Forse eh" ancor di ciò potresti ridere :
Or manda a Chiaristante a dir se sogna :
O se ci manda più suo messaggiero,
Fa eh io lo vegga, e lascia a me il pensiero.
cxx
Ben sai che Chiaristante non soggiorna:
A mano a mano un messo pli raccocca.
Disse 1 ostiere : Il messaggier ritorna.
Rispose Astolfo : Non ci aprir tu bocca.
Costui dicea che la fanciulla adorna
Si mandi a corte presto, e pur ritocca.
Astolfo a lo scudier quivi s' accosta,
E disse : Io ti farò per lui risposla.
oc XI
Rispondi in questo modo a Chiaristante,
Che 1 popol suo r ha troppo comportalo ;
Ma eh e potrebbe farne tante e tante,
Cile d' ogni cosa sarà poi purgato :
Non si dice altro per tutto Levante,
Se non di questo lri>to scellerato :
Guarda con quanta faccia pur sollecita,
Come se fussi qualche cosa lecita!
cxxii
Quel messaggio le slimite fóceva,
E dice : Tu debbi esser qualche pazzo.
A^tolfo un'altra volta gli diceva:
Ritornati al signor, dico, al palazzo.
L" oste si tacque, e nulla rispondeva.
Disse colui : La cosa va di guazzo :
Questo poltron riprende il signor nostro !
Lascia eh' io torni, e fiagli l" error mostro.
Ì7
M O I\ Ìm a N T K ÌNl A G G I O R K
U-
3/18
^'anIle al sij^iiDr e»)!»" mi {^.ilU» arrosliu»
Suliito, e 'ni;inornliiosi>i il «lamigello,
E dice ciò rir ('«jli aveva sentilo.
Disse il sijìnor : Chi fia qticl ladroiirello ?
E' sarà qualdie malto dì' è sinarrilo:
Ma l'oste non rispose ntilla a quello?
Disse il sergente: E' s' inlendca con lui:
E non mi pare nn mallo anco costui.
oxxiv
Rispose Cliiarislante : Or torna tosto,
Dij;li die veni^liin lui e l'oste a me;
Ma e' si sarà o liis^f^ilo o nascosto.
Dicea il messajiiiio : Non fia per mia fa
Fug};ito; in modo, ti dico, lia risposto.
Astolfo stava armato, e sopra sé,
E disperato va cercando guerra :
E "nlanlo il messo torna da la terra,
cxxv
E dice : Tu die rispondesti dianzi,
Dice il signor die l' oste e tu regnate
A corte presto ; avviatevi innanzi ;
E vuoivi mandar fuor con le granale.
Rispose Astolfo : Acciò che tempo avanzi,
DI' al signor m'aspetti a la citiate,
Se meco vuol provarsi ; e digli, come,
Se noi sapessi, Galliano ho nome.
cxxvi
E eh' io farò forse costargli caro
Questa imbasciata , e vengo ora a trovallo.
11 messo torna con un viso amaro,
E disse : E' viene a trovarvi a cavallo ;
E dice è Gallian, per farli chiaro :
E' mi faceva paura a gnardalio :
E che se voi volete la donzella,
La vuol con voi giostrar sopra la sella.
CXXVII
A Cliiaristanle parve il caso strano,
E disse: Di' che venga in su la piazza
A ritrovarmi questo Galliano,
O vuol con lancia, o C(m ispada, o mazza:
Vedrem chi sia (|uesto poltron villano :
r,li' io non intendo questa cosa pazza.
Il messo a Astolfo, a 1' ostier rilornóe,
Astolfo armato a la terra n'andóe.
CXXVIII
L'oste gli pare Astolfo uom mollo degno;
E dice : Forse Dio 1' ha qui mandalo ;
Ma sia che vuol, ch'io vo'con questo sdegno
Morir più tosto, eh' essere sforzato :
E disse : Va, Macon sia tuo sostegno.
Astolfo in su la piazza è capitato,
E ognun corre a vedere il giostrante:
In questo tempo s'arma Chiaristante.
cxxix
Orlando, die sentilo ha già il remore,
Com' in piazza era venuto un guerriere
Il qnal provar si volea col signore.
Presto s' armò per andare a vedere :
Ma r ostier suo, per non pigliare errore
Volle che pegno lasciassi il destriere ;
Che non istà de gli scotti a la fede:
Poi gne ne 'ncrebbe veggendolo a piede,
E disse: Torna, e 1 cavai tuo ne mena,
Come persona libera e discreta.
Orlando scopjria di duolo e di pena,
(.he da jiagar non aveva moneta ;
li Veglianliu non si reggeva appena :
Questo gli fa tener la bocca chela ^
Non gli jiar tempo a contender gli scolti,
E disse : Per Macon, rislorerotti.
cxxxi
Che solca sempre dar bastoni o spade
A 1' oste (|uaiido i danar gli mancavano.
Mentre ch'Orlando va jier la cittade,
I fanciulli a diletto il dileggiavano,
Che Vegliaiilino a ogni passo cade,
E le risa ogni volta si levavano.
Dicendo infm die in su la piazza è giunto:
Chi è questo uccellaccio cosi smunto?
cxxxn
Questo cavai bisogno are' d'un maggio
Che fossi almeno un anno, non un mese.
Orlando se n' andava a suo viaggio,
E ciò che si dicea per tutto intese.
Però di' e' sapea bene ogni linguaggio ;
Un Saracin per la briglia lo prese.
Come alcun si diletta di far male,
E sfibbia a Vegliantino il barbazzale;
CXXXIII
E per ischerno gli trasse la briglia.
Orlando non potè sofTerir più ;
E con un pugno la gota e le ciglia,
II naso e gli occhi gli cacciava giù :
Ognun che '1 vide n' avea maraviglia :
Cile mai tal pugno veduto non fu:
Poi scese in terra di disdegno pieno,
E racconciava a Vegliantino il freno.
cxxxiv
Colui dì' avea del viso forse il. terzo,
Trasse la spada eh' aveva a' galloni ;
Però che questo non gli pare scherzo :
Orlando lo diserta co' punzoni;
Pensa che s' egli avessi avuto il berzo,
Morto r arebbe con due rugioloni :
Un tratto ne la tempia un gnen' accocca
Che gli facea il cervello uscir per bocca.
cxxxv
E risaltò di netto in sul cavallo,
Sanza staffi! operar, con 1' armadura.
Tanto eh' ognuno stupiva a guardallo,
E scostasi da lato per paura.
Intanto CUiaristante viene al ballo,
E se saprà ballar, porrenvi cura :
Astolfo lo minaccia e svergognava,
E poi si scosta, e del campo pigliava.
cxxxvi
E l'uno e l'altro sollecita e sprona.
11 Saracino Astolfo riscontrava :
L' aste non resse, benché fossi buona ;
Quella d' Astolfo non si dicollava,
E lutto il petto al Saracino intruona;
Tanto che nulla lo scudo approdava :
E pos<' lui e 'l cavallo a giacere,
Ed una staffa perde nel cadere;
MOUC; AN TK M Ad (i I O l'i i:
e XX XVII
Poi si rizz«"> lui r I «Irstrirr »ii prf»lo.
Dicfva Aslolfo: Tti sr' mio prijtioii»*.
Ditsc il Pagano : E" noe> sarclibr «uipslo,
(Ihr fu difrlto del cavai r«)/./.niir.
Rispose Astolfo : E rhi |>iu(ÌM-a «jucslo ?
("olui rli' urri>c un qui con un |»«in/one,
Disse 1 Pagan, rh' Orlando avrà veduto,
L molto gli era quell' atto ].iariulu.
ex XXVI !I
Rispose Astolfo: Sia quel de la pugna.
Orijudo dette a Chiaristante il torlo,
nivsr il Paeau : Tedesco pien di sugna,
Vedi tu eli' io non t' avea bene scorto.
Che dei succiar più vin, rharqna la spugna:
10 veggo ben che tu mi guati torto :
Non fu mai guercio di malizia netto,
CI) io ti conoscu insin drente a l'elmetto.
(XXXIX
Rispose Orlando: Tu nti domandasti;
N<jn vuoi tu cfi io risponda al parer mio?
Tu sai che 1 una staffa abbandonasti ;
Ognun giudicherà come ho fati" io :
Ma s' a tuo modo, Pagan, non cascasti,
E di cader di nuovo hai pur disio:
Così cattivo e guercio, come hai dello.
Con lece giostrerò, per Macomello.
CXL
Vero è che'l mio cavai, come ognun vede,
E mollo magro e stracco e ricaduto :
Ma noi possiam provar le spade a pie<le.
Rispose Astolfo : Questo è ben dovuto :
E che quel fossi Orlando mai non crede.
Orlando avea ben lui già conosciuto ;
Ma perchè e' parla come Saracino,
Non si conosce lui né Vegliautinu.
c\u
E se tu vuoi eh" io ti presti il cavallo,
Diceva Astolfo, io son molto contento.
Rispose il Saracin : Se voi accellallo.
Noi proveremo questo tuo ardimento.
Da poi che m'ha invitato un vii vassallo:
Che de" tuoi par ne vo" d" intorno cento.
Rispose Orlando : E" basterà forse uno ;
Tanto che e preson del campo ciascuno.
ex MI
Chiaristante credette un uom di paglia
Trovar che si lasciassi il mantel torre,
E con gran furia par eh Orlando assaglia,
E ruppe la sua lascia in una torre.
Orlando gli passò corazza e maglia
D un colpo, che non le mai tale Ettorre,
Ch" arebbe ben passata una giraffa :
E non si disputò piii de la staffa.
ex LUI
Come caduto fu giii Chiaristante,
Disse: Baroo, per grazia ti domando.
Chi tu ti sia, cristiano o africante,
11 nome tuo mi venga palesando:
lo tolsi a un signor qua di Levante.
Ch andato è per lo mar pui tapinando,
Greco appellato di buona dottrina.
Questa città per forza e per rapina.
Credo eh* iu muoia yier qiifsto peccato,
Che COSI vuol la divina giustizia;
li Maconielto e quel che |' ha mandato
Per punir questo ed ogni mia tristizia.
Orlando del cavallo é disniontato,
E I popol pieno intorno è di letizia :
E disse ne 1 orecchio al Saracino :
Sappi ch" io sono Orlando paladino.
rxLv
Rispose Chiaristante : Io ti perdono,
Da p(»i die s' io doveva pur morire.
Dal più franco ^terrier del mondo sono
Ucciso; e non potè più oltre dire.
Il popol si levò tutto ad un tuono,
Coni" e fu morlo, quel corpo a schernire:
E non pareva ignun contento, o sazio.
Se non facevau di lui qualche strazio.
CXLVI
Chi gli mordeva il braccio e chi le mani:
Chi lo pelava, chi 1 petto gli straccia:
Pareva una lepretta in mezzo a" cani,
Come veggiam talvolta, presa a caccia:
Cosi mordean costui quegli Pagani.
Chi lo calpesta e chi gli spula in faccia.
Dicendo: Ora è venuto l'ora e 1 punto
Che 1 tuo peccalo t' ha, Iraditor, giunto.
CXLVH
Ecco che tu non hai goduto il regno
Che tu togliesti al sisnor nostro antico
Ch'andato è per lo mar con un sol legno
Già tanto tempo povero e mendico :
Or vedi quanta forza ha il giusto sdegnol
Guardisi ognun dal popol suo nimico :
Ch' io credo che sia pur più su che J letto,
Chi vede e'ntende ogni nostro concetto.
CXLVIII
Poi si levò fra lutti un gran romore ;
E fu levato da cavai di peso
Orlando, e volean pur farlo signore.
Orlando qtianlo può s è vilipeso.
Dicendo: Io non son uom da tanto onore,
E questo eavalier v' ha lui difeso.
Che venne il primo a combattere al campo,
Poi mi prestò il cavai per vostro scampo.
CXLIX
Io non gli sarei buon drieto ragazzo.
Adunque il duca Astolfo fu menalo.
E fatto lor signor drento al palazzo :
E vuol con seco Orlando sempre allato:
E tutto lieto è questo popol p<jZzo,
E Astolfo è da tutti mollo amato :
Un' altra volta il crucilìgeranno,
E eliiameran erudel questo e tiranno.
CL
Tanto che spesso è util disperarsi ;
E farsi per isdegno di gran cose :
Astolfo si sta ora a riposarsi ;
Non va più per le selve aspre e nascose ;
E non potea con Orlando saziarsi
Di commendar sue c>pre alle e famose :
E non conosce ancor chi sia costui,
E parla tuttavia con esso lui.
1^1 O R G A N T E ]M A G G 1 O 1\ K
CM
Diceva Orlando: Io voplio in cortesia
Che tu mi dica se tu se' Pafjano,
K 1 nome tuo: Astolfo rispondia :
l'.liianiar mi fo per tutto Galliano,
E nacqui di buon sangue in Barberìa:
Cercato ho tutto il mondo il pop^io e'I piano:
E 'nsino a qui poca ventura lu) avuto,
Se non clic lu vedi or (juel rb'è accaduto.
CHI
Orlando d' «no in ahro rac;ionare
Riesce finalmente dove e' vuole ;
(.omincia molto Orlando a biasimare.
Dicendo: E' non è uom più sotto il sole
Cl»e come lui cercassi rovinare.
Astolfo si turbava a le parole,
E finalmente gli concliiuse questo,
Cile si partissi di sua corte presto.
CLIII
Orlando seguitò pure il suo detto,
Tanto eh' Astolfo tutto furiava :
Per la qual cosa e' si cavò V elmetto.
Astolfo d' allegrezza lacrimava :
E disson r uno a V altro ogni suo effetto
Dal dì cli'Astolfo con lor s'adirava,
Com' eran capitati quivi e quando.
Baciando mille volle Astolfo Orlando.
CLIV
Orlando mandò poi per quali' ostiere
Che gli rendè il cavai cortesemente :
Di Cliiarislante gli donò il destriere.
Astolfo a l' oste suo similemente
E a la fanciulla donò molto avere ;
Cir onorato V avevan lietamente ;
E ringraziavan lutti di buon cuore,
Che Chiaristanle è morto, il lor signore.
Astolfo facea lor larga V offerta.
Or lasceremo Astolfo e '1 suo fratello,
E ritorniamo un poco a Filiberta,
Ch' era fuggita ad un certo castello :
Essendo un dì la porta in bando aperta,
Due pellegrini entrati sono in quello,
E dicon eh' a costei voglion parlare,
E vanno Filiberla a visitare.
CLVl
E disson : Donna, fa cbe tu sia saggia,
E quel che li fia detto intendi bene,
Ch' una parola in terra non ne caggia :
A tutti incresce di tue tante pene,
E piangonne le fiere in ogni piaggia :
Ma tutto questo in tuo aiuto non viene :
Per non tenerli, Filiberta, a tedio.
Pensato abbiam solamente un rimedio.
CLVIl
Rinaldo, quel Cristian ch'ha tanta fama,
Con Ulivieri, Alardo e Ricciardetto,
E Gan, cui traditore il mondo chiama,
Guicciardo, Malagigi e un valletto,
Come e' si sia noi non sappiam la trama,
A Monaca si trovano in effetto :
Vanno pel mondo; e sai quanto sien forti;
E soglion dirizzar sempre la' torti.
-.
CLvni
Forse conoscon questo Galliano :
Io me n' andrei a Rinaldo, e giuocrhioiic
Direi di dargli la città in sua mano,
Se venissi a punir questo gliiotlonr :
l'agli è tanto gentil, benigno, umano,
E molto partigian de ìh ragione,
Che ne verrà con la sua compagnia,
E rendcralti la tua sii'noria.
E se bisfigna, accoccala a Apollino
E Macometlo : e quel che noi diciamo,
Che ogni cosa è per voler divino :
l'elisa, san/-a cagioii non lo fac(;iamo :
Non guardar j)iù scudier <'lie pellegrino:
Amici antichi tli tua stirpe siamo,
Forse CirifG eh' andiam ne la Mecche :
Questo ti dee bastar, salamelecche.
ci.x
E impartirsi, anzi sparili sono.
Filiberla restò maravigliata,
E parvegli il consiglio di lor buono,
Tanto che infino a Monaca n' è andata:
Ch'ogni speranza ha messo in abbandono;
E gioveragli d' esser disperata,
C(jine avvien sempre; e che pensar bisogna.
Chi cerca truova, e chi si dorme sogna.
CLXI
E la fortuna volentieri aiuta.
Come dice un proverbio eh' ognim sa,
Gli arditi sempre, e i timidi rifiuta.
Filiberta a Rinaldo se ne va,
E voleulier da tulli fu veduta,
E raccontò la sua calamità:
E 'ncrebbe tanto di questa a Rinaldo,
Che de la impresa par più di lei caldo.
CI.XII
Greco, guardando Filiberta in volto,
Subitamente conosciuta ha quella,
E grida : Il regno mio, che mi fu tolto,
Vedi che più noi tieni, o meschinella ;
Né Chiaristanle 1' ha tenuto molto.
Andato son con la mia navicella
Per molli mar, per lunghi e gravi errori,
Da poi eh' io son de la mia patria fuori.
CLxm
E la ragione avuto ha poi pur loro.
Questo già non credette il tuo marito,
Di dimorar nel regno mio sì poco ;
die si pensò quando e'I' ebbe rapilo,
Sii^noreggiar la terra e l'aria e'I fuoco
Con sua superbia, e del mare ogni lito;
Tanto che s.ii eli' adorar si facea,
E 'l simulacro fé' ne la moschea.
crxiv
E' si pensò di far come fé' Belo ;
E' si pensò per sempre essere Iddeo ;
E' si pensò ))igliar su Giove in cielo ;
E' si pensò aver fallo Prometèo;
E' si pensò poter far caldo e gielo ;
E' si pensò lor fama a Capaneo ;
E' si pensò di vincer la fortuna,
E far tremare il sol non che la luna.
M o w a \ N T K M A (; i\ I 0 i\ i:
ri XV
La sp.ici.i di là su vedi «ho tajilu,
Ma sriii]ire a Iiio&o r tempo i* roii misura:
O^iii ros.1 di sopra sì ra{:gii.i;:,lia.
l'.rro rir io piansi de la mia sriapura,
K(i or forluna il Ino le);no travaglia :
1)(ini]iir rosa non r è che sia «ictira :
l*er«> nou si vorria mai nulla a torto,
Ma^^iiiiamente in questo viver corto.
CLXVI
La giustizia di Uio non può fallire:
Dove tu vai li verrà sempre appresso :
Non l'hai potuto, misera, fuepire :
Dov' è il